Paesi Baschi: In cui l’autore di questo blog vi racconta una fiaba a proposito dei Mamurrak!

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Sempre sabato scorso nei Paesi Baschi. Pomeriggio ad Ainoha sul confine tra la Francia e la Spagna. Secondo me, Ainoha è semplicemente il più bel paese del sud della Francia. Ma noi, bordolesi, passiamo ad Ainoha soprattutto per andare a Dantxaria a due passi dove facciamo il pieno di sigarette, alcol e salumi. Lo scatto è stato preso dal camposanto di Ainoha perché volevo parlarvi di una bellissima tradizione basca di una volta che riguardava la morte e un certo tipo di insetto. Poi ho cambiato idea e, in questa bellissima giornata soleggiata, ho deciso di raccontarvi una favola basca che parla di altri insetti e che non è senza rapporto con il post che avevo previsto e che sarà pubblicato, se me lo ricordate, probabilmente per Ognissanti.

Prima la favola, devo dirvi due parole sui Mamurrak baschi. I Mamurrak (hanno diversi nomi in basco) sono dei geni della mitologia basca che possono essere catturati la notte che precede la San Giovanni ponendo un astuccio per aghi aperto su un cespuglio. Certi dicono che sono degli insetti tipo delle mosche, altri pretendono che sono addirittura degli uomini minuscoli che portano dei pantaloni rossi. Come tutti i geni, i mamurrak possono essere utili o dare fastidio come lo racconta la favola sotto:

A casa Mendiondo, c’era un padrone che era un gran pigrone, eppure i lavori della sua fattoria erano sempre terminati i primi. Una mattina, in appena un’ora, il prato sotto la casa si trovò falciato; una domenica, durante il tempo della messa, tutto il frumento di un campo fu tagliato. Tutta la gente era sorpresa perché non si vedeva mai un bracciante a casa sua. Anche la moglie del padrone si fidava di lui. Una domenica come lui andava in chiesa, egli nascose qualcosa in un cespuglio. La moglie lo vide da lontano e fu curiosa di sapere cos’era. Lei  scoprì un astuccio per aghi. Lo aprì e ne uscì una decina di mosche. Queste mosche le andarono agli occhi e alle orecchie chiedendo: “Che fare? che fare? che fare?”. Sbalordita, la donna disse: “Rientrate nello stesso buco” e subito le mosche rientrarono nell’astuccio. Lei lo racchiuse e lo rimise al suo posto. La moglie non mise molto tempo a raccontare al marito quello che le era successo, e, lui, confessò che erano queste mosche che facevano tutti i lavori della fattoria. A partire da questo momento, le mosche effettuavano tutto il lavoro, qualunque sia, che la donna loro dava. Un giorno, le mosche la tormentavano dicendo rumorosamente: “Lavoro! lavoro! lavoro!” La moglie del padrone stanca diede un setaccio alle mosche e disse: “Andate e riempite la botte vuota che si trova in cantina portando dell’acqua dentro questo setaccio dalla rete del molino, poi la metterete al prato sotto casa”. E lei di pensarsi tranquilla per qualche ora. Dopo un breve momento, avendo finito questo lavoro, le mosche tornano e si rimettono a cianciare: “Lavoro! lavoro! lavoro! lavoro!”. La moglie ne potendo più di queste mosche, andò a trovare il marito e disse: “Che miracolo è questo? Dobbiamo sbarazzarsi di queste mosche! – Sì, rispose il marito, ma purtroppo dobbiamo a ognuna uno stipendio. – Ci sono dieci oche che vivono sotto il tetto ; diale loro, disse la moglie.” (n.b: la lingua basca non conosce il tu). Appena la frase fu pronunciata che le oche volarono via a gran voce verso le nuvole, e le mosche di Mendiondo non riapparvero più.

Paesi Baschi: La ragazza basca che portava i calzoni!

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Veduta di Bayonne. Paul Signac (1863-1935)

Ho trascorso il mio sabato nei Paesi Baschi e mentre pranzavamo in terrazza, ai piedi della cattedrale di Bayonne, con un semplice piatto di salumi accompagnato da un bicchiere di Rioja, un gruppo di cantanti baschi si è messo ad interpretare qualche brano di una pastorale basca (è un pezzo di teatro dove si canta e si balla) che è stata recitata quest’anno a Bayonne e nei dintorni e che mette in scena la vita di Catalina de Erauso (una cosa piuttosto rara perché sono sempre uomini che sono  protagonisti in queste pastorale). Catalina de Erauso detta ancora la monaca Alferez è conosciutissima in tutta la Spagna quanto Don Chisciotte. Ma chi era questa fottuta Catalina de Erauso? (Notate che il brevissimo riassunto della vita di Catalina che ho scritto sotto ha solo la modesta pretesa di svegliare eventualmente la vostra curiosità e se mi chiedete un’opera per andare più avanti, vi consiglio di leggere il romanzo che Thomas de Quincey ha scritto su di lei: Le avventure di una monaca vestita da uomo).     

Catalina de Erauso è un personaggio storico  che è veramente esistito anche se la successione di eventi particolarmente straordinari e rocamboleschi che hanno costellato la sua vita possono farvene fortemente dubitare. La tizia nasce nel 1585 a Donostia che è il nome basco della città di San Sebastiano ed è messa molto presto in pensione in un convento per ricevere quello che si chiamava allora un’educazione di donna. Lei scappa dal convento all’adolescenza per menare una vita d’uomo perché non le conviene la vita che le suore hanno deciso per lei. Cosa fa allora la nostra Catalina de Erauso? Travestita in paggio, la ragazza circola attraverso tutta la Spagna vivendo alla giornata, praticando il brigantaggio e qualche piccolo lavoro quando non c’è qualche ricco da depredare. Poi, Catalina si stanca di questa esistenza diciamo picaresca per usare di un termine di origine spagnolo, insomma come lei si era stanca della sua vita al convento. Cosa può fare allora il nostro tornado basco per guadagnare il pane? Catalina decide di tentare l’avventura nelle Americhe e siamo nel 1602 quando la ragazza di diciassette anni sbarca a Panama. E di lì, la sua vita non è più che una serie di drammi sanguinosi e di omicidi. Per sfuggire all’impiccagione per omicidi, Catalina si arruola nell’esercito – che è solo una condanna a morte differita all’epoca – e da libero sfogo ai suoi istinti e si mette a massacrare a gara e, nell’esercito, trovano che è tanto bravo e coraggioso a fare il mestiere questo ragazzo che Catalina è nominata al grado di Alferez che in italiano significa Portabandiera. Di nuovo costretta a sfuggire, Catalina parte dalla Concepción in Cile con lo scopo di raggiungere San Miguel de Tucumán, una città del Nord dell’Argentina. E per questo, la ragazza deve attraversare addirittura tutta la Cordigliera delle Ande e lei ci riesce, a piedi quasi senza cibo e acqua, ma questo lo racconta Catalina e la sua leggenda e molti dubitano della veracità di questo viaggio. Comunque, in un ennesimo duello, Catalina è gravemente ferita e non ha altra scelta che di trovare rifugio in un convento e di svelare alle suore, che comunque non sono cieche, che lei è una donna. Figuratevi, cari lettori, come il rumore si propaga alla velocità della luce in tutto il reame della Nuova Spagna. Il fottuto tizio che, da anni, mette a ferro e fuoco tutto il reame è una donna! Sbalordimento. E per sbarazzarsi di Catalina, le autorità religiose, completamente scocciate da questo caso, decidono di rispedire catalina in Spagna. Il Re deciderà delle sorti della diabolica ragazza. Durante la traversata da Santa Fe a Barcellona, Catalina trova il tempo di scrivere le sue famose memorie che ci affascinano ancora oggi. Arrivata in Spagna con la sua faccia tosta tutta basca, Catalina riesce a convincere il Re Filippo IV, non solo di non farla impiccare, ma di versarle una pensione per i suoi ottimi servizi nell’esercito. Poi, di passaggio a Roma, la tizia è ricevuta in audienza dal pontefice Urbano VIII che la confessa, le dà l’assoluzione dei peccati e la autorizza a continuare a vivere come un uomo portando dei vestiti maschili. Pensate che la storia di Catalina sia finita? Assolutamente no! La vita rocambolesca di Catalina prosegue senza tregua. La monaca Alferez come viene chiamata allora Catalina da tutta la Spagna, si imbarca per il Messico e, sotto il nome di Antonio de Erauso, si mette a fare il mulattiere per guadagnare la sua vita. Sono gli ultimi elementi che conosciamo della vita di questo intrepide bersagliere della Biscaglia, così il destino di Catalina finisce su un mistero…

 

 

Bordeaux: Alex il debosciato!

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Borsa del lavoro di Bordeaux. La Vite. François-Maurice Roganeau, 1937.

In italiano: debosciato agg. [dal fr. débauché]. – Sregolato, dissoluto, fiaccato da una condotta di vita viziosa: un giovane d. (e analogam., una gioventù, una generazione d.); anche s. m. (f. –a): è un debosciato. deboscia:  s.f. Sregolatezza; vita licenziosa; dissolutezza.

Quindi in francese è esattamente la stessa cosa e troviamo: débauché(e) (debosciato(a)), débauche (deboscia). Il verbo débaucher (“debosciare”) che significa corrompere, portare al male, far degenerare…ecc. Il verbo pronominale se débaucher (“debosciarsi”) che ha un senso più attenuato e che significa distrarre momentaneamente (qualcuno) dal suo lavoro, dalle sue occupazioni. In realtà, è quasi mai usato oggi in quel senso in francese, ma, all’origine, il verbo débaucher aveva il senso di licenziare. Embaucher (assumere) e il suo contrario débaucher (licenziare) che ha dato per estensione portare al vizio perché si sa bene che l’ozio è il principio di tutti i vizi.

In bordolese è tutta un’altra storia e può anche dare equivoci divertenti e io non mi ero reso conto che una mia nuova collega, che non è di Bordeaux, mi guardava male la sera quando dicevo: “Finalmente, è giunta l’ora della deboscia! (C’est l’heure de la débauche!). Poi, una sera, lei mi ha chiesto addirittura perché mi vantavo così di essere dissoluto, che a lei non le piaceva affatto di sentire questa fottuta frase. Quindi ho dovuto spiegare all’amica che a Bordeaux parliamo una lingua tutta nostra. In bordolese, il verbo embaucher non significa soltanto assumere, ma designa sempre questo momento in cui inizia la giornata lavorativa e per estensione si parlerà di embauche. Lavoro alle otto si dice “j’embauche à huit heures”; è l’ora di andare al lavoro si dice “c’est l’heure de l’embauche”…ecc. E dunque, abbastanza logicamente, quando i bordolesi chiudono la giornata lavorativa e tornano a casa, usano il verbo “débaucher” che è davvero una stranezza per tutti gli altri francesi che associano il verbo ad altre attività. La deboscia (la débauche) è semplicemente il momento in cui, a Bordeaux, si lascia il lavoro per tornare a casa. Abbiamo riso del frainteso e sapete la cosa più divertente? Lei è diventata una vera bordolese e ora usa la parola débauche più di me! Insomma, l’ho “debosciata” lingusticamente parlante 😉

 

Bacino di Arcachon: Invasione aliena in Guascogna!

Siamo sul comune di Le Teich nel fondo del Bacino di Arcachon, nel delta del fiume Leyre, fiume che nasce nel cuore delle Lande di Guascogna e che sfocia nel Bacino di Arcachon. Bellissima la fioritura di questa pianta acquatica che sta colonizzando, formando degli immensi tappetti gialli in estate e in autunno, tutti gli affluenti del fiume, prati umidi, stagni e laghi del delta. Non trovate? Sì, allora è la prova che anche un disastro ambientale può essere non privo di un certa bellezza! La pianta acquatica si chiama Jussie in francese – Jussie Ludwigia se volete fare gli eruditi – (Però non conosco il suo nome in italiano), Da noi, si dice più semplicemente il male giallo oppure la peste gialla tanto questa pianta è una tragedia per tutto il nostro fragile ecosistema. Notate che non è colpa della pianta sudamericana e lei non ha mai chiesto di diventare una pianta ornamentale per gli appassionati di acquariofilia e non è la pianta che da solo ha deciso di buttarsi dal suo acquario nel fiume Leyre. È tutta la colpa dell’uomo che, per guadagnare quattro soldi, ha introdotto l’alieno e ha modificato e squilibrato tutto l’ecosistema delle Lande di Guascogna. Forse pensate che sto esagerando parlando di disastro ambientale? Allora sapete che la Jussie cresce alla velocità della luce ed è tanto invasiva e infestante che la sua proliferazione è mortale per le piante acquatiche autoctone che non possono resistere a questa aggressione e quando la Jussie comincia a colonizzare un fiume, potete essere sicuri che è la fine della diversità floristica. Poi, nelle zone fortemente colonizzate dalla Jussie, i raggi solari sono bloccati e le carenze di luce e d’ossigeno fanno crepare tutta la fauna locale (il fenomeno si chiama eutrofizzazione). I pesci, gli insetti, gli uccelli scompaiono. L’acqua non scorre più e muore. La melma dovuta alla decomposizione delle jussie in inverno ostruisce i canali e provoca l’interramento dei fiumi e degli stagni. Questa fottuta pianta resiste al gelo, alle malattie e non ha predatori. Fino a qualche anno, i ricercatori pensavano che le Jussie si riproducessero solo per frammentazione, poi si sono accorti spaventati che anche i semi permettevano la riproduzione. Abbiamo perso la guerra contro le Jussie e ci resta solo gli occhi per piangere. Tutto quello che possiamo fare ora, è tentare di limitare la sua proliferazione e di consolarsi un po’ perché la Jussie non cresce all’ombra e quindi le acque della Leyre sotto la sua famosa foresta galleria non sono colpite dalla peste gialla…

Bordeaux: I burattini a risalire il tempo!

 

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Conoscete il burattino Guignol? E’ tanto popolare, Guignol, il burattino creato a Lione da Laurent Mourguet all’inizio del XIX secolo che il suo nome significa addirittura burattino in francese. Anche il teatrino si chiama un Guignol. In senso figurato: un guignol designa una persona grottesca e fare il guignol significa fare il cretino. A Bordeaux, è molto vivace questa tradizione del Guignol e pensate un po’ che la dinastia Guérin  diverte tutti bambini bordolesi con il suo Guignol dal 1853! Un’istituzione. In primavera e in estate, troverete i due teatrini della famiglia Guérin, uno al Giardino Pubblico e l’altro al Parco Bordolese e, se ci andate, sarete sicuramente sorpresi – in quei  tempi di Pokemon e altri videogiochi cretini – di vedere il numero impressionante di bambini (e non solo) che assistono alle rappresentazioni. Oggi, ho parcheggiato la macchina al centro commerciale Auchan, nel quartiere Mériadeck, perché sono tirchio e loro offrono un’ora e mezzo di parcheggio gratis mentre parcheggiare a Bordeaux costa un occhio dalla testa. Al mio ritorno, mentre attraversavo il centro commerciale per ricuperare la macchina, ho sentito il grido familiare dei bambini al secondo piano: Guignol! Guignol! Guignol! Non sapevo che la famiglia Guérin avesse sistemato un teatrino nel centro commerciale, ma questo grido mi ha commosso e mi ha ammagliato quanto il canto delle sirene nell’Odissea. Ho preso la scala mobile per raggiungere i bambini e assistere allo spettacolo. Tutto mi è tornato in mente, l’impazienza di vedere il sipario si alzare, il modo dei bambini di urlare per chiamare Guignol. E poi, mi sono visto di nuovo bambino al Giardino Pubblico quando ci si portava la nonna. La povera donna! lei doveva fare una deviazione per evitare l’ingresso principale dove c’era una mercante di girandole perché mio fratello ed io avremmo fatto capricci per averne una. All’uscita, bambini, lei prometteva, altrimenti devo portare in giro le girandole tutto il pomeriggio mentre vi divertite. Mi ricordo che mia madre ci dava una bottiglia vuota per pescare girini nel bacino del giardino botanico. Bambini, lei rideva, darete in regalo la bottiglia piena di girini alla nonna che lei sarà contenta, anch’io lo facevo alla nonna di vostra nonna quando ero bambina! Poi, all’uscita del Giardino Pubblico, la bottiglia, affidata alla nonna, non si ritrovava più. Siete due cretini! l’avrete lasciata su un banco diceva la nonna sorridendo. Mi ricordo tante cose mentre Guignol e Gnafron (l’amico di Guignol) si decidono a metterci nella confidenza dello scherzo che vogliono giocare al carabiniere Flageolet. Ma tutti zitti, ci avverte Guignol, e non una parola a Madelon, mia moglie! Ed io con i bambini di promettere di tacere. Mi ricordo della barca che faceva il giro dell’isola ai Cigni e noi di prenderci per dei pirati, mi ricordo delle partite di calcio, delle ore passate alla biblioteca dei bambini di fronte al museo di storia naturale. E poi, mi ricordo della campana che annunciava lo spettacolo di Guignol. Sbrigatevi bambini! Lo spettacolo sta per iniziare! gridava un uomo della famiglia Guérin. E noi di incalzare la nonna! di pregarla, di supplicarla. Dai nonna! qualche spicciola che il Guignol sta per iniziare, che già tutti gli altri bambini stanno davanti al teatrino. Pazienza! diceva la nonna, abbiamo ancora il tempo. Conosco il signor Guérin da una vita e lo spettacolo inizia in un quarto d’ora. Ma noi, non ascoltavamo niente e correvamo già verso il teatrino. E quando la nonna si sistemava su una sedia, non avevamo più aria nei polmoni a forza di urlare: Guignol! Guignol! Guignol! Adesso, il carabiniere ci chiede dove sono Gnafron  e Guignol, ed io con tutti i bambini di tacere ridendo già perché Guignol è dietro il carabiniere già pronto per la bastonata. Guignol ci fa un segno e noi tutti di gridare: Guignol! Guignol! Guignol! E Guignol si mette a bastonare Flageolet e poi gridiamo: più forte! più forte! più forte! tanto ci fa piacere di vedere Flageolet si fare picchiare da santa ragione. E lui, poveretto, non riesce a vedere chi gli dà i colpi che gli piovono addosso. Hihihi! il prossimo sarà sicuramente il proprietario della casa di Guignol che prenderà le botti quando egli verrà per l’affitto. Mi ricordo che all’ora della merenda, andavamo alla famosa pasticceria Jegher di fronte al Giardino Pubblico e noi e la nonna ci abbuffavamo di puits d’amour (i canelé non esistevano allora a Bordeaux), poi tornavamo a casa soffiando sulle girandole…Un uomo mi dice qualcosa sorridendo. Scusi signor, rispondo, ero perso nei miei pensieri, cosa lei mi ha detto? Ho detto: soggiogato dallo spettacolo! Anch’io ho provato la stessa cosa. La magia del nostro caro Guignol Guérin che agisce sui bambini bordolesi qualsiasi loro età…

Lingua francese: Il sesso di Parigi!

 

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Parigi. Piazza della Concordia, la ragazza che raffigura Bordeaux.

Un lettore assiduo mi ha inviato una mail chiedendomi se i nomi di città in Francia fossero sempre femminili perché lui ha notato che, in qualche post dimenticato da me, ho usato il maschile in italiano per Bordeaux tipo “il mio Bordeaux…ecc.”Bordeaux, Parigi, Roma…sono maschili o femminili in francese? In Italiano, mi sembra che i nomi di città siano sempre femminili (ma forse ci sono eccezioni?) e si dirà: Parigi è bella, Roma è fantastica, Genova è stupenda…ecc. Ma questa regola del femminile in italiano per i nomi di città è valida in francese? La domanda è complessa perché non c’è veramente una regola stabilita in francese. Facciamo un esempio con Parigi – ho più visite sul blog con Parigi nel titolo (aggiungete sesso ed è il jackpot!) – che varrà per tutte le città in francese compreso Bordeaux (ovviamente, potreste aggirare il problema con una perifrasi tipo “la città di Parigi” o “la città degli innamorati” e quindi usare sempre il femminile dopo il nome della città). Ma rispondiamo alla domanda per quanto riguarda il genere di Parigi. Si dice Parigi è bella (Paris est belle) oppure Parigi è bello (Paris est beau) in francese? Figuratevi, cari lettori, che Parigi è sia femminile sia maschile. In realtà le due forme sono corrette e non c’è di regola precisa. Dipende un po’ dal vostro stato di anima di usare l’una o l’altra. Una volta, tutti i nomi di città erano femminili in francese e, se andate a Parigi, fate un giro Piazza della Concordia, e vedrete che le otto statue che raffigurano le otto principali città francesi sono delle donne. Niente uomini allora! Poi, l’evoluzione della lingua ha fatto che i nomi di città sono diventati piuttosto maschili nell’uso comune, ma che nella lingua letteraria o sostenuta si privilegia ancora il femminile per designare le città; però la lingua francese va piuttosto verso la “maschilizzazione” dei nomi di città, è ovvio, ma forse sarà il contrario il secolo prossimo. Notate ancora che ci sono dei casi in cui i nomi di città sono sempre maschili in francese:

  • Quando il nome della città è preceduto dagli aggettivi vieux (vecchio), nuovo (nouveau), grande (grand) per designare i quartieri di una città  o le sue estensioni: LE grand Londres in francese, ma LA grande Londra in italiano; LE nouveau Florence in francese, ma LA nuova Firenze in italiano…ecc.
  • Quando il nome è preceduto da tutto: Tutto Parigi (tout Paris) o Il tutto Parigi (Le tout Paris “le” designando l’élite di Parigi)
  • Quando il nome della città è usato come  metonimia tipo un evento, un club di calcio, una capitale, il governo di un paese: Bordeaux ha messo tre sberle al Paris-Saint-Germain, Roma ha chiesto al governo francese…ecc.

Spero avere risposto bene alla domanda di questo lettore.

Differenza odierna tra due bisnonne classe 1934: un’italiana e una francese!

L’italiana (cliccate l’immagine).

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La francese (cliccate l’immagine).

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Post aggiornato il 10 settembre dopo una conversazione con due streghe durante la cena.

Io: Avete visto la pubblicità italiana con Sophia Loren che passano da alcuni giorni per il profumo Rosa Excelsa?

Mia zia: E dire che la pensavo in pensione da anni!

Mia madre: hihihihihi….

Io: Comunque la trovo straordinariamente bella per una signora di ottant’anni! In Francia, al massimo, le farebbe fare delle pubblicità per gli ausili degli anziani…

Mia zia: Certo che in Francia non chiederebbero a Sophia Loren! Ma quale ragazza vorrebbe usare lo stesso profumo di quello di sua nonna?  

Mia madre: Quando hanno fatto la pubblicità per  il profumo con Alain Delon, hanno preso delle immagini d’archivio perché con la faccia di archibugio che lui si paga oggi…

Mia zia: Anche con Sophia Loren avrebbero dovuto usare delle immagini d’archivio! D’altronde ci ho pensato alla fine della pubblicità quando la ragazza porge la rosa a Sophia Loren…

Mia madre: E‘ vero che è abbastanza crudele! Ti ricordi del proverbio della nonna, cara? Lei l’avrebbe sicuramente detto vedendo la scena della rosa!

Io: Immagino che sia qualcosa di molto volgare, dopotutto siete tutte donne di Saint-Pierre (quartiere del centro di Bordeaux conosciuto una volta per il suo parlare colorito – ed è un eufemismo!).

Mia madre e mia zia in coro: Non c’è una bella rosa che non diventi un grattaculo!

Io: Siete veramente due vecchie streghe! 

 

 

Aquitania: Ai piedi delle colline vinicole di Montravel dove morì l’ultimo Re di Bordeaux.

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Mi ha sempre intrigato il modesto cartello che indica il monumento a Talbot  sulla vecchia strada provinciale tra Bordeaux e Bergerac, ai piedi delle colline vinicole di Montravel, tra il paese di Castillon la Bataille e quello di Lamothe-Montravel quasi sotto la Torre di Montaigne. Ogni volta che vado a Bergerac, sono commosso di vederlo e ogni volta mi dico che dovrei andare fino al monumento per vedere che tipo di monumento hanno edificato nel 1953 per rendere omaggio all’ultimo Re di Bordeaux, John Talbot, morto durante la maledetta battaglia di Castillon, il 17 luglio 1453. Ogni anno, il 17 luglio, quei bastardi di Castillon organizzano la ricostituzione della battaglia, il più grande spettacolo d’Aquitania si vantano questi traditori. Io ci sono mai andato, ma posso dirvi come finisce questa battaglia. Un pugno allo stomaco. Alla fine, noi guasconi, siamo vinti dai francesi e perdiamo la guerra dei cent’anni e la nostra indipendenza. Trecento anni in cui i bordolesi hanno governato la Francia e l’Inghilterra e tutto finisce il 17 luglio 1453 in un campo in riva alla Dordogna con la morte del buon Re John Talbot. E noi dopo a dovere fare delle riverenze a questo bastardo di Carlo VII, il piccolo re di Bourges come lui era chiamato ai tempi del nostro splendore….

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Finalmente, dopo un ennesimo viaggio a Bergerac, mi sono deciso ad andare a salutare la memoria dell’ultimo Re di Bordeaux. La piccola strada che porta al monumento a Talbot è asfaltata, ma è più un sentiero per le mucche che una vera strada. Mi dico che se dovessi incrociare una macchina o un trattore in senso contrario, dovrei fare almeno tre chilometri in retromarcia. La strada che serpeggia lungo il fiume Dordogna non finisce mai e nessuna traccia del monumento a Talbot. Comincio a disperare. Fa mille gradi e il climatizzatore non raffredda. Non ci sono più vigne come nelle colline, solo campi di mais bruciati dal sole e distese di campi di kiwi di cui il verde fa dimenticare che non è piovuto dall’inizio di agosto. Ecco, il monumento, ma sarebbe questo il monumento alla gloria del nostro buon Re di Bordeaux? Una colonna sormontata da una vergine? Trovo un sentiero tutto scassato dove parcheggiare la macchina, non c’è un albero e nemmeno un posto per una seconda auto. Cento metri di più e gli ammortizzatori rendevano l’anima. Prima di andare salutare John Talbot, scendo fino al fiume attraverso gli sterpi e mi passo dell’acqua sul viso. Il fiume non si indovina dalla strada tanto la vegetazione è lussureggiante, è solo che so che il fiume si trova a prossimità perché la via è parallela alla strada provinciale…

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C’è un po’ d’aria in riva alla Dordogna. Chiudete gli occhi, cari lettori, e vi trasporto presso un altro fiume più ad ovest: La Garonna. Ci siete? La città fortificata che si adagia lungo la curva a forma di Luna del fiume, è Bordeaux. Andiamo a fare un giro nelle grandi paludi di Bordeaux a Nord dove non esistono ancora i quartieri degli Chartrons e di Bacalan. Bello, no? Potremmo restare una vita ad osservare gli aironi pescare. Sentite questo rumore che sta spaventando gli uccelli di mare? E’ l’artiglieria del bastardo francese Carlo VII che si appresta a bombardare Bordeaux. La città è assediata da mesi, non è la prima volta che i francesi ci assediano, ma questa volta è differente. Non lo sappiamo ancora, ma la guerra dei cent’anni sta finendo e, dopo trecento anni di indipendenza, il nostro sogno di libertà sta svanendo. Il freddo è pungente? Normale. Siamo il primo novembre 1450. Un giorno che i bordolesi che sono pudici chiamano “la brutta giornata”. Sentite questo nuovo rumore? Non sono i cannoni del bastardo francese, è il grido di tutto il popolo di Bordeaux, affamato, che sta uscendo dalla città per fronteggiare i suoi nemici: soldati, vignaioli, artigiani, uomini, donne, bambini…e alla fine di questa “brutta giornata” tutte le grandi paludi di Bordeaux saranno colorite di rosso. Un massacro inverosimile che fa centinaia e centinaia di morti. Allora, i bordolesi che hanno sopravvissuto alla carneficina, fanno finta di accettare l’autorità di Carlo VII, aspettando di ricostituire le loro forze e chiamano in aiuto i loro cugini inglesi che sbarcano a Bordeaux il 22 ottobre 1452, un esercito di 4000 uomini con alla loro testa il vecchio leone John Talbot che ha terrorizzato i francesi per decenni e che caccia di nuovo gli invasori. E noi tutti di riprendere speranza, di riconquistare una dopo l’altra tutte le città della Guascogna. E poi nel 1453, il bastardo francese ci invia di nuovo la sua artiglieria e noi, guasconi e inglesi, di ritrovarsi davanti alla città di Castillon, un bel giorno di luglio, per l’ultima battaglia con trecento cannoni francesi puntati su di noi. Ma cosa sono i cannoni per il nostro Re John Talbot e il suo esercito e per tutti i bordolesi che  caricano allegramente quei maledetti francesi…

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Saluto l’ultimo Re di Bordeaux e la vergine che vigila su di lui. Della cappella dove furono portati i resti di John Talbot dopo la battaglia, resta solo una fondamenta e un cartello ingiallito che racconta il posizionamento degli eserciti durante la battaglia. Allora è là tra i campi di mais e di kiwi che è morta la Guascogna? Riprendo la strada del monumento a Talbot verso Castillon la Bataille. Mi fermo per comprare qualche melone per la sera a un contadino all’ingresso della città…

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Va bene, la prossima volta andremo in un paese vicino a vedere la casa ai gatti dove fu assassinato un famoso cavaliere, ora è tempo di tornare a Bordeaux!

Bordeaux: il genio italiano che ha inventato un albero magico!

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Bordeaux. Lo strano e bell’albero che vedete sopra è stato sistemato nel giardino botanico di La Bastide nell’ambito di una mostra che fa vedere le iniziative architetturali prese nel mondo per fronteggiare le mutazioni che siano tecnologiche o climatiche. L’albero si chiama Warka water (letteralmente il fico dell’acqua) ed è stato ideato dall’architetto designer italiano Arturo Vittori. Durante un soggiorno in Etiopia, l’architetto ha visto come la scarsità delle risorse idriche trasforma l’accesso all’acqua in una lotta quotidiana e le donne sono costrette a camminare per ore prima di riuscire a trovarne; è un’infinita perdita di tempo e di energia. Quindi l’architetto italiano ha avuto l’idea semplice e geniale di trasformare l’aria in acqua come lo fanno i deumidificatori che abbiamo in casa. È questo l’albero della pioggia, un deumidificatore gigante. Una torre alta dodici metri fatta in bambù (resiste a tutto il bambù). All’esterno una custodia consente all’aria di passare, mentre all’interno una rete di nylon raccoglie le gocce di rugiada create dalla differenza di temperatura nel deserto fra il giorno e la notte. La condensa, intrappolata, scivola nel vaso giallo che vedete e che può raccogliere fino a cento litri d’acqua potabile al giorno. Un tubo e un rubinetto fissato al vasetto e l’acqua è disponibile. Un albero che costa appena trecento euro e che potrebbe rappresentare una soluzione per milioni di persone in Africa e altrove che soffrono per il mancato accesso all’acqua. Forse, un giorno, i fichi dell’acqua fioriranno nei deserti trasformandoli in giardini. Quando penso come prendete in giro il vostro presidente del consiglio quando lui vanta gli italiani all’estero! Ha ragione lui, siete un popolo di geni! 😉

In rural Ethiopia, water supply is a daily battle. Warka Water is an experimental project that proposes a simple natural system for catching airborne water designed to be community-run, it is all-green, inexpensive and easy-to-build-by-hand. Outside, it is a reticulated bamboo tower 12 metres high. Inside, a fine mesh hemp net catches every drop of rainwater and even vapour drop in the air. It can collect up to 100 litres a day.

http://www.warkawater.org/