La danza del Gran Calumet della Pace.

Accanto alle sue Tragédie lyrique dove ci sono tanti divertimenti, balletti e cori che ritardano e interrompono un intreccio complicato, Jean-Philippe Rameau (1683-1764) ha scritto degli Opéra-ballet e Opéra-héroïque dove gli intrecci sono soltanto dei pretesti per mettere in evidenza e moltiplicare i gruppi coregrafici e vocali. L’Opéra-ballet (o héroïque) più famoso di Jean-Philippe Rameau è Le Indie galanti che fu presentato alla Reggia di Versailles il 22 agosto 1735, con una macchina scenica straordinaria che permetteva degli effetti scenici folgoranti e dei cambiamenti, in un lampo, di decori più lussuosi gli uni dagli altri. Dunque Le Indie galanti sono in realtà quattro “ingressi” (atti) cioè quattro balletti di un atto indipendenti gli uni dagli altri. Il primo balletto si svolge in Turchia, il secondo balletto si svolge in Perù, il terzo in Persia, il quarto nelle colonie francesi dell’America del Nord. Le Indie nel XVIII secolo non sono un luogo geografico preciso, ma designavano tutti questi Paesi lontani dove, nell’immaginario francese, a ogni passo ci si trovava dell’oro e delle avventure romanzesche. Il video sopra è tratto dal quarto balletto intitolato I selvaggi e ha per quadro una foresta esotica – vicino a una colonia francese dell’America del Nord – in cui dovrà si svolgere la cerimonia del Gran Calumet della Pace. Il capo indiano Adario fa atto di sottomissione a due ufficiali stranieri: il francese Damon e lo spagnolo Alvar, tutti e due innamorati di Zima, la figlia di un capo Inca. Zima non vuole né del francese né dello spagnolo e preferisce Adario. l’ufficiale spagnolo vuole vendicarsi, ma il francese lo calma e tutti e due si consolano assistendo alla festa del Gran Calumet della Pace data in loro onore. Pensate un po’ che Le Indie galanti di Rameau  caddero nell’oblio durante due secoli e furono resuscitate da Paul Dukas e Henri Büsser per la ripresa dell’opera all’opera di Parigi nel 1952 e, oggi, a impadronirsi dell’Opéra-Ballet di Rameau ci sono anche danzatori di Krump venuti da Los Angeles…   

ZIMA, ADARIO
Pacifiche foreste
mai un vano desiderio turba qui i nostri cuori.
Se essi sono sensibili
Fortuna, non c’è prezzo per i tuoi favori.


CORO DEI SELVAGGI
Pacifiche foreste
mai un vano desiderio turba qui i nostri cuori.
Se essi sono sensibili
Fortuna, non c’è prezzo per i tuoi favori.


ZIMA, ADARIO
Nei nostri rifugi
grandezza, non venire mai
a offrire le tue false attrattive!
Cielo!, tu li hai fatti
per l’innocenza e per la pace.
Siamo felici nei nostri asili,
siamo felici del bene della tranquillità!
Ah! si può essere felici
quando si desiderano altre cose?

In cui l’autore vi regala una parola bordolese per Natale!

Questa parola è mounaque. Le mounaque in bordolese sono le bambole. All’origine sono le bambole di stoffa o di paglia e per estensione, almeno è così nella mia famiglia, tutto quello che assomiglia da vicino o da lontano a una bambola e dunque tutte le bambole made in Cina tipo Barbie o Disney, i G.I Joe… sono delle mounaque per me. Notate che una mounaque designa anche una persona debole e senza carattere. Quindi se la mia mounaque di fratello, invece di voler fare l’americano e di dirmi che sua figlia voleva  i pogues per Natale, mi avesse semplicemente detto: la drôlesse veut des mounaques de Fornique pour Noël (la marmocchia vuole bambole di Fornica per Natale) avrei capito subito e non avrei perso tutta una giornata a ricercare due mounaque che siano di Fornite o d’altrove! 😉 

 

Il falso amico francese di Natale!

Curiosamente i  francesi non inghirlandano mai gli alberi di Natale perché preferiscono inghirlandare la gente. Il verbo “enguirlander” (inghirlandare) è un verbo transitivo che deriva dall’italiano ghirlanda. Il primo senso del verbo “enguirlander” è esattamente lo stesso del verbo italiano cioè ornare con ghirlande: “enguirlander” un albero, una statua. Poi, per estensione, il verbo si è messo a essere utilizzato nel campo della letteratura: “enguirlander” un discorso cioè ornarlo di figure di stile, “enguirlander” un autore cioè lo ricoprire di complimenti. Lodare. Poi con il passare del tempo “enguirlander” ha preso un senso sempre più negativo: “enguirlander” una persona cioè complimentarla in modo esagerato, ipocritamente. E finalmente è successo quello che doveva succedere, il verbo enguirlander è diventato addirittura un’antifrasi in francese moderno e ha cambiato completamente di senso. Cioè che oggi  “enguirlander” significa: sgridare, rimproverare, insultare, strapazzare, ingiuriare….ecc. Quindi se sentite francesi dire: l’ho inghirlandato o l’ho inghirlandata, li ho inghirlandati, le ho inghirlandate…ecc. Credetemi che c’è zero chance che loro parlano dell’albero di Natale oppure degli addobbi natalizi!!! 😉

 

 

 

 

Il ritorno dei Pogues!

Telefono per l’ennesima volta a mio fratello per i regali di natale dei suoi fottuti figli. Lui per l’ennesima volta tergiversa: Oh no, non lo so. Non ho ancora chiesto. È mia moglie che si occupa di queste cose. Diciamo del denaro così si compreranno quello che vorranno. Per i due grandi sono d’accordo, rispondo, ma per la piccola che ha solo nove anni, la busta con i soldi te la puoi dimenticare. Ma che razza di regalo è? Fuori questione. Mi prendi davvero in giro, fa almeno venticinque volte che ti telefono per i regali. Quasi ti devo supplicare! Ora basta, ti lascio fino a stasera per dirmi cosa vuole la bambina dopo potete tutti andare a quel Paese. La sera, il telefono squilla, è il mio fottuto fratello: ho chiesto a mia moglie e figurati che la bambina vuole i Pogues. Un bianco. Forse mi dico che non ho sentito bene o allora sono entrato in un episodio di The Twilight zone! Mi dici? ti farà ridere, ma ho sentito che la bambina voleva i Pogues! E sì, lui risponde seriamente, proprio i Pogues. Ma, insisto, mi dici che tua figlia di nove anni vuole un disco dei Pogues, è quello che mi stai dicendo? Lui ride. No, i Pogues sono giocatoli di cui i bambini vengono matti in questo momento, Si giocano ai Pogues in tutte le scuole, i bambini li collezionano anche. Vedrai li troverai subito nei supermercati e nei negozi di giocatoli. Basta chierderli. Va bene allora, rispondo, quando vado al supermercato mi fermo per comprare due o tre Pogues. Il dopodomani sono al supermercato nel reparto giocatoli e questi fottuti Pogues non li vedo da nessuna parte già perché non ho nessuna idea di ciò che possono essere come tipo di giocatolo. Quindi chiedo a un impiego appena uscito dall’adolescenza: lei potrebbe indicarmi dove posso trovare i Pogues, è per una bambina di nove anni? Sguardo vitreo e bocca spalancata come se il tizio fosse in presenza di un alieno. Mi dispiace signor, lui risponde, non ho idea di cosa sono i Pogues! Mi informo presso la mia collega. L’adolescente torna con la collega e lei mi dice che i Pogues si trovano nel reparto dedicato alla musica. A quel momento, capisco già che la giornata sarà lunghissima. So chi sono i Pogues, rispondo, ma non cerco il gruppo irlandese, ma giocatoli che si chiamano Pogues di cui la mia nipote viene matta. Noi, risponde la signora, non li abbiamo e non ho mai sentito parlare di giocatoli con questo nome. Lei dovrebbe andare al negozio di giocatoli dall’altro lato della strada, loro sono davvero specializzati. Va bene sospiro, en route verso il negozio di giocatoli. Dunque chiedo di nuovo i Pogues e mi ritrovo davanti agli stessi sguardi vitrei e le stesse bocche spalancate tranne che, in questo negozio, hanno un vecchio che ci lavora da una vita e che conosce tutta la storia dei giocatoli dai tempi dei merovingici. E dunque lui mi dice che i Pogues sono in realtà i Pogs, un gioco popolare negli anni 1990 che si giocava con gettoni di cartone che avevano una faccia decorata. Il tizio mi spiega tutto sul gioco dei Pogs e quasi mi avrebbe proposto una partita se avesse avuto qualche gettone. Forse il gioco è tornato di moda, lui si interroga. Dove vive sua nipote?  Nel dipartimento accanto, vicino alla città di B, rispondo. Allora, è possibile, lui mi afferma, perché in questa zona i bambini devono ancora giocare alle biglie e agli astragali. Dubito e gli dico che la lebbra dei videogiochi ha raggiunto la città di B già da una cinquantina di anni. Dunque il tizio mi dice che posso comprare i pogs su internet e mi dà qualche indirizzo di negozio di giocatoli vintage che potrebbe aver dei Pogs. Mi metto a cercare quei fottuti Pogs attraverso tutto Bordeaux, faccio quattro volte il giro della città e finalmente mi trovo nella bottega di uno spacciatore di vecchi Pogs. Gli racconto tutta la mia odissea che mi ha portato fino a entrare nel suo negozio. Lui ride come un matto e si rifiuta di vendermi i famosi Pogs. E mi pugnala dicendomi che non sono né i Pogues né i Pogs che vuole mia nipote per Natale, ma i Pops! Là, sono quasi da ricoverare al manicomio il più vicino. Sì, sì, proprio i Pops che non sono assolutamente i gettoni di cartone, ma riproduzioni di personaggi in vinile dedicati ai personaggi Disney o Marvel. I bambini dicono Pops, ma il nome ufficiale è Funko Pop. Ma io non li vendo, ci vuole andare in un negozio di giocatoli più moderno. Esco dal negozio completamente stordito e entro in un bar e, probabilmente influenzato da questa storia di Pogues, mi mando qualcosa di più forte di una birra. Ma perché ho voluto fare un vero regalo alla bambina invece di offrirle un piccolo biglietto? mi chiedo durante tutto il tragitto che mi porta a entrare in un nuovo negozio di giocatoli. C’è tutto un reparto dedicato ai Pops: centinaia, migliaia di Pops allineati davanti a me. Telefono a mio fratello e di una voce agonizzante, gli sussurro: ho trovato i Pogues….    

In cucina con Alex: Torta alla cassonade!

Oggi, vi propongo la torta tipica del Nord della Francia cioè la torta allo zucchero oppure la “tarte a chuque” come dicono gli strani abitanti del Nord della Francia nella loro lingua piccarda. Un dolce che vi rinvigorirà certamente visto che “la tarte a chuque” permette ai nostri nordisti francesi di sopravvivere ai loro inverni polari!

Gli ingredienti per 6 persone:

Pasta (brioche):

  • 200 g di farina
  • 2 uova
  • 75 g di burro
  • 2 cucchiai di zucchero in polvere
  • 10 g di lievito di panetteria
  • 3 cucchiai d’acqua tiepida
  • 1 pizzico di sale

Guarnizione:

  • 4 cucchiai di panna acida
  • 4 cucchiai di cassonade (cassonade in francese designa lo zucchero di canna raffinato)

Cominciamo dalla brioche. In una ciotola, Diluite il lievito con l’acqua tiepida (3 cucchiai). Aggiungete lo zucchero, il burro fuso e freddo, le uova, il pizzico di sale. Sbattete bene.

 

Incorporate la farina man mano. Impastate per circa cinque minuti.

Imburrate uno stampo per tourtière di 30 cm (uno stampo per crostata con i bordi più alti). Versate la brioche nello stampo e lasciatela lievitare in un luogo tiepido a 25 gradi per circa due ore. (tipo in inverno nel vostro forno al minimo).

Dopo due ore.

Cospargete la cassonade sulla brioche e al forno a 200 gradi per circa un quarto d’ora.

La brioche è ben dorata.

Versate la panna acida e di nuovo al forno, ma questa volta a 220 gradi per ancora cinque minuti.

Il risultato.

Buon appetito e benvenuto al Nord!

Oceano: Giallo a Lacanau!

Sotto 9 scatti che raccontano un pomeriggio di dicembre in giallo nel Médoc e un racconto dello scatto in giallo mancante.

Qualche metro quadro. Una piccola stanza per fare la cucina scavata nel muro lebbroso della vecchia discoteca e, fuori, raggomitolati davanti all’apertura fatta nel muro stesso, il banco e due tavoli sbilenchi sotto una pensilina divorata dal sale oceanico. Il locale del mercante di churros è aperto tutto l’anno anche per Natale o per il primo gennaio e ti fa, in inverno, come un faro di vederlo rischiarato sul molo deserto. L’uomo dietro il banco se ne frega di mangiare il suo guadagno estivo aprendo in inverno perché quello che gli piace il più al mondo è di stare là a contemplare l’oceano. Un eremita. Giorni, mesi, anni, mezzo secolo a fare friggere churros lo sguardo perso lontano verso Ovest. Sotto il banco, ai piedi del mercante di churros, due cagnoline di caccia senza età, sempre fiatate e moribonde, in guerra eterna con i cani randagi che invadono la cittadina in inverno. L’uomo, fatalista, ha smesso di lamentarsi dei cani erranti presso il municipio, tanto pisciare nell’oceano, lui dice. Il mercante di churros è lunatico e per niente commerciante. Talvolta l’uomo fa finta di non conoscerti anche se lo frequenti da anni; in quei giorni, gli dai tanto fastidio che sembra ti fare quasi un favore di scaldare l’olio per i churros. Talvolta il mercante dimentica l’oceano per un momento, è diventa addirittura prolisso. Un narratore nato. Ti racconta storie di caccia inverosimili, di nuvole di tordi che offuscano il sole sopra le pinete, di stormi di migliaia di anatre sopra lo stagno. Sono storie che si trasmettono nella sua famiglia di generazione in generazione. Lui racconta le sue storie, lanciando briciole di churros ai passeri, come se ne fosse stato protagonista. Fai finta di crederci anche se sai che lui è perpetuamente dietro il suo banco. Una volta, ci sono andato una sera per comprare churros e c’era anche questa vecchia coppia davanti a me. Ho chiacchierato un po’ con la signora che mi ha raccontato di venire ogni mercoledì sera per regalarsi questo piccolo piacere dei churros. Ma che questo mercoledì era speciale perché il marito aveva subito un intervento cardiaco e la prima cosa che lui voleva fare uscendo dall’ospedale, era di andare all’Oceano e di mangiare dei churros. Il mercante non ha detto una parola, ma era commosso. Che cretino! ha esclamato ridendo la vecchia signora. Poi ci siamo accorti parlando che eravamo quasi vicini. Il Médoc è un’isola. Dopo l’estate di due anni fa, ho visto le attrezzature del mercante di churros in strada, poi che c’erano lavori di ristrutturazione, mi sono detto che il tizio aveva finalmente deciso di ammodernare il locale e di lasciare gli anni 1970 per gli anni 2020. I mesi sono passati e niente. Poi, alla fine di quest’estate, ho visto che al posto del banco di churros aveva spuntato une specie di bar a ostriche come si vede ad Arcachon. Ora, in inverno, dopo una giornata a raccogliere funghi nelle pinete o plastica in spiaggia, non faccio più il mio piccolo rituale di ordinare i miei churros al mercante, poi di andare al bancomat, accanto all’ultimo parrucchiere prima l’America, ritirare un po’ di denaro per pagare il mio caffè e il mio piccolo piacere come diceva la vecchia signora. Non mi metto più al riparo sotto la vecchia pensilina tutta arrugginita i giorni di pioggia o di gelo, non mi siedo più in cima alla duna per mangiare i miei churros colore sole invernale. No, resto sul molo sperando di vedere il mercante di churros che ha passato la sua vita a contemplare l’Oceano dietro un banco di quattro metri quadri. Forse lui è andato in pensione oppure ha deciso di dedicarsi alla caccia o di andare a vedere cosa c’era a Ovest. Non lo so. Comunque resto sul molo come un cretino fino al tramonto. So che lo rivedrò un giorno o l’altro. Il Médoc è un’isola.