Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene. Prima parte.

La Rochelle. 26 maggio. Non è ancora mezzogiorno che i ristoranti di pesce, schierati elegantemente come marinai alla parata sul molo Duperré, sono pieni zeppi di un’umanità affamata e indecisa alla lettura dei menù che offrono almeno dieci mille modi di cucinare le cozze. Quelli che hanno già mangiato si accalcano lungo il molo alla ricerca di un imbarco pomeridiano verso l’isola di Ré o quelle d’Aix e d’Oléron. I turisti francesi si riconoscono da lontano perché sono quelli che cercano, prima di tutto, le navi che solcano verso Fort Boyard, un carcere su un isolotto tra l’isola d’Aix e quella d’Oléron e dove si gira un gioco televisivo molto popolare in Francia e che viene diffuso ogni estate da un’eternità. Mentre passeggio nel flusso oceanico dei turisti sul molo Duperré, vedo qualcosa che mi sta intrigando davvero. Il famoso Duperré appunto. La statua imponente dell’ammiraglio Guy-Victor Duperré sul molo e che sembra ignorata dalle macchine fotografiche dei turisti. Mio povero Duperré, mi dico, non meriti nemmeno una foto eppure sei il personaggio storico rochelais più importante della città insieme a Jean Guitton che anche lui deve vedere il suo monumento ignorato antistante al Municipio. Mi avvicino. Non è il fatto che la statua sia invisibile alla gente che mi incuriosisce, ma un’altra cosa. E dunque mi chiedo perché diavolo l’ammiraglio guarda verso il centro storico della città e mostra il suo culo all’oceano ed è questo che trovo davvero strano. Fottuti gavache* è il contrario che si doveva fare, la statua dell’ammiraglio doveva guardare verso l’oceano per abbracciarlo e voltare il culo alla città! Cretini! Non solo i gavache hanno sistemato la statua del vecchio ammiraglio nella direzione sbagliata, ma il povero sembra addirittura un barbone con il suo viso sudicio, la sua divisa tutta annerita di sporcizia. La statua trascurata  si vede come un naso in mezzo al viso come diciamo in francese e io non vedo più che l’ammiraglio che sembra una verrucca su questo molo curatissimo. Mi avvicino ancora per salutare comunque la statua dell’ammiraglio. E mi accorgo che l’ignominia non finisce qui perché un vandalo, uno mio concittadino, si è arrampicato sulla statua per incollare uno sticker dei girondini di Bordeaux. Vedi ammiraglio, penso tra me e me, non sei il solo che deve vergognarsi e sentirsi offeso dall’atteggiamento dei suoi concittadini. Siamo in due sul molo di La Rochelle.

*Gavache: termine dispregiativo usato una volta a Bordeaux per designare gli abitanti delle Charentes.

Médoc: Un pomeriggio nella foresta di rododendri di Saint-Queyran!

Due anni fa, fu la mala jornada come la chiamiamo pudicamente in guascone. Questa maledetta giornata del primo novembre 1450 dove noi bordolesi, assediati da mesi dall’artiglieria francese, disperati e affamati, siamo usciti da Bordeaux per fronteggiare questo bastardo francese di Carlo VII e il suo esercito nelle grandi paludi a Nord di Bordeaux. Siamo stati tagliati a pezzi dai cannoni francesi e il nostro sangue ha colorito di rosso tutti i fiumi del Sud Médoc. Dopo cento anni di guerra, non resta quasi niente della nostra cara Guascogna e dire che abbiamo dato dei Re all’Inghilterra! Ormai l’Aquitania è ridotta a Bordeaux e alle sue lande. Abbiamo fatto finta di accettare l’autorità di quei maledetti francesi aspettando di ricostruire le nostre forze e abbiamo segretamente chiamato in aiuto i nostri alleati inglesi. Il 22 ottobre 1452 è stata una doccia fredda quando è sbarcato a Bordeaux un esercito inglese di solo 4000 uomini con alla loro testa John Talbot. E invece il vecchio leone inglese che ha terrorizzato i francesi per decenni ha saputo galvanizzarsi con le sue parole ed è stato un grande giorno di festa nelle vie di Bordeaux. Abbiamo ripreso speranza perché il nostro vecchio Talbot vale dieci Carlo VII e ognuno valoroso guascone più di mille soldati francesi alla guerra. Battaglia dopo battaglia, abbiamo respinto gli invasori e riconquistato una dopo l’altra tutte le città della Gironda. La guerra si è spostata all’Est della Gironda durante l’estate 1453. Non abbiamo abbastanza uomini per difendere il nostro territorio e i mercenari francesi ne hanno approfittato per invadere di nuovo il Médoc. Qualche giorno fa, abbiamo ricevuto una notizia terrificante. Il borgo di Saint-Queyran è stato rasato al suolo da questi maledetti francesi. Una nuova mala jornada. Gli abitanti sono stati tutti sgozzati, eviscerati, impiccati. Uomini, donne, bambini. Nessuno è sopravvissuto al saccheggio. Il prezzo da pagare per il nostro tradimento ha ridacchiato il bastardo francese. Allora noi che abbiamo già perso tanto, in quel bel giorno di luglio, in un campo in riva alla Dordogna, davanti alla città di Castillon, c’è ne freghiamo alla grande di questo fottuto Carlo VII e della sua artiglieria, del tradimento del Re d’Inghilterra che non ci invia mai i rinforzi promessi e che ha abbandonato il buon Talbot. Noi ci crediamo e ci crederemo fino al nostro ultimo soffio alla nostra vittoria finale. Oggi, molti di noi non vedranno la prossima vendemmia. Ma già il vecchio Talbot dà l’ordine dell’attacco e ci mettiamo a caricare allegramente i 300 cannoni puntati su di noi dai francesi….

Sto camminando nella foresta di Saint-Queyran seguendo il corso pigro di uno di quei fiumi colore ruggine che chiamiamo “jalle” nel Médoc. Il caldo è massacrante. Ci vogliono delle buone scarpe perché un incontro con una vipera è una cosa banale. Poi non ci vuole dimenticare la lozione antizanzare perché ce ne sono di quelle nuvole di zanzare lungo i fiumi che percorrono la foresta. Notate che è qualcosa che mi impongo perché avrei potuto tranquillamente restare al fresco sul bellissimo sentiero didattico forestale sistemato dal comune di Saint-Laurent, ma c’era presente un gruppo di escursionisti che parlava forte e io avevo bisogno di silenzio e di solitudine. L’immensa foresta di Saint-Queyran è conosciuta solo dalla gente della zona eppure è probabilmente la più bella passeggiata da fare nel Médoc a metà maggio. Figuratevi che dentro questa foresta tipica del Médoc c’è ne un’altra costituita da rododendri giganti che lanciano i loro rami verso il sole. Una bellezza quei rododendri da togliervi il fiato. Conosco altre foreste nel Médoc dove crescono  rododendri ed è sempre la sempre storia, a prossimità c’è uno château o un’antica proprietà e qualche rododendro, più temerario degli altri, è scappato verso la foresta. Ma davvero niente di paragonabile con quello che potete vedere a Saint-Queyran. Anche a Saint-Queyran si dice che all’inizio c’era una riserva di caccia di un ricco proprietario bordolese e che tutti quei rododendri centenari sono i soli resti di questa proprietà. Io non ci credo affatto che questi rododendri si siano misteriosamente naturalizzati in questo pezzo di foresta riparia persa in mezzo delle pinete industriali di pini marittimi. C’è qualcosa che viene da più lontano dietro. Una magia che sentite appena penetrate nella foresta. Non dubito che i rododendroni siano stati piantati nel XIX secolo da un ricco bordolese. Invece ho la certezza che sono gli antichi abitanti martiri del paese di Saint-Queyran che sorgeva in quel posto che li coltivano e che ci offrono tutta questa bellezza ogni anno in maggio.

Meglio del ristorante di Gordon Ramsay a Bordeaux?

La bettola: A la bonne franquette ! (Alla buona!) di Alex di Bordeaux e dintorni con la sua cucina tipicamente bordolese cioè semplice semplice e che non costa un occhio dalla testa!

Piatto: Muggine del Bacino di Arcachon all’uso di Bordeaux. (Mule du Bassin d’Arcachon à la mode de Bordeaux).

Accendere il barbecue.

A Bordeaux quasi tutti i grossi pesci si mangiano con la salsa verde che più bordolese non si può.

  • Scalogni qb
  • Uova qb
  • Prezzemolo qb
  • Erba cipollina qb
  • Olio qb
  • Aceto di vino qb
  • Sale, pepe qb

Il più lungo? Fare sodare le uova. Si usa solo il tuorlo nella salsa bordolese. Il muggine è il pesce Re di Arcachon. Due muggini per otto euro che è anche più o meno il prezzo al chilo.

Lillet per l’aperitivo e una bottiglia di vino bianco dell’Entre deux Mers per il pranzo. Lillet bianco che non siamo turisti a bere del Lillet rosso o peggio del rosato!

Insalata all’uso di mia nonna.

  • Insalata comprata da un tizio che fa l’orticoltore dietro casa mia. Prezzo: 80 centesimi.
  • 1 spicchio d’aglio o due o tre…
  • sale, pepe, olio, aceto di vino.
  • Pane del giorno prima che potete tostare se la mollica è troppo morbida.

Dovete strofinare l’aglio sulle fette di pane, ma veramente che non facciamo una bruschetta e che qualcuno sicuramente vi chiederà di ricominciare l’operazione ancora e ancora perché uno spicchio solo non basta. Questa cosa a Bordeaux si chiama frottée à l’ail ed è un’istituzione, d’altronde c’è una confraternità della frottée à l’ail in un paese non lontano da casa mia. Ai tempi dei miei nonni è quello che si dava ai bambini per la merenda.

L’insalata è pronta.

Fragole del Médoc di tipo Gariguette. 500 g: 4,50 euro.

A parte prevedere un po’ di vino rosso e del pane perché ci sono bordolesi che non vogliono mangiare le fragole senza che siano annaffiate di vino rosso e accompagnate con del pane per fare la scarpetta.

Va bene, abbiamo tutto. Adesso è tempo di fare cuocere il pesce!

 

 

 

 

 

Incontro con una vacca marina in una palude del Médoc!

Due secoli fa, il litorale del Médoc non assomigliava per niente a quello di oggi. Era un paese di lande, di paludi e di pastori di pecore. Le dune non erano ancora fissate e non c’era la foresta industriale che ricopre tutto come oggi. La gente era povera da non crederci. Quando si vedeva nel lontano una nave sul Mare Grande, era come un giorno di festa. Allora, i pastori abbandonavano le loro greggi per catturare cavalli selvaggi e vacche marine che campavano in libertà nelle paludi del litorale; ma soprattutto vacche marine perche sono più docili. Poi, la notte, si faceva passeggiare le vacche marine nelle dune mobili con fanali attaccati alle corna per ingannare la nave e farla arenarsi. Poi, ci voleva ancora affrontare le onde ghiacciate per impadronirsi della merce e privare l’equipaggio e i passeggeri di assolutamente tutto e anche delle loro mutande tanto la gente del Médoc era povera. Poi, ai tempi di Napoleone il Piccolo, si è deciso che ci voleva fissare le dune, bonificare le paludi e trasformare tutte le immense lande in pinete di pini marittimi perché la via del progresso era la colofonia e non certamente il pastoralismo praticato dagli abitanti selvaggi di quei territori confinati nell’Oceano. E ci fu la guerra. I pastori che bruciavano i loro magri pascoli per rigenerarli erano il nemico. Ma cosa potevano fare i pastori contro l’industria del legno? Assolutamente niente. Si sono ribellati, hanno bruciato qualche pineta, sono andati in carcere e alla fine i pastori si sono rassegnati a fare i resinai e a cambiare una miseria per un’altra. E cosa potevano fare i cavalli selvaggi e le vacche marine quando si è cominciato a piantare le loro dune e a bonificare le loro paludi e le loro lande per piantare le pinete e che gli animali furono accusati di calpestare e di mangiare le piantine di pino marittimo? Assolutamente niente. I cavalli selvaggi e le vacche marine erano il nemico. Allora gli animali furono cacciati e massacrati fino all’ultima vacca che sarebbe stata uccisa dopo la seconda guerra mondiale allo stesso periodo in cui si estingueva definitivamente la civiltà pastorale del Médoc. Guardo la vacca marina che sta mangiando con appetito foglie di sambuco nella palude e mi dico che questa vacca è davvero un miracolo perché è la discendente di una piccola mandria che è stata ritrovata per caso, alla fine degli anni 1980, sul confine tra il dipartimento della Gironda e quello delle Landes. La vacca si è accorta della mia presenza e, dopo un momento di esitazione, lascia il suo banchetto di foglie di sambuco e richiede le mie carezze. Devo sentire l’odore dell’Oceano. Sono tutto commosso.

Un anno nel mio Médoc: Maggio.

Il mercato di Blaye si svolge il mercoledi mattina ai piedi della cittadella. Allora, quando ne abbiamo l’opportunità, facciamo gli americani e ci si andiamo con il traghetto che parte da Lamarque. Ci fa una crociera sull’estuario per qualche euro. L’impressione di andare in vacanza all’estero. Talvolta prepariamo un picnic per pranzare sui prati della cittadella e talvolta siamo troppo pigri e compriamo tutto al mercato o in una panetteria sul molo di Blaye. Sul mercato ci sono produttori locali di asparagi e di fragole che sono due grandi specialità dell’estuario della Gironda. Il mese prossimo, ci saranno probabilmente ragazzi che andranno sul mercato per farsi un po’ di soldi vendendo delle esquire (piccoli gamberi bianchi cotti in un brodo con dell’anice stellato o del finocchio) che loro avranno pescato nell’estuario. E queste esquire ti faranno come un raggio di sole in bocca ricordandoti quando andavi dai nonni e che il nonno te ne comprava un pieno cornetto di carta da giornale per la tua merenda. Dopo la spesa, è tempo di andare a fare il picnic sui prati della cittadella entrando, non come lo fanno i turisti dalla porta Dauphine, ma dalla porta del Re perché abbiamo la nostra fierezza. Dopo il pranzo, è tempo di vagare tra l’antico castello dei Rudel e i valli; di andare fino al convento dei Minimi per vedere la mostra che si è già vista qualche mese fa a Bordeaux; di ammirare i fichi e le monarde che crescono sui baluardi; di immaginarsi com’era la vita dei soldati ai tempi di Napoleone quando le navi inglesi bombardavano la cittadella; di guardare pieno d’orgoglio l’estuario della Gironde e le sue isole; di ricordarsi dell’anno scorso all’isola Senza-Pane. Poi, è sempre la stessa storia. A forza di guardare l’estuario e la penisola del Médoc sull’altra riva, ti viene una nostalgia come se tu avessi lasciato questa fottuta palude che è il Médoc da un secolo….

Tre segnali della mia decrepitezza!

1/ Vado da mia madre non mi ricordo perché (gia!). Quando arrivo c’è mio fratello e lui sta parlando con un tizio davanti a casa. Li vedo scambiare tre parole veloci e mio fratello fa un movimento di testa verso di me prima di andarsene. Il tizio si avvicina. Buongiorno, lui dice, Sono agente immobiliare e SUO FIGLIO mi ha detto che forse lei conosce dei vicini che vorrebbero vendere la loro casa? Riesco appena a balbettare due parole tanto il tizio mi ha soffiato un polmone con il “suo figlio”. Lui deve pensare che soffro di senilità e mi abbandona sul marciapiede per andare a bussare dal vicino. Sono tanto traumatizzato che faccio una sciocchezza mostruosa e racconto l’aneddoto a mia madre che si mette a prendermi in giro. Qualche giorno dopo, incontro mio fratello e lui mi saluta ridendo con un sonoro: “Ciao Babbo!” Mia fottuta madre e la sua lingua di vipera! E dire che ho solo un anno di differenza con mio fratello! Sono in inferno.

2/ Qualche giorno dopo. Sono sul molo di Blaye e sto aspetttando il traghetto per tornare a casa. C’è un’ora prima la partenza quindi mi siedo su un banco davanti al bocciodromo. Un giocatore di bocce, uno di quelli che hanno bisogno di un magnete attaccato a un pezzo di corda per raccogliere le bocce, mi interpella: Ciao JEAN-CLAUDE! Ma cosa fai seduto su questo banco che le partite stanno per iniziare. Vai a cercare le tue bocce, Jean-Claude! Fottuto fannullone di Jean-Claude! Sempre lo stesso comico!…ecc. Caspita, penso, non ho comunque una testa a chiamarmi Jean-Claude, no? Ma veramente ci sono ancora dei Jean-Claude in Francia nel 2018? Non ho mai conosciuto di Jean-Claude, io! Ma questo nome era già fuori moda ai tempi dei miei nonni e mia madre mi avrebbe dato questo nome ridicolo! Buongiorno signor, dico, lei sbaglia non mi chiamo Jean-Claude, non sono uno suo amico delle bocce, sto semplicemente aspettando il traghetto per tornare a casa sull’altra sponda. Il problema è che il tizio non mi crede affatto: “Smettila di dire stronzate Jean-Claude e vai a cercare le tue bocce che giochiamo insieme oggi!” Quasi lui si mette a gridare e presto tutti i giocatori di bocce mi accerchiano e tentano di convincermi che sono questo fottuto Jean-Claude. Sono in un manicomio.

3/ Ancora qualche giorno dopo, la domenica, vado a pranzare da mia madre e c’è mio fratello e la sua fottuta famiglia. Per fare l’interessante, racconto alle sue figlie che il mio gatto ha preso l’abitudine di dormire sulla Freebox (il media center del provider francese Free) probabilmente per cercare un po’ di calore. Ma io non dico Media center o qualsiasi equivalente italiano che usate per designare il fottuto coso, ma uso della parola DECODEUR. Apriti cielo! Tutti si mettono a ridere a crepapelle e anche mia madre perché ho detto décodeur! Ma cos’è un décodeur, zio? chiede una delle mocciose di mio fratello. La scatola che permette di ricevere la televisione e internet, rispondo irritato. Ma zio, non è un décodeur, è una BOX! esclama l’altra. E mio fratello che si mette a fare il Cicerone: Signorine miei, il décodeur era un dispositivo per guardare la rete televisiva Canal plus negli anni 1980 e il vostro cretino di zio è ancora intrappolato nel secolo precedente. Sono linguisticamente un disastro.

Canzone: L’amor de lonh.

A qualche chilometro da casa mia, sull’altra sponda dell’estuario della Gironda, a Blaye, visse nel XII secolo, il trovatore Jaufré Rudel; d’altronde potete vedere le vestigia del castello dei Rudel dentro la Cittadella di Blaye. Cosa sappiamo di preciso a proposito di Jaufré Rudel? Solo due o tre cose. Era principe di Blaye (capite Sire), egli compose dei versi nella lingua dei trovatori e si imbarcò per la crociata del 1147 e morì oltremare. Storicamente è tutto. Ah no, scusate,  non è tutto perché Jaufré Rudel è meno conosciuto per le sue sei canzoni che ci sono pervenute che per la sua inverosimile avventura romanesca che ha ispirato, diciamolo, tutta la poesia e il romanticismo dei secoli seguenti fino al vostro poeta Giosuè Carducci che ha scritto della tragica avventura del principe di Blaye. Questa avventura non la troviamo nelle sei canzoni di Jaufré Rudel dove lui ci racconta anzi i suoi tormenti di dovere lasciare la moglie per andare in Terra Santa, ma in una piccola notizia biografica scritta quasi un secolo dopo la morte di Jaufré Rudel e dove l’autore ci dice che Jaufré Rudel di Blaye era diventato innamorato della contessa di Tripoli solo sulla sua reputazione, che lui si imbarcò per la Siria per vederla, che si ammalò in mare e che il povero girondino arrivò a Tripoli per morire tra le braccia della contessa e che lei si fece monaca il giorno stesso. Nelle sei canzoni di Jaufré Rudel ce ne una che si chiama: L’amor de lonh e che è all’origine di questa finzione biografica. La canzone non dice che Jaufré Rudel non conosce la ragazza di cui lui ci sta parlando. E la canzone è quella di un amor non corrisposto tra il trovatore e una ragazza che potrebbe anche essere di Blaye. Tutto qui. Ma senza l’immaginazione romanesca del biografo che ci ha visto una storia d’amore di lontano tra Jaufré Rudel e una contessa di Tripoli e soprattutto senza tutti questi poeti che ci hanno creduto, i bellissimi versi di Jaufré Rudel sarebbero caduti nel dimenticatoio. Sotto, la cantante Jacmelina che interpreta due strofe della canzone Amor de lonh:

Lanquan li jorn son lonc en may

M’es belhs dous chans d’auzelhs de lonh,

Et quan mi suy partitz de lay

Remembra’m d’un’ amor de lonh :

Vau de talan embroncx e clis

Si que chans ni flors d’albespis

Non’m platz plus que l’yverns gelatz.

[Allor che i giorni sono lunghi a maggio,

mi piace il dolce canto degli uccelli di lontano,

e quando mi sono partito di là

mi ricordo di un amor lontano.

Vado per il desiderio imbronciato e a capo chino,

così che né canto né fior di biancospino

mi giovano più dell’inverno gelato.]

Jamais d’amor non’m jauziray

Si non’m jau d’est’ amor de lonh,

Que gensor ni melhor non sai

Ves nulha part, ni pres ni lonh :

Tant es sos pretz verais e fis

Que lay el reng dels Sarrazis

Fos hieu par lieys chaitius clamatz !

[Mai d’amore io godrò

se non godo di questo amor lontano,

perché non conosco (donna) più nobile e buona

in nessun luogo, vicino o lontano;

tanto è il suo pregio verace e fino

che là, nel regno dei Saraceni,

fossi io per lei tenuto prigioniero!]