Un medullo nell’anfiteatro di Mediolanum Santonum!

L’anfiteatro di Saintes. Anche la Francia è strapiena di vecchi palazzi sport romani e non capisco perché si organizzano lotterie per salvarli invece di lasciare fare la natura.

Non ho potuto rifiutare. Caio, il ricco proprietario dei chioschi intorno all’anfiteatro, ha storto il naso, si è grattato tra le gambe e ha sputato il vino. Va bene, lui ha sospirato, il vino di Burdigala non sarà mai all’altezza del Frascati, ma visto che il prezzo è ridicolo e che il beveraggio è destinato solo ad abbrutire gli spettatori, mi compro il tutto. Taccio e intasco il denaro e l’insulto. Anche se ho fretta di tornare al porto e di lasciare la Gallia, non voglio offendere il cliente romano che mi propone ora di assistere al più bello spettacolo del mondo civilizzato. Che imbonitori quei romani! Mi siedo all’aria aperta nella cavea. Un leggero zefiro soffia dall’Oceano e rinfresca le pietre surriscaldate del monumento incastonato tra le colline. Gli alberi di fico della via profumano l’aria e cacciano gli odori corporali del mio vicino. Le chiacchiere del pubblico che entra nell’anfiteatro assomigliano al suono cristallino dell’acqua che corre nell’acquedotto che collega il fiume Charente all’anfiteatro. La gente tranquillamente mangia e beve aspettando l’ora dello spettacolo; sembra un immenso picnic oppure qualche gioiosa festa contadina. La gente si mette a cantare, ora l’anfiteatro è quasi pieno e non avevo mai visto tanta gente riunita insieme. Guardo verso il porto di Mediolanum Santonum e mi dico che ho fatto bene di accordare un giorno in più all’equipaggio che, dopo il fiume, dopodomani dovremo fronteggiare l’oceano per tornare nel nostro caro Paese dei Medulli. Caio sorprende il mio sguardo verso Burdigala e mi dice che la porta nella mura è quella dei morti e che l’altra, all’opposto, è quella dei vivi. Mi viene come un sospetto di essere stato invitato a una carneficina. Le stelle appariscono nel cielo della Gallia, la luna come impaurita si nasconde dietro una nuvola solitaria. Le fiaccole sono accese. Sconvolgente, un gregge umano varca la porta dei vivi. Il pubblico si mette a urlare delle insanie. Un coro si alza: Uccidiamoli! Uccidiamoli! Uccidiamoli! I tori sono lasciati…..

(Nell’anfiteatro di Saintes, un’archeologa mi diceva che negli scavi intorno alla porta dei morti, sono state ritrovate delle bottiglie di vino del XIX secolo e che, il secolo precedente, si poteva ancora vedere le rovine di due o tre case che furono costruite là. Di cui l’idea di questo post).  

In cui l’autore vi racconta la storia di uno scandaloso dipinto di Gustave Courbet che non vedrete mai!

Ah Gustave Courbet! Il grosso Courbet, il pantagruelico Courbet. Il massacratore di tutti gli ipocriti,  bigotti, moralizzatori da strapazzo e benpensanti. Courbet, il vanitoso, il chiassoso, il burlone; il tizio che ce l’aveva con tutti i “pisciafreddo” di Francia. Courbet lo scandaloso, l’assettato di gloria, il pittore pronto a tutto per prendere a pedate il pubblico bovino della pittura. Courbet, il generoso, il rosso, il pittore naturalista, l’anticlericale, il pittore degli zoccoli dei contadini, il socialista…

Stampa del Ritorno dalla Conferenza, dipinto di Gustave Courbet distrutto nei primi anni del XX secolo.

Corre l’anno 1862. Courbet ha un piano segreto, l’idea di un nuovo soggetto, di una nuova composizione che dovrebbe fare di lui l’epicentro di un ennesimo scandalo dalle proporzioni monumentali. Parigi deprime, Courbet è scomparso e senza il tonitruante nativo di Ornans e il putiferio che scatta ognuno dei suoi dipinti socialisti, senza i suoi libelli, senza la sua persona stessa che splende come un astro, Parigi cade in una noia mortale; anche la stampa reazionaria che passa il suo tempo a denigrarlo non vende più niente e lo rimpiange. Mentre tutto Parigi si chiede che fine ha fatto l’artista, Courbet, lui, se la spassa in provincia, a Saintes, al castello di Rochemont dal suo amico e mecenate, Étienne Baudry. Courbet ha bisogno di discrezione per dipingere la tela che dovrebbe scattare il più grande scandalo al Salon del 1863. Che Courbet abbia fomentato e preparato in segreto questa carica anticlericale lo sappiamo dalla sua corrispondenza dove lui gode già in anticipo della buffoneria: “lavoro qui perché non voglio nessuna indiscrezione, conosco Parigi. Arriverò con il dipinto già pronto. Lo presenterò al Salon. Come la gente urlerà. Ah! Ah! Ah! Che scandalo, ragazzi, che scandalo!” Courbet svela che il dipinto sarà “critico” e “comico” tanto che sarà il più grottesco di tutta la storia della pittura e che, d’altronde, solo a raccontarne il soggetto agli abitanti di Saintes, loro crepano dal ridere. Ovviamente Courbet vive in un periodo dove “le forbici d’Anastasia” (la censura in francese) tagliano senza tregua, e diciamo che lo scopo di Courbet è doppio: misurare le limiti della sua libertà artistica e, diciamolo anche, farsi un sacco di soldi con il dipinto. Ma torniamo a Courbet che prolunga il suo soggiorno a Saintes tanto la città e la regione gli piace. Courbet dipinge la campagna di Saintes, il fiume Charente, fa ritratti e nudi delle sue amanti occasionali e gode della buona tavola di Baudry. Courbet lavora anche al suo dipinto che deve essere presentato al Salon del 1863 e che si chiamerà: Ritorno dalla Conferenza. Courbet non cede alla facilità con un tema erotico come i suoi colleghi, il pittore ha scelto di dipingere una scena anticlericale per mettere i burloni nel suo campo. Il dipinto si spiega da solo: sulla strada di Ornans, al ritorno dalla conferenza ecclesiastica del lunedì, quegli ipocriti di curati del decanato, che predicano, ogni giorno, la sobrietà e la temperanza, sono ubriachi fradici e sono presi in giro dai parrocchiani che si dicono che i tizi, loro, non bevono solo vino di messa. Nell’albero, in una nicchia, una madonnina osserva la scena. Courbet non vuole commettere il dipinto dal suo mecenate e fa una cosa divertente che mostra come Courbet è di una natura scherzosa. Dunque il pittore chiede al direttore delle scuderie imperiali di Saintes, una stanza per dipingere il suo quadro che fa dieci piedi (l’equivalente in grandezza dei suoi capolavori più conosciuti Funerale a Ornans e L’atelier del pittore). Il direttore accetta, pensate, Courbet, il pittore è alla vetta della sua carriera. E Courbet comincia a lavorare al suo dipinto anticlericale nella tana dell’imperatore dei bigotti, Napoleone III detto il piccolo. Che buffonata. Poi, viene un dubbio al direttore che chiede di vedere la bozza del dipinto e si mette a supplicare Courbet di portare via il quadro perché non si tratta precisamente di una parata di cavalli. Courbet non ha difficoltà a trovare una nuova casa visto che Saintes è un focolaio dell’anticlericalismo in Francia. Dunque il quadro è traslocato di notte dal vecchio Faure, il nocchiere del Porto-Berteau, che affitta una camera a Courbet al primo piano della sua casa. Courbet è un inquilino che fa delle strane domande. Per esempio, lui chiede al vecchio Faure, un abito talare e soprattutto un asino grigio da sistemare nella camera. Immaginate un po’ l’impresa per fare salire l’asino al primo piano! Comunque sia Courbet si mette al lavoro e Ritorno dalla Conferenza è presentato al Salon del 1863 e rispedito subito a Courbet per oltraggio alla morale religiosa, poi respinto ugualmente dalla giuria del Salon dei Rifiutati. Courbet è furioso e minaccia di dipingere Il Coucher della Conferenza (coucher ha un doppio senso in francese e qui si tratta più della scopata dei curati che del tramonto sulla Conferenza). Courbet è “furioso” anche per un’altra ragione, un altro pittore ha presentato un dipinto che supera in scandalo tutto quello che ha fatto Courbet finora. Pensate questo famoso anno 1863, è l’anno dove Edouard Manet presenta al Salon: La Colazione sull’erba. Un terremoto questo dipinto. Non pensate che Courbet si lascia abbattere dalle sorti. Ritorno dalla conferenza è esposto, via Hautefeuille, nel suo atelier dove le porte sono spalancate al publico. I parigini affluiscono per vedere il dipinto scomunicato. I partigiani di Courbet e i suoi nemici, quelli che difendono il dipinto tipo Proudhon che dichiara scherzosamente: ” l’inevitabile reazione della natura sull’ideale”; e quelli che mettono il dipinto alla gogna e promettono a Courbet l’inferno. In mezzo a tutto questo circo e queste liti, il grosso Courbet che tiene discorsi sediziosi senza dimenticare di agitare gioiosamente, come un semaforo, i mazzi di foto che lui ha fatto fare del dipinto per venderle. Ora, sono passati alcuni anni e siamo nel 1868. Il Ritorno dalla Conferenza è esposto in Belgio al Salon di Gand con una dozzina di opere di cui due libelli anticlericali di Courbet: La morte di Jeannot a Ornans e Curati. in giro. Courbet è un maestro della pubblicità quando si tratta di vantare la sua persona oppure le sue opere. Ritorno dalla Conferenza e i libelli sono esposti in una sala particolare dove la gente deve chiedere un’autorizzazione speciale per entrare. La stampa reazionaria si strangola di indignazione e più essa si strangola più la gente vuole vedere il dipinto di Courbet e comprare le foto del dipinto. L’artista vince la medaglia d’oro del Salon, ma non riesce a vendere il dipinto. Nel 1881, il dipinto riappare, dopo la morte dell’artista, in una vendita dei dipinti di Courbet all’hotel Drouot dove il quadro è comprato da un anonimo. Venti anni dopo, l’opera si ritrova dal gallerista, Georges Petit. Un giorno, tra il 1906 e il 1912, un tizio si presenta da Georges Petit e si indegna davanti al dipinto dicendo che è una cosa infame, empia, scandalosa, ma lui comunque convince Petit di vendergli il dipinto. Più tardi, Petit riceve una lettera del tizio che dichiara di essere un ultracattolico che avrebbe acquistato il dipinto solo per il piacere di potere distruggerlo. Ritorno dalla Conferenza non è mai più riapparso e ne rimane solo qualche foto e qualche stampa…

Aquitania: Sant’Eutropio ed io!

Sant’Eutropio è un santo divertente perché la popolarità del suo culto è legato a un gioco di parole tra Eutropio e storpio (estropié in francese). Sant’Eutropio è pregato dagli storpi e gli zoppi o semplicemente quelli che hanno mal ai piedi o alle gambe. Innumerevole le chiese e le fontane guaritrici dedicate a Sant’Eutropio attraverso tutta l’Aquitania, anche perché siamo sul cammino di Compostela. La tomba di Sant’Eutropio si trova nella cripta della basilica di Sant’Eutropio a Saintes nel dipartimento della Charente-marittima. Il teschio è conservato in un reliquiario al piano superiore, davanti all’altare. Ora, vi  racconto la storia di Sant’Eutropio e se avete il coraggio di leggerla fino alla fine, saprete perché Sant’Eutropio è invocato anche contro il male di testa! 😉

 

Sant’Eutropio di Saintes era il rampollo del Re della Persia e dell’antica Babilonia. Un divino infante si vantavano i genitori, ma sapete come sono i genitori a sempre rompere con i loro bambini che sono sempre i più belli e i più bravi. Comunque il padre esagerava davvero alla grande raccontando che il piccolo Eutropio spingeva quasi al suicidio tutti i più grandi precettori del reame. Figuratevi che dopo appena qualche lezione di matematica, di medicina, d’astronomia, di filosofia….l’allievo Eutropio ne sapeva più dei maestri che avevano studiato tutta una vita. Stessa cosa per le lingue, appena Eutropio sentiva una lingua straniera che lui si metteva a parlare il gergo e anche i più foschi borborigmi non avevano misteri per lui. Pensate un po’ che, secondo il suo Re di padre, Eutropio a tre anni parlava già tutte le lingue della Mesopotamia! Non solo Eutropio aveva il cervello di un Einstein antico, ma era anche la più bella persona della terra, il più grande sportivo del Mondo e il più grande guerriero. Dimenticate Alessandro Magno perché bastava al Re di pronunciare il nome Eutropio e i reami nemici deponevano le armi e si sottomettevano. Simpatico, affabile, generoso. Eutropio faceva l’ammirazione di tutti i soggetti della Persia e dell’antica Babilonia che lo idolatravano. Insomma come si dice in francese: Eutropio era il genero ideale. Ma le cose non erano semplici per il nostro Einstein-Rambo-Zidane-Pitt mesopotamico. Eutropio si faceva, come nel film dei Monty Python, delle domande sul senso della vita, su qual era l’origine dell’uomo, il suo destino…ecc. E le opere astruse dei grandi filosofi non rispondevano alle sue domande anzi. Dunque Eutropio si decide di fare una road trip per cercare presso i popoli più arretrati della Terra qualche briciola di questo sapere primitivo che sarebbe stato travisato dalla filosofia persiana moderna. Il padre consente pensando che si tratta di una crisi di adolescenza tardiva da parte d’Eutropio. Eutropio si mettte dunque a viaggiare e il suo periplo lo conduce fino al far west del reame, in una regione  balneare particolarmente arretrata chiamata Galilea dove vive il temuto popolo ebreo. Gli ebrei hanno costumi tanto depravati e dissoluti nei confronti dei civilizzatissimi mesopotamici che, Eutropio, discendente pure di Sardanapalo, invitato alla Corte del governatore della regione, un certo Erode Antipa, si spaventa e scappa e, completamente traumatizzato, si mette a vagare da paesello a paesello attraverso tutta la Galilea fino a incontrare una specie di rabbino-stregone che lo ammaglia. Eutropio segue le sue predicazioni. Il rabbino-stregone lancia degli anatemi contro l’orgoglio umano, contro i ricchi; fa miracoli, parla di ricompense eterne, di amarsi gli uni gli altri. Insomma Eutropio si lascia sedurre da tutti quei precetti hippie e diventa fan del carismatico rabbino-stregone e lo venera da lontano. Poi, un giorno i soldi sono finiti ed Eutropio deve tornare presso suo padre, il Re della Persia e dell’antica Babilonia. Il padre si lamenta davanti a quello che è diventato Eutropio. Il povero è stato tanto soggiogato dal rabbino-stregone, dai suoi insegnamenti, dai suoi trucchetti di magia che ne è completamente fissato e non parla di altre cose dalla mattina alla sera. Fa dei capricci presso il padre, gli chiede di tornare in Galilea, diventa nevrastenico, minaccia il suicidio. Immaginate un po’ la disperazione del padre che ha lasciato partire il Principe dei filosofi e che si ritrova con questo “coso”. E cosa poteva fare di altro, il Re della Persia e dell’antica Babilonia, che amava suo  figlio alla follia? Cede ai grilli del figlio e lo lascia tornare in Israele. Sul cammino verso la Galilea, Eutropio viene a sapere che il rabbino-stregone ha lasciato la provincia per recarsi a Gerusalemme. Eutropio si dirige verso la capitale e la raggiunge per le feste di Pasqua e si mischia e urla con gli altri fan agitando delle palme sul passaggio del rabbino-stregone. E poi, colmo della felicità, Eutropio è presentato al rabbino da un amico comune, un certo Filippo. Dunque Eutropio riparte in fretta verso il suo reame per annunciare che Israele ha un nuovo Re e convincere il padre che loro devono essere i primi a fare il viaggio per congratularlo. Pensate un po’ come il Re della Persia e dell’antica Babilonia era pronto ad andare a inchinarsi davanti a un pastore ebreo! Ma comunque, il Re è debole e cede di nuovo ai capricci del figlio. Mentre la delegazione reale persiana si prepara, un messaggio arriva che annuncia la morte del nuovo Re d’Israele. Eutropio cade in una profonda depressione. Il Re si dispera a causa del suo ingrato di figlio. Poi, un secondo messaggio è ricevuto qualche mese dopo e questa volta si annuncia che il rabbino-stregone è risuscitato e salito in Paradiso. Il Re della Persia e dell’antica Babilonia non ci capisce niente a questa storia di giardino e a tutte queste baggianate, ma comunque Eutropio sta meglio e si mette a incalzare suo padre per farsi battezzare dall’amico Filippo o da un altro che si chiama Taddeo, compagni incontrati da Eutropio ai tempi del Grand Tour in Galilea e, ora, rappresentati dal rabbino-stregone per la Mesopotamia. La nuova religione si sviluppa, ma i trasporti no, e ci vorrà probabilmente un secolo prima che la coppia Filippo-Taddeo possa raggiungere Babilonia. Passano le settimane, i mesi, gli anni. Un giorno, il Re riceve una lettera del suo generale che guerreggia contro gli indiani sul confine del reame. E dunque questo generale invece di vantarsi di aver vinto da solo la guerra, annuncia che l’esercito persiano ha vinto gli indiani grazie all’intercessione della coppia Filippo-Taddeo in vacanza nella regione. E che ne hanno approfittato per battezzare tutto l’esercito del Re della Persia e dell’antica Babilonia. Ora, il generale propone di riportare i due tizi a Babilonia. Perché no?, si chiede il Re, almeno Eutropio potrà farsi battezzare e non mi scoccerà più con questo capriccio. Povero Re della Persia e dell’antica Babilonia, succede quello che deve succedere e Eutropio rinuncia a diventare Re e scappa con la coppia Filippo-Taddeo. Dunque Eutropio – che non è più un ragazzo credetemi – si decide di partire per Roma e mettersi al servizio di un certo Pietro che fa finta di accoglierlo in eroe. Perché sapete Eutropio tutto figlio del Re il più potente della Terra, ne resta comunque un iracheno. Va bene, questo Pietro riesce a galvanizzare il nostro Eutropio e, per sbarazzarne,  lo convince di andare in missione suicida a evangelizzare le Gallie. Dunque Eutropio parte per la Saintonge e la sua capitale Mediolanum Santonum (Saintes, oggi) convertire la feroce tribù dei santoni, il peggio focolaio d’idolatria di tutte le Gallie. Pensate un po’ che i fieri santoni non vogliono aver a che fare con Eutropio e le sue favole. Non vogliono assolutamente rinunciare ai loro Dei. Eutropio che è ormai un vecchietto e non più il divino infante del Re della Persia e dell’antica Babilonia si fa picchiare di santa ragione. Una batosta terribile. Poi il tizi è gettato dall’alto delle muraglie. Non si sa come l’iracheno riesce a sopravvivere, ma comunque, nonostante le sue ferite, Eutropio si trascina in una foresta e si costruisce una specie di capanna. Quando pensate che il tizio è il figlio del Re della Persia e dell’antica Babilonia ed essere ridotto così tutto all’ovest della Terra!. Il tizio comunque non manca di coraggio o di follia e non rinuncia alla sua missione suicida e, ogni sera, di nascosto entra in città per celebrare i santi misteri e cacciare i demoni. Eutropio converte a malapena due o tre  barbari, poi torna a Roma per chiedere aiuto. Dunque il nostro Eutropio incontra un certo Clemente che ha sostituito l’altro, Pietro, e, per dargli un po’ di autorità, quel Clemente lo sacra vescovo di questa città pagana di Mediolanum Santonum. La cosa più buffa è che durante l’assenza di Eutropio, un sacco di santoni, colpiti dal soffio divino, si sono fatti battezzare (a me non sorprende, tanto sono strani gli abitanti della Charente!). Poi succede un’altra cosa ancora più buffa, il vecchio Eutropio perde la testa per la figlia del Re dei santoni, una certa Eustelle. E anche lei si innamora del vecchio iracheno. Un po’ come nei vecchi western dove il nonno John Wayne seduce tutte le ragazzine. Dunque i due si rifiugono nella capanna nella foresta per vivere il loro amore. E pregano, pregano per la conversione dei santoni. Soprattutto che il Re è furioso che la figlia abbia abbandonato il culto dei Dei e che, ora, vuole fare la pelle a Eutropio e alla sua sgualdrina. Una notte, un rumore si fa sentire. Sono i santoni che hanno scoperto la tana d’Eutropio. Il figlio del Re della Persia e dell’antica Babilonia è catturato. Appena il tempo di chiedere grazia al suo Dio per i suoi boia, che è colpito al collo da un colpo di ascia. Il secondo colpo lo decapita per l’immensa soddisfazione dei Re dei santoni. Il corpo è abbandonato poi ricuperato e deposto dai suoi discepoli in un sarcofago riempito di terra come si faceva allora. Presto un secondo sarcofago lo raggiunge, è quello di Eustelle. Nella capanna i due sarcofagi fanno l’oggetto di un culto con il passare degli anni. Poi i resti sono disposti in un reliquiario e sopra il reliquiario ci si costruisce una chiesa, la prima chiesa delle Gallie. Passano i secoli. Durante le guerre di religione, i cattolici hanno paura che i calvinisti si impadroniscono dei resti d’Eutropio. Dunque le ossa sono inviate a Vendôme e il teschio a Bordeaux. Pensate un po’ come a Bordeaux vogliono rendere il teschio d’Eutropio dopo le guerre di religione. Il teschio d’Eutropio era una fonte di reddito per la città di Bordeaux con tutti quei pellegrini pronti a spendere per vederlo. La nostra Gioconda insomma. Poi, finalmente la città di Saintes ricupera il teschio. Soltanto nel 1843, si scopre la cripta sotto la chiesta Sant-Eutropio con dentro il sarcofago d’Eutropio….

 

Viaggio nelle isole del mare degli stretti, di là della fine delle Terre! Sesta parte.

Immagini della chiesa San Nicola sull’isola d’Oléron e della chiesa San Martino sull’isola d’Aix.

Di là della fine delle Terre, le chiese non sono diverse delle nostre. Ci sono navi ex voto che furono fatte da marinai che, miracolosamente grazie all’intercessione di Nostra Signora del Mare, riuscirono a sopravvivere ai colpi di coda della balena, alla melopea delle sirene, a Nettuno che cercava di  trascinare loro nel suo castello nel fondo dell’Oceano, agli attacchi dei pirati; insomma a sopravvivere ai naufragi che minacciavano le loro navi a ogni istante. E sono anche strapiene di piccole croce nere sui pareti e di cenotafi nei cimiteri per ricordarci tutti quelli che non ce l’hanno fatta e che dormono tra le braccia dell’Oceano. Una volta, le navi ex voto non erano monumenti storici protetti da vetri come oggi. Erano strumenti a vento e ne trovate ancora nelle nostre chiese sistemati nel modo giusto per essere messi in moto come una volta. Dovete immaginare le navi ex voto sospese a fili sottili che scendevano dal soffitto. Una flotta. Dovete immaginare i marinai e le loro famiglie che assistevano alla messa prima l’imbarco con le navi ex voto sopra le loro teste. Il prete sceglieva un giorno ventoso per la celebrazione. Dovete immaginare il vento che soffiava dentro la chiesa da ogni fessura e dalle finestre lasciate aperte. E le navi ex voto che si mettevano allora a sfarfallare, a girare a destra e a sinistra come quando la tempesta si avvicina e che il mare comincia a essere mosso. Allora, lo scaccino spalancava le porte della chiesa per invitare il vento a entrare e scatenarsi completamente. Il legno delle navi ex voto scricchiolava lugubremente, le navi ex voto, in una danza macabra, cavalcavano il vento come se fossero onde giganti. Immaginate il terrore provocato da quegli acchiappa-incubi. Immagini di un passato rivissuto per i marinai che avevano scappato a un naufragio e che si ricordavano i compagni morti e visioni di un futuro probabile per i marinai che si apprestavano a imbarcare. Allora, il prete per rassicurare i marinai e le loro famiglie, mostrava da un gesto della mano la statua di Nostra Signora del Mare, lei era immobile, sorridente, insensibile alla furia del vento e pronta ad aiutare e proteggere loro dai colpi di coda della balena, dalla melopea delle sirene, da Nettuno che cercava di trascinare loro nel suo castello nel fondo dell’Oceano, dagli attacchi dei pirati. Allora, lo scaccino chiudeva le finestre e le porte per cacciare il vento e gli uomini potevano imbarcare. 

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Quinta parte.

Maggio. L’isola d’Aix è una mezzaluna di terra di 129 ettari nel cuore del mare degli Stretti. Forse non lo sapete, ma l’isola fu l’ultima residenza francese del serpente corso che ci trascorse i suoi ultimi quattro giorni sul nostro territorio prima di essere spedito a Sant’Elena dagli inglesi per crepare. Bon débarras. Tutto ricorda il bandito corso sull’isola. Una via del paese porta il nome di Napoleone e l’altra quella della battaglia di Marengo. Anche la piazzetta del paese si chiama Austerlitz! C’è anche un museo tutto dedicato alla gloria della “paglia al naso” nella casa dove lui ha vissuto. All’isola d’Aix ci vuole andarci fuori stagione quando l’isola non è ancora presa d’assalto dai turisti e altri fan dell’avventuriero corso. Potete farci delle lunghe passeggiate sulle spiagge deserte oppure esplorare le vestigi delle vecchie batterie costiere e dei forti che sfidavano la marina della perfida Albione già ai tempi della guerra dei cent’anni; potete giocare all’isola del Tesoro e credervi in un romanzo di Stevenson; potete mangiare ostriche sulla spiaggia delle conchiglie bevendo il vino del vignaiolo dell’isola; potete passare una mattina a scocciare le grancevole negli scogli a bassa marea; potete fare tutte le cose che si possono fare su un’isola di 129 ettari o semplicemente niente e solo guardare l’oceano per ore. Va bene, prima di riprendere, con un immenso rimpianto, il traghetto, vi racconto l’ultimo tentativo del serpente corso per sfuggire agli inglesi…

Nel mese del luglio 1815, la guarnigione dell’isola d’Aix era composta dal quattordicesimo reggimento dei marini, sotto il comando di un capitano di vascello e di alcune compagnie ugualmente di marini. Fu il sabato 8 luglio, alle otto della sera che il serpente corso si imbarcò a bordo della fregata l’Amphitrite; l’indomani mattina, alle sei, scese all’isola d’Aix, visitò le varie fortificazioni dell’isola e si rimbarcò alle otto e mezzo. Recandosi al molo, trovò il quattordicesimo reggimento schierato sulla piazza d’armi per passare la rivista d’ispezione; si fermò davanti alla compagnia dei granatieri del ventisettesimo equipaggio, comandata da M. Bancal e ordinò a questo ufficiale di fare eseguire alcuni movimenti di maneggio delle armi agli uomini che comandava, quello che si affrettò di fare l’ufficiale. Dopo essere rimasto circa tre minuti di fronte al reggimento, immobile e senza aver parlato a nessuno marinaio, il serpente salutò e se ne andò… Il 12 luglio, il corso si sistemò sull’isola d’Aix, nessuna visita fu resa all’appestato dagli ufficiali superiori della guarnigione; soltanto alcuni ufficiali subalterni comunicarono con lui e furono ipnotizzati dall’aquila spennata. Diversi piani di fuga furono tramati, e tra essi quello di partire per gli Stati uniti, a bordo di uno smack danese (tipo di nave di origine americana usata per la pesca o l’ostricoltura) che doveva comandare un certo Besson, luogotenente di vascello, sposato a una danese a chi la barca apparteneva. Alcuni ufficiali avrebbero formato l’equipaggio di due scialuppe di pilote che dovevano servire a trasportare il tizio e il suo seguito a bordo di quello smack nello stretto di Antiochia. Il piano prova qualche resistenza da parte di qualche persona che accompagnava l’aiaccino. Tuttavia esso doveva essere eseguito nella notte del 13 al 14 luglio e già gli ufficiali subalterni erano a bordo delle scialuppe; però i movimenti e il chiasso provocato dai preparativi di quella miserabile evasione diedero l’allerta. Le truppe presero le armi, delle disposizione furono prese, e ci occorse rinunciare a questa impresa. L’indomani, i 6 ufficiali traditori riapparvero e furono arrestati. Un indirizzo al principe d’Eckmulh fu fatto e firmato, il 11,  dagli ufficiali subalterni della guarnigione quando tutto progetto di fare evadere il corso fu perso. Gli ufficiali superiori rifiutarono di firmarlo. Questa petizione fu rimessa al generale Bertrand. Qualche giorno prima, gli stessi ufficiali traditori fecero un indirizzo alle Camere per testimoniare del rimpianto del corpo della marina, all’occasione dell’abdicazione del serpente; però sulle rimostranze del colonnello del quattordicesimo, quell’indirizzo non fu inviato. Il serpente si imbarcò il 15 luglio 1815, a bordo del brick l’Epervier, comandato dal luogotenente di vascello Olivier Jourdan che lo guidò a bordo del Bellerophon comandato da Maitland per il suo ultimo viaggio verso Sant’Elena.

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Quarta parte.

Lanterna dei morti di Saint-Pierre d’Oléron.

Dal X secolo fino al secolo dei Lumi. Le lanterne dei trapassati hanno mantenuto il fuoco sacro nei camposanti francesi. Sono tante diverse tra esse queste lanterne dei trapassati che la gente ci vedeva antichi monumenti druidici (anche se i galli non costruivano in pietra), romani, oppure mauri; apparecchi di segnalazione, fari per guidare le navi sul mare oppure i viaggiatori smarriti nelle campagne. E no. Le lanterne dei trapassati hanno tutte come punto in comune di vedersi da lontano, ma non sono tutte queste cose. Erano edifici di fede cristiana. Il fanale acceso in cima aveva uno scopo ovviamente – che è stato descritto da sant’Agostino da qualche parte, credo – quello di ammonire i vivi, di pregare per i morti e permettere ai morti che erano seppelliti ai piedi della lanterna e nei dintorni di ricevere il più grande numero possibile di preghiere. Bambino, mia nonna mi diceva che una volta morta, lei verrebbe mi “solleticare i piedi” se non fossi onesto e forse lo sta facendo visto che ho un piede….Va bene, non vado a raccontarvi la mia vita. Suppongo sia stata la stessa cosa per sant’Agostino e che lui aveva paura che la nonna tornasse per sistemarlo, di cui questo rispetto che dobbiamo ai trapassati. Dunque era il ruolo di quelle lanterne dei trapassati: onorare i morti per calmare la loro rabbia di essere morti, ricordarli alle preghiere dei vivi, affermare l’immortalità dell’anima, addormentare il terrore che la gente aveva dei fantasmi e allontanarli. Era tanto presente questa paura dei fantasmi nel Medioevo che, nelle città, c’erano persone che facevano il mestiere di “clocheteur” cioè che percorrevano le strade di notte agitando un piccolo campanile per risvegliare la gente: “svegliatevi, voi che dormite, Pregate Dio per i trapassati….” I “clocheteur” avevano la stessa funzione delle lanterne dei trapassati. I fanali di quei templi di pietra erano accesi tutte le notti e spesso anche notte e giorno. Ogni due novembre, tutto il paese si ammucchiava nella nebbia o sotto la pioggia intorno alla sua lanterna dei trapassati per sentire una messa funebre. Quando c’era un morto, la lanterna doveva rimanere accesa fino alla sua messa in terra. Le lanterne dei trapassati ci raccontano riti di un vecchio mondo ormai dimenticato. Sono abbandonate o diventate semplici croci nei camposanti o croci perse nei campi. Le parti che ospitavano i fanali sono crollate. Vecchie cose del Medioevo. Le lanterne dei trapassati sono trapassate. Ne resta soltanto una in Francia, una discendente laica, di cui la luce è accesa in modo perenne: è l’Arco di Trionfo a Parigi con sotto la Tomba del Milite ignoto…. La campanella della scuola costruita sopra l’antico camposanto, a due passi dalla lanterna dei trapassati, si mette a suonare. Uno stormo di alunni ne esce urlando. In un attimo, i gridi si disperdono nelle antiche vie della città. Il silenzio torna sotto i platani….

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Terza parte.

Cordouan, Le Balene, Chassiron. Tre fari. Tre antichissimi signori edificati dal Bastardo francese e dai ricchissimi armatori di Bordeaux e di La Rochelle per servire di fanali e guidare, di notte, le loro navi attraverso le acque dai correnti violentissimi, i banchi di sabbia in movimenti perpetuali e gli scogli affioranti e affilati come lame di rasoio della bocca della Gironda e degli stretti Bretone e d’Antiochia più a Nord nel mare degli Stretti. Le navi di guerra del Bastardo francese solcando verso l’arsenale di Rochefort, quelle dei ricchi armatori, traboccando d’oro guadagnato con il commercio triangolare e il traffico con le Antille, la Louisiana, il Canada e le coste dell’Africa Occidentale verso La Rochelle e Bordeaux. Cordouan, Le Balene, Chassiron. Tre antichissimi signori edificati per proteggere l’oro degli armatori dai pirati della Charente e dai poveri pastori del Médoc che affondavano le navi accendendo dei fanali sulle dune della sinistra spiaggia di La Négade (négade: annegamento in guascone). Andateci alla punta di La Négade, tutto a Nord del Médoc, un giorno d’inverno senza luna, e ci vedrete i fantasmi dei cavalli che galoppano sulle dune con i loro fanali attaccati al collo per ingannare le navi; andateci e ci vedrete i fantasmi dei selvaggi abitanti del Médoc mettere le loro imbarcazioni nelle acque gelide dell’Oceano per impadronirsi della merce e di assolutamente tutto fino all’ultimo asso di legno e all’ultimo chiodo di una nave arenata; andataci e vedrete i fantasmi dell’equipaggio e dei passeggeri della nave camminare nudi, persi nelle paludi, alla ricerca di una via per raggiungere Bordeaux…

Non si va sull’isola d’Oléron senza imboccare, per chilometri, la strada senza ombra che attraversa tutta l’isola fino alla punta Nord. Perché tutte le spedizioni all’isola d’Oléron hanno sempre lo scopo di salire in cima al faro di Chassiron. Dopo Saint-Denis d’Oléron, l’isola si restringe e significa che abbiamo quasi raggiunto la punta. Il faro si drizza sulla falesia. Perché il terreno si è innalzato con il passare dei secoli e le onde dello stretto d’Antiochia l’hanno scavato a picco. Tutto sembra calmo in quella giornata soleggiata di primavera. Una cartolina postale con questa barca bianca che tira dei bordi lontano in mezzo allo stretto d’Antiochia. Ma non vi lasciate ingannare, sono soltanto delle apparenze. Talvolta, la falesia si mette a crollare sotto l’urto delle onde che la assediano e si vedono enormi blocchi staccarsene ed essere portati via rotolati dalle onde. Fenomeno sismico. Lo stretto d’Antiochia si allarga e fanno secoli che le isole di Ré e d’Oléron si allontanano l’una dall’altra. La falesia che crolla significa che la procedura di divorzio non è ancora compiuta e non sarà compiuta prima migliaia di anni ancora. Sulla costa rocciosa, l’Oceano sta vincendo la battaglia e fa stragi ovunque. Si è dovuto abbandonare l’antico faro di Chassiron per edificarne un nuovo nelle terre che anche lui, un giorno, cadrà nell’Oceano. Non c’è nessuna spiaggia. La bassa marea svela soltanto scogli, un letto di rocce screpolate, tagliato da banchi d’argilla e ricoperto di laminaria. Ecco, sotto i vostri occhi, la prova della selvatichezza dell’Oceano di cui la furia è senza tregua come lo sanno bene gli abitanti del Golfo di Biscaglia….

Ci vuole salire in cima al faro di Chassiron per abbracciare la roccia d’Antiochia, gigantesco scoglio assediato dall’Oceano; L’isola di Ré a Nord con la linea bianca delle sue dune ei suoi paeselli; Il continente verso Est e il brutto porto industriale di La Pallice; l’isola d’Aix come a metà inabissata nello stretto d’Antiochia, l’isolotto di Boyard con il famoso forte; la torre della chiesa di Saint-Pierre; la geometria delle saline che formano come una gigante ragnatela; Saint-Denis e le sue casette bianche che si stacca in mezzo ai vigneti. Ah, i vigneti dell’isola d’Oléron che si estendono ovunque. Certo che non siamo in Bretagna qui! Ci vorrebbe salire, un giorno d’inverno, in cima a questo fottuto faro! Quando l’Oceano furioso urla, quando non sentite nemmeno l’esplosione delle onde che rimbombano sulla falesia. Quelle notti di temporale che vi raccontano i vecchi pescatori del paese quando gli uccelli di mare sono tanto spaventati e accecati dai lampi del temporale che vengono a schiacciarsi contro i vetri della lanterna del faro come se fossero falene….

 

 

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Seconda parte.

Non cliccate lo scatto se siete sensibili!

La roba più schifosa da mangiare per un italiano nelle Charentes e in Vandea? Secondo me, è la nutria che viene considerata una leccornia assoluta in quella zona dell’Aquitania, che sia cucinata in civet, in terrina oppure in paté. Già che il transalpino storce il naso a Parigi davanti al monumento della gastronomia francese che è l’andouillette, immagino la sua reazione se dovesse mangiare un sandwich infarcito di paté di nutria! Quindi se leggete un cartello oppure un menù di specialità regionali a La Rochelle o altrove nella zona e che ci vedete scritto ragondin oppure lepre delle paludi, sappiate che è della nutria!

A Bordeaux è più raro di trovarne tranne in qualche zona del Médoc dove abito, ma, da noi, non è una roba che è venduta nei negozi (né altrove) perché la carne non proviene da bestiole di allevamento come nel Nord della regione, ma di attività venatoria. In giugno, è il periodo dei tornei di calcio. Tanti anni fa, mia zia mi aveva chiesto di accompagnare suo figlio che aveva una decina di anni a uno di quei tornei. Dunque ci andiamo e io pensavo comprare i miei sandwich alla ventrêche (pancetta spessa cotta alla griglia tipica della Guascogna) sul posto. E no. I genitori avevano previsto un picnic gargantuesco per almeno cento persone! Dunque c’è questa signora che è conosciuta per fare i migliori millas della Gironda (che sono dolci tipici della Guascogna) e c’è quasi una sommossa di genitori e di bambini intorno alla signora all’ora del pranzo. Lei distribuisce sandwich al paté e porzioni giganti di millas. Aspetto tranquillamente il mio turno. Da leccarsi i baffi! esclama un tizio che viene di inghiottire il suo terzo sandwich. Va bene, riesco ad afferrare chissà come un sandwich, una porzione di dolce e una bibita e poi vado verso il lago per pranzare perché io il calcio e le discussioni sul calcio… La giornata è interminabile meno male che c’è il lago vicino e che ho pensato al costume. Va bene. La sera, faccio il taxi e riporto due o tre orfani a casa loro. Busso alla porta della zia e lei mi invita per un bicchiere. Mi metto a parlare della giornata e del picnic preparato dai genitori e come mi sono sentito a disagio perché non avevo portato niente. E poi, anche dei sandwich al paté che erano davvero squisiti e le dico che erano stati preparati dalla sua amica, la signora che fa i migliori millas della Gironda. Mia zia si mette a guardarmi la bocca aperta e gli occhi spalancati, poi mi chiede se ero sicuro che fosse lei ad aver preparato i sandwich. E certo, rispondo, tutti i genitori la complimentava. Ma tu, insiste mia zia, difficile come sei, ne hai mangiato di quei sandwich? Beh sì, ne ho mangiato uno, era buono, un paté di maiale fatta da lei. Mia zia si mette a ridere a crepapelle e tra due singhiozzi, mi dice: no, non era del maiale. Allora, del coniglio oppure del cinghiale? No, mi fa della testa mia zia che non riesce a parlare tanto lei ride. Va bene. Dopo un mezz’ora, mia zia comincia a calmarsi e mi pugnala dicendomi che era del paté di nutria e che è la seconda specialità della tizia. E di aggiungere: eppure ero sicuro che lo sapevi! Va bene, lo saprai per la prossima volta! Non c’è stata ancora di seconda volta. E ogni volta che sono invitato da un abitante del Médoc, mi ricordo del sandwich alla nutria e di quello che dicono di noi i bordolesi, che siamo come i cinesi che mangiamo tutto quello che corre, cammina, vola, nuota, si arrampica su quel pianeta! Non mi fido più…

 

Viaggio nelle isole del mare degli stretti, di là dalla fine delle Terre! Prima parte.

 

Maggio. Stamane ho preso il traghetto a Lamarque per Blaye ed eccomi a guidare verso Nord lungo il mio caro fiume perché non voglio assolutamente lasciarlo dagli occhi nonché il Médoc sulla riva sinistra. Soprattutto il Médoc che ne ho già la nostalgia. La fine delle Terre per un abitante del Médoc è il faro di Cordouan in mezzo alla bocca del fiume Gironda. Dall’isolotto di Cordouan seguite il litorale atlantico verso Sud fino a Le Porge-Océan. Tracciate un tratto orizzontale verso Est fino alle paludi di Blanquefort in riva al fiume Garonna, risalite verso Nord fino a tornare a Cordouan. Questo triangolo è il Médoc. Il mare degli Stretti (la mer des Pertuis in francese) è il mare che si trova tra il faro di Cordouan è la regione di La Rochelle. Una cosa divertente che devo raccontarvi è che ho le orecchie completamente tappate da quando ho lasciato Blaye per serpeggiare verso Nord tra i paeselli di La Saintonge. Già che ho le orecchie completamente tappate a Listrac che è il punto culminante del Médoc a 40 metri di altezza! Allora, pensate un po’ in questo fottuto paese di colline e di scogliere a strapiombo dell’estuario della Gironda! Noi siamo un pantano sotto il livello del mare, loro sono la Svizzera! E le mie povere orecchie che non sentono più niente! Non mi costa assolutamente di confessarlo perché, anche se adoro il Médoc, non sono sciovinista e quindi non capisco perché i turisti preferiscono il Médoc visto che La Saintonge è mille volte più bella! Il paese non puzza di poltiglia bordolese, ma profuma di fieno appena tagliato. Non c’è questa monotonia di vigneti e di pinete che ricoprono tutta la noiosa Olanda che è il Médoc. Da loro i vigneti scalano le colline e i campi di grano invasi da papaveri per migliaia le scendono. Poi, i paesi sono belli. C’è un’unita con queste case bianche agli scuri blu, grigi oppure verdi che crollano sotto la fioritura delle monarde e delle malvarose. La Saintonge è il Paese di queste piante che ci crescono come la gramigna da noi. Il Médoc è un antico Paese di pastori squattrinati, allora tutti i paesi sono brutti tranne forse Saint-Estèphe che è il solo paese un po’ agghindato della nostra penisola. Ho previsto di fare una tappa a Talmont per il picnic, ma visto che guido come una lumaca e che mi fermo in ogni paesello non ci sarò mai all’ora del pranzo! A Talmont non c’è di panetteria per comprare il pane per preparare i panini previsti per mangiare sulla falesia. Non pensate che le panetterie siano ovunque in Francia, anzi nelle campagne sono piuttosto rare ed è il caso nella zona di La Saintonge. A volte, vedete sulla vecchia strada romana, antiche stazioni di servizio trasformate in cantine che vendono Cognac oppure in negozi di frutta e verdura oppure in negozi di “antiquariato moderno”con i soliti cartelli all’ingresso e all’uscita che dicono: Deposito di pane cioè che c’è un panettiere di un grosso borgo  della zona che fornisce in pane i paeselli dei dintorni in quei posti insoliti. Dunque è il caso a Talmont dove c’è il deposito di pane più strano che non abbia mai visto e posso dirvi che più delle case bianche dagli scuri blu, più delle monarde e dei campi di grano pieni di papaveri, più delle falesie, più della gente che parla con un accento tanto diverso del mio, è questo deposito che mi fa sentire davvero all’estero; anche se, dal deposito, vedo il Médoc sull’altra sponda! Figuratevi che il deposito di pane è dentro un locale tecnico che serve alla manutenzione delle chiuse e di riparo quando piove per gli allievi che aspettano alla fermata il bus del Liceo. E dunque troneggia in mezzo al locale un distributore automatico di pane e io una cosa del genere non l’ho mai vista in vita mia. Immaginate lo shock culturale per l’indigeno del Médoc che sono, mi sembra di essere in un episodio di Starwars. Mi avvicino prudentemente e leggo le istruzioni, ma non riesco a capire come il distributore potrà darmi il mio pane quotidiano visto che non vedo di cassetto. Va bene proviamo, inserisco la mia moneta e scelgo “baguette de campagne”. Un rumore di pistone, immagino anche un fischio almeno che siano le mie povere orecchie martirizzate! E miracolo! Un cassetto nascosto si apre e posso ricuperare la mia baguette ancora calda. Forse la Kangoo che ho incrociato poco prima era quella del panetteriere che veniva rifornire il distributore? Va bene, ora possiamo andare a fare il picnic sulla falesia. Talmont è una cittadina tipica di La Saintonge. Ai tempi dei romani, la cittadina si chiamava Tamnum ed era il porto di una città più vasta che era Novioregum e che è situata sull’altipiano a Barzan. Il posto oggi si chiama: il mulino del Fâ (fa per fanum). Figuratevi che ai tempi di quei megalomani di romani al posto del vecchio e piccolo mulino c’era una statua gigante tipo colosso di Rodi di qualche Dio italico che contemplava la bocca del fiume. Erano completamente pazzi quei romani! La città fu annientata dai Vandali e dopo questa zona dell’estuario fu sempre una zona popolata da pirati fino ai tempi di Napoleone. Pirati guasconi sulla riva sinistra del Médoc e pirati francesi sulla riva destra di La Saintonge. La cosa si capisce facilmente perché la bocca della Gironda è la zona più pericolosa d’Europa per la navigazione con i suoi correnti marini e i suoi banchi di sabbia; il guadagno era facile per i pirati sperimentati dell’estuario. Un po’ a Nord dal posto dove ci troviamo, a Meschers, un paese di abitazioni troglodite scavate nella falesia, c’è la grotta del pirata Cadetto in cui lui si era sistemato ai tempi del Re Enrico IV. Si dice che il tizio, in una sola notte, costruì una nave in cima alla falesia. Gli altri pirati lo presero in giro per la sua nave e lui ridacchiò di loro (sapete i pirati e la conversazione!). E tutti gli abitanti di cadere dalle nuvole di vedere, l’indomani, la nave galleggiare, ormeggiata ai piedi della falesia. Si dice che il nocchiere era un ariete nero dalle corna luminose. Et tutte le notti, la nave solcava verso la bocca dell’estuario e dirottava le navi per precipitarle sulle scogliere oppure farle spiaggiare e impadronirsi dell’oro. E tutti nel Paese di La Saintonge di chiamare Cadetto: l’uomo alle mani di Satana. Sono storie tipiche dell’estuario della Gironda. Maledetta altitudine che devo scendere dalla scogliera per andare a pranzare nella palude in mezzo alle Angeliche, ai cavalli e alle cicogne che altrimenti perdo le mie orecchie a dodici chilometri a volo d’uccello dal Médoc….