Febbraio. Se avessi un giorno da trascorrere con Monica, lei mi chiederebbe – probabilmente no, ma mi piace crederlo – di portarla a mangiare ostriche su quel lembo di sabbia che è la penisola del Ferret. Allora partiremmo da casa mia verso Ovest in direzione dell’oceano, attraverseremmo l’immensità delle pinete industriali di pini marittimi, le indicherei tre o quattro poveri vecchi ovili rovinati tra le parcelle di pinete, testimoni silenziosi di un mondo prima la foresta quando i nostri antenati non avevano niente per limitare i loro sguardi verso l’Oceano; alle lande infinite e alle pecore hanno successo le pinete infinite e i caprioli; da una civiltà all’altra. Quando saremmo a Le Porge, prenderei verso Sud, costeggiando l’Oceano. Le direi che abbiamo varcato il confine invisibile tra il Médoc e il Paese di Buch, che siamo ormai “al bacino” come si dice semplicemente nel Médoc per designare la zona del Bacino di Arcachon. Dopo Lège, imboccheremmo l’unica strada provinciale, deserta in quel periodo, che porta fino al Cap-Ferret. Allora solo per lei, pronuncerei i nomi dei paesi attraversati della penisola con l’accento giusto, quello dimenticato degli antichi pastori delle lande e degli ovili rovinati. Le direi che il nome del villaggio di Piquey si pronuncia in italiano come qualcosa che suona: Pichei e non Piché come dicono i parigini e che la parola vuole dire duna, come quella di fronte, sulla riva Sud, la turistica, quella del Pilat. Parcheggerei la macchina ai serbatoi da pesce di Piraillan. Attraverseremmo i pini centenari, di cui certi hanno ancora le stimmate lasciate dai resinai cento anni fa, e le mimose in fiore. Lungo la ragnatela dei canali e nei gridi incessanti delle garzette e degli aironi, passeremmo sotto il fico dove più di cento anni fa, sorgeva la capanna di Jeanty D’armagnac, il guardacaccia. Una specie di San Francesco d’Assisi locale, che era sempre accompagnato ovunque vada, da nuvole d’uccelli di razze diverse; che ogni mattina saliva il piquey di Piraillan per pregare la Madonna ai piedi di un altare da lui edificato. Monica e io saliremmo a nostra volta il piquey di Piraillan e lei sarebbe sorpresa da tutti quei piquey che corrono verso l’Oceano. Poi ci sistemeremmo in cima al piquey, sopra i serbatoi da pesce dove i gridi degli aironi non si possono più farsi sentire. Là, osserveremmo, in un’apertura tra i pini, un angolo del Bacino di Arcachon e l’isola agli uccelli. Allora, le racconterei dei primi abitanti, i pescatori dell’altra riva, di Gujan oppure di Le Teich che venivano qui per pescare nelle acque pescose di quella penisola di sabbia, senza terra, senza pietra, senza niente eccetto quei piquey coperti di pinete: le racconterei delle capanne dei pescatori simili alle iurte mongole con i loro tetti strani rizzi di eriche, costruite a ridosso delle dune per proteggersi dai venti oceanici; le racconterei di quei primi abitanti intrappolati sulla penisola i giorni di grandi maree che ci si costruirono una nuova Arcadia; le racconterei delle capanne in legno fatta con le barche rovesciate quando i pescatori deciderono di coltivare le ostriche e un po’ di vigna; le racconterei delle mucche selvatiche e dei cavalli che attraversavano a bassa marea il bacino per andare a pascolare sull’isola agli uccelli. Racconterei tutto tanto bene che lei sarebbe come trasportata in quel mondo primordiale fino a vedere i cavalli selvatici alla punta ai cavalli e le barche traghettare verso l’isola agli uccelli oppure verso Arcachon. Poi, ci vorrebbe scendere il piquey e lasciare i serbatoi da pesce. Allora, lasceremmo Piraillan per tornare qualche cento metro indietro verso il villaggio di Piquey. Andremmo all’imbarcadero, a fare gli umarell e a spiare nei secchi dei pensionati che trascorrono tutto il loro tempo libero a pescare granchi verdi di cui si fa una zuppa speziata. Le tradurrei le loro stronzate a proposito di tutto e di niente, sparate a lunghezza di giornate, le loro coglionate come si dice nel Paese. Le direi che il solo ricordo felice che ho di mio padre era quando lui mi abbandonava bambino sull’imbarcadero per andare a raggiungere qualche “signora” e rimpiangerei subito questa confessione che si dissolverebbe, in un attimo, come una nuvoletta grigia nel cielo sopra il piquey del Pilat. Poi, sarebbe il momento di andare fino alla punta ai cavalli per comprare ostriche ai fratelli Fabbri che loro sanno ancora come si pronuncia piquey. Delle numero 2, direttamente prese nel bacino davanti alla capanna. Loro ne metteranno un po’ di più come fanno sempre. Tornerei alla macchina per andare a cercare il pane; il pâté e il vino di sabbia nella ghiacciaia. Poi ci sistemeremmo da qualche parte sulla spiaggia tra la punta ai cavalli e l’imbarcadero con la veduta sull’isola agli uccelli, la città di Arcachon e sul piquey scintillante di bianchezza del Pilat oppure della duna del Pilat come dice la gente. Poi lei mi chiederebbe – probabilmente no, ma mi piace crederlo – di finire il viaggio e di andare fino alla punta del Ferret. Sorriderei e lei me ne chiederebbe il perché, ma non le risponderei che abbiamo già visto tutto quello che c’era da vedere al Ferret….
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