Vino di Bordeaux: Altro che Brexit, il Winxit inglese del 1666!

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Basta guardare questa stampa di turisti inglesi in Borgogna ai tempi di Napoleone per capire che la Francia non ha niente da temere di un Brexit o piuttosto di un Winxit. 😉

Mia nonna diceva parafrasando Victor Hugo: “Dio ha fatto l’acqua, la civiltà bordolese ha fatto il vino.” Niente di più vero. I bordolesi hanno inventato il vino e posso anche darvene la data: 1666 in pieno XVII secolo. 1666, l’anno in cui il vino bordolese è morto ed in cui è risuscitato, l’anno che ha cambiato per sempre la storia del vino, l’anno del famoso Winxit inglese. Siamo a Londra nella notte del due settembre 1666, alle due della mattina per essere preciso, quando un fornaio della città dà fuoco involontariamente alla sua bottega dimenticando di spegnere il suo forno andando a letto e scatta l’incendio più celebre della storia. Un disastro relativo per l’Inghilterra, una tragedia per la città di Bordeaux. Londra, sotto l’impulso di Carlo II, si rialza a tempo di record con un’energia straordinaria, la vecchia città medievale e insalubre lascia posto ad una nuova città che diventa velocemente la capitale più ricca dell’occidente. Mentre Londra conosce un periodo di crescita economica inedita e l’Inghilterra si crea un impero commerciale, Bordeaux è in pieno marasma perché il suo destino è sempre stato legato a Londra, tutta la sua ricchezza dipende dal commercio del vino con l’Inghilterra e, il vino che sia di Bordeaux o di altrove, gli inglesi non ne vogliono più sentire parlare. Ormai il vino è fuori moda perché la nuova società inglese che appare dopo l’incendio di Londra, grazie alla compagnia delle Indie, si è messa a bere tè o caffè e il popolo preferisce il gin olandese al vino. Il vino è roba del medioevo. Il declino sembra inesorabile per Bordeaux, le navi non lasciano più il Porto della Luna e gli abitanti si sacrificano bevendo i carichi; vedete che l’incendio di Londra ha fatto più male ai bordolesi che ai londinesi! Cosa succede a questo punto della storia? Il Parlamento di Bordeaux si riunisce per evocare il Winxit inglese, soprattutto che tutta questa gente lavorava nel campo del vino. Dopo discussioni senza fine, il presidente del parlamento di Bordeaux, un certo Arnaud de Pontac proprietario dello château Haut-Brion a Pessac prende la parole per concludere la sessione: Va bene, gli inglesi non vogliono più dei nostri clairet. Io li capisco perché diciamolo è una truffa, dei vini per la sete che vendiamo al prezzo dell’oro, appena dell’acqua colorata…noi dobbiamo inventare un nuovo vino, un nuovo modo di fare il vino se vogliamo sopravvivere e fare tornare gli inglesi a spendere per bere i nostri vini. I bordolesi con Pontac in testa che era un genio del vino si mettono a studiare tutte le tecniche che permettono di conservare il vino a lungo affinché il vino non sia diventato dell’aceto dopo un soggiorno di qualche mese in un magazzino sui moli di Londra. I bordolesi inventano il vin de garde cioè il vino da invecchiamento quello che si bonifica con il passare del tempo. Cambiano il colore del vino di Bordeaux e lo fanno diventare rosso rubino giocando sui vitigni (prima del 1666, il vino rosso non esisteva). Ne cambiano anche il gusto. Insomma, i bordolesi inventano una nuova bevanda che non assomiglia in niente ai vini che si facevano prima il 1666. È questo vino che bevete ancora oggi a Bordeaux e quando  visitate una cantina del Médoc e che il viticoltore vi spiega come si puliscono le botti in legno, perché si deve travasare il vino da una botte ad un’altra per separarlo dai suoi depositi naturali, perché si deve praticare “l’ouillage” e riempire fino all’orlo le botti per evitare l’ossidazione…ecc. Sono tutte tecniche che sono state messe a punto da Arnaud de Pontac per creare il vin de garde e riconquistare i clienti inglesi. Poi, Pontac ha aperto una specie di enoteca-ristorante-negozio nel centro di Londra e si è messo a vendere il suo vino per abbinare i piatti bordolesi che venivano serviti ai ricchi inglesi. Il successo fu immediato e Pontac ha scoperto che mettendo un’etichetta sulla bottiglia con il nome della sua proprietà e il vino si vendeva ancora meglio. Il vino moderno di Bordeaux era nato e un secolo più tardi, il porto di Bordeaux era il secondo al mondo dopo Londra…

Parigi: Seguendo un gatto flaubertiano e scherzoso nel cimitero dei vanitosi!

In questa quarta parte del mio soggiorno a Parigi, c’è un lessico:

Bidassoa: fiume della regione Aquitania sul confine tra la Spagna e la Francia. Sulla sponda Nord, la città francese di Hendaye, sulla sponda Sud, la città spagnola di Hondarribia (Fontarrabie in francese).

Drôlement: avverbio francese che significa “molto, assai, parecchio e che l’autore di questo blog usa in modo buffo ogni quattro parole.

Hondaribbia: città spagnola conosciuta da tutti i bordolesi che ci vanno il weekend per comprare sigarette, alcol, formaggi…ecc. Andate al supermercato Alcampo di Hondaribbia e ci troverete solo gente di Bordeaux.

M’as-tu-vu: espressione francese di mia nonna per designare un pavone, una persona vanitosa…ecc. Letteralmente: Mi hai visto.

Mistigri: gatto in francese.

Pinard: modo peggiorativo ma simpatico per dire vino in francese, deriva dalla parola Pineau, credo. Non è negativo: Mouton-Rothschild è un buon pinard.

Merlot: vitigno vanitoso che sta conquistando il mondo perché non è sensibile alle malattie come il delicato Cabernet-Sauvignon. Esistono persone snob che usano addirittura “merlot” per dire “vino.”

Guardarsi in cane di maiolica (Se regarder en chien de faïence in francese): significa guardarsi in modo ostile e silenzioso.

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Il bel tempo è tornato e l’affittacamere mi suggerisce di fare un giro al cimitero del Père Lachaise. Appena cinque minuti da casa. Tutto diritto. Basta imboccare la via della Bidassoa per qualche centinaia di metri e lei è arrivato. Lei mi vede esitare: cosa c’è ancora? A lei non piacciono i cimiteri? Ancora una delle sue misteriose superstizioni bordolesi?  Drôlement che mi piacciono i cimiteri, rispondo, sono stato allevato da due streghe del Médoc, è solo che temo di essere colpito da un diluvio via della Bidassoa. Lei conosce il clima dei Paesi Baschi? Piove drôlement! Una volta ho trascorso una settimana a Hondarribia e pioveva tanto che sono rimasto sette giorni senza vedere né l’Oceano né i Pirenei! E, secondo me, i parigini non avrebbero dato questo nome alla via senza una ragione, no? Lei ride e tenta di rassicurarmi che non c’è un microclima basco in via della Bidassoa, che siamo a Parigi, che un tizio di Bordeaux avrà sicuramente la pioggia nel suo dna e che comunque il bollettino meteo annuncia solo una tempesta di cielo blu. Ovviamente, credulone come sono, parto all’avventura senza ombrello e arrivo alle porte del cimitero, bagnato fino agli slip e le scarpe da buttare. Maledetta affittacamere! Fortunatamente, ha smesso di piovere e non sono più solo a passeggiare nel vecchio cimitero. I turisti ed i gatti si sono messi a spuntare come i gallinacci dopo una pioggia di giugno nel Paese Mezzo Morto. Io non ho una mappa o un’applicazione smartphone per indicarmi le tombe dei m’as-tu-vu che sono stati seppelliti nel cimitero. E poi non mi interessa troppo di seguire una mappa, di fare il percorso che fanno tutti gli altri visitatori. Non mi interessano le tombe delle vecchie principesse russe, degli scrittori, dei musicisti, dei generali delle guerre napoleoniche. Io, come tutti i membri della mia famiglia, sono un lettore di epitaffi e, come sono stato allevato da due streghe del Médoc, so che devo trovarmi un gatto che mi servirà di guida per scovare i più sinceri, i più bei, i più commoventi che non si trovano mai presso le tombe più maestose perché i vanitosi hanno un debole per le parole altisonante. Il gatto mi guarda, un vecchio mistigri parigino che ha dovuto essere di colore rosso in una vita precedente. Mi piace drôlemente questo gatto e decido di chiamarlo Flaubert. Questo gatto è sicuramente un lettore diligente di Flaubert oppure la reincarnazione dello scrittore. Mi piace il suo atteggiamento, il suo modo di passare sprezzantemente davanti alle tombe più sontuose senza buttarci  nemmeno uno sguardo. Osservo l’attitudine del gatto e mi torna in mente quello che ha scritto Flaubert quando il tizio ha visitato il cimitero di Bordeaux che assomiglia drôlement al Père Lachaise:

“Qui la vanità ha fatto ricorso alla sciocchezza che l’ha ben assecondata. Piramidi di granito sono ammucchiate sui bottegai,  sarcofagi di marmo sugli armatori; nel giorno del giudizio coloro che hanno più pietre addosso forse non saranno i più lesti a salire in cielo, carichi come saranno del peso del loro orgoglio” (Flaubert in Viaggio nei Pirenei).

Il gatto mi guida attraverso le tombe dei m’as-tu-vu senza mai lasciarsi avvicinare. Lo perdo, slitto sui sampietrini bagnati, metto i piedi in tutte le pozzanghere del cimitero, ma riesco a seguirlo chissà come (in realtà, il gatto sta giocando con me). Ad un momento penso raggiungerlo, ma il gatto si infila dietro una tomba in forma di cappella gotica e sparisce. È la fine della nostra collaborazione e so che devo cercare i miei epitaffi in questo angolo del cimitero. Alzo gli occhi per leggere il cognome inciso sulla tomba…

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E leggo: Famiglia Pinard. Possibile che il gatto Flaubert mi abbia portato qui, non per gli epitaffi, ma solo per fare uno scherzo ad un abitante di Bordeaux? Mi viene un dubbio e senza pensarci volto le spalle per guardare la tomba di fronte…

 

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Famiglia Merlot! Scoppio dal ridere davanti a questo scherzo oppure a questa coincidenza del destino. Immagino già la testa dell’affittacamere quando lei mi chiederà della mia visita al cimitero: Allora, lei cosa ha visto? Qualcosa legato al vino. Un gatto mi ha mostrato la tomba della famiglia Pinard che guarda in cane di maiolica quella della famiglia Merlot ed è drôlement drôle!

Pensando a Francesca, vi faccio un dolce di Saint-Emilion, un altro dolce tipico di Bordeaux!

In questa rubrica di in cucina con Alex, vi propongo un altro dolce tipico della zona di Bordeaux che troverete difficilmente se visitate Bordeaux perché è qualcosa che si fa soprattutto in un contesto familiare, io non l’ho mai visto in pasticceria. Si tratta del dolce di Saint-Emilion che si prepara con i famosi macaron di Saint-Emilion e se pensate che Saint-Emilion è conosciuto solo per il suo vino rosso, significa semplicemente che non avete mai visitato la cittadina perché i macaron si trovano in ogni angolo di viuzza; fanno parte della trinità di Saint-Emilion cioè vino rosso, crémant e macaron. Come di solito gli italiani hanno un’idea un po’ confusa a proposito dei macaron, vi propongo di cliccare qui per leggere il mio post in cui racconto tutto sui macaron in Francia e anche su quelli particolari alla mia regione del Sud-Ovest. Ho scritto che il dolce non si vende nei negozi e ci sono due ragioni: i macaron di Saint-Emilion sono eccessivamente cari e il prezzo del dolce se ne risentirebbe fortemente, l’altro motivo è che si trovano solo a Saint-Emilion e in due o tre negozi di Bordeaux. La probabilità di stanare dei macaron di Saint-Emilion altrove in Francia è di zero perché a Saint-Emilion non vogliono svelare la loro ricetta che è mantenuta segreta dal XVII secolo. Quindi ho deciso di modificare un po’ la ricetta, l’ho italianizzata utilizzando degli amaretti (che hanno un gusto diverso, ma che sono comunque dei macaron secondo i criteri francesi). Non è un sacrilego, è solo che altrimenti nessuno potrebbe rifare la mia ricetta del dolce di Saint-Emilion. Vedrete è molto semplice, non c’è di cottura!

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Uno stampo a Charlotte classico perché nel fondo il dolce di Saint-Emilion non è altro che una Charlotte; oppure un cerchio da pasticceria se non avete uno stampo a Charlotte.

Gli ingredienti:

  • Una confezione di amaretti, l’italiana venduta nel mio supermercato fa 250 g.
  • un mezzo bicchiere di Cognac o di Armagnac allungato con un po’ d’acqua.
  • 190 g di burro.
  • 200 g di zucchero.
  • 2 tuorli.
  • 15 cl di latte.
  • 240 g di cioccolato ricco in cacao.

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Avete indovinato a cosa serve il Cognac? Esatto! ad imbevere gli amaretti. Disponete gli amaretti ubriachi esattamente come fareste per dei savoiardi in una Charlotte. Non dimenticate prima di foderare lo stampo con del film alimentare, altrimenti rischiate il disastro al momento di togliere il dolce di Saint-Emilion dallo stampo.

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Sbattete il burro con lo zucchero fino ad ottenere un composto leggero e spumoso.

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Fate bollire il latte in una casseruola, poi fuori dal fuoco aggiungete il cioccolato spezzato e lasciate riposare due minuti. Lisciate con un cucchiaio di legno.

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Quando il cioccolato è tiepido, aggiungete i tuorli. Lasciate raffreddare.

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Aggiungete la preparazione al cioccolato al composto burro e zucchero. Sbattete bene. Fatto. Abbiamo la nostra mousse al cioccolato.

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Uno strato di mousse al cioccolato, uno strato di amaretti, poi si ricomincia…

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e si finisce con uno strato di amaretti. Ponete un piatto sopra e in frigo per 24 ore.

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Il dolce di Saint-Emilion dopo 24 ore in frigo. Adesso ci sono due scuole: quelli che lo mangiano così e quelli che fanno un glaçage facendo sciogliere del cioccolato in un po’ d’acqua e aggiungendo una noce di burro. Nella mia famiglia, siamo di questa scuola. Notate che il glaçage deve scorrere irregolare sui bordi. Non mi chiedete il perché, è la tradizione.

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Buon appetito e non dimenticate che nella regione di Bordeaux non soffriamo di grettezza quindi un bicchiere di Banyuls si abbina molto bene con il dolce di Saint-Emilion.

 

Parigi: Vino e senso dell’umorismo parigino!

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Parigi. 1815. Veduta del nuovo mercato dei vini sul molo Saint-Bernard presa dal ponte di Austerlitz.

A due passi dalla Torre Eiffel e dai giardini del Trocadéro, c’è il museo del vino di Parigi. Mentre sto osservando tutte le anticaglie legate all’universo del vino, non posso impedirmi di sorridere (ho addirittura il sorriso stampato in faccia dall’inizio della visita). Non perché tutto il bazar mi ricorda le cantine ed i garage dei vecchi del mio Paese (d’accordo anche per questo); non perché mi hanno proposto di assaggiare un bicchiere di Bordeaux (d’accordo anche per questo). Ma soprattutto per una cosa davvero esilarante (d’accordo forse solo per me che ho un senso dell’umorismo particolare) e che mi ha reso subito questo museo molto simpatico: IL MUSEO DEL VINO DI PARIGI è situato VIA DELLE ACQUE! 😉

Parigi: Il vigneto sopra la torre Eiffel!

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Seconda puntata del mio soggiorno a Parigi e se avete mancato la prima parte, cliccate qui.

La cosa più incredibile che ho scoperto vivendo nel quartiere di Ménilmontant è che c’è un vigneto a meno di duecento metri dalla mia casa. Cosa volete non si sfugge al suo destino di bordolese, vivo circondato dalle vigne nell’estuario della Gironda e mi sono trovato un vigneto nel cuore popolare di Parigi. Meno di duecento metri. Proprio al piede del mio palazzo. Cammino un po’ sulla via delle couronnes, entro nel parco di Belleville e mi ritrovo come se fosse nella mia cara Guascogna, in cima alle colline che dominano le vallate della Dordogna o della Garonna tranne che non ho un oceano di vigne sotto i miei occhi, ma il più bel panorama su Parigi con questo vigneto che guarda la torre Eiffel. All’inizio, la sera, passeggiavo nel parco delle Buttes Chaumont o spingevo verso il cimitero del Père-Lachaise. Poi, l’affittacamere mi ha detto che c’era un vigneto nel parco accanto e che mi farebbe del bene di andarci, che caccerebbe la mia fottuta nostalgia di Bordeaux. Devo veramente romperle i corbelli con le mie storie di Bordeaux! Quindi, ogni sera, mi compro qualche cibo da asporto e vado a mangiare seduto sul muretto che protegge il vigneto approfittando del tramonto su Parigi (per dire la verità piove ogni sera!) e sorrido pensando quanto sono cretini questi parigini! Voglio dire, hanno tutto il versante di una collina, 45 000 metri quadrati per coltivare la vite e si accontentano di un vigneto di una centinaia di piedi! Preferiscono i fiori. Se fosse gente del mio paese a possedere questa collina, li trovereste a vendere vino parigino a prezzo esorbitante ai turisti asiatici e credetemi che una bottiglia di Château Belleville con un’etichetta raffigurando Edith Piaf e la torre Eiffel e vendete qualsiasi bistrouille* Io ho già pensato a tutto un progetto pedagogico e redditizio da presentare al municipio per ottenere il terreno ed arricchire la gente del quartiere. Esito e tento di convincere l’affittacamere prima di mettermi in ridicolo in pubblico. Quando la incontro tornando dal vigneto le faccio una serie di domande: Ma a lei non piacerebbe qualche denaro in più? (è dopo questa prima domanda che le cose si complicano!), E imparare ad arare un terreno dietro un cavallo, potare una vigna, vendemmiare, lei non trova che sono attività piuttosto simpatiche? Poi, scoprire tutto i segreti della vinificazione, diventare un’esperta in fermentazione alcolica e malolattica sarebbe interessante, no? Lei mi guarda sbalordita: “Ma cos’è ancora questa nuova sciocchezza! Cosa lei mi sta raccontando? Ancora fissato su Bordeaux? Qui siamo a Parigi. P.A.R.I.G.I. Non vado avanti nella discussione. Temo che la mia carriera di benefattore del quartiere sia insanabilmente compromessa!

*bistrouille (une): parola di gergo francese per designare un vino di scarsa qualità.

 

Soggiorno comico di un abitante di Bordeaux a Parigi: Prima parte.

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Cliccate l’immagine!

Cari lettori e lettrici, A Parigi, abito esattamente dove sta passando la ragazzina con la bottiglia in mano, al secondo piano del palazzo. Il quartiere è quello di Ménilmontant nel ventesimo arrondissement tra il  il cimitero del Père-Lachaise e Belleville. Ci sono delle cose familiari che mi ricordano il mio paese tipo la via dei Pirenei o quella della Bidassoa e poi ci sono tutte queste brasserie del quartiere che servono un finto menù della mia regione come se tutta la cucina del Sud-Ovest fosse solo un’anatra. Non lontano da casa mia, c’è il marciapiede, via Belleville, dove fu trovata una bimba che diventerà la Môme Piaf, ma secondo la mia affittacamere è tutta una storia inventata per i turisti perché la ragazza con la voce di grattugia formaggio non è nata in strada, ma alla maternità come ognuno di noi. La cosa più difficile per un tizio del Médoc, che vive in una penisola dove il punto culminante è Listrac a qualche metro sopra il livello del mare, è che questo fottuto quartiere di Ménilmontant assomiglia all’himalaya; è tutta una salita. Va bene la mattina per scendere fino alla fermata del Metro, ma la sera, per arrampicarmi lassù è tutta un’altra storia. La passerella che vedete nello scatto (la chiesa nella nebbia dietro è Notre-Dame de la Croix) cavalca una ferrovia abbandonata che, una volta, circondava Parigi ed è una bella scorciatoia per raggiungere il mio alloggio dalla via Ménilmontant. L’affittacamere mi ha sconsigliato l’itinerario perché la passerella sarebbe pericolosa la sera, che servirebbe di appuntamento a tutta una fauna…Ma io ci ho visto solo dei giovani che si ritrovano là per chiacchierare, fumare e bere qualche birra e comunque non mi sento affatto di camminare quattrocento metri in più in salita per raggiungere la casa. La cosa che mi dà noia è che c’è un asilo nido dall’altro lato della via (dietro il camion nello scatto) è che sono svegliato, ogni mattina, alla sei, dal chiacchiericcio incessante, sotto le mie finestre, dei soldati in servizio vigipirate. D’accordo devono proteggere i bimbi della scuola, ma perché devono raccontarmi la loro vita alle sei quando la scuola apre le porte alle otto? Mistero parigino. Il pane è caro e di una pessima qualità e le verdure costano un occhio della testa quindi non faccio di cucina e, ogni sera, per qualche euro, mangio qualcosa di diverso nei piccoli ristoranti etnici del quartiere; gastronomicamente parlante, ho già fatto tre volte il giro del mondo! Una cosa divertente che devo assolutamente raccontarvi è che ho preso la mania di raccontare a tutta la gente che incontro che sono di Bordeaux! Non me ne ero accorto e sono dei colleghi che me l’hanno fatto notare! Sapete come sono! Sempre a credere che sono superiore a tutti gli altri francesi perché sono di Bordeaux, che appartengo ad una civiltà con una storia di più di 2500 anni…ecc. Il problema è che nessuno nota che il mio modo di parlare il francese è diverso di quello dei parigini! Anzi mi dicono che parlo un francese purissimo, che ho la più bella erre dell’universo, che non posso essere veramente di Bordeaux, che sono certi che sono un tizio di Ménilmuche (il nome di Ménilmontant in gergo parigino). Mi mandano in bestia questi parigini! Tanti anni fa, la prima volta che sono andato a Parigi, mi arrabbiavo perché la gente notava il mio accento guascone e oggi mi arrabbio perché nessuno lo nota! Sono tanto preoccupato che ho telefonato a mia madre e lei per confortarmi non ha smesso di punzecchiarmi con dei “Ma chi è? Non capisco niente a quello che mi stai raccontando! Puoi ripetere? Ma perché parli con questo accento ridicolo? E così via….Adesso devo lasciarvi perché sono irresistibilmente attirato da un profumo di poltiglia bordolese, ma sarà l’oggetto del prossimo post.