L’Utile, una nave della Compagnia francese delle Indie Orientali, prende il mare a Bayonne nel novembre 1760. La sua destinazione: L’Isola di Francia (Mauritius oggi) con lo scopo di assicurarne l’approvvigionamento. Lafargue, il capitano, comanda un equipaggio di 140 uomini esercitando i diversi mestieri di pilota, carpentiere, panettiere, cappellano, chirurgo, scrittore…La nave è un fluyt cioè una nave di trasporto marittimo di cui la stiva trabocca di viveri per 18 mesi: farina, biscotti, botti di vino, d’acqua, carne, baccalà, pollame, bestiame…insomma tutto quello che potete immaginare per un periplo di questo tipo. Riuscire a imbarcare tutto e trovare un equipaggio ha messo più di sei mesi: la guerra dei sette anni che dilania l’Europa e i territori coloniali pesa come un macigno sulla missione. Eludendo con maestria il blocco inglese delle coste francesi, una navigazione pericolosa si ingaggia che consiste a evitare a tutti i costi la marina inglese. Dopo 147 giorni attraverso mari e venti temuti, senza perdita umana però, il 12 aprile 1761, l’Utile raggiunge l’Isola di Francia e ancora a Port Louis, la sua prima tappa. A questo punto devo scrivere due parole sulla tratta dei neri. La situazione è quella: teoricamente, la Compagnia francese delle Indie Orientali ha il monopolio della tratta degli schiavi, però, ovviamente, nella realtà gli impiegati della Compagnia fanno la tratta per i loro propri benefici senza riferirne alla Compagnia che comunque chiude gli occhi. Un capitano e il suo equipaggio possono facilmente guadagnare dieci anni di stipendio annuale solo con un viaggio con un carico di schiavi portati da Madagascar e rivenduti all’isola di Francia. La tentazione è grande per l’equipaggio dell’Utile. Però ci sono due problemi per il capitano Lafargue: la tratta è stata proibita dal dicembre 1760 dal governatore dell’Isola di Francia perché l’isola conosce la carestia e già i neri crepano di fame nelle piantagioni dell’isola quindi portare ancora degli schiavi sull’isola sarebbe solo accentuare il problema e rischiare delle rivolte, l’altro problema sono i soldi e ci vuole un capitale conseguente per comprare degli schiavi a Madagascar e l’equipaggio dell’Utile possiede forse nemmeno un decimo del denaro necessario. Quindi cosa fa il capitano Lafargue? Si cerca dei soci pronti a investire dei fondi nell’operazione e ne trova, ovviamente, presso i coloni che hanno bisogno di manodopera, certi ufficiali dello stato maggiore, i commercianti…insomma presso tutti quelli che si aspettano a raddoppiare il loro investimento in questa avventura. I soldi sono riuniti e il capitano Lafargue ha un piano. Il primo passo della tragedia è fatto. Da Port-Louis, L’Utile è mandato a Madagascar per comprare dei viveri, riso e buoi in particolare, destinati ad approvvigionare l’Isola di Francia. Ma, appena arrivato a Foulpointe, il capitano imbarca anche circa 160 schiavi malgaschi (uomini, donne, adolescenti), comprati per una somma considerevole al capo della tratta locale e la speranza di un profitto stimato al doppio. Ovviamente, l’Utile non può tornare all’Isola di Francia con il suo carico di schiavi. Il piano di Lafargue è di contornare dal nord l’Isola di Francia per evitare la marina reale francese e quella inglese e di sbarcare gli schiavi sull‘isola Rodrigue, poi di convogliarli in piccoli gruppi fino all’Isola di Francia. Ha tanto fretta di toccare il suo profitto il nostro capitano Lafargue che lui si decide, contro tutte le regole di allora, di navigare di notte. L’equipaggio è preso dalla paura. Il capitano e il pilota ne vengono quasi ai mani perché ci sono due mappe a bordo e Lafargue si affida solo alla più vecchia. E più il pilota tenta di convincere il capitano di tracciare la sua strada con la nuova mappa, più l’altro si ostina a usare la vecchia che non vale niente. Succede quello che deve succedere. Il 31 luglio 1761, l’Utile si incaglia nella barriera corallina che circonda la minuscola isola di sabbia (isola di Tromelin oggi) in mezzo alle onde frangenti che battono l’isola in estate. Per sollevare la nave in preda ai frangenti, il primo luogotenente Castellan du Vernet fa abbattere gli alberi e buttare i cannoni al mare. Malmenato dal mareggio, il timone è divelto. Tutte le strutture e i ponti crollano. Intrappolati nella stiva dove gli schiavi sono chiusi ogni notte per timore delle rivolte. Gli schiavi sono liberati solo perché la stiva si disloca. Mentre 18 marinai e 70 schiavi annegano. 210 superstiti riescono a raggiungere a nuoto le spiagge deserte dell’isolotto di appena 1 km². Sull’isola ostile, il primo luogotenente Castellan organizza la sopravvivenza (il capitano Lafargue ha perso definitivamente la ragione). Tutto quello che può essere ricuperato nel relitto, viveri e attrezzi, per assicurare la sopravvivenza è prelevato. Privi di acqua, 8 schiavi soccombono nelle prime ore e una trentina nei giorni successivi. Il capocannoniere in carica di scavare un pozzo, dopo aver fallito più volte, riesce finalmente a trovare un’acqua salmastra a 5 metri di profondità. Lo scrittore di bordo tiene un elenco dei viveri; tutto furto ed è la pena di morte. Pesca, cattura di tartarughe e di sterne forniscono l’alimentazione di base. Delle tende sono fabbricate con le vele. Si costruisce un forno e una fucina. Castellan disegna i piani di una scialuppa, la Provvidenza. Costruita con le macerie del relitto e l’aiuto attiva degli schiavi a chi i marinai hanno giurato che potranno salire a bordo e scappare all’inferno. Dopo due mesi di coabitazione, l’equipaggio riprende il mare verso Madagascar. Purtroppo la scialuppa è troppo piccola e i 60 schiavi superstiti sono abbandonati sull’isola, con la promessa d’ufficiale fatta da Castellan che i soccorsi saranno inviati al più presto. Immaginate il silenzio che accoglie la notizie e lo spavento di questa gente originaria dell’altipiano malgascio, imprigionata e condannata ad aspettare su questa zattera di sabbia in mezzo all’Oceano indiano un eventuale soccorso; è la morte assicurata. Castellan fa di tutto per tenere la sua promessa. Durante dieci anni, il luogotenente incalza il ministro della Marina di inviare una missione di soccorso. Finalmente, nel 1772, dopo un’ennesima lettera di Castellan al ministro della Marina, un ordine è lanciato. Ma è soltanto nel 1775 che una prima nave, la Sauterelle, si presenta su zona. La scialuppa di salvataggio è travolta dalle onde e inabissa, un marinaio riesce a raggiungere a nuoto i superstiti sulla riva. L’anno seguente, ci sono altri tentativi, in vano. Disperato di essere salvato, il marinaio costruisce una barca di cui la vela è fatta di piume d’uccelli. Lui parte con tre donne e i tre ultimi uomini…non si sentirà mai più parlare di loro. Quattro mese dopo, comandata da Jacques-Marie de Tromelin, la corvetta la Dauphine arriva sull’isola di sabbia, il 28 novembre 1776, quindici anni dopo il naufragio. Sette donne e un bambino di otto mesi sono ricuperati. Una volta sull’Isola di Francia, i superstiti sono dichiarati liberi, poi la loro traccia si perde…
245 anni dopo il naufragio dell’Utile, l’isola di sabbia che si chiama ormai l’isola di Tromelin è sempre la stessa, un lembo di terra francese di 1 km² a forma di mandorla in mezzo all’Oceano indiano, il banco di sabbia si trova all’incrocio di tutti i cicloni e le tempeste che attraversano l’Oceano indiano per cui una stazione meteo ci è stato sistemato negli anni 1950 e una pista di atterraggio per gli aerei che permette l’approvvigionamento degli scienziati. La civiltà più vicina si trova a 450 chilometri da Tromelin. Un meteorologo francese, in missione sull’isola, è intrigato da un’ancora che emerge a 30 metri dalla riva e dai vestigi di cannoni tanto corrosi che hanno perso la loro forma originale. Lo scienzato è tanto intrigato, e poi non c’è niente a fare sull’isola, che lui ha l’idea di contattare Max Guérout che è un archeologo navale francese di fama mondiale. L’archeologo è interessato e si mette a cercare informazioni su questo naufragio negli archivi della Marina e a Lorient, in Bretagna, negli archivi del museo della Compagnia delle Indie Orientali. L’archeologo scopre tutto sull’Utile e il suo naufragio perché il caso è estremamente ben documentato e c’è anche di più cioè il racconto preciso sotto forma di giornale scritto dallo scrittore di bordo. Siamo nel 2006 e gli schiavi dimenticati dell’isola di Tromelin stanno per tornare a galla nella nostra memoria grazie a un’ancora corrosa alla fine del mondo. La storia che restituisce l’archeologo attraverso i documenti è incompleta. C’è qualcosa di enigmatico, di misterioso, che interroga l’archeologo attraverso la lettura e lo studio dei documenti dell’amministrazione francese. Ciò che non è mai scritto nei documenti e che riguarda il periodo 1761-1776. Come un gruppo di schiavi abbandonato su Tromelin è riuscito a sopravvivere durante quindici anni su una delle isole più inospitali del Mondo? Come gli schiavi sono riusciti a proteggersi dai cicloni? Come hanno fatto per bere e nutrirsi? Come sono riusciti a mantenere un fuoco mentre non ci sono alberi sull’isola? Come hanno fatto per resistere all’isolamento e a conservare la speranza? E mille altre domande di questo tipo. Per rispondere a tutte queste domande e ritrovare tracce di questa tragedia, una prima campagna archeologica è organizzata su Tromelin nel 2006 (ce ne saranno 4 fino all’ultima di 2013). E là, nascosto sotto la sabbia di Tromelin, esterrefatti, gli archeologici, scoprono che, oltre agli imperativi di sopravvivenza, gli schiavi malgasci hanno ricostruito una società.
Non dico niente di più. Se venite a Bordeaux, andate a vedere la mostra: Tromelin, l’isola degli schiavi dimenticati, (fino al 30 aprile) che risponde alle domande che si sono poste gli archeologici a proposito degli schiavi di Tromelin. E se non avete la possibilità di venire a Bordeaux e che masticate un po’ di francese, guardate il video sotto che racconta la prima campagna archeologica del 2006.
Che storia avvincente!
Non amo i post lunghi…leggo velocemente, per sommi capi… Questa volta, invece, avrei voluto che non finisse mai!
Buon fine settimana,
m.
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Tanto avvincente che non volevo più lasciare la mostra, hanno dovuto cacciarmi alla chiusura del museo! 🙂
Buona domenica, cara Monica!
Alex
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Interessante post. Ciao Alex! 65Luna
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La cupidità, il disprezzo del genere umano da un lato, e, dall’altro, la capacità di vita di uomini e donne che, non solo sopravvivono in condizioni estreme su un lembo di sabbia, ma che in più si edificano una società. Insomma Il meglio e il peggio dell’uomo….Grazie per l’apprezzamento, Luna!
Buona sera,
Alex
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Grazie a te e buon sabato! 65Luna
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Ti sei messo nei panni di Daniel Costelle o Henri De Turenne vista la narrazione.
Scrivi, scrivi Alex e non pensare a tagliare. Il post rimarrà e per anni e lo leggeranno in tanti. Grazie per il video.È dal 2013 che non ho più la parabola quindi pas de TV5 ni Arte.
La storia e la memoria: se non ci fossero gli archivi cartacei ben conservati Max non ce l’avrebbe fatta per ricostruire la tragica storia.
Ziryab.
PS: Con il digitale rischiamo di cancellare la storia per un guasto elettrico. Ho dei Floppy disc da 5″ e da 3″ ma non il lettore.Uno scatolone di VHS di storia ma non il lettore. Non ho masterizzato un CD da anni e il Cloud non mi convince. Sul sito della banca si può consultare soltanto due anni di movimenti bancari. Per gli estratti più vecchi, fare una richiesta.
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Grazie per l’apprezzamento Ziryab! Credo sia esattamente la stessa cosa per gli archivi cartacei. D’altronde mi sono fatto la riflessione percorrendo la mostra. C’era, esposta, una parte degli archivi della Compagnia delle Indie orientali che riguarda l’Utile e anche degli estratti digitalizzati del giornale dello scrittore di bordo che racconta tutta la tragedia. E io riuscivo solo a decifrare una parola ogni tanto e dovevo leggere i cartelli di traduzione per capire il senso dei testi. Poi, ho fatto notare a una persona della mostra la mia frustazione di non poter leggere la documentazione originale. E lei mi ha detto che era una cosa normale, che era quasi impossibile, senza essere un professionale, di leggere una scrittura manoscritta francese di marina del XVIII secolo….voglio dire che non solo la memoria può cancellarsi a causa dei supporti o dei lettori obsoleti che la rendono inaccessibile, ma anche quando la memoria è accessibile perché non siamo sempre capaci di leggerla…
Buona sera Ziryab,
Alex
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Se a qualcuno può interessare, anche la stori dei “dimenticati di St. Paul non scherza. Riguarda l’isola poco lontano da lì ed è successa meno di un secolo fa.
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Ti devo ringraziare molto Alberto perché non avevo mai sentito parlare di questa orrenda storia dei dimenticati di Saint Paul. Forse proverò in qualche tempo a scrivere la loro vicenda come ho fatto per i dimenticati di Tromelin. Ancora grazie.
Buona giornata,
Alex
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