Mentre sto ammirando Piazza della Borsa, dalla riva destra della Garonna, attraverso le canne, il mio sguardo è attirato da una macchia arancione sull’acqua che stona proprio con il colore terroso del fiume dei bordolesi. E, probabilmente, se non ci fosse il colore del giubbetto di salvataggio del kayakista, non avrei mai notato il kayak che scivola lentamente e senza rumore sulle acque del fiume verso il Ponte di Pietra. Lo seguo con gli occhi e qualcosa si sveglia nel mio cervello tutto arrugginito e mi torna in mente i nomi di Hasler e di Sparks. Nomi diventati mitologici in tutti i paeselli dell’estuario della Gironda. Storia sentita mille volte quella dell’odissea di Hasler e di Sparks e degli altri otto temerari pesciolini inglesi; avventura vera e terrificante che mi dava la pelle d’oca quando la sentivo raccontare, bambino, dai vecchi pescatori e scaricatori del porto della Luna. Chiudo gli occhi e risalgo in pensiero il vecchio fiume dei bordolesi per ritrovare il luogo dove è iniziata l’avventura dei dieci temerari pesciolini inglesi. Vedo il Bec d’Ambès dove la Garonna si unisce alla Dordogna per dare nascita a una terza ragazza: la Gironda cioè l’estuario. Seguo il corso dell’estuario. Recito come una litania i nomi dei paesi dell’estuario che siano quelli della riva sinistra cioè quelli del mio caro Médoc, che quelli della riva destra cioè quelli della Saintonge. Sorvolo le isole dell’estuario. Arrivo nel Basso Médoc dove l’estuario diventa addirittura un braccio di mare e non vedo più la riva destra del fiume. Continuo costeggiando il litorale fangoso del Médoc fino alla foce dell’Estuario. Saluto il Verdon. Passo la punta di Grave e saluto il monumento che ricorda i dieci temerari pesciolini inglesi. Adesso sono a più di cento chilometri da Bordeaux e continuo il mio viaggio in pensiero. Do un occhiata al faro di Cordouan che segna il punto più settentrionale del mio Mondo. Ora sono nel Golfo di Biscaglia nell’Oceano atlantico e scendo verso Sud lungo le spiagge sabbiose della penisola del Médoc. Il Paese Mezzo Morto. Non c’è niente altro che le dune e la foresta a perdita d’occhio. Vedo il lago di Hourtin a sud e so che sono quasi arrivato. La vecchia strada provinciale che finisce nell’Oceano a Nord dal lago. Ci sono. Eccola la spiaggia del Pin Sec. Sono a Bordeaux, ma in immaginazione mi trovo in cima alla Duna del Pin Sec. Il giorno è diventato notte. Sono le otto della sera. Guardo l’oceano. Non vedo niente, ma so che ho fatto un balzo nel passato e che siamo il lunedì sette dicembre 1942 e che davanti a me c’è il sommergibile inglese HMS Tuna che è tornato in superficie…Il resto, se siete curiosi, ve lo raccontano modestamente Hasler e Sparks, i due soli pesciolini inglesi sopravvissuti all’avventura, tornati trent’anni dopo sui luoghi dell’operazione Frankton. BASTA CLICCARE L’IMMAGINE SOPRA!
Archivio mensile:gennaio 2017
Canzone francese: La piemontese.
La piemontese è una vecchia canzone militare francese del XVIII secolo che è diventata tradizionale nei Pirenei Guasconi. Qui il cantante Nadau ne dà una sua versione che si chiama: Dio mio che ne sono a mio agio. Nadau è famosissimo in tutto il Sud-Ovest della Francia e potrebbe facilmente riempire l’equivalente dello stadio di Francia ad ognuno dei suoi concerti. Lui di solito canta in guascone, ma La piemontese è una delle rare canzone dei Pirenei che si canta in francese. Quando ero all’esercito, eravamo tutti ragazzi del Sud-Ovest e hanno tentato di farci imparare la canzone come la cantano loro. Poi, hanno rinunciato perché la cantavamo alla moda dei Pirenei, ma soprattutto volevamo tutti disertare e tornare a casa. 😉
Dio mio che ne sono a mio agio
Quando la mia morosa è presso di me,
Molto delicatemente la guardo
E le dico: “abbracciami”.
Come vuoi che ti abbracci,
Tutti parlano male di te,
Si dice che parti per l’esercito,
Nel Piemonte servire il Re.
Quando sarai in queste campagne,
Non ci penserai più a me,
Penserai alle italiane,
Che sono bene più belle di me.
No, no, non mia bella,
Ci penserò sempre a te,
Me ne farò far un’immagine,
Tutta alla sembianza di te.
Quando sarò a tavola a bere,
A tutti i miei amici dirò:
“Cari compagni, venite a guardare,
Quella che mio cuore ha tanto amato.
L’ho amata, l’amo ancora,
L’amerò finché vivrò,
L’amerò quando sarò morto,
Se è permesso ai trapassati.
Allora ho versato tante lacrime,
Che tre mulini hanno girato,
ruscelli e fiumi,
Per tre giorni hanno traboccato.
Oceano: la Regina dei Voltapietre.
Un Voltapietre che ha indossato il suo abito nuziale .
In inverno, l’ho incontrata più volte a passeggiare sulla spiaggia oppure l’ho trovata a leggere nelle dune al riparo dal vento. Ci siamo già salutati con un buongiorno, ma niente di più. La signora ha sempre una mise elegante tranne il Mercoledì dove lei assomiglia a un vecchio lupo di mare: stivali, paio di jeans, maglione, cerata e cappello Nord-Ovest; lei mi fa pensare a uno di quei pescatori di merluzzo, appena sbarcato dopo sei mesi di pesca nelle acque gelide del Canada, e che incrociavo, adolescente, nelle vie di un Bordeaux che non esiste più ormai. La signora mi intriga. Mentre lei sta camminando velocemente sulla spiaggia verso Sud con un vecchio zaino pesante indossato su una spalla, la sto seguendo, parallelamente, sulla cresta delle dune. Niente di nascosto. D’altronde non la disturbo e lei mi fa un segno con la mano per salutarmi a cui rispondo. Penso che siamo soli. Due esseri umani nella solitudine del Paese Mezzo Morto. Eppure, non è il caso perché mi accorgo che ci sono dei lampi bianchi nel cielo che si illuminano in modo erratico e che sembrano seguire anche loro la signora. A volte si allontanano, a volte si avvicinano, a volte sono a destra, a volte a sinistra dalla signora. Uno stormo di Voltapietre che sverna da noi, penso. Quindi niente di soprannaturale. I lampi sono semplicemente le piume bianche degli uccelli che scintillano secondo i movimenti dello stormo nel cielo. Sorrido pensando alla gente che passeggia con il cane in spiaggia; nel Paese Mezzo Morto, c’è anche una signora che passeggia, in inverno, accompagnata da uno stormo di Voltapietre! Dopo un’oretta di camminata, la signora si ferma e si siede sul tronco di un albero pietrificato portato da una tempesta di tanti anni fa. Io, in cima alla duna, mi siedo tra i gourbet per osservare cosa sta per succedere. La signora si accontenta di guardare l’Oceano e sembra ancora più pietrificata dell’albero fossile. Lo stormo di Voltapietre pare disinteressarsi della signora e si è posato nella sabbia umida in riva all’oceano. Immagino che i Voltapietre si stiano probabilmente ingozzando di pulci di mare. Poi, la signora esce dalla sua contemplazione e guarda verso gli uccelli. Forse lei dice qualcosa, forse niente e io sono comunque troppo lontano per sentire altro rumore di quello dell’Oceano. I Voltapietre fanno allora una cosa che mi sembra impossibile, abbandonano il giacimento di pulci di mare e si mettono a saltellare, a correre, a volicchiare verso la signora. Io, in cima alla duna, ne sono stroncato dalla sorpresa. La signora non si muove. Gli uccelli diventano temerari e ne vedo che si posano addirittura su di lei, sul cappello, sulle braccia, sulle spalle. Presto la signora è presa in una nuvola di uccelli. La signora molto lentamente fa un movimento con il braccio verso il suo zaino appoggiato sull’albero pietrificato e la frenesia degli uccelli smette in un istante. Gli uccelli si sistemano ai suoi piedi e sembrano aspettare qualcosa. Va bene, ne ho abbastanza visto perché il resto riguarda la signora e gli uccelli. Quando torno alla casa della strega, le racconto della signora e dei Voltapietre. Hai visto lo stormo? lei chiede. Sì mamma e non avevo mai visto una cosa del genere. È la Regina dei Voltapietre, mi spiega la strega. Il figlio fa il pescatore e le porta degli avanzi di pesce per i suoi cari Voltapietre ogni martedì sera. Grazie mamma! Avevo capito che c’era del cibo per gli uccelli nello zaino e che lei nutriva i voltapietre! Quello che non riesco a capire è come la Regina dei Voltapietre, come dici tu, ha fatto per addomesticare uno stormo di Voltapietre perché non stiamo parlando di piccioni, di corvi, di gabbiani e di uccelli che sono commensali dell’uomo, ma di Voltapietre che sono uccelli del Artide!…Veramente, non l’hai capito? mi chiede la strega interrompendo la mia diatriba. E cosa c’è da capire? Ti ho detto che la signora è la Regina dei Voltapietre, significa che lei parla la loro lingua. È ovvio!…
Oceano: Giardino d’inverno.
21 gennaio, la fioritura delle mimose nel giardino di mia madre.
Ci sono due segni che indicano che siamo in inverno: la polmonite che mi ha inchiodato al letto per tre settimane e la fioritura delle mimose nelle dune del Paese Mezzo Morto. La fioritura delle mimose, è la prima cosa che noto arrivando alla casa della strega. La strega apre la porta e mi dice che lei mi aspettava. Forse, mamma, perché quando ti telefono, il mio numero compare sullo schermo del tuo telefono, no? Ma perché non rispondi mai? La strega alza le spalle senza rispondere. Le racconto della polmonite, che sono guarito, ma che mi viene una forte febbre ogni sera, che non riesco più a dormire. Lei, crudele, mi prende in giro per aver preso una polmonite in questo Paese dove, secondo lei, il clima è sempre mite. Andiamo a fare un giro con questo bel sole, lei dice. Attraversiamo l’immensità della foresta e la strega mi fa annusare i tronchi dei pini marittimi. Mamma, se devo fiutare tutti i pini marittimi di Guascogna, ne ho per dieci mille anni! Non tutti, risponde la strega, solo quelli che ti indico io. Poi, ci arrampichiamo in cima alle dune piantate dagli antenati e ci mettiamo a contemplare l’Oceano. Il vento gelido che soffia dal Golfo di Biscaglia mi trafigge le ossa. Mamma, sai che mi stai ammazzando? La strega mi sorride e non risponde. Dopo un tempo che mi sembra infinito, la strega si decide a scendere e raggiungiamo una piega tra due dune dove, curiosamente per la stagione, fioriscono delle immortali. Ne raccogliamo dei piccoli mazzi che dovrò sospendere, fino alla primavera, in tutte le stanze della mia casa. Così avrai il profumo delle dune e dell’oceano a casa, mi spiega la strega. D’accordo mamma, lo farò. torniamo a casa e la strega mi prepara una bibita calda. Mi vuoi ubriacare, mamma? Ma cosa hai messo nella tazza che ho la gola in fuoco? Niente un po’ di Armagnac e qualche erba, si difende la strega. Chiacchieriamo fino alla notte. Poi, è tempo per me di ringraziare mia madre per la giornata e di tornare a Bordeaux…
Fumetti: Sapete perché Obelix si chiama Obelix?
Io non lo sapevo ed è un collega appassionato delle avventure di Asterix, che ne può più di aspettare il nuovo albo che uscirà il 19 ottobre, che mi ha svelato, questa mattina, il mistero del nome Obelix. Io ovviamente – come la maggioranza dei francesi – pensavo che fosse perché il grosso gallo ha questa strana mania di sempre portare in giro un menhir che può fare pensare più o meno a un obelisco. Ma non è per questa ragione. Figuratevi che Obelix si chiama così per colpa dell’obelisco che è un segno tipografico e quindi, non solo il nome Asterix deriva da un segno tipografico, ma anche il nome Obelix. In francese, il segno tipografico è chiamato obèle (obelisco oppure obelo in italiano) e il monumento: obélisque (obelisco in italiano). Mi chiederete a cosa assomiglia l’obelo? Perché sappiamo tutti a cosa assomiglia l’asterisco e l’abbiamo anche sulla tastiera del computer o del telefono, ma questo fottuto obelo che tipo di segno tipografico è? Già c’è un piccolo rapporto con Obelix e la sua passione per i cinghiali perché obelo deriva dal greco obelos che significa spiedo e dunque l’obelo all’origine corrisponde al segno ÷ che viene utilizzato oggi per rappresentare l’operazione di divisione. Poi l’obelo ha preso, nel corso della storia, la forma di una croce latina semplice † o doppia ‡ per segnare i passaggi modificati o aggiunti nei manoscritti antichi. Si usa ancora l’obelo oggi? In Francia, sì. Per segnalare un decesso o per una nota tipografica in un libro o un documento in completamento dell’asterisco. Vedete asterisco e obelo sono legati in tipografia quanto Asterix e Obelix nelle loro avventure. Ma perché Goscinny ha scelto due nomi di segni tipografici per i suoi due eroi? Avete un’idea? In omaggio al suo nonno materno ucraino che era tipografo. Incredibile. Svegliandomi questa mattina non sapevo quasi niente di Asterix ed eccomi, in una giornata, diventato un’enciclopedia sul fumetto!
Come si chiama in francese la piccola perversione sessuale attribuita a Donald Trump?
Disegno di Auguste Rodin: Ondina, donna nuda seduta di fronte e le gambe aperte.
Mentre gli italiani usano l’espressione ridicola per le mie orecchie francesi di pioggia dorata o peggio l’orrendo anglicismo pissing, noi diciamo: Ondinisme. È la superiorità della lingua francese che possiede delle bellissime parole per designare anche le cose più ripugnanti. 😉
E’ gia la stagione delle crêpe!
Questa mattina la cassetta postale traboccava di volantini e di cataloghi pubblicitari che volevano convincermi di comprare qualche padella e qualche chilo di farina per le crêpe della Candelora. E sì, le feste natalizie sono appena passate che ci vuole già fare saltare le crêpe. Cosa volete, non ci sono più le stagioni di una volta come dicono gli anziani. Quando, il sei luglio, la scuola chiude per le vacanze estive, appena i bambini hanno avuto il tempo di trascorrere una settimana di vacanza e di assistere ai fuochi d’artificio della festa nazionale che la gente comincia già a ricevere le pubblicità delle forniture scolastiche per la riapertura delle scuole il primo settembre. In agosto, mentre stai soffocando sotto il sole bordolese, ti arrivano le pubblicità per Halloween e ti stai chiedendo come fanno per aver già le zucche in estate. In settembre, i bambini hanno appena iniziato la scuola, che ti arrivano cinquanta chili di cataloghi di giocattoli nella cassetta postale e ti ritrovi in spiaggia a fare la tua lettera a Babbo Natale. All’inizio di ottobre, ci sono già le pubblicità dei fiorai e dei vivaisti per i crisantemi e non puoi aspettare Ognissanti per andare al cimitero perché i tuoi crisantemi cominciano già ad appassire la seconda settimana di ottobre. In novembre, si comincia già a trovare il dolce dei Re in panetteria e quando arriva l’Epifania non ne vuoi più sentirne parlare. All’inizio di dicembre, ci sono i cataloghi per i tronchetti di Natale e la gente non aspetta più Natale per mangiarli. Non ridete, ma l’altro giorno, un amico mi ha portato le Meraviglie che è una roba bordolese che si mangia per Carnevale. Non sei in ritardo, gli ho detto, non è ancora Natale che sei già a Carnevale! Vedrete che un giorno si mangerà il tronchetto di Natale in pieno estate. E non ridete, cari lettori e lettrici, perché la cosa succede già con il vostro fottuto panettone che si trova in tutti i supermercati francesi dal primo gennaio al 31 dicembre!
Fottuta lingua italiana!!!!!
Gioco televisivo francese:
Il Carlo Conti francese: Bene, lei ha risposto bene alle quattro domande. Ora è giunta l’ora dell’ultima domanda per guadagnare i dieci mille euro messi in gioco oggi. Lei è pronta?
Il candidato: Proviamo.
Il Carlo Conti francese: La domanda è quella: Cos’è in italiano il prosecco? Lei, come per le altre domande, ha tre possibilità. Vediamo. Prima possibilità, il prosecco è un vino. Seconda possibilità, il prosecco è una salumeria. Terza possibilità, il prosecco è un’altra cosa.
Il candidato: Il vino sono certo di no perché è il prosciutto che è un vino, credo sia anche un vino tipo Champagne. Invece mi dice bene la salumeria. Per quanto ciò che si nasconde dietro la terza proposta, boh, forse un formaggio…
Il Carlo Conti francese: Allora, lei ci dà una risposta per vincere i dieci mille euro di oggi?
Il candidato: Sono abbastanza sicuro di me e penso che il prosecco sia una salumeria perché so che il prosciutto è un vino quindi scelgo la seconda proposta cioè il prosecco è una salumeria.
Il Carlo Conti francese: Vediamo cosa dice il computer…Noooooo! Il prosecco è un vino! Lei ha fatto una piccola confusione perché è il contrario: il prosecco è un vino ed è il prosciutto che è una salumeria. Ma è vero che le parole sono davvero vicine.
Il candidato: Vero ed io ero convinto che il prosciutto era un vino!
E io davanti allo schermo di pensare esattamente la stessa cosa del candidato: Fottuta lingua italiana!!!!!
Mentre sto morendo…
Giaccio su un letto improvvisato in salotto. Il gatto si è sistemato da giorni su una copertina ai miei piedi e non vuole più né uscire né mangiare. Mi preoccupa questo fottuto gatto. Non posso parlare tanto i miei polmoni mi bruciano e tanto ho passato gli ultimi giorni a vomitare acqua e sangue. Quindi mi sono messo a comunicare telepaticamente con il gatto. Tento di ragionarlo. Cosa farai gatto quando sarò morto? Spero non sia uno di questi fottuti gatti che si lascia morire di crepacuore! Non vuoi fare il tuo mestiere di gatto e andare a cacciare i corvi che vedo, dalla finestra, invadere il giardino? Lui guarda fuori e mi risponde telepaticamente che non ci sono corvi, che sto delirando a causa della febbre. Tu credi, gatto? Allungo la mano per la centesima volta della giornata verso il tavolino e prendo il termometro elettronico a forma di pistola e lo punto verso il mio fronte. Chiudo gli occhi e premo il grilletto. Una raffica di bip affollata mi succhiella le orecchie, guardo lo schermo che indica lo stesso 41 gradi di dieci minuti fa. A me sembra comunque che la febbre sia un po’ calata, no? Cretino! mi risponde telepaticamente il gatto. Tremo dal freddo nonostante le copertine e il riscaldamento spinto al massimo e faccio notare al gatto che la bolletta del gas invece mi farà veramente sudare quando la riceverò in primavera. Ma lui adesso tiene il broncio e non mi risponde più. Tento di leggere un po’ ma è uno sforzo troppo importante per me e, dopo dieci righe, sento la mia testa presa in una morsa e devo prendere un nuovo antidolorifico. Sonnecchio e quando mi risveglio, prendo di nuovo la mia fottuta temperatura che non varia mai. E se guardiamo un po’ la televisione per farci compagnia, gatto? Ma non puoi stare un po’ tranquillo! esclama telepaticamente il gatto. Accendo la televisione e, sullo schermo, vedo un tizio di 105 anni che tenta di battere il record ciclista dell’ora dei più di 105 anni!!! Gatto, dico telepaticamente, Altro che corvi, ora vedo un centenario che si crede Francesco Moser! Il gatto, intrigato, si mette anche lui a guardare lo schermo e lui mi dice che non è un delirio, che la cosa sta succedendo per davvero; assistiamo all’exploit e vediamo anche il vecchio lamentarsi perché avrebbe potuto fare meglio se lui avesse visto che mancavano gli ultimi dieci minuti. Fottuto vecchio. Lui tutto arzillo a 105 anni e io che sono ancora bambino nei suoi confronti e che sto crepando con un fottuto gatto per tutta compagnia. Non è giusto. È la genetica, dice il gatto, lui ha una genetica fuori dal comune; tu, hai la stessa genetica di Marguerite Gautier. Vuoi vedere se sono la Gautier? Scommetto che sono capace di andare fino alla porta d’ingresso e tornare in un lampo. Appena, mi alzo che mi accorgo che ho fatto lo spaccone e dopo due passi la testa mi gira atrocemente. Il gatto mi accompagna, ma sento bene che già andare fino alla porta e sopra le mie forze. Il ritorno è terribile e devo fare una pausa nel bagno per sputare la metà dei miei polmoni nel cesso. Finalmente, chissà come, riesco a raggiungere il letto improvvisato. Hai visto, gatto? Altro che l’exploit del vecchietto, che io sono riuscito a percorrere venti metri senza polmoni. Brava Maggie! scherza telepaticamente il gatto. Poi, mi addormento e fa notte quando lei mi risveglia e mi dà un po’ di brodo. Oggi, racconto, sono riuscito a parlare con il gatto, ma sai che lui ha letto Alexandre Dumas! Stai tranquillo, lei dice, è solo la febbre. Poi, mia madre mi telefona: Hai visto il vecchio in bici? E tu che resti a casa a fare il malato immaginario per un po’ di polmonite! È genetico, mamma. Secondo il gatto, ho la stessa genetica delle protagoniste dei romanzi del XIX secolo, quelle che si spengono come le candele! Mi dici che parli con il gatto? Forse è tempo di chiamare l’ospedale psichiatrico, non pensi? Guardo il gatto sdraiato ai miei piedi e lui si volta per farmi un occhiolino. Sono in inferno.