A Bordeaux, i vendemmiatori si mangiano, ma sviscerati perché i loro fegati servono a fare la salsa!

Se siete a Bordeaux o nei dintorni in autunno e che abbiate la buonissima idea di fare un giretto nei mercatini, vedrete questi cartelli davanti alle bancarelle dei pescivendoli dove c’è scritto: Vendemmiatori (vendangeurs in francese). Non lo leggerete nelle guide turistiche, ma i vendemmiatori sono una grande specialità della regione bordolese quanto le ostriche di Arcachon diciamo; d’altronde provengono dalla stessa zona. Vi rassicuro, non si tratta di qualche bracciante catturato nei vigneti del Médoc e preparato alla marinara dagli indigeni di Arcachon. Il vendemmiatore è il nome bordolese di una piccola triglia (rouget in francese). In altre regioni francesi, la triglia si chiama anche beccaccia per il suo sapore simile alla selvaggina, ma a Bordeaux il pesce viene chiamato vendemmiatore perché frequenta il nostro litorale atlantico e vive nel bacino di Arcachon durante il periodo delle vendemmia per la più grande gioia dei bordolesi. Una differenza di sapore tra la triglia e il vendemmiatore ci sarà sicuramente perché il prezzo non è lo stesso e un giorno ho visto una vecchietta bordolese che voleva prendere a schiaffi un pescivendolo accusato di tentare di rifilarle delle triglie invece dei suoi cari vendemmiatori di Arcachon. Io non ho il palato abbastanza educato per notare la differenza.

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Come si cucinano i vendemmiatori a Bordeaux? Sapete forse che è un’eresia di sviscerare le piccole triglie perché perdono questo sapore di selvaggina, ma a Bordeaux dovete chiedere al pescivendolo di pulire i pesci e che lui vi ricupera i fegati (loro sono abituati a farlo) perché sono i fegati che danno qualcosa in più alla ricetta. Quindi per la ricetta tradizionale bordolese, diciamo per 4 persone, avete bisogno di 16 vendemmiatori, 2 cucchiai di olio d’oliva, 50 g di burro, 4 scalogni grigi, 1 cucchiaino di aceto di vino, sale, pepe e i fegati ovviamente. Fate riscaldare 40 g di burro e l’olio d’oliva in una padella a fuoco medio. Mettete i vendemmiatori a fuoco vivo per 2 minuti su ogni lati. Riservate i pesci caldi al forno. Aggiungete il resto di burro nella padella e gli scalogni tritati finemente e fate rosolare 2 minuti. Poi, deglassate con l’aceto di vino, aggiungete i fegati, mescolate bene, salate e pepate. Avete la salsa al fegato. Versate la salsa sui vendemmiatori e…a tavola!

 

Bordeaux: il vino nuovo è arrivato!

Avevo già parlato del vino bourru su Bordeaux e dintorni qui. È il vino nuovo che bevono tutti i bordolesi da settembre fino alla fine delle vendemmie cioè quasi a gennaio per le vendemmie più tardive. Il vino bourru lo trovate in tutti i mercatini e anche nei supermercati di Bordeaux in autunno. Appena, le uve vengono spremute e cominciano a fermentare che la gente si mette a bere questo succo di uva che sta diventando un vino. Io ne ho già bevuto verso il 15 settembre, ma doveva venire di una regione esotica tipo Provenza o Languedoc. Questa domenica, ne ho trovato al mercato di La Bastide, del vino bourru nostrale, senza solfiti, che viene dalla riva destra dell’estuario della Gironda, dalla zona di Cognac. Io ne sono completamente drogato di  questo fottuto vino bourru e ne bevo tutto l’autunno fino a dicembre. Quindi non potevo mancare di comprarne qualche bottiglia. Devo dire che è stato folclorico di tornare a casa, sotto un sole di piombo, con le mie bottiglie di bourru (i tappi sono forati e dovete sempre mantenere le bottiglie dritte). Ho preso il tram e tutta la gente di guardarmi e di farmi degli occhiolini tipo: guardate questo tizio con la sua scorta di vino bourru! Soprattutto che non avevo nemmeno una borsa, certo che a Bordeaux non siamo ipocriti come nei film americani quando si tratta di passeggiare con una bottiglia di vino. Poi, mentre il tramway mi portava a casa, ho ripensato a come mi è venuta questa passione del bourru.

In Francia, non si prende l’aperitivo nei bar, ma sempre a casa. E quando, bambino, andavo a casa dei nonni per il pranzo della domenica c’era sempre l’aperitivo prima di passare a tavola. Non esiste un pranzo o una cena francese senza un aperitivo. Quindi, in autunno, avevo sempre diritto ad un bicchierino di vino nuovo.

Mia madre: Ma cosa stai facendo, mamma?

Mia nonna: Non lo vedi? Sei cieca? Sto servendo un bicchierino di vino bourru ai bambini con dei savoiardi che loro possono inzuppare….

Mia madre: Non voglio che bevano vino!

Mia nonna: Ma che rompiscatole! Non è del vino, è del vino bourru. Un vino per bambini. Non è alcolizzato fa appena quattro o cinque gradi e poi sono due gocce!

Mia madre: ma…

La nonna: E poi, io ne bevo dalla nascita e non sono ancora morta, è la prova che questo vino è buono per la salute. È una tradizione di famiglia vecchia quanto Bordeaux e che dobbiamo mantenere.

I bambini diabolici: Nonna, ci raccontai la storia del vino bourru quando eri bambina dal tuo nonno?

Mia madre: Mamma! Stiamo passando a tavola! Non vai a raccontare questa storia stupida che hai probabilmente inventata!

Mia nonna: Ma non è qualcosa di sporco! È cosi che la gente faceva una volta! Dunque, cari bambini, dal nonno che faceva il vignaiolo a Sainte-Croix-du-Mont quando era il momento del vino bourru, tutti quelli che avevano partecipato alla vendemmia, dai bambini ai vecchietti, bevevano litri e litri di vino bourru quando si cominciava a torchiare le uve E succedeva quello che doveva succedere…

I bambini ipocriti che avevano sentito la storia un milione di volte: Eravate tutti ubriachi?

Mia nonna: No, la gente si metteva a correre tra i filari le mutande alle mani perché se abusate di questo vino, vi viene una diarrea….

Mia madre: Brava mamma! al momento di mangiare. Complimenti, davvero.

Mia nonna: È così, cari bambini, che si faceva una volta per concimare i vigneti quindi non dovete mai esagerare con il vino bourru. Vedi, cattiva, che imparo ai bambini la temperanza che stai raccontando a tutti che li faccio bere.

Mia madre: Mamma….

Appuntamento davanti alla cattedrale di Notre-Dame di Parigi per un indovinello botanico.

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Parigi. Siamo Square Viviani a due passi di Notre-Dame. Basta attraversare il Quai di Montebello e il Pont au Double per ritrovarsi sul sagrato della cattedrale che è il punto di partenza del chilometraggio di tutte le strade di Francia. Ma, oggi, lasciamo in pace la cattedrale, Esmeralda, Quasimodo ed i falsi doccioni medievali. Vi ho portato square Viviani perché qui c’è il più vecchio albero di Parigi che è ugualmente la più vecchia robinia d’Europa. Le robinie sono originarie dell’America del Nord e l’albero che vedete sopra fu importato e piantato nello square (che non era un parco, allora) nel 1601 dal botanico francese, Jean Robin, che ha dato il suo nome all’albero. La robinia cresce velocemente e si è piaciuta e ambientata così tanto in Francia che è diventata endemica fino ad essere considerata una specie invasiva e un vero flagello in certe regioni di Francia come in quella dove abito. Adesso l’indovinello perché considero che avete abbastanza di elementi e che la domanda non è complicata. Perché le robinie pullulano nei dintorni di Bordeaux?

Estuario: Cari amici cacciatori…

So bene che siete ecologisti, che tutelate l’ambiente, che amate la natura e la vita all’aria aperta, che vi piace passeggiare nelle foreste e nei campi con i vostri cani, che vi piace travestirvi da Rambo per sparare a nord, sud, est e ovest alle palombe, che avete questo gusto tutto particolare per decorare le vostre case con delle bestiole morte e che fate lavorare un esercito di tassidermisti. Non ce l’ho con voi quando mi svegliate il weekend alle sei in un rumore di cannonate o che rischio di prendere una gragnuola di pallini nel culo quando vado a porcini. Va bene tutto. Ma se poteste smettere di fare gli stronzi nei “miei” boschi e raccogliere i bossoli delle vostre cartucce dopo i vostri spari, la mia schiena e la natura ringrazierebbero!

Bordeaux: Mia madre è troppo bordolese per salutare in francese!

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-Buongiorno, Planchet, rispose d’Artagnan. (Si vede che Alexandre Dumas non era guascone!)

Inutile di preoccuparvi perché mia madre vi ha detto adieu (addio) in un sospiro e di pensare che lei è depressa o di telefornami per segnalarmi che mia madre potrebbe commettere l’ irreparabile. È solo che mia madre è bordolese fino al midollo e si esprime come lo faceva sua madre, sua nonna, sua bisnonna e si potrebbe risalire così fino ai tempi in cui Bordeaux si chiamava Burdigala. Quindi mia madre è una tizia di Guascogna e utilizza la parola addio per dire: buongiorno, ciao, ci vediamo, salve, a presto, buona sera, alla prossima, a più tardi, arrivederci, buona notte…e anche addio! 😉

In Guascogna dove le vigne sono immortali!

Gli scienziati americani vengono a studiarci per scoprire perché in Guascogna ci sono dei vecchietti di 100 anni che stanno ancora a vendemmiare mentre dovrebbero essere crepati da 80 anni con la loro dieta a base di tutte queste schifezze cotte nel grasso di anatra e annaffiate di vino. Chiamano questo il French paradox. Provano la dieta qualche giorno, poi sono rispediti in bare verso gli Stati Uniti. Ma c’è ancora qualcosa di pù misterioso dei nostri highlander guasconi…

Nella bella regione di Guascogna, sull’altura del paese di Sarragachies di fronte ai Pirenei  tra Ossau e il picco del Midi di Bigorre, nell’appellazione Saint-Mont, c’è la cascina della famiglia Pédebernade dove i vignaioli di questa famiglia, di generazione in generazione, coccolano 2000 metri quadrati di un vigneto che dà circa una tonnellata e mezzo di uva ogni anno. Questo vigneto è tanto particolare che nel 2012 è stato classificato ai monumenti storici perché non è semplicemente un vigneto, è un tesoro nazionale, un patrimonio vivo della storia della viticoltura francese e semplicemente un pezzo di storia di Francia. E quando le vedete queste ragazze di Guascogna con i loro ceppi che assomigliano a dei tronchi di quercia, la loro vegetazione rigogliosa e spensierata, le uva che aspettano le mani nodose dei vendemmiatori. Non potete crederci, è come contemplare qualcosa di unico, di raro, un miracolo che si svolge sotto i vostri occhi spalancati in questa terra di Guascogna. Qualcosa che non riuscite a concepire, al di là della vostra comprensione di semplice mortale. Ne ho fatto abbastanza con la suspense? Va bene. Vi dico perché queste ragazzine sono state classificate ai monumenti storici francesi. È il più antico vigneto di Francia. Quando è stato piantato, l’Italia non esisteva, nemmeno il Regno d’Italia, Garibaldi e Cavour non erano ancora nati e Napoleone era Re d’Italia. A me di guardare il vigneto della famiglia Pédebernade mi vengono le vertigini perché non stiamo parlando di olivi che possono vivere centinaia d’anni, ma di viti! Queste vigne che hanno più di 200 anni non dovrebbero esistere, è il più grande mistero dell’universo. Alla fine del XIX secolo, quasi tutte le viti francesi sono state distrutte dall’Hitler della vigna cioè la fillossera e ci ha voluto ricominciare tutto da capo e per lottare contro questo flagello utilizzare dei portainnesti americani resistenti alla Fillossera. Cosa è successo con le vigne della famiglia Pédebernade? Il sottosuolo della collina dove crescono le viti è sabbioso e la fillossera odia la sabbia. Quindi il vigneto di Sarragachies è un vigneto prima la fillossera. Nel caso del vigneto di Sarragachies c’è un altro fattore che spiega perché le vigne scoppiano di salute dopo duecento anni: il modo di coltivazione tradizionale che è stato preservato. Non ci sono i filari che vedete ovunque. Le vigne sono posizionate in doppio, poi uno spazio di due metri con il doppio seguente, il risultato è una forma a quadrato che permetteva di fare passare i buoi e di lavorare tutti i lati della vite. D’accordo sono antiche, non sono mai state toccate dalle malattie, sono coltivate in modo più o meno tradizionale, ma non è la sola ragione per cui sono state classificate ai monumenti storici! C’è qualcosa di ancora più misterioso se fosse possibile. Avete un’idea? In questo vigneto ci si ritrova una trentina di vitigni! Il Tannat che è il vitigno che si coltiva nella zona. Altri che non sono più coltivati o che non esistono addiritura più e che una volta erano endemici nel piemonte pireneico: Morrastel, Muscadelle, Fer Servadou, Camaraou, Penouille, Miousap, Printiu aigu, Blanchard. E, udite, udite, cari lettori, sette vitigni che erano completamente sconosciuti, che crescono solo in quei 2000 metri quadrati di vigne in terra guascone. Da nessuna altra parte sulla superficie di questo fottuto pianeta!  Tanti sconosciuti che gli scienziati hanno dovuto trovare dei nomi per battezzare quei vitigni e ovviamente hanno scelto il bellissimo cognome guascone della famiglia che possiede il vigneto da più di 200 anni. Notate che gli scienziati non hanno un’immaginazione  troppo sbrigliata è i vitigni si chiamano Pédebernade 1,2,…7. Potete bere il vino della famiglia Pédebernade? Diciamo che non lo vinificano loro e portano la vendemmia alla cooperativa dove si fa il vino dell’appellazione Saint-Mont che vi raccomando di assaggiare, insieme a una buona bottiglia di Armagnac, se passate un giorno nel dipartimento del Gers.

Francia: Come Napoleone fu ucciso dal Re di Roma secondo mia madre.

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Cliccate le mutande di Napoléon, se volete ascoltare una versione punk della filastrocca su Napoleone!

Quando arrivo a casa di mia madre, trovo la tizia in compagnia della nipote e stanno guardando in televisione una trasmissione agiografica dedicata a Napoleone Bonaparte e siamo al momento in cui l’aquila di Ajaccio completamente spennato, in esilio all’isola di Sant’Elena, sta per morire. Mia madre si mette a sospirare esclamando: Completamente assurdo, non è morto così Napoléon! Tutti sanno che fu assassinato dal figlio Léon! La bambina, gli occhi spalancati, guarda la nonna e interviene: L’abbiamo studiato a scuola, l’anno scorso, e il profe ha detto che sarebbe morto di una malattia tipo cancro come dicono nella trasmissione. E poi, aggiungo io, cretino quanto la bambina che non capiamo che la tizia sta scherzando: Mamma, il figlio di Napoléon non si chiamava Léon, ma l’aiglon. Mia madre: Aiglon, Léon è la stessa cosa (n.b: Léon e l’aiglon – aquilotto in italiano – hanno una sonorità molto simile in francese), ma cosa credete? Anch’io ho studiato la storia a scuola e mi ricordo molto bene una canzone che cantavamo a proposito della vera morte di Napoléon. A questo punto, posso dirvi che eravamo interessati, intrigati e bruciavamo di conoscere la canzone (dovete sapere che la tizia ha un serbatoio inesauribile di canzone e di filastrocche che lei dice di aver imparate a scuola dalle suore). La canti, nonna? Allora mia madre si mette a cantare la filastrocca su Napoleone che dice che il figlio Leone gli ha bucato la pancia, poi che fu ritrovato seduto su una balena mentre succhiava i fili dei suoi mutandoni.

Napoléon est mort à Sainte Hélène,

Son fils Léon lui a crevé l’bidon.

On l’a r’trouvé, assis sur une baleine,

En train d’sucer les fils de son caleçon

E noi di scoppiare dal ridere mentre mia madre davanti a questo trionfo si rimette a cantare la filastrocca e alla fine di cantarla tutti insieme durante i titoli della trasmissione. La storia secondo mia madre! Notate che non è più inverosimile della la storia di Roma che racconta un senese che vive nei dintorni di Bordeaux, ma sarà per un prossimo post!

Io avevo il sole giorno e notte negli occhi d’Emilie…

Ieri sera, mi sono guardato la partita dei quarti di finale degli Europei 2015 di basket tra la Francia e la Lettonia che si è svoltata a Villeneveuve d’Ascq davanti a più di 22.000 spettatori. E l’ho guardata soltanto per sentire la banda di Pomarez, un paese delle Lande di Guascogna vicino a Dax, suonare la canzone negli occhi di Emilie durante tutta la partita.

Io avevo il sole

Giorno e notte negli occhi d’Emilie

Riscaldavo la mia vita al suo sorriso

Io avevo il sole

Notte e Giorno negli occhi dell’amore

E la melancolia al sole d’Emilie

Diventava gioia di vivere…

In ogni paesello delle Lande di Guascogna c’è una squadra di Basket – le Lande sono la patria del Basket in Francia – e in ogni paese delle Lande di Guascogna, da Bordeaux fino alla Spagna, c’è una banda. Le bandas suonano tutti i weekend, per ogni occasione, durante le partite di Basket, di Rugby, di Corse landesi; durante le feste patronali, le sagre dell’anatra, del foie gras, del pastis o delle ostriche…ecc. Per quanto riguarda il basket, la canzone negli occhi d’Emilie è diventata l’inno che tutte le bandas suonano durante le partite tra paeselli. Da brividi. Qualcosa che vi dà la pelle d’oca, queste bandas che suonano la canzone e gli spettatori delle due squadre che la cantano a squarciagola durante tutta la partita. Francamente, anche se non vi piace il basket, se siete nelle Landes di Guascogna, andate a vedere una partita e sono sicuro che, anche voi, salterete, canterete e farete un chiasso del diavolo per incoraggiare entrambe le squadre. Sotto una partita di giovani durante una finale regionale con le bandas che suonano gli occhi d’Emilie e che si rispondono; perché altrimenti non crederete a quello che sto scrivendo!

Dunque quando è stato chiesto ai giocatori della nazionale francese di scegliere un inno per gli europei di Basket in Francia, tutti hanno detto che volevano la canzone negli occhi d’Emilie suonata da una banda delle Lande di Guascogna perché è la cosa più bella che si può sentire durante una partita di Basket. E cosi, insieme alla Marsigliese, si suona ormai gli occhi d’Emilie. Poi, immaginate tutti i sacrifici fatti dai musicisti della piccola banda di Guascogna perché non sono professionisti e hanno dovuto, dove lavorano, chiedere qualche giorno di vacanze per suonare per la nazionale.

Mi direte, ma cos’è questa fottuta canzone negli occhi d’Emilie? Una vecchia canzone del 1977 di Joe Dassin che racconta la triste storia d’amore di un tizio di Québec che sopporta il lungo inverno canadese grazie agli occhi d’Emilie che gli riscaldano il cuore  e quando arriva la primavera e il sole, Emilie è andata via e per la prima volta della sua vita lui ha freddo. Una canzone che parla di un tizio di Québec per tifare la nazionale di basket francese! direi che sono queste piccole cose che ti fanno amare il tuo Paese 😉

 

In cui l’autore di questo blog fa un dolce invisibile!

Già questo blog è invisibile e il giorno in cui Facebook ha ricevuto un miliardo di persone in un giorno, Bordeaux e dintorni ha ricevuto 0 visite. Conosco tutti gli ingredienti per fare un blog invisibile: essere qualcuno di relativamente simpatico, fare un blog in una lingua che non è la mia, aggiornare regolarmente il blog, rispondere a tutti i commenti, snobbare e rifiutare assolutamente di essere sui social, scrivere cose che interessano solo me…ecc. Ma sapete che è un impegno di fare un blog invisibile! 😉 Quindi l’idea di fare un dolce invisibile per i miei quattro lettori invisibili mi è venuta naturalmente e, per proseguire la mia ricerca della torta alle mele perfetta (troverete la lista delle torte alle mele che ho già realizzate alla fine del post), ho deciso di fare un dolce invisibile alle mele. Il dolce invisibile è abbastanza alla moda in Francia. Il nome viene dal fatto che la simbiosi tra la pasta e gli strati di mele è così perfetta che quando assaggiate il dolce non riuscite più a distinguere la pasta dalle mele; la pasta sembra letteralmente scomparsa! Per riuscire l’exploit ci vuole una bella quantità di mele e una specie di pasta tipo clafoutis, che è una specialità della regione del Limousin, ma con un po’ più di cottura. Siete pronti, cari lettori e lettrici invisibili? Allora procediamo!

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Gli ingredienti per una teglia di 24 cm:

  • 90 g di zucchero di canna
  • 100 g di farina
  • 1 bustina di lievito chimico
  • 13 cl di latte
  • 2 uova
  • 60 g di burro demi-sel (cui 30 g sciolto)
  • 1 kg di mele
  • la scorza di un limone

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Sbattete le uova con 50 g di zucchero di canna fino a ottenere un composto spumoso (l’operazione si chiama “blanchir” in francese).

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Aggiungete la scorza del limone.

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Mescolate la farina con il lievito chimico e aggiungeteli al composto precedente.

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Sbattete fino ad aver una consistenza omogenea.

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Man mano incorporate il burro fuso e il latte. Mescolate bene e abbiamo il nostro impasto.

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Preriscaldate il forno a 180 gradi. Sbucciate le mele, togliete i semi e tagliatele in fette sottilissime (io non ho niente per preparare i miei dolci, ma se avete una mandolina affettaverdure è ancora più semplice).

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Man mano mescolate le fette di mele all’impasto.

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Ungete il fondo e i bordi della teglia con il resto di burro e cospargetela con lo zucchero restante.

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Versate l’impasto nella tegia e infornate da 50 minuti fino a un’ora (dipende dal vostro forno).

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Il risultato dopo un’ora. Il dolce non si presenta così. Dovete togliere il dolce ancora tiepido dallo stampo quindi disponete un piatto sopra e rovesciate il dolce, esattamente come si fa per un’omelette.

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Il dolce invisibile si mangia freddo. buon appetito!

In cucina con Alex: Il viaggio nel Loir-et-Cher

In cucina con Alex: La migliore torta di mele del Mondo? E’ francese ed è la più facile da realizzare!

In cucina con Alex: Ritorno in Normandia!

 

 

 

La lezione di Tennis di François Hollande a Matteo Renzi!

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Si vede che la Francia è un paese più povero dell’Italia! In francia, quando due francesi sono in finale degli US open come quest’anno, il nostro Presidente della Repubblica – che è un grande appassionato di Tennis – si accontenta di guardare la partita in televisione e di tifare con qualche amico nel suo appartamento privato dell’Eliseo. Poi, dopo la vittoria francese, il tizio accende il suo computer e pubblica un messaggio sobrio su Facebook per complimentare i due protagonisti:

Toutes mes félicitations à Nicolas Mahut et Pierre-Hugues Herbert. Bravo pour cette première victoire française en double ! ‪#‎USOpen‬ 

😉