Aquitania: Sant’Eutropio ed io!

Sant’Eutropio è un santo divertente perché la popolarità del suo culto è legato a un gioco di parole tra Eutropio e storpio (estropié in francese). Sant’Eutropio è pregato dagli storpi e gli zoppi o semplicemente quelli che hanno mal ai piedi o alle gambe. Innumerevole le chiese e le fontane guaritrici dedicate a Sant’Eutropio attraverso tutta l’Aquitania, anche perché siamo sul cammino di Compostela. La tomba di Sant’Eutropio si trova nella cripta della basilica di Sant’Eutropio a Saintes nel dipartimento della Charente-marittima. Il teschio è conservato in un reliquiario al piano superiore, davanti all’altare. Ora, vi  racconto la storia di Sant’Eutropio e se avete il coraggio di leggerla fino alla fine, saprete perché Sant’Eutropio è invocato anche contro il male di testa! 😉

 

Sant’Eutropio di Saintes era il rampollo del Re della Persia e dell’antica Babilonia. Un divino infante si vantavano i genitori, ma sapete come sono i genitori a sempre rompere con i loro bambini che sono sempre i più belli e i più bravi. Comunque il padre esagerava davvero alla grande raccontando che il piccolo Eutropio spingeva quasi al suicidio tutti i più grandi precettori del reame. Figuratevi che dopo appena qualche lezione di matematica, di medicina, d’astronomia, di filosofia….l’allievo Eutropio ne sapeva più dei maestri che avevano studiato tutta una vita. Stessa cosa per le lingue, appena Eutropio sentiva una lingua straniera che lui si metteva a parlare il gergo e anche i più foschi borborigmi non avevano misteri per lui. Pensate un po’ che, secondo il suo Re di padre, Eutropio a tre anni parlava già tutte le lingue della Mesopotamia! Non solo Eutropio aveva il cervello di un Einstein antico, ma era anche la più bella persona della terra, il più grande sportivo del Mondo e il più grande guerriero. Dimenticate Alessandro Magno perché bastava al Re di pronunciare il nome Eutropio e i reami nemici deponevano le armi e si sottomettevano. Simpatico, affabile, generoso. Eutropio faceva l’ammirazione di tutti i soggetti della Persia e dell’antica Babilonia che lo idolatravano. Insomma come si dice in francese: Eutropio era il genero ideale. Ma le cose non erano semplici per il nostro Einstein-Rambo-Zidane-Pitt mesopotamico. Eutropio si faceva, come nel film dei Monty Python, delle domande sul senso della vita, su qual era l’origine dell’uomo, il suo destino…ecc. E le opere astruse dei grandi filosofi non rispondevano alle sue domande anzi. Dunque Eutropio si decide di fare una road trip per cercare presso i popoli più arretrati della Terra qualche briciola di questo sapere primitivo che sarebbe stato travisato dalla filosofia persiana moderna. Il padre consente pensando che si tratta di una crisi di adolescenza tardiva da parte d’Eutropio. Eutropio si mettte dunque a viaggiare e il suo periplo lo conduce fino al far west del reame, in una regione  balneare particolarmente arretrata chiamata Galilea dove vive il temuto popolo ebreo. Gli ebrei hanno costumi tanto depravati e dissoluti nei confronti dei civilizzatissimi mesopotamici che, Eutropio, discendente pure di Sardanapalo, invitato alla Corte del governatore della regione, un certo Erode Antipa, si spaventa e scappa e, completamente traumatizzato, si mette a vagare da paesello a paesello attraverso tutta la Galilea fino a incontrare una specie di rabbino-stregone che lo ammaglia. Eutropio segue le sue predicazioni. Il rabbino-stregone lancia degli anatemi contro l’orgoglio umano, contro i ricchi; fa miracoli, parla di ricompense eterne, di amarsi gli uni gli altri. Insomma Eutropio si lascia sedurre da tutti quei precetti hippie e diventa fan del carismatico rabbino-stregone e lo venera da lontano. Poi, un giorno i soldi sono finiti ed Eutropio deve tornare presso suo padre, il Re della Persia e dell’antica Babilonia. Il padre si lamenta davanti a quello che è diventato Eutropio. Il povero è stato tanto soggiogato dal rabbino-stregone, dai suoi insegnamenti, dai suoi trucchetti di magia che ne è completamente fissato e non parla di altre cose dalla mattina alla sera. Fa dei capricci presso il padre, gli chiede di tornare in Galilea, diventa nevrastenico, minaccia il suicidio. Immaginate un po’ la disperazione del padre che ha lasciato partire il Principe dei filosofi e che si ritrova con questo “coso”. E cosa poteva fare di altro, il Re della Persia e dell’antica Babilonia, che amava suo  figlio alla follia? Cede ai grilli del figlio e lo lascia tornare in Israele. Sul cammino verso la Galilea, Eutropio viene a sapere che il rabbino-stregone ha lasciato la provincia per recarsi a Gerusalemme. Eutropio si dirige verso la capitale e la raggiunge per le feste di Pasqua e si mischia e urla con gli altri fan agitando delle palme sul passaggio del rabbino-stregone. E poi, colmo della felicità, Eutropio è presentato al rabbino da un amico comune, un certo Filippo. Dunque Eutropio riparte in fretta verso il suo reame per annunciare che Israele ha un nuovo Re e convincere il padre che loro devono essere i primi a fare il viaggio per congratularlo. Pensate un po’ come il Re della Persia e dell’antica Babilonia era pronto ad andare a inchinarsi davanti a un pastore ebreo! Ma comunque, il Re è debole e cede di nuovo ai capricci del figlio. Mentre la delegazione reale persiana si prepara, un messaggio arriva che annuncia la morte del nuovo Re d’Israele. Eutropio cade in una profonda depressione. Il Re si dispera a causa del suo ingrato di figlio. Poi, un secondo messaggio è ricevuto qualche mese dopo e questa volta si annuncia che il rabbino-stregone è risuscitato e salito in Paradiso. Il Re della Persia e dell’antica Babilonia non ci capisce niente a questa storia di giardino e a tutte queste baggianate, ma comunque Eutropio sta meglio e si mette a incalzare suo padre per farsi battezzare dall’amico Filippo o da un altro che si chiama Taddeo, compagni incontrati da Eutropio ai tempi del Grand Tour in Galilea e, ora, rappresentati dal rabbino-stregone per la Mesopotamia. La nuova religione si sviluppa, ma i trasporti no, e ci vorrà probabilmente un secolo prima che la coppia Filippo-Taddeo possa raggiungere Babilonia. Passano le settimane, i mesi, gli anni. Un giorno, il Re riceve una lettera del suo generale che guerreggia contro gli indiani sul confine del reame. E dunque questo generale invece di vantarsi di aver vinto da solo la guerra, annuncia che l’esercito persiano ha vinto gli indiani grazie all’intercessione della coppia Filippo-Taddeo in vacanza nella regione. E che ne hanno approfittato per battezzare tutto l’esercito del Re della Persia e dell’antica Babilonia. Ora, il generale propone di riportare i due tizi a Babilonia. Perché no?, si chiede il Re, almeno Eutropio potrà farsi battezzare e non mi scoccerà più con questo capriccio. Povero Re della Persia e dell’antica Babilonia, succede quello che deve succedere e Eutropio rinuncia a diventare Re e scappa con la coppia Filippo-Taddeo. Dunque Eutropio – che non è più un ragazzo credetemi – si decide di partire per Roma e mettersi al servizio di un certo Pietro che fa finta di accoglierlo in eroe. Perché sapete Eutropio tutto figlio del Re il più potente della Terra, ne resta comunque un iracheno. Va bene, questo Pietro riesce a galvanizzare il nostro Eutropio e, per sbarazzarne,  lo convince di andare in missione suicida a evangelizzare le Gallie. Dunque Eutropio parte per la Saintonge e la sua capitale Mediolanum Santonum (Saintes, oggi) convertire la feroce tribù dei santoni, il peggio focolaio d’idolatria di tutte le Gallie. Pensate un po’ che i fieri santoni non vogliono aver a che fare con Eutropio e le sue favole. Non vogliono assolutamente rinunciare ai loro Dei. Eutropio che è ormai un vecchietto e non più il divino infante del Re della Persia e dell’antica Babilonia si fa picchiare di santa ragione. Una batosta terribile. Poi il tizi è gettato dall’alto delle muraglie. Non si sa come l’iracheno riesce a sopravvivere, ma comunque, nonostante le sue ferite, Eutropio si trascina in una foresta e si costruisce una specie di capanna. Quando pensate che il tizio è il figlio del Re della Persia e dell’antica Babilonia ed essere ridotto così tutto all’ovest della Terra!. Il tizio comunque non manca di coraggio o di follia e non rinuncia alla sua missione suicida e, ogni sera, di nascosto entra in città per celebrare i santi misteri e cacciare i demoni. Eutropio converte a malapena due o tre  barbari, poi torna a Roma per chiedere aiuto. Dunque il nostro Eutropio incontra un certo Clemente che ha sostituito l’altro, Pietro, e, per dargli un po’ di autorità, quel Clemente lo sacra vescovo di questa città pagana di Mediolanum Santonum. La cosa più buffa è che durante l’assenza di Eutropio, un sacco di santoni, colpiti dal soffio divino, si sono fatti battezzare (a me non sorprende, tanto sono strani gli abitanti della Charente!). Poi succede un’altra cosa ancora più buffa, il vecchio Eutropio perde la testa per la figlia del Re dei santoni, una certa Eustelle. E anche lei si innamora del vecchio iracheno. Un po’ come nei vecchi western dove il nonno John Wayne seduce tutte le ragazzine. Dunque i due si rifiugono nella capanna nella foresta per vivere il loro amore. E pregano, pregano per la conversione dei santoni. Soprattutto che il Re è furioso che la figlia abbia abbandonato il culto dei Dei e che, ora, vuole fare la pelle a Eutropio e alla sua sgualdrina. Una notte, un rumore si fa sentire. Sono i santoni che hanno scoperto la tana d’Eutropio. Il figlio del Re della Persia e dell’antica Babilonia è catturato. Appena il tempo di chiedere grazia al suo Dio per i suoi boia, che è colpito al collo da un colpo di ascia. Il secondo colpo lo decapita per l’immensa soddisfazione dei Re dei santoni. Il corpo è abbandonato poi ricuperato e deposto dai suoi discepoli in un sarcofago riempito di terra come si faceva allora. Presto un secondo sarcofago lo raggiunge, è quello di Eustelle. Nella capanna i due sarcofagi fanno l’oggetto di un culto con il passare degli anni. Poi i resti sono disposti in un reliquiario e sopra il reliquiario ci si costruisce una chiesa, la prima chiesa delle Gallie. Passano i secoli. Durante le guerre di religione, i cattolici hanno paura che i calvinisti si impadroniscono dei resti d’Eutropio. Dunque le ossa sono inviate a Vendôme e il teschio a Bordeaux. Pensate un po’ come a Bordeaux vogliono rendere il teschio d’Eutropio dopo le guerre di religione. Il teschio d’Eutropio era una fonte di reddito per la città di Bordeaux con tutti quei pellegrini pronti a spendere per vederlo. La nostra Gioconda insomma. Poi, finalmente la città di Saintes ricupera il teschio. Soltanto nel 1843, si scopre la cripta sotto la chiesta Sant-Eutropio con dentro il sarcofago d’Eutropio….

 

Bacino di Arcachon: La Duna del Pilat.

La Duna Bianca

Una volta, nessuno mi conosceva. Partoriente

Giacente sul fondo dell’Oceano tale un’isola inghiottita,

Il mio grande grembo di sabbia riparava a migliaia

Pesci impauriti dalle brusche mandibole focene.

 

Però, ogni volta, che verso la terra una tempesta faceva derivare

Le onde pesanti, la mia groppa prosperava

Di venti bracci; e un giorno i pescatori di Boïos

Mi videro sorgere scricchiolando alla superficie delle acque stanche.

 

E sempre verso il cielo, mi ergevo, lunga e larga,

E accecante di bianchezza sempre.

Irosa mentre accosto alla riva,

Per sfondarmi, da ogni lato,

L’Oceano mi colpisce.

 

Sforzi inutili: dolcemente traccio il mio cammino,

Alzando la testa sopra il vento marino.

E maestra dell’Abisso che piove, intorno a me,

i suoi vortici di schiuma. Tocco le sponde del Moulleau.

 

Dopo duecento anni di battaglia amara,

Ho visto morire Boios, e nella sua grande conca chiara,

Sentito i gridi guerrieri dei Vandali incendiari,

E la preghiera di cento poveri pescatori,

 

Salvati da Nostra Dama, una sera di temporale.

Alcuni secoli più tardi, un Grand’uomo nasceva

Che con il pino robusto e la canna gracile

Volle intralciare i miei balzi di gigante.

 

Delle dune, mie sorelle, che conquistavano il Paese.

Ed ecco che i pini e le canne si radicavano

Dentro le nostre viscere: E mi addormentai come le mie sorelle

Sotto le ombre di un bosco prodigioso.

 

Però una bella mattina d’estate, un ronzio,

Gioioso e continuo, si sentì e mi risvegliò.

E, chiedendo cos’era al bosco pinoso

Gli alberi mi risposero: “È il canto delle cicale”.

 

Vedendomi in mezzo a tanta ombra e a tanti  canti,

Allora gridai: “Dolcemente! O pinete giganti!

Perché non sta a voi di ombreggiare la mia vecchia groppa,

Ma sono io che devo ombreggiare le vostre giovane chiome!

 

“Dolcemente! perché non voglio perdere il mio nome di Duna Bianca!

Non voglio vedere su di me né erbe né rami.

Per la mia bellezza, ho bisogno soltanto di sole, e niente altro che il sole!”

E tornai a ergere la mia sabbia verso l’azzurro,

 

Tanto alto che oggi stesso, alla mia cima potete vedere

Alcune chiome di pini come cappelli spettinati.

E che presto  inghiottirò: Ed esse rivedranno la luce

Che quando tutti i miei grani saranno polvere che vola.

 

Traduzione grossolana e approssimativa da me di una poesia, la Ròca Blanca, di Emilien Barreyre. Nato ad Arès nel 1883, Barreyre è il poeta del mare e della vita vissuta dai marinai del Bacino di Arcachon. Pescatore e figlio di un pescatore. Nessuno ha saputo come lui cantare l’oceano guascone, le sue sponde, la sua gente. Spinto da un povertà estrema, Barreyre lascerà il il suo caro Bacino di Arcachon nel 1930 e si stabilirà nella periferia parigina e, dopo alcuni anni a fare l’operaio la giornata e a scrivere poesie la notte, ci morirà nel 1944, senza mai aver potuto tornare nella sua terra natia.

 

 

 

 

 

 

Médoc: La pesca ai fagiani.

All’apertura della caccia, in settembre, il Médoc si trasforma in zona di guerra con tutta questa gente che si veste da Rambo per sparare agli uccelli piccoli e grandi. Ovunque vedrete fagiani andare a zonzo attraverso campi e boschi e qualche volta anche in città. Poverine vittime espiatorie additate alla frustrazione di cacciatori di serie Z che sono incapaci di rivaleggiare con l’intelligenza di un tordo o di una beccaccia. Pensate bene che il fagiano non è un uccello del Sudovest. Sono uccelli di allevamento che sono forniti dalle società di caccia private ai loro membri. Il fagiano è una gallina. Ogni settimana, ovunque nel Médoc, sono rilasciati, nell’ambiente, centinaia di quei bellissimi uccelli che, al massimo, svolazzano maldestramente e che sono tanto abituato all’uomo che, invece di scappare, si precipitano verso i cacciatori pensando che è l’ora del pasto. Allora, i cacciatori chiedono ai loro cani di spaventare le galline ai loro piedi per farle svolazzare o correre un po’ prima di spararle. I cani di malumore, tanto la cosa è ripugnante, lo fanno e si vergognano. E il cacciatore di galline può tornare a casa, fiero, con i suoi due o tre fagiani comprati alla società di caccia. Le rimesse in libertà sono così numerose, che i cacciatori non riescono a uccidere tutti i fagiani e sono quegli uccelli miracolati che incontrate per caso nei campi, nei boschi comunali e qualche volta anche nel mio giardino. La vecchia osserva qualcosa nel fiume di scorrimento – completamente a secco in questa stagione -, scavato su tutta la lunghezza del prato dietro casa sua. E io curioso come una vecchia gazza non posso impedirmi ad avvicinarmi. Quattro fagiani stanno là e non hanno l’idea di uscirne, di saltare il recinto e di scappare nel prato. Si sente già le campane dei cani e i cacciatori usciranno presto dalla pineta. La vecchia non perde tempo e corre a casa sua e torna con un secchiello di granturco e una rete da pesca o un pezzo di pante*. La vecchia si mette tranquillamente a chiamare i fagiani e a lanciare essi del granturco (come lei deve fare ogni giorni alle sue galline). I cacciatori ci hanno raggiunti e cominciano a litigare con la vecchia, che lei deve si spostare affine che loro possano sparare ai fagiani, che sono a loro e che li hanno pagati alla società di caccia. La vecchia si mette a urlare, che non si sposterà mai di davanti ai fagiani e di chiedere loro che razza di cacciatori sono per sparare a delle povere bestiole così, che sono la vergogna di tutti i cacciatori del paese, che il prato e il bosco le appartengono e che se loro non se la danno a gamba, lei chiama i carabinieri. I cacciatori non sanno cosa rispondere e tacciono. La vecchia è soddisfatta. Lei pone il secchiello a terra, prende la rete da pesca e la lancia sui fagiani. Come il piccolo sarto tranne che non sono mosche e  che non sono sette, ma quattro fagiani pescati in un colpo in un fossato a secco del Médoc. I fagiani si dibattono, ma la vecchia, indifferente, fa presto a confezionare un fagotto con la rete da pesca, mi saluta, e riparte verso casa sua con il secchiello in una mano e la sua pesca saltellante dall’altra. I cacciatori sono sbigottiti e non capiscono cosa è successo loro. Io quasi mi piscio addosso a osservare la loro disfatta. Qualche giorno dopo, incontro la vecchia landese e le chiedo se i fagiani sono felici nel suo pollaio. Hai visto, lei chiede, quei fulmini di guerra di cacciatori da strapazzo che volevano rubarmi i fagiani? E lei ha fatto bene di intervenire, dico, preso da un brutto presentimento conoscendo un po’ la signora. Ma i fagiani? insisto. Niente, avevo gente a pranzo domenica e hanno finito in pentola. Non erano grossi, una volta spennati, ma ti assicuro che li ho cucinati bene senza piombo!….

*pante: rete tradizionale che si usava una volta per la caccia alla palomba.

Francia: rumor del cazzo!

Settembre. Zizi è il nome francese di un discreto uccello (zigolo nero), di una cantante (Zizi Jeanmaire), ma soprattutto è il nome infantile che i bambini francesi danno al cazzo. “Lo Zizi” è anche una famosa canzone degli anni 1970 di Pierre Perret che tutti i francesi conoscono e che è anche studiata a scuola tanto la lingua di Pierre Perret è deliziosamente tosta. La canzone racconta un corso sullo zizi a scuola dove “un’insegnante molto simpatica ce ne spiega la meccanica”. Per esempio: lei ha visto quello di un prete con il suo piccolo cappello viola, in piena ascensione, fare una genuflessione; quello di un sarto ebreo che lo usava per misurare il tessuto; che quello di suo marito è molto utile in pasticceria; che quello del camionista si riconosce al grosso collo arrotolato e quello dell’infermiere lampeggia in caso di urgenza. Canzone carinissima….e pericolosissima nella Francia del 2019. Vi racconto la strana vicenda che ha sconvolto il paese Vandeano di Château d’Olonne e vedrete anche come nasce un rumor. Figuratevi che gli abitanti di un palazzo della città Charcot si persuadono che il loro vicino è un pedofilo e propagano la diceria. Un pedofilo di 54 anni vive tra noi. Il rumor s’infiamma e gonfia. Tanto che due vicini, giustizieri da bar sport, decidono di regolare il conto al loro vicino sedicente pedofilo. Tendono un’imboscata all’uomo nelle parti comuni, lo colgono e lo picchiano quasi a morte: diverse fratture, delle coste rotte, un occhio completamente tumefatto. Pensate bene che l’uomo bastonato denuncia i suoi aggressori e tutto finisce al tribunale correzionale. “Ho avuto paura per mia bimba di sei mesi” spiega l’uno degli aggressori ai magistrati della città dei Sables-d’Olonne. Ma perché questo pestaggio? chiede il presidente del tribunale. Allora, cari lettori e care lettrici, ascoltate la risposta incredibile del tizio che sarebbe divertente se la vicenda non fosse drammatica: Lui ascolta Pierre Perret molto forte, la canzone: ” Saprete tutto sullo zizi”, e tutta la gente la sente nel palazzo. Il presidente di ribattere: Lei sa che ascoltare Pierre Perret non fa di qualcuno un pedofilo? Poi una domanda del procuratore della Repubblica: E dove lei ha saputo che il suo vicino è pedofilo? E l’altro, non quello che è allergico alla canzone sullo zizi, il suo complice, trionfante, persuaso di inchiodare il tribunale con un argomento definitivo: ho scopato sua moglie ed è lei che me l’ha detto! Sei mesi di carcere senza condizionali per i due tizi.   

Fonte: Francebleu.fr