Dove un pellegrino di Compostela fantastica su due ragazze diaboliche e il loro gatto rosso che lo trascinano nella lussuria.

Farai un vers, pos mi sonelh, e’m vauc e m’estauc al solelh; donnas i a de mal conselh, e sai dir cals: cellas c’amor de chevaler tornon a mals.

Farò un canto, poiché sonnecchio e cammino e sosto al sole; ci sono donne sconsiderate ed io so dire quali: quelle che amor di cavaliere tengono a male.

Donna non fai pechat mortatau que ama chevaler leau; mas s’ama monge o clergau non a raizo: per dreg la deuria hom cremar ab un tezo.

Donna non fa peccato mortale se ama cavalier leale; ma se ama monaco o chierico senza ragione la si dovrebbe bruciare con un tizzone.

En Alvernhe, part Lemozi, m’en aniei totz sols a tapi: trobei la moiller d’En Guari e d’En Bernart; saluderon mi sinplamentz, per Saint Launart.

In Alvergna, oltre il Limosino, me ne andavo da solo, pellegrino, trovai la moglie di Don Guarino e Don Bernardo mi salutarono con modestia, per san Leonardo!

La una’m diz en son lati: »0, Deus vos salf, don peleri! Mout mi senblatz de bel aizi, mon escient; mas trop vezem anar pel mon de folla gent.«

Una mi dice nel suo linguaggio: “Dio vi aiuti, signor viandante! Mi sembrate molto per bene a prima vista, ma assai ne vediamo andare per il mondo di folle gente.”

Ar auziretz qu’ai respondut: anc no li diz ni bat ni but, ni fer ni fust no ai mentagut, mas sol aitan: »Babariol, babariol, babarian.«

Ora sentite cosa ho risposto: non le dissi né ai né bai, ferro o bastone non menzionai, ma solo questo: “Babariol, babariol, babarian”

»Sor«, diz N’Agnes a N’Ermessen, »trobat avem que’anam queren! Sor, per amor Deu l’alberguem, que ben es mutz, e ja per lui nostre conselh non er saubutz.«

“Sorella” disse Agnese ad Ermessenda “abbiam trovato quel che cercavamo!” “Sorella, per amor di Dio, ospitiamolo che è proprio muto, da lui i nostri propositi non saran rivelati”.

La una’m près sotz son mantel et mes m’en sa cambra, el fornel; sapchatz qu’a mi fo bon e bel, e’l focs fo bos, et eu calfei me volenter als gros carbos.

Una mi prese sotto il mantello, e mi condusse in camera, al fornello; sappiate che fu buono e bello e il fuoco giusto; ai gran carboni io mi scaldai di gusto.

A manjar mi deron capos, e sapchatz aig i mais de dos; et no’i ac cog ni cogastros, mas sol nos tres; e’I pans fo blancs e’I vins fo bos e’I pebr’espes.

Da mangiare mi diedero capponi sappiate che erano un bel po’ non c’erano né sguattero né cuoco, solo noi tre; il pane era bianco, il vino buono, il pepe spesso.

»Sor, s’aquest hom es enginhos e laissa lo parlar per nos, nos aportem nostre gat ros de mantenent, quel farà parlar az estros, si de re’nz ment.«

“Sorella, quest’uomo è un gran furbone ha smesso di parlar per causa nostra portiamo il nostro gatto rosso mantinente lo farà parlare espresso se lui mente.

N’Agnes anet per l’enoios: et fo granz et ac loncz guinhos; et eu, can lo vi entre nos, aig n’espavent, qu’a pauc no’n perdei la valor e l’ardiment.

Agnese va a prendere il gattone: era grosso e con lunghi baffoni: io, quando fu fra noi, n’ebbi spavento, per poco non persi i sensi e l’ardimento.

Quant aguem begut e manjat, e’m despoillei per lor grat; detras m’aporteron lo chat mal e félon: la una’l tira del costat tro al talon.

Quando avemmo bevuto e mangiato mi spogliai come a lor piacque, sulla schiena mi mettono il gatto cattivo e fellone; una lo tira dal costato fino al tallone.

Per la coa de mantenen tir’el chat, el escoisen; plajas mi feron mais de cen aquella ves; mas eu no’m mogra ges enguers qui m’aucizes.

Per la coda, tutto a un tratto tira il gatto e quello graffia ne ebbi più di cento piaghe quella volta; ma non mi sarei mosso neanche morto.

»Sor« diz N’Agnes a N’Ermessen, »mutz es, que ben es conoissen.« »Sor, del bainh nos apaireillem e del sojorn.« Ueit jorn ez ancar mais estei az aquel torn.

“Sorella, disse Agnese ad Ermessenda, è proprio muto, mi pare evidente” “Sorella al bagno prepariamoci e al soggiorno!”Otto giorni e ancor di più restai in quei dintorni.

Tant las fotei com auziretz: cent et quatre-vinz et ueit vetz, que a pauc no i rompei mos corretz e mos arnes; e no’us puesc dir los malavegz, tan gran m’en près.

Tanto io le scopai come udirete: centoottantotto volte, per poco non mi ruppi la correggia e anche l’arnese; non vi posso dire il male che mi prese.

Monet, tu m’iras al mati, mo vers portares el borssi, dreg al la molher d’En Guari e d’En Bernât: e diguas lor que per m’amor aucizo’l cat.

Monet, tu andrai al mattino coi miei versi e un borsellino; dì alla moglie di Guarino e di Bernardo che uccidano il gatto per mio riguardo.
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Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1137), Farai un vers, pos mi sonelh (traduzione italiana di Paolo Canettieri)

2 thoughts on “Dove un pellegrino di Compostela fantastica su due ragazze diaboliche e il loro gatto rosso che lo trascinano nella lussuria.

  1. Già ti posso dire che il tuo Boccaccio ha ripreso il tema di questa canzone del nonno di Eleonora d’Aquitania nella novella Masetto da lamporecchio (terza giornata del Decamerone). 😉 Rispondere alla domanda sulla lingua è assai complessa. Diciamo grossomodo la varietà dell’occitano del XI secolo che era parlato in Aquitania nella zona Poitou, Périgord, Limousin.

    Buona domenica mia cara Monica,

    Alex

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