Aristotele? Nel Médoc, il vecchio filosofo greco è conosciuto soprattutto per essere una cavalcatura fuoriclasse!

Conoscete la cittadina di Vertheuil nel cuore del Médoc, a due passi dei rinomati vini di Saint-Estèphe? O forse, quando siete venuti a trovarci, eravate troppo occupati a mandare giù qualche bicchiere di vino in una cantina nei dintorni per visitarla o prestare attenzione a questo delizioso paese tipico della penisola del Médoc. A Vertheuil c’è una bellissima abbazia che risale al XI secolo, costruita con questa pietra calcarea bionda che fa la fama della città di Bordeaux. Il cammino di Santiago passava da qua, la via degli inglesi per essere preciso, e qualche pirata cistercense avrà deciso di sistemarsi in quel luogo in mezzo delle paludi del paese mezzo morto per curare i poveri pellegrini inglesi ed alleggerire i loro portafogli (pura maldicenza da parte mia). Io questa abbazia la frequento, diciamo piuttosto il giardino perché, ogni anno, ci si svolge una specie di mercato dove i giardinieri dilettanti della regione possono scambiarsi delle piante e dei semi. Ma, oggi, vi faccio entrare nella chiesa perché c’è qualcosa di divertente dentro con questo vecchio greco e la sua fottuta paura delle donne che vuole separare due amanti e che prende una bella lezione. Pensate che ci vuole un libro per leggere della poesia? Talvolta, basta il bracciolo di una sedia vecchia di più di cinque secoli e, credetemi, per questa sedia i monaci si picchiavano per avere il privilegio di sedersi su e accarezzare lubricamente la coppia scolpita sul bracciolo durante la messa (pura maldicenza da parte mia), i più coraggiosi tentavano di resistere pensando che le donne, nel fondo, hanno una natura diabolica e così mettevano la loro fede alla prova. Ma cos’è diavolo è raffigurato su questo bracciolo? mi direte. E io di rispondere: il Lai di Aristotele cioè un fantasia sessuale, un mito erotico in cui la donna si trova sopra, inventato dai Troubadours e che sbeffeggia una delle figure più importanti dell’autorità medievale: ARISTOTELE.

 

Il Lai (un lai è un genere poetico medievale, qui centrato su una beffa) è stato composto da un troubadour normanno del XIII secolo, un certo Henri d’Andeli e racconta come il tutore di Alessandro Magno, tenta di separare il giovane Re e la sua morosa Fillide, che lo fa trascurare i suoi doveri politici. Fillide che ha avuto conoscenza di questa offensiva di Aristotele prepara un stratagemma per contrastarlo. Mentre il filosofo sta meditando laboriosamente nel suo studio, Fillide si mette a cantare ed a ballare denudata nel giardino adiacente. Aristotele la vede e la vuole subito. Lei gli mette come condizione di prestarsi ad un piccolo capriccio: lui deve essere la sua cavalcatura. E lui, il filosofo, il maestro della logica, della metafisica e dell’etica, folgorato dal desiderio accede alla richiesta di Fillide, giocando il ruolo burlesco di cavallo. Fillide cavalcando Aristotele canta il suo trionfo. Alessandro dalla finestra vede il suo maestro ridicolizzato, ma pensate che il vecchio asino può impedirsi di fare il professore? Costui, astuto, risponde, tra due scalciate, ad Alessandro che sta morendo dal ridere, c’è una lezione da ritenere di tutto questo! Se un vecchio filosofo non è capace di resistere al potere dell’Eros, Alessandro, essendo giovane, deve raddoppiare di prudenza. Alessandro, divertito, non ascolta il vecchio satiro e raggiunge la maliziosa Fillide…. Poveri monaci di Vertheuil che, per colpa di questo Lai, non riuscivano più a studiare ed a prendere sul serio il vecchio Aristotele e che si scaldavano il sangue pensando alla bella Fillide, se dovessero tornare oggi a Vertheuil con tutte le spiagge nudiste che si trovano a due passi…

Il Lai di Aristotele fa una quarantina di pagine quindi vi propongo una poesia di Charles Maurras che riprende il tema:

Quand le Grand Alexandre
De l’Inde outra le cours
Quel sage osa prétendre
Le borner en amour ?

La petite princesse
Dont les yeux sont si beaux
Bouscule la sagesse
Qu’elle pousse au tombeau :

Elle bride, elle bâte
d’œillères, de bandeaux
Le Sage à quatre pattes
Qui lui fait le gros dos.
Elle l’enfourche, et fouette
De rires, de chansons :
Il a ce qu’il souhaite
De la selle à l’arçon !

Au lai qu’elle lui donne
Il trotte et va bon train.
Du suivant qu’elle entonne
Il galope au refrain.

Mais, fou de les entendre
Tournoyer dans sa cour,
S’est le grand Alexandre
Laissé mourir d’amour.

 

Francia: In cui una bambina bordolese interroga l’autore di questo blog a proposito della blasfemia!

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XVII secolo, i profeti Mosè, Maometto e l’arcangelo Gabriele, Berlino, Museum für Islamische Kunst.

Cara bambina, il vecchio Bayle diceva: “la blasfemia è scandalosa solo agli occhi di colui che venera la realtà oggetto di blasfemia, ma non possiede nessun carattere delittuoso agli occhi di colui che non condivide questa venerazione”. Insomma, se ti senti insultata da una raffigurazione del profeta o perché qualcuno prende in giro Gesù Cristo è il tuo problema, non quello della persona che ha designato la vignetta. E non è perché hai deciso di santificare certi concetti oppure personaggi storici o letterari che hai diritto di imporre giuridicamente questa santificazione alle persone che non ci credono. Piace o non piace e certi trovano la cosa fastidiosa, ma, in Francia, insultare Dio, Maometto, Allah o Yahweh non è proibito. La costituzione di 1791 ha abrogato il delitto di blasfemia, che fu brevemente  reintrodotto sotto la restaurazione, e definitivamente escluso dalla legge sulla libertà di stampa del 29 luglio 1881. Poi, nel 1905 fu votata la legge di separazione tra Stato e Chiesa che dice che la Repubblica francese non riconosce nessun culto. Da allora, è ovvio per tutti che la blasfemia per se stessa non può costituire un delitto. Ti faccio notare, cara bambina, che non è una specificità francese e la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 1976 ha confermato che la libertà di espressione protegge anche le idee scioccanti in grado di disturbare e offendere settori della società o istituzioni. Non credo sia possibile di essere più chiaro, no? Dunque abbiamo visto che il delitto di blasfemia è escluso dalla legge del 1881 sulla libertà di stampa, ma non significa che tutto è permesso da questa legge. Ci sono delle eccezioni che sono la diffamazione, l’ingiuria, l’incitazione all’odio,  la provocazione alla discriminazione nei confronti di persone in base a origine, etnia, nazionalità, razza, religione, orientamento sessuale, handicap, l’incitamento ad atti terroristici, l’apologia dei reati contro la persona, dei crimini contro l’umanità. E poi fuori dal diritto della stampa ci sono altre incriminazioni che rivelano del diritto comune o di altri testi. Comunque per essere un po’ sintetico: Blasfemia: sì, ingiuria nei confronti di persone in base a origine, etnia, nazionalità, razza, religione: no. I giudici francesi sono molto attenti sulle condizioni di questa infrazione perché l’ingiuria è spesso utilizzata come un cavillo giuridico dalle religioni per tentare di reintrodurre il delitto di blasfemia. L’ingiuria deve essere gratuita, non alimentare un dibattito di idee, manifestare una volontà deliberata di oltraggiare, ed indirizzarsi al gruppo religioso nel suo insieme. Per esempio, nel 2007, i giudici hanno considerato che la caricatura di Maometto, pubblicata nella rivista charlie Hebdo, che si dice contrariato di essere amato da stupidi, si lamentava a proposito degli integralisti e non di tutti i musulmani. In un altro processo in cui si vedeva un manifesto pubblicitario con delle donne nude al posto degli apostoli durante la Cena, i giudici hanno considerato che non c’era nessuna volontà di oltraggiare…ecc….è una giurisprudenza costante qualsiasi le religioni. Cara bambina, la Francia è una Repubblica laica in cui la libertà di espressione è il fondamento della società.

In cui l’autore di questo blog si sta radicalizzando e cucina un cous cous!

Che strana idea. Sarà che il cous cous è diventato il piatto preferito dei francesi  e ha surclassato da anni la povera e triste blanquette di vitello nei cuori e le menti dei francesi? sarà che una collega mi ha dato la ricetta e mi ricorda ogni settimana che non l’ho ancora realizzata? saranno le tre vecchiette bretoni della pubblicità Tipiak in T.V che, credendo mangiare un ottimo cous cous fatto in casa, scoprono alla fine che si sono lasciate ingannare da un ottimo cous cous industriale e gridano: pirati! allo telespettatore testimone di questa infamia? sarà la vecchia canzone sul cous cous che non ti esce mai più della testa una volta che l’hai sentita? Saranno i lettori di questo blog che mi hanno convinto di rinunciare alla mia passione tutta particolare per il coniglio di Lacanau di cui avevo malauguratamente parlato nelle stagioni precedenti di Bordeaux e dintorni (spero che non abbiano mai visto la bestiola altrimenti che spennata che cucino oggi perché è la cosa più adorabile del mondo!)? sarà che nel mio giardino ho un melograno e non so cosa fare di tutti questi frutti? Credo sia un po’ tutte queste ragioni che mi hanno spinto a questa radicalizzazione tutta culinaria e poi un’altra: è un piatto che prende appena 30 minuti da preparare.

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Gli ingredienti per 4 persone:

  • 2 melagrane
  • 4 quaglie
  • 400 g di semola di cous cous (ho comprato il cous cous precotto delle vecchiette bretoni, basta leggere le instruzioni sulla confezione)
  • 5 cl di succo d’arancia
  • 150 g di burro
  • 50 g di mandorle sfilettate
  • 1 cucchiaio di polvere 4 spezie
  • qualche foglia di menta
  • sale, pepe

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Preriscaldate il forno a 200 gradi. Tagliate le melagrane in due e spremete il succo di 1,5 melagrana e riservate i semi della metà restante. Disponete le signorine in una teglia da forno. Spennellatele con 50 g di burro ammorbidito. Salate, pepate e spolveratele con la polvere 4 spezie. Versate il succo di melagrana e d’arancia sul fondo della teglia. Infornate e lasciate cuocere 20 minuti annanfiando regolarmente con il succo della cottura.

Nel frattempo, preparate il cous cous come riportato sulle istruzioni sulla confezione. Fuori dal fuoco aggiungete il resto del burro tagliato a pezzetti e incorporatelo alla semola sgranando bene il cous cous con una forchetta. Salate e pepate poi aggiungete i semi della melagrana e le mandorle sfilettate. Mescolate delicatamente e cospargete con le foglie di menta. Servite le quaglie con la semola e annaffiate il tutto con il succo di cottura.

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Buon appetito!

E noi siamo tutti francesi. Punto.

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Io sono davvero scocciato quando leggo in un giornale o sento in televisione l’espressione: francese seguita da qualcosa che si riferisce alla religione. Noi siamo francesi. Punto. Quindi sarebbe già un primo passo se i nostri giornalisti potessero dire francese senza aggiungere “di origine magrebina” oppure di “origine ebraica”…ecc…Smettete un po’ di dividerci e così potremmo ricominciare a respirare. Siamo francesi perché condividiamo dei valori comuni, trasmessi dalla Rivoluzione francese, che si chiamano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza e Laicità. Punto. Quindi dite soltanto francese perché che siamo cristiani, musulmani, ebrei, atei, buddisti o che crediamo agli alieni non importa un fico secco e riguarda solo la nostra vita privata….

 

Francia: Tutto lo spirito di Charlie Hebdo in uno scatto!

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Sono Charlie; sono libero;  sono single; sono arrabbiata; sono qui; sono incinta; sono buona (a letto) dicono i cartelli di questi studenti durante la manifestazione di ieri che ha riunito più di 140.000 persone nelle vie della città di Montesquieu. Ho scelto di mostrare questo scatto perché trovo che sia il più bell’omaggio reso ai vignettisti di Charlie Hebdo (d’accordo forse non il più bello, ma comunque tra i più belli!). Volete il perché? Perché l’umorismo di Charlie Hebdo è sempre legato ad un’altra parola: “potache”. E questa parola “potache” la sentirete ovunque in Francia per designare questo tipo di umorismo. Potache era il nome che si davano i liceali per designarsi tra loro e deriva dal nome pot-à-chien; questo “vaso da cane” era un cappello di seta che gli allievi erano costretti a portare. Poi, per estensione, potache si è messo a designare gli scaldabanchi e gli allievi che facevano dei calembour, degli scherzi, che prendevano in giro tutto e tutti…e credetemi che questo scherzo avrebbe piaciuto ai vignettisti di Charlie Hebdo, eterni adolescenti e maestri in umorismo potache…

Umorismo: Cosa pensano a Charlie Hebdo di Matteo Salvini e dei suoi elettori?

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C’è scritto: Come ogni cinque anni, ci sono degli idioti che cagano sullo zerbino! Risposta: La stessa cosa che pensano dell’amica Marine Le Pen e dei suoi elettori. Perché Charlie Hebdo non c’è l’ha solo con il fascismo islamico, ma anche con il fascismo tout court. Mi viene il dubbio che molti italiani non abbiano la minima idea di cosa sia veramente la rivista Charlie Hebdo oppure sbaglio completamente e una vignetta così, designata da un Vauro locale, sarebbe accettata senza alcun probema da tutti  in nome del diritto sacrosanto alla satira.

Hanno già designato dei cazzi ovunque!

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Mi ha fatto sorridere questa vignetta designata dalla vignettista Louison che collabora al settimanale satirico Charlie Hebdo. E’ stata invitata ad una trasmissione l’indomani della strage e le hanno chiesto di disegnare in diretta una vignetta e lei in qualche seconda è riuscita a restituire tutto lo spirito irriverente di Charlie Hebdo. Certo che rischia di essere lunga l’eternità per San Pietro, se il tizio è già stanco della masnada di Charlie Hebdo dopo solo un giorno! 🙂

Comunque è divertente vedere che tutti quelli che odiavano Charlie ieri, sono diventati Charlie oggi!

E Voltaire ci ha imparato che abbiamo il diritto di ridere di tutto e di sbeffegggiare tutti i cretini  e anche i cretini che professono le loro religioni stupide ed intolleranti e che vogliono imporci come dobbiamo pensare, ridere, mangiare, vestirci, scopare…ecc…Siete liberi di pensarla come volete, ma rispettate la nostra libertà e la nostra laicità e smettete un po’ di tentare di convertirci alle vostre ideologie e ai vostri dèi assettati di sangue.

 

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Bordeaux: La città dove i gatti preferiscono la birra cambogiana al vino!

Per capire il titolo del post, dovete cliccare le immagini per leggere la storia di questo gatto bordolese particolare secondo la sua padrone. Ma non vi accontate delle immagini, leggete il mio testo sotto altrimenti perderete un piccolo pezzo di storia bordolese che ho tentato di trasmettere con questo racconto.

C’è una prima parte a questo post che potete leggere qui. Diciamo che avevo scritto il post l’anno scorso dopo il mio soggiorno a Parigi dove mi ero gravemente ammalato e dove mi ero anche emozionato scoprendo quattro capolavori della maiolica bordolese al Petit Palais. Appena sono potuto tornare a Bordeaux, mi sono recato nel mio caro vecchio quartiere portuale di Bacalan sulle tracce di questa famosa manifattura di maiolica dei fratelli Vieillard e che ha prodotto, in particolare, quei piatti di maiolica ispirati dalla Manga di Hokusaï e che sono ancora oggi ricercati dagli antiquari del mondo intero. Poi, non ho pubblicato il post perché la passeggiata mi ha in qualche modo spazzato il cuore e ci ho rinunciato, ma oggi mi sento di proporre il post. Certo, non è una passeggiata nel centro storico di Bordeaux patrimonio mondiale dell’Unesco, semplicemente una passeggiata nel quartiere della mia infanzia in cui tutto un vecchio mondo tipicamente bordolese sta scomparendo e  lascerà, dopo la completa ristrutturazione del quartiere, il posto ad una nuova popolazione più ricca e sofisticata; già il nome del quartiere è cambiato e non si dice più Bacalan, ma Bordeaux maritime, non si dice più i bacini fluviali, ma la Marina…ecc…

Non è che sono amaro ed è normale che una città che esiste da più di 2500 anni sia sempre in mutamento. Quello che non capisco è che tutti i sindaci che si succedono da un secolo a Bordeaux hanno per solo ambizione di lasciare alla posterità un nuovo quartiere ancora più brutto, se fosse possibile, di quello che ha fatto edificare il suo predecessore. E poi, per realizzare questa strana ambizione, i sindaci hanno sviluppato una fissazione: fare di Bordeaux una Metropoli di un milione di abitanti; è la ragione per cui, nonostante la crisi economica che colpisce la gente, vedete tutti questi cantieri edili a Bordeaux. Per il momento, Bordeaux conta appena 400.000 abitanti e 700.000 se contiamo le 27 agglomerazioni urbane che fanno parte della Metropoli bordolese. La cosa davvero divertente è che il numero di abitanti rimane abbastanza stabile, anno dopo anno, cioè che il bordolese non è particolarmente di tipo coniglio…Ma torniamo alla storia della nostra manifattura di maiolica situata apposto “rue de la Faïencerie” (via della Maiolica) a Bacalan.

Per una strana coincidenza – ma non si dice che la storia è un eterno ricominciamento – la situazione economica di Bordeaux oggi ed i mutamenti della città sono abbastanza paragonabili a quelli della fine del XVIII secolo, non così drammatici però. Alla fine del XVIII secolo, la città di Bordeaux è tra le più ricche di Francia, il suo porto è il secondo porto al mondo dopo quello di Londra…eppure la popolazione di Bordeaux crepa di fame. Per quanto riguarda il quartiere di Bacalan a Nord di Bordeaux non è un quartiere urbanizzato, è una campagna che prolunga gli Chartrons, il quartiere dei negozianti in vino; una campagna piantata da qualche vigneto e dove la gente vive di pesca ai gamberetti perché a Bacalan cominciava quello che si chiamava le grandi paludi bordolesi. Poi succede qualcosa di abbastanza frequente in un estuario: tutta la zona sud (dove oggi c’è la stazione Saint-Jean) in riva al fiume e dove erano le attività industriali ed i cantieri navali di Bordeaux si ritrova completamente infangata dalle alluvioni della Garonna e tutte le aziende devono sgomberare più a valle e così che nasce il quartiere operaio e portuale di Bacalan. Scrivevo che il popolo di Bordeaux crepava di fame in una città traboccando di ricchezze e tanto vero che, prima la Rivoluzione francese, durante l’anno 1773 ci sono già delle sommosse della fame. Può sembrare un paradosso ma è facilmente spiegabile: tutti i generi alimentari prodotti nelle campagne di Bordeaux venivano esportati verso le colonie francesi per arricchire alcuni speculatori e armatori. La situazione è talmente grave che i fratelli Teynac, tre fratelli bordolesi che hanno fatto fortuna nelle Indie, decidono nel 1779 di edificare un immenso mulino da 24 ruote capace di produrre, grazie alle maree della Garonna, 1000 quintali di grano al giorno per nutrire la gente di Bordeaux. Un progetto faraonico chiamato i “mulini degli Chartrons” A cosa assomigliavano quei mulini degli Chartrons? Immaginate un immenso ponte-canale perché i fratelli hanno fatto scavare addirittura un gigantesco canale che passa sotto i mulini per fare ruotare le 24 mole con le acque della Garonna. E questo mulino si trovava in questo nuovo quartiere industriale di Bacalan dove stiamo passeggiando, tra la “rue de la Faiencerie” e la “rue Lucien Faure” dove è stato costruito di recente il ponte levatoio. Il mulino ha funzionato solo 4 anni, tra l’anno 1788 e l’anno 1792. Avete indovinato perché? Perché nessuno ha pensato a costruire il mulino su uno degli innumerevoli estey (così si chiama in bordolese i fiumi sottomessi alle maree dell’estuario della Gironda) di Bordeaux e il  canale è completamente intasato dalle alluvioni dopo solo 3 anni. La faccio breve perché quei mulini degli Chartrons hanno tutto un destino. Nel 1834, il negoziante David Johnston compra i mulini per sistemarci la sua manifattura di maiolica e sopprime tutte le installazioni molitorie.  Nel 1838, David Johnston diventa sindaco di Bordeaux e nel 1842 vende la manifattura ai suoi soci: i fratelli Vieillard. Notate che David Johnston ed i fratelli Vieillard non erano solo dei geni della maiolica, ma anche quello che si chiamava allora dei “padroni sociali o utopisti” cioè che gli operai prendevano dei buoni stipendi, c’era tutto un sistema di previdenza sociale e pensionistico, scuole e asili nidi per i bambini degli operai…ecc…Dal 1852 fino al 1895, durante  l’età d’oro della maiolica a Bordeaux, la manifattura Vieillard impiegava più di 800 operai…poi la manifattura è chiusa alla morte dei figli Vieillard ed è distrutta. E di questa pezzo di storia bordolese resta questo muro laterale, il nome della via….e tanti piatti di maiolica che fanno ancora oggi la gioia dei collezionisti…

Bacino di Arcachon: Una fifa blu ad Arcachon!

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Sapete che la giornata sarà lunga quando accogliete per una vacanza di due giorni la bambina di vostro fratello e che lei, che è arrivata con una valigia piena, vi annuncia l’indomani mattina, dopo essersi vestita, truccata, messo il rossetto, che lei sarebbe quasi pronta, se non avesse dimenticata i calzini a casa sua. Sapete che la giornata sarà ancora più lunga quando tornate dal supermercato con i calzini e che la fottuta bambina vi annuncia che lei ha anche dimenticato di portare i guanti per fare del pattinaggio su ghiaccio all’aperto sul lungomare. Allora, Guardate, incredulo, dalla finestra, la pioggia battente e ripensate al freddo polare che avete appena affrontato e tentate di dissuadere la bambina da questo stupido progetto di  pattinaggio, e poi riflettete un po’ e tornate al supermercato, allegro di pensare che la bambina potrebbe prendere un bel raffreddore. Ovviamente la gioia dura poco perché la bambina, che è più intelligente dello zio, ha rinunciato al pattinaggio sotto il diluvio appena ha visto la barca che traghetta tra Arcachon e Il Cap Ferret avvicinarsi e vi ritrovate allo spettacolo sul molo Thiers a guardare i passeggeri sbarcare, intirizziti dal freddo oppure soffrendo dal mal di mare. E la bambina, tranquillamente sotto l’ombrello con un bel cartoccio di caldarroste in mano a divertirsi facendovi un commento ad ogni passeggero sbarcato mostrando segni di debolezza. E voi che avete le scarpe bagnate non ascoltate l’orribile chiacchiericcio perché siete troppo occupato a pensare ai calzini di ricambio che avreste dovuto comprare per voi al supermercato perché cominciate veramente a sentirvi congelato e, decisamente, rischiate di morire di una polmonite prima che questa fottuta bambina possa prendere anche l’inizio di un raffreddore. E poi, lei vi dice che vorrebbe fare un giro sulla ruota panoramica sul molo d’Eyrac. Sei sicura? Non hai le vertigini? Sai che è qualcosa di impressionante? E lei di rispondere: Sì,  “je flippe ma race”, ma voglio fare l’esperienza comunque – Flipper (sa race) significa in gergo francese: avere paura, essere spaventato da qualcosa, essere angosciato, ansioso, sentirsi male. Il verbo francese flipper deriva dal verbo inglese to flip cioè agitare e significa nel gergo della droga: sentire gli effetti  dell’assunzione di una droga e per estensione: sentire un turbamento affettivo profondo – insomma la bambina aveva una fifa blu, ma voleva comunque tentare l’esperienza.

Mentre la cabina inizia la sua corsa ascendente, la bambina si aggrappa al mio collo e non vuole più lasciarmi. No, cara, devi smettere di strangolarmi a morte, ma soprattutto devi aprire gli occhi perché ho pagato 5 euro il tuo biglietto, altrimenti mi devi rimborsare; già che ho comprato i guanti e che non vuoi fare il pattinaggio! Non mi lascio abbindolare due volte nella stessa giornata. Poi, quando la cabina si ferma in cima e che siamo spazzati dal vento, chiedo alla bambina di girare il volante perché vorrei prendere qualche scatto e raccontarle un po’ quello che vediamo sotto, e lei si mette a urlare a squarciagola: Non posso muovere nemmeno un dito! “Je flippe trop”, Voglio scendere subito! E poi, a questo momento, un’adolescente che si trova nella cabina dietro con il padre ed i due fratelli si mette anche lei a gridare: Anch’io “j’ai les miquettes” e voglio scendere! E la mia nipote che è dotata di una curiosità insaziabile mi chiede: zio cosa sono queste “miquettes?”. Significa, rispondo io, che anche lei ha paura, è un altro modo di dire: “je flippe ma race”, ma relativamente più elegante perché, credimi, l’espressione: “je flippe ma race” è divertente, ma abbastanza volgare. Comunque non è un’espressione che si usa molto a Bordeaux, questa gente deve essere Ch’ti. Proprio incredibile! hai visto che sono vestiti come se fossimo in piena estate e, non è possibile, mangiano anche dei gelati! Il giro seguente, la bambina ha dimenticato la sua paura e con l’adolescente che viene dal cerchio polare (il cerchio polare comincia a nord del faro di Cordouan) si divertono a gridare insieme: abbiamo “les miquettes” e il gioco non sembra volere finire perché questa fottuta ruota non si ferma più e, dopo quattro giri, sono io che mi sento nauseato e comincio a capire cos’è il supplizio della ruota. Ah, finalmente! Zio anche io vorrei un gelato come Elodie, la mia nuova amica! Loro sono ch’ti e sono abituati a mangiare dei gelati sotto la pioggia e nel freddo polare, noi siamo di Bordeaux quindi siamo una razza più freddolosa. Ti offro un tè o un cioccolato al bar del mercato e comunque io ho bisogno di un cognac e anche un doppio!…Una fine dicembre ad Arcachon.