Archivio mensile:febbraio 2020
In cui l’autore di questo blog si aspetta al primo effetto positivo del coronavirus!
D’accordo sarà qualcosa che non riguarda per forza gli italiani che non sono bisoucayre* come i francesi e dovrei comunque rinunciare a salutare anche le donne con due baci. Ma credetemi se già potessi salutare, da lontano, con un semplice buongiorno i trenta tizi più barbuti degli ZZ Top, più tatuati degli antichi guerrieri Maori, più ecologisti delle ragazze svedesi con il loro modo di spostarsi soltanto in monopattino elettrico e che sembrano aver come unica altra passione nella vita di quella di baciarmi, ognuno di loro, due volte sulle guance ogni mattina alle otto in punto, ci vedrei sicuramente un lato positivo a questa epidemia di coronavirus e non sarebbe un sacrificio per me di abbandonare questo rito mattutino; insomma il coronavirus come antidoto a quell’altro virus di baciarsi tra uomini per salutarsi che odio e che ha dilagato ovunque in Francia in quegli ultimi anni! 😉
*Bisoucayre: parola bordolese per designare qualcuno che ama baciare esageratamente.
Pietà per gli sciacalli!
Oggi, vi propongo un antico racconto berbero in cui lo sciacallo – come al solito – si fa raggirare da un riccio. Lo sciacallo nei racconti berberi è l’antenato del Willy Coyote americano mentre il riccio è l’antenato di Beep Beep. 😉
Una volta, il riccio e lo sciacallo fecero amicizia. Il primo disse all’altro: ” quante astuzie hai?” – “Ne ho cento e la metà d’una”, rispose lo sciacallo e gli chiese a sua volta: “Quante astuzie hai?” – “La metà d’una.” camminarono passeggiando per la strada finché arrivarono, in mezzo alla notte, a un douar. Ci trovarono un silo, scesero entrambi dentro e mangiarono grano finché furono sazi. Il riccio disse allo sciacallo: “Chinati per che possa salire sulla tua testa e guardare.” Lo sciacallo si chinò, il riccio salì sulla sia schiena, saltò e ricadde fuori dall’apertura del silo, lasciando lo sciacallo dentro. Il riccio gli disse: “Salvati come potrai. Vedi, io che ho solo la metà di un’astuzia ce l’ho fatta; Tu che hai cento astuzie e la metà d’una, non puoi cavarti dal mezzo del silo.
Isteria mediatica italiana!
Cari giornalisti italiani, dopo aver guardato, ieri, un telegiornale della Rai interamente dedicato al coronavirus pieno di servizi più putassier* gli uni degli altri, posso dirvi che avete giunto il punto paradossale dove un abitante di Wuhan rifiuterebbe categoricamente di venire in Italia per paura di essere contaminato dal coronavirus! 😉
* putassier che in italiano sarebbe puttanesco. che riguarda le prostitute, proprio alle prostitute. Che cerca a piacere a tutto costo, facile, demagogico…ecc.
Geografia coronavirale!
Quindici giorni fa, sarei stato incapace di situare Wuhan su una mappa della Cina e oggi, guardando il telegiornale della Rai, ho imparato l’esistenza di una città italiana che si chiama Codogno e posso anche indicarla su una mappa. Insomma il lato positivo del coronavirus che permette agli asini come me di imparare anche un po’ di geografia! 😉
Médoc: L’uccello down under!
Scritto osservando una Sittelle Torchepot (picchio muratore in italiano) arrampicarsi sulla magnolia del mio giardino.
La Sittelle Torchepot è un passerotto molto comune ovunque in Europa ma che ha un superpotere unico da fare impallidire di gelosia qualsiasi supereroe americano della Marvel. È il solo uccello capace di scendere il tronco di un albero a testa in giù. Lo state osservando arrampicarsi verso la cima di un albero come un volgare picchio e vi dite che quell’uccello un po’ panciuto, corto, quasi senza coda, che con il suo abito blu cenere e il suo tratto di eye-liner alla Cleopatra, non è un granché. Ma cambiate idea, due minuti dopo, quando lo vedete scendere a rotta di collo, la testa in giù, il tronco dell’albero; un exploit che nessun altro uccello è capace di realizzare. La Sittelle Torchepot ha un nome banalissimo in italiano: picchio muratore. In francese, il nome è più bello. Sittelle deriva dal greco sitta che era il fischio usato dai pastori per raggruppare le loro pecore sparpagliate sui fianchi delle montagne e credetemi che la Sittelle fischia, ma fischia, fischia, fischia di gelosia quando la sua compagna si allontana troppo dal nido. Un fischio che sembra quello del passare di una lima su un pezzo di metallo, da chiedersi se la compagna non è masochista per tornare presso il suo fischiatore di compagno. Dunque Sittelle viene dal fischio dei pastori greci. Torchepot è un’antica parola francese. Il verbo “torcher” significa costruire in malta e “pot” ha il senso di vaso. Diciamo che la Sittelle è più un uccello vasaio che muratore. Quando la Sittelle vuole nidificare, essa si sistema nel vecchio buco di un albero che è stato usato e abbandonato da un picchio o una cincia. Quando il buco è troppo grande e per proteggere la sua prole, la Sittelle si mette a ridurre l’ingresso costruendo intorno uno charmant vaso in argilla degno dei più grandi artisti. Questo vaso ha una seconda funzione, quella di dissuadere i rivali e gli altri uccelli di avvicinarsi troppo alla compagna. La Sittelle è di una gelosia morbosa e se la compagna si assenta troppo, essa si mette a fischiare, ma a fischiare, fischiare, fischiare; a fare un bacano del diavolo. Certi dicono anche che la Sittelle prende a botte la compagna se essa è andata a fare la spesa ed è tornata un po’ in ritardo, che la masochista è picchiata di santa ragione, ma non voglio crederci. Secondo me, sono solo pettegolezzi di pettirossi. Da noi, la Sittelle ha piuttosto una dieta a base di insetti, ma la Sittelle ha una passione per le nocciole di cui il suo nome in inglese di Nuthatch. La Sittelle ha una destrezza notevole quando si tratta di nocciole. Lei si impadronisce di una nocciola, sceglie accuratamente due rami che permettono di incastrare la nocciola e “bang” il frutto è spezzato a colpi di becco. L’incubo degli apassionnati della Nutella!….
Médoc: Foche nel Mare Oceano del Golfo di Biscaglia!
Carta del comportamento da adottare in caso di incontro con una foca affissa su una spiaggia medocchina.
Non è mai banale anche per qualcuno come me che passa molto tempo a solcare il litorale del Médoc, ma può succedere talvolta di incontrare qualche foca sulle nostre spiagge in inverno. Sono foche grigie bretoni o ch’ti che vengono in villeggiatura per imparare ai loro cuccioli a pescare prima di lasciarli vivere la loro propria vita. Qualche anno fa, ho osservato una piccola colonia di quei vacanzieri, un giorno dall’alto di una duna tutto al Nord del Médoc. La sabbia della duna era dura come del cemento. Soffiava un vento gelido, tanto che non sentivo più le mie estremità e che avevo l’impressione che il mio naso, le mie orecchie e i miei denti stavano sul punto di cadere. E le foche se la godevano sulla spiaggia a prendere il sole livido di febbraio come se fossero in qualche paese tropicale…
Settembre 1917: Una foca di 1 metro e venti è stata uccisa sulla spiaggia di Vieux-Boucau nelle Landes dal doganiere G… che l’ha trovata, sdraiata sulla spiaggia durante il suo giro di ispezione. Spaventato dai gridi dell’animale da lui completamente sconosciuto, quel doganiere l’ha stordito dopo l’aver ferito a morte da un colpo di fucile quando l’animale ha cercato di riguadagnare il mare. La spoglia è stata inviata al museo del Mare di Biarritz….
Agosto 1920: Un altra foca è stata presa da pescatori girondini verso il Cap-Ferret. Pesava 49 chili e misurava un metro e quaranta. Il corpo era coperto di un pelo ruvido e corto di colore grigio cenere. Quella foca stordita a colpi di bastone come succede, purtroppo, quasi sempre quando marinai e cacciatori si trovano in presenza di animali che non conoscono, ha sopravvissuto solo 48 ore alle sue ferite. Durante quel breve intervallo, si è potuto osservare la sua dolcezza e la sua intelligenza. Si lasciava accarezzare e rispondeva dallo sguardo alle richieste che le facevamo….
Dunque sono in cima alla duna, molto lontano dalla piccola colonia, nascosto e tutto commosso in mezzo alle ammofile. Non faccio niente, mi accontento di fare il guardone. Non faccio rumore. Non scendo sulla spiaggia perché le foche che ricuperano sdraiate sul banco di sabbia dopo la pesca, rischierebbero di spaventarsi, di scappare verso il mare, di esaurirsi….Allora, sarei responsabile della loro morte e varrei ancora meno dei miei ignoranti antenati cacciatori occasionali di foche. Tornando a casa, telefono alla lega di protezione degli uccelli sul Bacino di Arcachon che si occupa anche della protezione delle foche. Do le coordinate GPS della spiaggia dove ho visto le foche, il responsabile brontola un po’ perché il posto è alla fine del mondo. Non ci penso più e qualche giorno dopo, il responsabile mi richiama per dirmi che le foche sono in piena salute. Da allora, ogni tanto, ritorno su questa spiaggia in inverno con la segreta speranza di vederci di nuovo una piccola famiglia di foche….
Appuntamento dalla cavadenti!
Gian Domenico Tiepolo (1727-1804). Il cavadenti. Museo del Louvre. Parigi.
Mi si è rotto un pezzettino di dente, nel fondo della mascella superiore destra. Pensate già un po’ in quale stato di rovina sono! Perché, ma non ridete per favore, mi si è rotto quel fottuto pezzettino di dente mangiando della minestrina! L’inizio della fine come si dice in francese oppure, come diceva mia nonna: si scava la sua tomba con i denti. Tranne che io, nonna, questa fottuta tomba non me la scavo con qualche abbuffata a base di carne, ma con della zuppa, con qualche pezzo di porro che galleggiava alla superficie dell’intruglio per migliorarlo. Sono già alcuni giorni che non smetto più di passare la mia fottuta lingua sul mio dente scheggiato. Peggio. Sapete cosa faccio ogni cinque minuti che ora nella mia famiglia pensano che ho un problema alla prostata? Vado in bagno e mi esamino il dente con la torcia dello smartphone; e non vedo assolutamente niente ovviamente anche mettendomi a metà il coso cinese in gola. Poi, mi lavo i denti accuratamente. Torno alla civiltà e, dopo cinque minuti, ricomincio il mio circo: lingua che passa sul dente, bagno e smartphone in bocca, lavaggio dei denti. Non ne posso più di quella vita! Quindi, la morte nell’anima, ho deciso di telefonare alla mia sadica di cavadenti per aver un appuntamento il più presto possibile.
Io: Buongiorno, sono A… e vorrei un appuntamento perché….
La cavadenti: Ah sei tu! Ma come mai non sei ancora venuto per l’ablazione annuale del tartaro che fa tre mesi che aspetto la tua chiamata?
Io: Sadica come sei, ho preferito ritardare il più possibile….
La cavadenti: Il mese prossimo va bene? Comunque non ti posso dare un appuntamento prima! Vediamo….all’inizio di marzo….
Io: Eh, non telefono per questo! Mi si è rotto un pezzettino di dente, è un’emergenza! Sto diventando pazzo con…
La cavadenti: Soffri?
Io: Non proprio (imbecille che sono!), ma mi dà un fastidio che non puoi immaginare….
La cavadenti: Va bene, allora diciamo il 27 febbraio alle undici….
Io: Ma, no! Ho bisogno di un appuntamento nei prossimi giorni, non vivo più! Ma perché così lontano?
La cavadenti: Perché sono sovraccarica di lavoro e ti faccio già un favore….
Io: Ma come? Hai visto in Cina? In quel intervallo i cinesi avranno costruito tre ospedali universitari!
La cavadenti: Allora diciamo in misura cinese: tre ospedali. Mi dispiace non posso fare meglio! altrimenti c’è il pronto soccorso dentario.
Io: Va bene, allora ci vediamo il 27 alle undici….
Sono in inferno 😉
Bacino di Arcachon: Racconto di una volta!
Traduzione grossolana e approssimativa – e anche dove si perdone le rime – da me di una poesia, Capre e gamberi, di Emilien Barreyre. Nato ad Arès nel 1883, Barreyre è il poeta del mare e della vita vissuta dai marinai del Bacino di Arcachon. Pescatore e figlio di un pescatore. Nessuno ha saputo come lui cantare l’oceano guascone, le sue sponde, la sua gente. Spinto da un povertà estrema, Barreyre lascerà il il suo caro Bacino di Arcachon nel 1930 e si stabilirà nella periferia parigina e, dopo alcuni anni a fare l’operaio la giornata e a scrivere poesie la notte, ci morirà nel 1944, senza mai aver potuto tornare nella sua terra natia.
*Nota bene: Per capire il qui pro quo tra il pescatore di Arcachon e il signor di Bordeaux: Crabe in francese significa granchio, ma, in guascone, la parola significa capra; bouc in francese significa capro, ma, in guascone, la parola significa gambero. Avete già male di testa? Ecco il racconto.
Capre e gamberi
Un signor di Bordeaux che veniva a Piquey
Passare l’estate con la sua famiglia,
Aveva per prendergli pesci presso la casa
Il pescatore Giovanni.
Un giorno che quel signor volle fare gustare granchi a un mercante di vino di Graves,
Disse al pescatore: Tenga, ecco cinque franchi in più per pescarmi granchi”.
“Capre?” si domandò il pescatore stupito,
Dove diavolo vuole che le pesco?
Quel vecchio conciliante è sempre comandato per qualche idea sempliciotta.
Ma sì! se ne forse viste all’isola degli uccelli?
Lì, ci sono cavalli arabi,
Muli, mucche, conigli, e alcuni vitelli.
Si potrebbe ben starci capre?
Se andassi a vedere? “E presto il pescatore parti
Con la sua barca, verso l’isola.
Arrivato, se ne andò nella giuncaia dove vivono
Molti animali a pelo ammucchiati.
A cento passi di essi si avvicinò, e, per spaventarli,
Ti fa girare nell’aria
La barra di un timone gridando: Hai! Cho! Poah!
Come lo pensate il grido del pescatore
Buttò il trambusto in mezzo al gregge;
Tutti scapparono: c’erano cavalli, mucche e tori,
E anche quattro asini bianchi che ricalcitrarono di paura,
Ma Giovanni non vedi né capre né caprette.
Mentre tornava verso la barca, egli incontrò un cacciatore
Che gli disse: “Tè! sei tu? Da dove vieni cosi?”
“Non me ne parlare, vorrei che quei signori fossero tutti impagliati ” rispose il pescatore.
Diavolo!… – “Figurati che un signor bordolese mi ha dato uno scudo perché gli pesco capre,
E…” – Capre! Dio vivante! Hé ben! amico mio, sai?
Credo che il tuo signor ne sarà per il suo denaro.
Ma capisco l’affare il tuo bordolese ti ha preso in giro,
E ti ha tirato un bidone, sicuro;
Perché ricordati che oggi siamo il primo aprile”
“È vero! Non ci ho pensato. Eh ben! Dio buono, gli farò pagare caro a quello lì, puoi crederlo;
Ah! Mi vuoi prendere in giro così? Si. Andiamo a vedere.”
E Giovanni allora se ne va alla barca,
Prende la sua rete e si mette a pescare
Di quei pesciolini che assomigliano ai gamberetti
E che si chiamano…ma zitto, farò il nome presto.
Per potere canzonare il signor di Bordeaux.
Un cestino pieno, il Giovanni ne tira
Va presentare la sua pesca al signor che gli fa:
“E i granchi?” Capre, non ci sono, risponde Giovanni,
Ma è solo un mezzo-male perché ho un pieno cestino
Di bestiole che sono della stessa famiglia.”
E come le chiamate?
– Té, veda! Ma sono gamberetti, no?
All’opposto sono i mascle (maschi) delle caprette poiché nel paese li chiamiamo…bouc*?