Le fate della duna di Boumbét.

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C’era una volta un pastore di Taoulade che rinchiudeva le sue pecore in un ovile, a Boumbét dove si trova la Grande Landa. L’ovile di Boumbét non esiste più oggi: era situato a nord dai poggi, presso una specie di prato. Questo pastore era un ragazzo un po’ fiero, e che sapeva anche un po’ leggere.

– Non vuoi frequentare coloro che ti valgono, ne parlare con loro, gli dicevano gli altri pastori, eppure sarai sempre pieno di zecche!

Ma lui lasciava dire e ne faceva solo di testa sua.

Sapete ciò che si raccontava una volta, che si sentiva del rumore sotto la duna di Boumbét. E il pastore, sorvegliando il gregge, ne aveva fatto più di una volta l’esperienza; talvolta si sentiva un gri-gri-gri come se qualcuno avesse mosso stoviglie; talvolta si sentiva come delle grandi risate, oppure come il rumore che fa la gente che cammina sull’alios: Plim-plam, plim-plam…E lui pensava spesso, con un po’ di timore però: mi piacerebbe vedere il nido dei calabroni che possono ronzare in quel modo… Eravamo in mezzo all’estate; si lasciava le pecore fuori durante la notte.

Una sera, il pastore giunse l’ovile, e una volta il gregge fuori, andò a sedersi in cima alla duna. Là, egli tirò un libro dallo zaino e si mise a leggere. E leggeva, leggeva senza smettere…A tratti, dava un occhio alle stelle.

Dopo un lungo tempo, verso mezzanotte, la duna si aprì nel mezzo proprio davanti a lui. E il pastore sentì una voce di donna che diceva: Piccola, vai a vedere cosa succede sulla duna. Una ragazzina salì.

– Madre, lei dice, vedo un pastore seduto su un ciuffo di brughiera.

– Digli di scendere qui, riprese la voce. E che lui non abbia paura che il suo gregge se ne trovi male.

La ragazzina risalì.

Pastore, lei dice, lei deve venire con noi senza essere preoccupato per le sue pecore.

“Dopotutto, lui pensò, si muore solo una volta e comunque voglio vedere questo!” E lui scese. Appena fu entrato che la duna si racchiuse dietro di lui. Trr! Tutto questo l’intrigava molto ed egli guardava spesso in alto.

– Mi segue, dice la ragazzina, nessuno le farà del male. Il pastore giunse nella stanza di un alloggio tanto bello che non aveva mai visto qualcosa del genere: qui c’erano specchi, là stoviglie e vasi; bei mobili da un lato, mobili ancora più splendenti dall’altro: l’uomo ne era abbagliato. Tutto era pulito, tutto splendeva come l’acqua chiara al sole.

In uno specchio, il pastore vide una landa profonda, dove dei pastori erravano sui loro trampoli, dietro i greggi; lui vedeva tutto quello come se fosse su terra.

Poi, scorse un gruppo di donne che ridevano di fronte a lui, così belle e graziose che era un piacere di vederle. Ce ne era una, giovane, che portava nei capelli una corona intrecciata di brughiera e di ginestroni fioriti.

Pastore, lei dice, siediti. Hai qui tutto quello che ci vuole per ristorarti e riposarti. Non ti preoccupare per le tue pecore: non hanno bisogno di te per sorvegliarle.

E le fate gli servirono uno stupendo spuntino, con una profusione di pietanze squisite a cui il pastore non aveva mai assaggiato.

E lui di pensare: “se mai sono stato sazio nella mia vita, è stato questa volta qua…”

Quando il pastore ebbe mangiato a volontà, le fate lo portarono a un letto tanto bello che lui non osava sdraiarsi .

“Non è più il giaciglio dell’ovile, lui pensò, e non ci prenderò delle zecche!”

E si addormentò. Quando si svegliò, si rimise a leggere, e a leggere ancora nel suo libro, a leggere tanto che riuscì a fare aprire la duna e se ne andò.

Il gregge era al posto dove l’aveva lasciato, al completo e bene nutrito.

 

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E, perbacco! da questo giorno dove lui conobbe il cammino, prese l’abitudine di passarci. C’era là dentro una fata giovane e carina, carina come uno specchio. E loro si innamorarono tanto che gli altri pastori non rividero non molto il pastore alla superficie della landa. Ma dove ti stai nascondendo? loro chiedevano. Ti perdiamo per giorni interi! Ma loro potevano parlare e chiedere, lui taceva. Il pastore sorvegliava ancora di tanto in tanto il gregge, bene vestito e le tasche piene di soldi. E il gregge prosperava più degli altri greggi: mai le sue pecore si mescolavano con le altre, che lui fu presente o no; se incontravano altri greggi, deviavano o li attraversavano senza mescolarsi. Tutto questo faceva parlare; ci furono due pastori più furbi degli altri, che vollero sapere cos’era questo mistero, e si misero a spiare il pastore. Una sera, lo videro andare verso la duna di Boumbét; E il pastore poteva fare di tutto, abbassarsi, nascondersi nei cespugli, gli altri lo inseguivano da lontano, da un ovile all’altro; giunsero in tempo per vedere il pastore si infilare nella duna. Ne era abbastanza e l’indomani, già prima lo spuntare del giorno, tutti gli abitanti della Grande Landa spingevano dei gridi che si sentivano fino a Bordeaux.

Ma quando il pastore volle tornare alla casa delle fate, la duna non si mosse più di un vecchio tronco di pino; restò come era prima e tale che è sempre rimasta, un poggio sabbioso, sparso di brughiera e di serpillo con il cammino tutto bianco. e lui, povero pastore, per quanto potesse leggere, mormorare imprecazioni, e versare tutte le lacrime che volle. Non ci torna mai più dentro. Povero era stato, povero era ridiventato. Eppure, il pastore non volle mai lasciare il miserabile ovile sulla duna di Boumbét. Così senza mai sposarsi; non frequentava nessuno, non aveva altro focolare e letto di quelli dell’ovile di Boumbét. Lontano dagli uomini. Lo si vedeva di notte, al chiaro di luna, si diceva, a vagare sulla duna e urtare il suolo con i suoi trampoli, come uno che vuole farsi aprire una porta.

Le fate della duna di Boumbét. Fiaba delle Lande di Guascogna raccolta da Félix Arnaudin.

 

Politica: Il trasloco di François Hollande!

Altro che politici incollati al divano! Guardate in questo video esilarante realizzato dal collettivo HOTU – che raggruppa artisti e grafici bordolesi – cosa succede al palazzo dell’Eliseo, dietro il sipario, mentre François Hollande sta annunciando il suo ritiro per le presidenziali del 2017. 😉

Natale: In cui si scopre che l’autore di questo blog vive ancora nel 1832!

 

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Natale si dice Noël in francese. Loro mi stanno prendendo in giro perché ho chiesto cosa faranno per LA Natale e che alla mia età dovrei sapere che non si usa l’articolo determinativo con Natale e che comunque il genere di Natale è assolutamente MASCHILE. Io tengo duro e sostengo che dire LA Natale è assolutamente corretto e che Natale ha i due generi e che nella mia famiglia si usa l’uno o l’altro indifferentemente. Loro ridono ancora più di prima davanti a questa affermazione grottesca. La mia convinzione comincia a vacillare e mi sto rammaricando per questo maledetto articolo femminile che mi è scappato. Poi, mi viene in mente l’immagine delle tre streghe che mi hanno imparato a parlare e che mi offrivano dei regali per LA Natale e ritrovo un po’ di fiducia. Andate a cercare un dizionario, dico sicuro di me, così dirimiamo il conflitto. Guardiamo nel dizionario e loro si mettono a sorridere appena leggono che Natale è maschile. Aspettate c’è di più, dico, guardate cosa c’è scritto sotto: l’uso del femminile è assai frequente, è un elissi per evitare di dire “alla festa di Natale”. L’altra ragione per cui certi preferiscono usare il femminile, è che suona in modo più armonico e più poetico e nella letteratura è abbastanza frequente di trovare Natale al femminile. Esempio. Victor Hugo nel romanzo Notre Dame de Paris (1832):

Ils se rappelaient les uns aux autres (…) les fêtes éblouissantes, les Noëls étincelantes de flambeaux, les Pâques éclatantes de soleil, toutes ces solennités splendides…

Si ricordavano a vicenda (…) le feste abbaglianti, i (le nella frase in francese) natali scintillanti di candelabri, le Pasque rilucenti di sole, tutte quelle splendide solennità…

Ringrazio mentalmente le mie tre streghe e la loro cultura libresca. Vedete, cari amici, avevo ragione io e in francese, si può dire: le natali scintillanti o i natali scintillanti e se lo scrive anche il grande Victor Hugo! Loro concedono a malincuore la disfatta dicendo che comunque è un arcaismo, una licenza poetica, che non è affatto armonico…Buongiorno signori! esclamo lasciando trionfalmente la stanza mentre loro si stanno ancora lamentando di questo fottuto tizio che parla francese come nel 1832!

 

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Un piatto che gli italiani considerano tipicamente francese e che ho mangiato solo in Italia?

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Felix Valloton. Aiuto! Mi si ruba una cotoletta!…

Il cordon bleu!

Ne ho ancora la pelle d’oca solo a ripensarci. L’ho scoperto in Italia tanti anni fa, durante il mio primo soggiorno, insieme alle patatine fritte al forno (nuovi brividi). Mi ricordo di aver chiamato, sconvolto, mia madre una sera: Niente mamma, la famiglia che mi ospita è simpaticissima. Ma sai cosa mangiano almeno una volta la settimana e che mi hanno servito stasera pensando farmi piacere? No mamma! Non indovinerai mai, è una roba che ha un nome francese anche se non ho capito il rapporto tra la schifezza e il nome! Dai la tua lingua al gatto, mamma? Bene te lo dico, ma non ridere. Ho mangiato il cordon bleu! E io di sentire mia madre ridere a crepapelle. No, mamma! Non sono diventato cannibale e non mi sono mangiato la cuoca! In italiano, un cordon bleu non è una buona cuoca, è una specie di orrenda cotoletta di tacchino, penso, impanata e ripiena di formaggio filante e di prosciutto. Che lavoro mamma? È una roba industriale già pronta, surgelata, basta passarla in padella. Ma non puoi smettere di ridere, mamma? Quanto sei crudele! Sì, ho capito il gioco di parole: non ci vuole essere un cordon bleu per fare un cordon bleu. Molto divertente. Si vede che non l’hai mangiata tu questa fottuta cotoletta!…ecc.