MEDOC

Piove. Siamo una fine di pomeriggio di marzo e sono sul molo di Blaye ad aspettare il traghetto per tornare a casa sulla sponda sinistra del fiume. La coppia si avvicina. Vengono probabilmente dalla cittadella. Due turisti fuori stagione, penso. Fanno la stessa cosa di me cioè si incollano al muro puzzolente di piscia del vecchio chiosco del bocciodromo per proteggersi il più possibile dalla pioggia e dal vento che soffia dal Golfo di Biscaglia. Ci salutiamo e mi rimetto a osservare i detriti di legno che le acque fangose del fiume convogliano verso Bordeaux. Loro mi risciacquano dai miei pensieri chiedendomi cosa sono tutte queste auto che stanno arrivando per imbarcare. Lavoratori che tornano a casa loro nel Médoc dopo il lavoro, rispondo. Noto la loro sorpresa come se avessero immaginato che la terra di fronte fosse un’isola inabitata. Che strana gente, penso. Poi loro mi raccontano che prendono il traghetto perché vorrebbero visitare, sull’isola, una torre e un castello medievale di cui hanno sentito parlare alla cittadella. Non ho la minima idea di cosa mi stanno parlando, ma sono troppo educato per farlo notare. Dicono di essere di La Rochelle. Mentre tutti i passeggeri sono al riparo dentro il traghetto a chiacchierare intorno alla macchina da caffè, loro fanno tutta la traversata sul ponte esterno nonostante il brutto tempo. Sono pazzi, penso. La nave sta per attraccare lungo il molo di Lamarque quando loro raggiungono gli altri passeggeri. Appena cinque minuti di frenesia per sbarcare tutte le auto, poi il minuscolo porto si assopisce di nuovo. Scendo l’ultimo dalla nave e vedo la coppia di La Rochelle già camminando sulla strada verso il borgo di Lamarque. Il cane della fattoria accanto è ancora scappato e viene mi mendicare qualche carezza. Recupero la mia macchina che avevo lasciato sul parcheggio del porto. Ho fretta di tornare a casa. Quando arrivo all’altezza della coppia, fermo l’auto perché nel fondo mi preoccupano. Perdono, dove mi avete detto che andate? Mi mostrano il campanile di Lamarque nel lontano. Dubito che la signora che ha le chiavi sia ad aspettare davanti alla porta due turisti anche se sono di La Rochelle, anzi sono sicuro che lei sta tranquillamente a casa a guardare qualche gioco televisivo. Poi, riesco a capire che il castello medievale che vogliono vedere non è quello di Lamarque a due passi dalla chiesa, ma Fort Médoc a Cussac. Tento di dissuaderli, che non avranno mai il tempo di andarci, di visitare l’uno o l’altro e di tornare a piedi al porto per l’ultimo traghetto. Abbiamo preso il penultimo traghetto della giornata, tento di spiegare, cosa farete se mancate l’ultima nave? Loro sembrano non capire e pensano che due ore siano sufficienti per fare il giro del Paese. Non si rendono conto. Forse non parliamo la stessa lingua, penso. Salite in auto, il campanile sarà chiuso, ma vi porto fino a Fort Médoc. Giro a destra sul cammino che attraversa la palude. Non è difficile, spiego. Basta seguire lo stesso cammino al ritorno. Loro guardano gli stagni, i prati allagati, gli uccelli di mare, il fiume a destra. Io penso solo a evitare i buchi d’acqua pregando per gli ammortizzatori della macchina. Li lascio davanti al Forte. Loro ringraziano. Contate quasi quaranta minuti per tornare al porto visto lo stato del cammino quindi non attardatevi troppo. Buona sera. Mi fermo per parlare con la cassiere all’ingresso del Forte che conosco un po’. Ho paura per loro, dico. Sono sicuro che non saranno mai al traghetto. Lei mi rassicura. Troverò qualcuno per portarli a Lamarque. Poi, c’è sempre la possibilità di trovare un bed and breakfast per loro nei dintorni. Qualche settimana dopo, ripasso a piedi davanti  al Forte. La signora mi fa un segno. Mi avvicino. Lei non ha sentito la notizia? I due turisti dell’altro giorno non hanno voluto essere riaccompagnati alla nave e nessuno li ha più visti. La guardo. Forse sono ancora a vagare nella palude, dico. Scoppiamo dal ridere. La primavera è tornata nel Médoc.