Gironda: Un giorno a Bazas!

Bazas a Sud di Bordeaux è una cittadina sulla via inglese del cammino di Compostela, l’ultima tappa, dicevano i pellegrini di una volta, prima di lasciare la Civiltà per andare a morire di malaria nelle maledette lande paludose di Bordeaux. Fine del pellegrinaggio. Amen. Si dice che una vasate (un’antica abitante di Bazas dal nome della tribù celtica che abitava il paesello ai tempi antichi) sarebbe andata – chissà perché – fino in Palestina, poi sarebbe tornata nel paesello di Bazas con uno straccio esciumpato (dall’antico verbo bordolese “eschompar cioè inzuppare) dal sangue di un certo Giovanni Battista. E lei insisteva dicendo che ci voleva costruire un duomo per dare uno scrigno a questa gueille (straccio in bordolese). Notate che gli abitanti di Bazas non sono per niente contrari e hanno costruito per soddisfare la fantasia della loro concittadina, il duomo di San Giovanni Battista. E quindi se vedete delle raffigurazioni di testi su piatti d’argento ovunque nel paesello, non vi spaventate, è per ricordare l’episodio della vecchia che riportò dalla Palestina questo souvenir macabro e insanguinato. Notate ancora ma non credo ci sia un rapporto, che Bazas è il paese di una razza bovina che dà il miglior manzo del mondo. Dimenticate il manzo di Kobe, è quello di Bazas il miglior dell’universo! E quindi c’è una festa del bue grasso a Bazas, ogni anno, il giovedì prima di Mardi Gras. Gli allevatori fanno passeggiare le loro bestiole piene di corone di fiori il giorno prima di essere inviate al mattatoio. Oggi, non le uccidono più in pubblico dopo la sfilata come una volta. Cos’è il progresso! Dunque  vi ho raccontato perché il Duomo è dedicato a un tizio che ha letteralmente perso la testa, del manzo più buono del Mondo e ora vi racconto di Crasso. Di questo Crasso, Giulio Cesare ne ha la bocca piena nel suo De Bello Gallico, era uno dei suoi luogotenenti o qualcosa del genere. Allora questo Crasso si ritrovò in Aquitania a divertirsi un mondo, lontano da Roma. E il vecchio che faceva la guerra in Gallia, lo tormentava a scrivergli delle domande tipo: allora la conquista dell’Aquitania? Pensate un po’ come il Crasso aveva voglia di smettere di far bisboccia per uccidere i suoi compagni di sbevazzata! Dopo un’ennesima notte di movida nei dintorni di Bazas, quel Crasso ricevette una nuova lettera di Cesare. E, l’altro, il Crasso, esasperato, gli scrisse una frottola tipo: ho conquistato Bazas, la città è caduta con i suoi settantamila abitanti. Pensate un po’! Al massimo il tizio sarebbe riuscito a impadronirsi delle chiavi di un bar della piazza del comune! Ah questi italiani, sempre a esagerare in tutto! Ma l’altro, il vecchio, ci crede a questa storia e lo scrive nel suo libro! Andate a capire! Già che oggi Bazas ha meno di cinquemila abitanti, immaginate un po’ durante l’Antichità! Il popolo dei Vasati e Bazas dovevano essere tre case e due famiglie perse nelle lande infette di Bordeaux!  Vi giuro che a Bazas hanno avuto tutte le sciagure dell’Universo durante la storia! Quasi un record mondiale! La cittadina è stata invasa dai Galli, dai Romani, dai Visigoti, dai Saraceni, dai Franchi, dai Francesi, dagli Inglesi, dai Papisti, dagli Ugonotti, dai Monarchici, dai Rivoluzionisti. Le chiese di Bazas sono state distrutte novantanove volte e ricostruite novantanove volte! Ma cos’è Bazas nel fondo? Una cittadina su un isolotto roccioso. Una via; una piazza centrale con le sue arcate medievali; il duomo; la chiesa di Notre Dame dau Mercandilh (cioè del mercatino), fondata da San Marziale,  che è condannata e di cui si fa il giro; il piccolo giardino del vescovo; case brutte e altre belle come la strana casa dell’astronomo (capite l’astrologo) con gli astri (Luna, Sole, Cometa)  scolpiti sopra le finestre della facciata; le mura medievali. Ci si va il sabato per il mercato sulla piazza del comune per comprare prodotti tipici del Sud-Ouest. Ci si mangia e si beve prima di continuare il viaggio verso Nord o verso Sud. Insomma non c’è differenza con il Bazas dei tempi passati, tranne che le lande hanno lasciato posto alla più grande foresta d’Europa. Sotto le arcate, leggo un articolo, tutto ingiallito, del giornale Sud-Ouest affisso sulla vetrina di una pasticceria, l’articolo dice che la pasticceria ha vinto il concorso mondiale della migliore meringa. Più lontano, mi siedo alla terrazza di un bar, al riparo dal sole, sotto le arcate. Il bar sembra una grotta, un omone beve una birra artigianale alla tavola accanto e mi dice che non è la prima della giornata. Lui fa il giro dei bar  secondo quelli che sono più esposti alla brezza che soffia sotto le arcate. Secondo lui, vince quello sotto la “casa dei lavoratori”. Il padrone non si fa vedere, l’omone dice che il tizio sta preparando la sua sangria per la serata. Pensavo a un caffè senza zucchero, ma una sangria mi sta meglio. Una sangria per favore! grido verso la grotta. Il padrone dall’interno mormora qualcosa che non capisco. Guardo dall’altro lato della piazza, una coda che si è formata sotto l’arcata lato Municipio. L’omone dice che è un negozio di gelati all’italiana, che è la cosa che mancava il più a Bazas e che ormai con questi gelati all’italiana sono in paradiso. Sorrido pensando che il gelato all’italiana è completamente sconosciuto in Italia. Buoni? chiedo. Eccome, risponde l’omone, ne ho mangiato uno dieci minuti fa! Il padrone mi porta la mia sangria, chiacchieriamo pigramente, di tutto e di niente, ma soprattutto di questa storia di Covid-19. Il padrone dice di essere contento di aver potuto chiudere un po’, che aveva bisogno di vacanze. Non vi dico la noia che provo! Poi, qualcosa cade da una delle finestre della casa dell’astronomo, è la biancheria della vicina sopra che stava asciugando al sole. Un paio di mutande si pone su un ombrellone del bar accanto che ha la terrazza che morde sulla piazza. L’omone e il padrone ridono come dei matti, tentano di ricuperare le mutande. Li capisco, forse è il solo imprevisto successo in questa calda settimana di luglio. Ne hanno per la giornata a parlare di queste mutande. Strano di essere sotto la casa dell’astronomo, mi dico. Mi ricordo vagamente di qualcosa, una storia orrenda del tempo passato. Lascio i due uomini  fare gli adolescenti, per cercare sul mio telefono che contiene più della Biblioteca di Alessandria. Ah, ecco, la cosa è successa a Bazas il 11 febbraio 1637…..

Per dire il vero sull’esecuzione che è stata eseguita nella città di Bazas, presso la città di Bordeaux, il 11 febbraio di questo anno 1637 dei tre Stregoni e maghi di cui l’uno si chiamava Galeton, l’altro Jassou, e il terzo Pautier, contadini e rustici di età per il più giovane di circa sessant’anni. Pautier per la sua maledetta magia e stregoneria perpetrava, giornalmente, malefici abominevoli e, in particolare, lanciò una fattura a una donna molto onesta che le fece tanto turbare i sensi che correva come rabbiosa attraverso i campi; e quando era chiusa in qualche stanza dove si poteva a malapena trattenerla, gettava urli terribili che erano la causa per cui la gente del paese andavano a vederla a casa sua con grande compassione.

Alcuni padri Recolletti ci andarono più volte, vedere questa giovane donna tormentata, la quale gridava a squarciagola che vedeva i detti tre stregoni (designando loro dai loro propri nomi) accompagnati da alcuni Diavoli e Demoni orribili. E anche gli assistenti vedevano allora volare pietre senza poter determinare la loro provenienza. Il rapporto di questo spettacolo essendo venuto agli orecchi dei Signori della Giustizia, loro si trasportarono nella casa della donna, e avendo raccolto il lamento della donna così afflitta in cui lei dichiarava che Galeton le aveva detto che era Pautier che le aveva lanciato la fattura, allora si decise di farli arrestare. A proposito di ciò, i Signori della Giustizia si portarono sui luoghi, e afferrarono il detto Galeton e il detto Pautier e fecero portare loro in carcere. L’indomani si arrestò anche Jassou. La Giustizia volendo istruire ampiamente questo processo criminale su una materia così prodigiosa, deliberando di udire loro seriamente sulle loro accuse, portarono i tre Stregoni, l’uno dopo l’altro, davanti al loro tribunale dove loro ci andarono a testa alta. Erano decisi come i più innocenti degli uomini del mondo. tuttavia furono interrogati tante volte che cominciarono a vacillare ea mutare. Perché Galeton che era il più anziano essendo accusato di magia fu il primo a cui fu applicato la Questione (nb: ho italianizzato la parola francese Question che è un tipo di tortura usata dall’inquisizione. Questione ordinaria, poi si passa alla Questione straordinaria per i più resistenti, applicare la Questione a qualcuno/torturare qualcuno). Gli si mise pesi sul corpo, sopportò alcuni colpi di frusta con una grossa corda, tanti che tre corde si ruppero sulle sue braccia, e quando era sul banco della Questione il suo Demone si presentò a lui e si pose sulla sua guancia, essendo stato rilasciato. Il Signor relatore lo interrogò, Galeton dichiarò che era vero che era il suo Demone che gli chiudeva la bocca e che si chiamava Xibert, e vedendo che era minacciato di nuovo di essere rimesso più forte alla Questione, ed esattamente interrogato, confessò tutto, dichiarò che era colpevole e convinto del crimine di cui veniva accusato, disse che era Pautier che aveva lanciato la fattura alla donna afflitta. Jassou essendo ugualmente applicato alla Questione, la sopportò  così aspramente che non era possibile che la cosa non sia soprannaturale. Finalmente, si decise di scaldare i suoi stivali (gli furono messi dei tizzoni accesi negli stivali). Al primo colpo di conio che gli venne dato, gridò di essere lasciato in pace ed è quello che si fece. Jassou confessò che era stregone, e che si era recato più volte al sabba dove aveva visto Pautier, confessò anche che aveva dato e commesso alcuni malefici di magia e stregoneria, e ne accusò altri delle loro cabale.

L’indomani si procedette all’interrogazione di Pautier, il quale essendo davanti ai Signori non volle confessare niente anche quando fu messo in presenza dei due altri, i quali mantennero che era lui che aveva lanciato la fattura a questa donna afflitta, e che era andato più volte al sabba con loro. Pautier negò tutto e avendolo applicato alla Questione, gli si diede l’ordinaria e la straordinaria. Ma più la Questione veniva applicata, più Pautier gridava che era innocente. Vedendo che non si andava lontano a interrogarlo e ad applicargli la Questione. E visto che questo maledetto stregone aveva, di continuo, il suo Demone che gli teneva la bocca chiusa per impedirlo di confessare il suo peccato.  Mentre gli altri erano interrogati, si fecero venire alcuni di quelli che erano tormentati e afflitti dalle loro fatture nella camera criminale per essere presentati agli stregoni. E appena arrivarono, furono tormentati e oppressi, facendo segni e gridi terrificanti, dichiarando che vedevano una masnada di Demoni orrendi tutto intorno dei detti stregoni, di cui l’uno fece segno che era Pautier che faceva il più di male. Avendo dunque, i Signori Giudici e gente del Re, lavorati diversi giorni all’istruzione del processo, e vedendo un così grande numero di prove e un così grande numero di testimoni contro di loro, diedero Sentenza per la quale loro furono condannati a fare onorevole ammenda nudi in camicia, la corda al collo, inginocchiati, tenendo ogni di loro una grossa fiaccola di cera ardente, e di chiedere perdono a Dio, al Re e alla Giustizia; poi di essere portati fuori città, in un luogo chiamato “le Arene” e di essere, ognuno di loro attaccato a un palo, che per quell’effetto saranno eretti per loro, e le loro ceneri buttati al vento.

Essendo giunti al luogo destinato per i supplizi, furono legati ognuno al suo palo, poi circondato di un potente rogo di legna, al quale non si mise fuoco subito. I padri Recolletti che assistevano i tre stregoni, fecero loro sincere rimostranze, per tentare di salvare le loro anime, incitando loro di scaricare interamente le loro coscienze, e visto che avrebbero ancora abbastanza tempo, per aver grazia e misericordia dei loro peccati e mettere le loro anime in pace, le quali erano in via di dannazione se morissero nei loro peccati. Quel miserabile Pautier non volendo mai confessare niente, ed era il Diavolo che non l’aveva mai abbandonato e gli aveva, di continuo, chiuso la bocca di paura di confessare qualcosa. I due altri vedendo la perseveranza e maliziosa tenacia di Pautier non vollero dire niente di più che quello che avevano già confessato ai Giudizi. Vedendo che non si poteva ottenere niente da loro. Al segnale dato, il Boia mise fuoco al rogo, e non appena prese fuoco, si udirono (il quale appena fu infiammato, che si udirono) gridi, spaventosi, tempeste e temporali si scatenarono in aria, tifoni di fuoco si lanciarono fuori dal rogo, fantasmi apparvero in mezzo alle fiamme facendo azioni così spaventose e orribili che diedero un così grande terrore, che fecero ritirare in fretta più di due mille persone che assistevano all’esecuzione e anche il Boia di scappare finché la legna fu consumata. La quale dovette essere aumentata per ridurre i corpi dei tre miserabili in cenere; corpi che puzzavano tanto di infezione che non si poteva credere che una cosa simile potesse esistere. I corpi misero più di ventiquattro ore a consumarsi, poi furono buttati al vento. 

Alzo gli occhi, i due uomini stanno ancora scherzando a proposito delle mutande. Il sole splende. Fa fresco sotto le arcate. Aspetto che chiudono la discussione per chiedere una seconda sangria…..

 

Gironda: Il matrimonio.

Le vie arroventate della cittadina medievale di Guitres appartengono alle centinaia e centinaia di rondini, chiassose e indifferenti al caldo, che nidificano nelle crepe dei muri e sotto le tegole della vecchia abbazia. Più lontano, la piccola chiesa del paese è vuota. Dentro stanno ristrutturando il campanile e c’è un’impalcatura che occupa il terzo dello spazio. Si vedono i primi risultati e i colori medievali delle colonne riappaiono sotto la sporcizia. Gli operai hanno abbandonato i loro attrezzi un po’ ovunque fino dentro all’acquasantiera che trabocca di martelli e di spatole. Fa fresco e siamo in Paradiso. C’è un attaccapanni dove è appeso come un abito nuziale. Scherzo dicendo che la tizia ha avuto un attimo di lucidità ed è scappata in mutande dal suo fottuto matrimonio. Passa un mezz’ora e niente, un vecchio è entrato per pregare Sant’Antonio di Padova ed è tutto. Lei dice che abbiamo sbagliato di chiesa e che possiamo bene aspettare fino al Giudizio universale perché non succederà mai niente in quella chiesa. Io sono del parere che il matrimonio sia stato cancellato e che la prova è l’abito nuziale appeso all’attaccapanni. Va bene, sospiro, stavo ancora scherzando. Vado a chiedere a Sant’Antonio di Padova, il vecchio mi dice che c’è un altra chiesa nel paese dove sono celebrati i matrimoni e che lui conosce anche la coppia di cui parlo. Usciamo dalla freschezza della chiesa per ritrovare le vie incandescenti della cittadina medievale. Sono in inferno.

L’insetto della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino e la quercia sotto la quale fu inventata la democrazia rappresentativa!

Il cinipide della quercia è un insetto che appartiene al genere Cynips. È una vespa che è tanto piccola che non è possibile di osservarla nella Natura. Invece se vedete sullo stelo o sulla foglia di una quercia quello che si chiama volgarmente “galla” oppure “mela della quercia”come si dice da noi, è colpa della nostra vespa. Il cinipide, munito di una potente terebra, incide il tessuto vegetale della quercia per deporre il suo uovo. La quercia reagisce alla puntura e cicatrizza producendo un’escrescenza, una mela, intorno all’uovo. Poi, la larva del cinipide si sviluppa al riparo dentro la mela nutrendosene. Forse la cosa non vi sembra un granché e invece è la cosa più straordinaria che sia. Pensate che senza il cinipide della quercia che misura appena qualche millimetro, senza la sua ovideposizione nel tessuto vegetale della quercia, senza la produzione di questa mela dalla parte dell’albero, vivremmo in un Mondo di biblioteche vuote perché tutte queste conversazioni che abbiamo con Dante, Shakespeare, Platone e con tutti gli autori dei secoli passati, le dobbiamo all’interazione tra la piccola vespa e la quercia. In Francia, dal medioevo fino agli anni 1850, l’inchiostro per i libri e l’inchiostro ufficiale erano fabbricati a partire da queste mele delle querce. Senza il cinipide, Montesquieu non avrebbe potuto scrivere Lo spirito delle Leggi, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 non sarebbe stata mai pubblicata. Non ci sarebbe addirittura nemmeno stata una Rivoluzione francese. Non è un inchiostro difficile da fabbricare. Anzi potete fare il vostro inchiostro a casa con qualche ingrediente: mele di querce ridotte in polvere, acqua, solfato ferroso, zucchero, miele…e ottenere un bell’inchiostro nero profondo, stabile, indelebile. Un inchiostro che si conserva all’infinito, al riparo dalla luce, in un flacone di vetro…

La straordinaria quercia che vedete sopra viene chiamata “quercia di Montesquieu” anche se questa quercia era più che centenaria già prima la nascita di Montesquieu. L’albero si trova a due passi dal castello di Montesquieu e, secondo la leggenda, sarebbe sotto la sua chioma che Montesquieu avrebbe scritto, con l’inchiostro di mela  di quercia, Lo spirito delle leggi. Ovviamente, ai tempi di Montesquieu, il paese era diverso. Non c’erano tutte le pinete di oggi. Qualche vigneto in riva al fiume e per il resto, un paese di lagune con distese infinite di brughiere, di ginestre e di molinie. Un paese di pastori con niente che ferma lo sguardo tranne questa quercia solitaria sulla vecchia via romana. Allora non è troppo difficile di immaginare il giovane Montesquieu recarsi fino all’albero e sedersi all’ombra per scrivere le sue opere oppure per portarci qualche contadina guascone oppure semplicemente per chiacchierare con i suoi amici. D’altronde le cose non sono troppo cambiate dai tempi di Montesquieu e l’albero è, ancora oggi, un punto di rendez-vous molto apprezzato dai giovani del paese. L’albero è venerato, quasi l’oggetto di un culto, e si è dovuto sistemare un recinto intorno per impedire alla setta degli adoratori di Montesquieu di avvicinarsi troppo. Gli adoratori di Montesquieu si lamentano perché non possono più toccare l’albero leggendo qualche passaggio di Le lettere persiane. Ma è solo per proteggere quei cretini perché le antiche querce perdono rami grossi quanto alberi e non ci vorrebbe che un lettore di Montesquieu sia ucciso da un ramo della quercia di Montesquieu. Non è una malattia e un sistema di difesa della quercia come la produzione di mele dopo le punture dei cinipidi. La caduta dei rami permette alle radici di sopportare il peso dell’albero e i rami caduti forniscono il nutrimento alle radici. Tutte le vecchie querce sono più o meno cave. In primavera, la gente si reca in pellegrinaggio presso la quercia di Montesquieu per verificare che ci sono i germogli e il miracolo si riproduce ogni anno. C’è l’idea nel paese che la democrazia è fragile e che essa morirà quando la quercia di Montesquieu non germoglierà più…

 

 

Caterina de’ Medici alias Artemisia di Caria.

Cadillac, piccola città medievale dell’Entre-deux-Mers, dove si fa un ottimo vino bianco che vale bene il Sauternes che si fa di fronte sull’altra sponda della Garonna. Cadillac dai bordolesi è conosciuto anche per l’ospedale psichiatrico e d’altronde in bordolese: “finir à cadillac” significa finire in manicomio. Andateci un sabato mattina perché c’è il mercato nelle vie dell’antica cittadina fortificata. Comprate tutto per un picnic senza dimenticare il vino. Visitate il castello dei Duchi d’Epernon e i suoi famosi camini che sono tra i più bei di Francia. In questo castello ha soggiornato Caterina de’ Medici e il camino che si trova nella sua camera le rende omaggio raccontando una scena mitologica che sembra la storia di Caterina de’ Medici e di Enrico II. E non è difficile di capire i motivi per cui l’italiana adorava questo episodio antico e d’altronde questa scena la ritroverete, sotto diverse forme, in quasi tutti i castelli dove ha soggiornato la toscana. Si tratta di Artemisia bevendo le ceneri di Mausolo. Se vedete Artemisia bere le ceneri del marito in Francia, l’artista vi raffigura Caterina de’ Medici. Una volta che avete salutato l’italiana, prendete la macchina, attraversate il fiume e andate a fare un pranzo sull’erba del Parco di Chavat di fronte, a Podensac, in riva alla Garonna…

Già la crisi economica e le premesse delle guerre di religione. Il vampiro, Francesco I, ha tanto succhiato il sangue e il midollo dei francesi che lui non riesce più a risucchiare loro nemmeno un soldo. Ma niente paura perché i Re di Francia in situazione di sovraindebitamento hanno sempre la possibilità di storcersi il naso e comprarsi una piccola mercante fiorentina e entrare in una famiglia di banchieri italiani per rimettersi a galla. E quello che succede con questa brutta e cicciona adolescente di 14 anni, Caterina de’ Medici, che è venuta da Firenze a Marsiglia, venduta dalla propria famiglia, per sposare, il 11 ottobre 1533, un adolescente dello stesso età,  il secondogenito di quel Francesco  I, un certo Enrico di Valois. Storia sordida di un matrimonio arrangiato. Caterina non è una bellezza quanto la rivale Diana di Poitiers anzi. Ma comunque lei è simpatica e colta. Ama la festa. Sa ballare, cantare e conversare in uno strano francese storpiato. Dopo qualche anno, lei è diventata la figlia di cuore di quel Francesco I e lo accompagna dappertutto. Il figlio no. Il padre non lo sopporta affatto. Pensate. Un imbecille nemmeno capace di balbettare due parole comprensibili e che si interessa solo ai tornei. (lo sport alla moda allora). Insomma Caterina non si veste ancora di nero e non è ancora la regina più potente della Storia di Francia e soprattutto più odiata. Lei è ghiottone che ne è una cosa inimmaginabile e, in una sola giornata, l’italiana è capace di mangiare quanto tutta la popolazione di Bretagna. La tipica ragazza che non volete aver a casa. Un giorno lei manca di crepare di un’indigestione per aver trangugiato una quantità astronomica di una schifezza italiana di cui lei veniva pazza. Una specie di ragù a base di carciofi e di creste di gallo. Pensate. Poi, una cosa davvero sorprendente per una figlia del rinascimento italiano – ma forse faccio confusione tra Rinascimento e Lumi –  è la sua superstizione. Talmente superstiziosa che se non fosse stata la nuora di quel Francesco I, ma una semplice contadina basca, l’inquisizione ne avrebbe fatta degli spiedini di questa strega. Pensate. Sempre accompagnata da un esercito di astrologhi, chiaroveggenti, maghi, a farsi leggere l’avvenire nelle palle di cristallo, nelle carte, nei vecchi libri di magia, negli almanacchi. A fidarsi alle profezie chiare come acqua di budello di questo ciarlatano di Nostradamus. Tipo: “Il giovane leone il vecchio sormonterà. Nel campo bellico in singolar tenzone. Nella gabbia d’oro gli occhi perforerà. Due ferite in una, poi morire, morte crudele”. Francamente, si può dire di tutto su Caterina de’ Medici, ma sicuramente lei non mancava di immaginazione perché per capire che questa diarrea voleva dire: Il conte di Montgomery farà fuori il tuo marito durante un torneo, via del Faubourg Saint-Antoine, il 30 giugno 1559, ce ne vuole! Io capisco perché Enrico di Valois, diventato il Re Enrico II, non ha ascoltato la moglie, ha riso davanti ai suoi avvertimenti, ed è andato a crepare sotto la lancia dell’inglese. C’è una ragione per cui l’italiana si cacciava presso tutti quei stregoni da strapazzo. Lei non poteva dare una prole ai Valois. Dieci anni di matrimonio e niente rampollo in vista. Ma qualcuno convince la superstiziosa italiana a essere esaminata dal medico reale nonché il marito. Risultato dell’esame che nessuno veggente aveva visto nella sua palla di cristallo: Sono incompatibili. Lui soffre di un coso al pisello che si chiama: ipospadia e lei ha un utero retroverso. Dunque il medico prescrive alla coppia di fare qualche acrobazia quando fanno l’amore e di abbandonare la posizione del missionario. Devono aver seguito la prescrizione visto che Caterina si mette a sfornare una decina di rampolli ai Valois di cui tre Re di Francia: Francesco II, Carlo IX e Enrico III. Dunque il suo imbecille di marito muore nel 1559. Lei si veste di nero e si appresta a impadronirsi del potere durante trent’anni al nome dei figli. Francesco II è già malato quando sale sul trono di Francia e la madre deve aspettare la morte del figlio che sopravviene dopo un po’ più di un anno. Il matrimonio di Francesco II con Maria Stuart non ha dato di discendenza quindi Caterina de’ Medici diventa reggente visto che Carlo IX, il delfino, ad appena dieci anni. Dunque Caterina si ritrova alla testa di uno Stato sull’orlo di una guerra civile. Già ai tempi di Francesco I e di Enrico II, la repressione contro i protestanti ha preso proporzioni considerevoli e i tentativi di Caterina per placare il conflitto tra il partito cattolico e il partito protestante sono destinati a fallire già prima di iniziare. Ogni gesto di conciliazione in favore dei protestanti da parte di Caterina tipo garantire una libertà di coscienza o di religione è visto come un oltraggio dai cattolici. E i protestanti sempre più numerosi in Francia non ne possono più di quei cattolici che li massacrano. Lei è al centro di un conflitto tra due grandi famiglie feudali: I Borboni che sono protestanti e che sono sostenuti dall’Inghilterra e i Guisa che sono cattolici e sostenuti dalla più grande potenza dell’Europa dell’epoca: La Spagna. Le due famiglie non obbediscono affatto al potere reale. Quindi la politica di Caterina de’ Medici è per trent’anni di tentare di conciliare due partiti che sognano solo di farsi la guerra. Poi succede che i Paesi Bassi spagnoli si ribellano contro la Spagna. In Francia, l’ammiraglio Coligny che è protestante spinge Carlo IX a entrare in guerra contro la Spagna che commette massacri di protestanti nei Paesi Bassi e Coligny è molto influente presso il figlio di Caterina de’ Medici che lo considera un po’ suo secondo padre. Il Re è ammalato, tubercolosi, e Coligny è sul punto di convincerlo. E dunque cosa fa l’italiana che non vuole di questa guerra contro la Spagna? L’occasione è buona e il tizio non si diffida e d’altronde era al matrimonio di Margherita, la figlia di Caterina de’ Medici, con Enrico di Navarra (protestante e futuro Enrico IV) sei giorni prima. E dunque lei decide di farlo assassinare. L’omicidio fallisce e tutti i migliaia di protestanti che si trovavano a Parigi per le nozze chiedono giustizia per Coligny. L’italiana convince il Re che loro rischiano di essere sgozzati dai protestanti e decidono di fare sgozzare prima i capi protestanti che sono a Parigi. Il partito cattolico che non ne può della tolleranza del potere reale nei confronti dei protestanti si mette a massacrare migliaia di protestanti attraverso la Francia, è il massacro di San Bartolomeo, uno dei massacri più terribile della Storia di Francia. Una macchia sul destino di Caterina de’ Medici che fa che lei è la regina, ancora oggi, più odiata dai francesi. Dopo Carlo IX succede sul trono il terzo figlio, Enrico III, che anche lui non avrà di discendenza e che designerà Enrico di Navarra come il suo successore. Ma questo è un’altra storia…

 

Médoc: Un pomeriggio nella foresta di rododendri di Saint-Queyran!

Due anni fa, fu la mala jornada come la chiamiamo pudicamente in guascone. Questa maledetta giornata del primo novembre 1450 dove noi bordolesi, assediati da mesi dall’artiglieria francese, disperati e affamati, siamo usciti da Bordeaux per fronteggiare questo bastardo francese di Carlo VII e il suo esercito nelle grandi paludi a Nord di Bordeaux. Siamo stati tagliati a pezzi dai cannoni francesi e il nostro sangue ha colorito di rosso tutti i fiumi del Sud Médoc. Dopo cento anni di guerra, non resta quasi niente della nostra cara Guascogna e dire che abbiamo dato dei Re all’Inghilterra! Ormai l’Aquitania è ridotta a Bordeaux e alle sue lande. Abbiamo fatto finta di accettare l’autorità di quei maledetti francesi aspettando di ricostruire le nostre forze e abbiamo segretamente chiamato in aiuto i nostri alleati inglesi. Il 22 ottobre 1452 è stata una doccia fredda quando è sbarcato a Bordeaux un esercito inglese di solo 4000 uomini con alla loro testa John Talbot. E invece il vecchio leone inglese che ha terrorizzato i francesi per decenni ha saputo galvanizzarsi con le sue parole ed è stato un grande giorno di festa nelle vie di Bordeaux. Abbiamo ripreso speranza perché il nostro vecchio Talbot vale dieci Carlo VII e ognuno valoroso guascone più di mille soldati francesi alla guerra. Battaglia dopo battaglia, abbiamo respinto gli invasori e riconquistato una dopo l’altra tutte le città della Gironda. La guerra si è spostata all’Est della Gironda durante l’estate 1453. Non abbiamo abbastanza uomini per difendere il nostro territorio e i mercenari francesi ne hanno approfittato per invadere di nuovo il Médoc. Qualche giorno fa, abbiamo ricevuto una notizia terrificante. Il borgo di Saint-Queyran è stato rasato al suolo da questi maledetti francesi. Una nuova mala jornada. Gli abitanti sono stati tutti sgozzati, eviscerati, impiccati. Uomini, donne, bambini. Nessuno è sopravvissuto al saccheggio. Il prezzo da pagare per il nostro tradimento ha ridacchiato il bastardo francese. Allora noi che abbiamo già perso tanto, in quel bel giorno di luglio, in un campo in riva alla Dordogna, davanti alla città di Castillon, c’è ne freghiamo alla grande di questo fottuto Carlo VII e della sua artiglieria, del tradimento del Re d’Inghilterra che non ci invia mai i rinforzi promessi e che ha abbandonato il buon Talbot. Noi ci crediamo e ci crederemo fino al nostro ultimo soffio alla nostra vittoria finale. Oggi, molti di noi non vedranno la prossima vendemmia. Ma già il vecchio Talbot dà l’ordine dell’attacco e ci mettiamo a caricare allegramente i 300 cannoni puntati su di noi dai francesi….

Sto camminando nella foresta di Saint-Queyran seguendo il corso pigro di uno di quei fiumi colore ruggine che chiamiamo “jalle” nel Médoc. Il caldo è massacrante. Ci vogliono delle buone scarpe perché un incontro con una vipera è una cosa banale. Poi non ci vuole dimenticare la lozione antizanzare perché ce ne sono di quelle nuvole di zanzare lungo i fiumi che percorrono la foresta. Notate che è qualcosa che mi impongo perché avrei potuto tranquillamente restare al fresco sul bellissimo sentiero didattico forestale sistemato dal comune di Saint-Laurent, ma c’era presente un gruppo di escursionisti che parlava forte e io avevo bisogno di silenzio e di solitudine. L’immensa foresta di Saint-Queyran è conosciuta solo dalla gente della zona eppure è probabilmente la più bella passeggiata da fare nel Médoc a metà maggio. Figuratevi che dentro questa foresta tipica del Médoc c’è ne un’altra costituita da rododendri giganti che lanciano i loro rami verso il sole. Una bellezza quei rododendri da togliervi il fiato. Conosco altre foreste nel Médoc dove crescono  rododendri ed è sempre la sempre storia, a prossimità c’è uno château o un’antica proprietà e qualche rododendro, più temerario degli altri, è scappato verso la foresta. Ma davvero niente di paragonabile con quello che potete vedere a Saint-Queyran. Anche a Saint-Queyran si dice che all’inizio c’era una riserva di caccia di un ricco proprietario bordolese e che tutti quei rododendri centenari sono i soli resti di questa proprietà. Io non ci credo affatto che questi rododendri si siano misteriosamente naturalizzati in questo pezzo di foresta riparia persa in mezzo delle pinete industriali di pini marittimi. C’è qualcosa che viene da più lontano dietro. Una magia che sentite appena penetrate nella foresta. Non dubito che i rododendroni siano stati piantati nel XIX secolo da un ricco bordolese. Invece ho la certezza che sono gli antichi abitanti martiri del paese di Saint-Queyran che sorgeva in quel posto che li coltivano e che ci offrono tutta questa bellezza ogni anno in maggio.

Un anno nel mio Médoc: Maggio.

Il mercato di Blaye si svolge il mercoledi mattina ai piedi della cittadella. Allora, quando ne abbiamo l’opportunità, facciamo gli americani e ci si andiamo con il traghetto che parte da Lamarque. Ci fa una crociera sull’estuario per qualche euro. L’impressione di andare in vacanza all’estero. Talvolta prepariamo un picnic per pranzare sui prati della cittadella e talvolta siamo troppo pigri e compriamo tutto al mercato o in una panetteria sul molo di Blaye. Sul mercato ci sono produttori locali di asparagi e di fragole che sono due grandi specialità dell’estuario della Gironda. Il mese prossimo, ci saranno probabilmente ragazzi che andranno sul mercato per farsi un po’ di soldi vendendo delle esquire (piccoli gamberi bianchi cotti in un brodo con dell’anice stellato o del finocchio) che loro avranno pescato nell’estuario. E queste esquire ti faranno come un raggio di sole in bocca ricordandoti quando andavi dai nonni e che il nonno te ne comprava un pieno cornetto di carta da giornale per la tua merenda. Dopo la spesa, è tempo di andare a fare il picnic sui prati della cittadella entrando, non come lo fanno i turisti dalla porta Dauphine, ma dalla porta del Re perché abbiamo la nostra fierezza. Dopo il pranzo, è tempo di vagare tra l’antico castello dei Rudel e i valli; di andare fino al convento dei Minimi per vedere la mostra che si è già vista qualche mese fa a Bordeaux; di ammirare i fichi e le monarde che crescono sui baluardi; di immaginarsi com’era la vita dei soldati ai tempi di Napoleone quando le navi inglesi bombardavano la cittadella; di guardare pieno d’orgoglio l’estuario della Gironde e le sue isole; di ricordarsi dell’anno scorso all’isola Senza-Pane. Poi, è sempre la stessa storia. A forza di guardare l’estuario e la penisola del Médoc sull’altra riva, ti viene una nostalgia come se tu avessi lasciato questa fottuta palude che è il Médoc da un secolo….

Canzone: L’amor de lonh.

A qualche chilometro da casa mia, sull’altra sponda dell’estuario della Gironda, a Blaye, visse nel XII secolo, il trovatore Jaufré Rudel; d’altronde potete vedere le vestigia del castello dei Rudel dentro la Cittadella di Blaye. Cosa sappiamo di preciso a proposito di Jaufré Rudel? Solo due o tre cose. Era principe di Blaye (capite Sire), egli compose dei versi nella lingua dei trovatori e si imbarcò per la crociata del 1147 e morì oltremare. Storicamente è tutto. Ah no, scusate,  non è tutto perché Jaufré Rudel è meno conosciuto per le sue sei canzoni che ci sono pervenute che per la sua inverosimile avventura romanesca che ha ispirato, diciamolo, tutta la poesia e il romanticismo dei secoli seguenti fino al vostro poeta Giosuè Carducci che ha scritto della tragica avventura del principe di Blaye. Questa avventura non la troviamo nelle sei canzoni di Jaufré Rudel dove lui ci racconta anzi i suoi tormenti di dovere lasciare la moglie per andare in Terra Santa, ma in una piccola notizia biografica scritta quasi un secolo dopo la morte di Jaufré Rudel e dove l’autore ci dice che Jaufré Rudel di Blaye era diventato innamorato della contessa di Tripoli solo sulla sua reputazione, che lui si imbarcò per la Siria per vederla, che si ammalò in mare e che il povero girondino arrivò a Tripoli per morire tra le braccia della contessa e che lei si fece monaca il giorno stesso. Nelle sei canzoni di Jaufré Rudel ce ne una che si chiama: L’amor de lonh e che è all’origine di questa finzione biografica. La canzone non dice che Jaufré Rudel non conosce la ragazza di cui lui ci sta parlando. E la canzone è quella di un amor non corrisposto tra il trovatore e una ragazza che potrebbe anche essere di Blaye. Tutto qui. Ma senza l’immaginazione romanesca del biografo che ci ha visto una storia d’amore di lontano tra Jaufré Rudel e una contessa di Tripoli e soprattutto senza tutti questi poeti che ci hanno creduto, i bellissimi versi di Jaufré Rudel sarebbero caduti nel dimenticatoio. Sotto, la cantante Jacmelina che interpreta due strofe della canzone Amor de lonh:

Lanquan li jorn son lonc en may

M’es belhs dous chans d’auzelhs de lonh,

Et quan mi suy partitz de lay

Remembra’m d’un’ amor de lonh :

Vau de talan embroncx e clis

Si que chans ni flors d’albespis

Non’m platz plus que l’yverns gelatz.

[Allor che i giorni sono lunghi a maggio,

mi piace il dolce canto degli uccelli di lontano,

e quando mi sono partito di là

mi ricordo di un amor lontano.

Vado per il desiderio imbronciato e a capo chino,

così che né canto né fior di biancospino

mi giovano più dell’inverno gelato.]

Jamais d’amor non’m jauziray

Si non’m jau d’est’ amor de lonh,

Que gensor ni melhor non sai

Ves nulha part, ni pres ni lonh :

Tant es sos pretz verais e fis

Que lay el reng dels Sarrazis

Fos hieu par lieys chaitius clamatz !

[Mai d’amore io godrò

se non godo di questo amor lontano,

perché non conosco (donna) più nobile e buona

in nessun luogo, vicino o lontano;

tanto è il suo pregio verace e fino

che là, nel regno dei Saraceni,

fossi io per lei tenuto prigioniero!]

Antonietta-Giovanna, la bordolese che caccia via i temporali!

Médoc. Se vi chiedete chi è Antonietta-Giovanna, sappiate che è la più piccola e la più antica delle tre campane del campanile a vela della chiesa di Notre-Dame de Benon a Saint-Laurent de Médoc, a due passi dalla fontana della fata dai capelli rossi di cui vi ho parlato l’altro giorno. Antonietta-Giovanna, ragazza di 219 anni, è stata fusa dallo stesso artigiano bordolese che fuse sua sorella maggiore: La Grosse-Cloche di Bordeaux. Questa campana, Antonietta-Giovanna, è davvero particolare perché le viene attribuita una virtù primordiale, essenziale, in un paese vitivinicolo come quello di Bordeaux, un potere magico, quello di cacciare i temporali e di allontanare le tempeste autunnali che arrivano dal Golfo di Biscaglia al momento della vendemmia. Oggi, si usano i cannoni antigrandine per tentare di salvare le raccolte, una volta, i bordolesi facevano suonare campane magiche come Antonietta-Giovanna per fare lo stesso lavoro. Fino alla metà del XVIII secolo, era un’obbligazione legale per gli abitanti e i sagrestani di fare suonare “il temporale”. Poi qualcuno si è accorto che i fulmini avevano la spiacevole tendenza a distruggere, in primo luogo, i campanili essendo attirati dalle loro croci in ferro in vetta e dunque questa usanza kamikaze è stata proibita. Questa proibizione e l’invenzione del parafulmine hanno messo fine alla strage dei suonatori di campane. La credenza degli antichi bordolesi era che il diavolo (e prima di lui il Dio del tuono perché è un’usanza antichissima di fare rumore per allontanare il brutto tempo) era l’autore dei temporali e che lui non sopportava il suono di certe campane come quello di Antonietta-Giovanna e scappava via con le sue maledette nuvole nere. Talvolta gli exploit venivano incisi addirittura nel bronzo delle campane magiche. La difficoltà per i bordolesi era di procurarsi queste campane magiche perché un campanile con una banale campana di bronzo non serviva proprio a niente. C’è un episodio famoso nel Gargantua di François Rabelais, al capitolo XIX, dove Giannotto de Bragmardo tenta di convincere Gargantua di restituire le campane di Notre-Dame de Parigi che lui ha derubato. Uno degli argomenti è che loro hanno bisogno delle loro campane magiche che cacciano i temporali e garantiscono loro il sugo di vigna; e d’altronde hanno già rifiutato un bel sacco di soldi offerto dalla città di Bordeaux per le loro campane:

“Ehen, hen, hen,! Mna, dies signore, Mna dies! Et
vobis, signore! Sarebbe un gran bel fatto che ci rendeste
le nostre campane, poiché ne abbiamo molto bisogno.
Hen, hen, hasc,! Ne abbiamo rifiutato una volta del bravo
danaro sonante dai cittadini di Londra, in Cahors, e
altresì da quelli di Bordeaux, nella Brie, i quali volevano
comprarle per la sostantifica qualità della complessione
elementare che è intronificata nella terrestrità della
loro natura quidditativa, per estraniare gli aloni e i
turbini dalle nostre vigne, veramente non nostre, ma
poco ci manca. Poiché se perdiamo il sugo di vigna, tutto
perdiamo; sentimento e legge.
“Se voi ce le restituite per mia richiesta io ci guadagnerò
dieci spanne di salciccia e un buon paio di brache
che saranno una grazia di Dio per le mie gambe, se
no, non mi terranno la promessa. Oh, per Dio, Domine,
un paio di brache non è mica un pugno in un occhio, et
vir sapiens non abhorrebit eam. Ah, ah, non è mica dato
a tutti avere un paio di brache. Io lo so bene per esperienza
personale, pensate, Domine: son diciotto giomi
che sto a rugumare questa bella arringa: Reddite quae
sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo. Ibi iacet
lepus. Date a Cesare quel ch’è di Cesare e date a Dio
quel ch’è di Dio. Questo è l’importante.

 

Il campanile a vela della chiesa di Notre-Dame de Benon. la campana Antonietta-Giovanna è quella di destra. La chiesa faceva parte di una commenda ospitaliera fondata nel 1154 per soccorrere i pellegrini di Compostela che si prendevano la malaria attraversando il Médoc.

Questo edificio è la prima chiesa, quella del 1154. Si trattava di una cappella dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, oggi è la Sagrestia. Probabilmente c’era già un campanile con la sua campana magica sopra la volta a botte della cappella. Non c’è più traccia dell’ospedale.

Inizio del XIII secolo. Si affianca a Sud una seconda chiesa alla prima che era troppo esigua. Piace la semplicità di queste chiese fortificate.

La scala del campanile. Notate che potete tirare la corda di Antonietta-Giovanna dai piedi della scala. La campana è stata riparata bene tre volte durante la sua storia e l’ultima volta nel 1995. Prova che Antonietta-Giovanna viene ancora oggi usata per cacciare i temporali da qualche viticoltore sfida la morte! 😉

 

 

 

Il Paese dove i gatti hanno il loro presepe!

Mi sono fermato davanti alla finestra dell’antica casa medievale per ammirare il presepe dei gatti che ci è stato sistemato dietro da Cécile, la vasaia del paese. Tutti i dettagli sono adorabili. L’angelo gatto legge serenamente. Gli animali tradizionali del presepe sono diventati dei topi. I re Magi gatti regalano al neonato gatto: un bicchiere di latte, un gomitolo di lana e un topo meccanico…Cari lettori e care lettrici, noi ci vantiamo a Bordeaux di essere la capitale di una regione, la Nuova Aquitania, più grande dell’Austria. Ma ci vantiamo di un’altra cosa – sì, è vero ci vantiamo molto – è di avere in questa regione il più piccolo paese di Francia, Castelmoron d’Albret, che organizza, ogni anno a fine dicembre, una manifestazione dove potete vederci più di 200 presepi che vengono dal Mondo intero. E anche se il paese è il più piccolo di Francia, la densità di presepe per abitante, più di quattro, è sicuramente la più alta del Mondo – va bene, smetto un po’ di vantarmi, diciamo di Francia. Questo paese di Castelmoron d’Albret non ci credete prima di l’aver visitato. È un borgo medievale adorabile situato a Sud di Bordeaux nell’Entre-deux-Mers. Cinquanta abitanti che vivono in un paese di appena più di tre ettari – sì, la densità di popolazione ci è altissima. Scrivo che Castelmoron d’Albret è il paese più piccolo di Francia, nel senso che è veramente un comune con un municipio e un sindaco, non è la frazione di un altro comune. Il sole spendeva quando ho lasciato Bordeaux, ma una volta il fiume Garonna varcato, mi sono ritrovato in piena nebbia sulla strada dei pazzi del presepe, una cosa normale nell’Entre-deux-Mers in questa stagione. Una nebbia da tagliare al coltello come si dice in francese per indicare una nebbia tanto fitta che non vedete nemmeno i vostri piedi. L’Entre deux mers è questa parte della Gironda intrappolata tra i fiumi Garonna e Dordogna. Un’isola. Per me, assomiglia all’Italia – diciamo all’immagine idealizzata che mi faccio dell’Italia – e se non ci fosse la nebbia, vedrei colline e colline di vigneti, a perdita d’occhio. Un oceano di vigneti. D’altronde ho un po’ il male di mare a salire e scendere tutte queste colline senza contare che ho le orecchie completamente tappate a causa dell’altitudine; già che trenta metri di altezza è il Monte Bianco per un abitante del Médoc. Una cosa divertente è che, come ogni volta, quando arrivo a Sauveterre de Guyenne devo fermarmi per chiedere la strada di Castelmoron d’Albret alla panetteria del centro città. Altrimenti non trovo mai la strada. Strano. Mi metto a vedere i cartelli stradali di Castelmoron d’Albret solo quando un abitante di Sauveterre mi ha indicato la strada. E dire che Castelmoron è stato fondato dai romani. Forse anche loro si sono fermati a Sauveterre e hanno fatto una domanda al panettiere tipo: Lei non conosce nei dintorni una collina simpatica per edificare il nostro oppido? E il panettiere avrà indicato la direzione di Castelmoron d’Albret. Il paese di Castelmoron d’Albret è appollaiato su uno sperone roccioso. L’oppido romano è stato distrutto dai visigoti verso il V secolo. Poi, tre secoli più tardi, sono dei prigionieri arabi che hanno edificato il castello (di cui questo nome di Castelmoron). Il castello non esiste più, ma ne rimane una torre, una parte delle mura, una porte e, ovviamente, le case fortificate con le loro gallerie in legno che fanno tutto il fascino del borgo medievale. Di solito, si lascia la macchina ai piedi della collina e si sale a Castelmoron d’Albret attraverso un giardino davvero curioso con la sua fonte che scaturisce dalla collina. Ma oggi, con la nebbia che bagna tutto il pavimento medievale (e anche le mutande dell’autore di questo blog) meglio non fare il kamikaze sull’antica scala e lasciare la macchina all’ingresso del paese. Non c’è un gatto in strada o forse non vedo la gente per colpa della nebbia. Comunque la magia funziona e mi metto a vagare guardando attraverso le finestre illuminate delle case dove sono stati sistemati i presepi. Vi trovate in un paesello perduto di Gironda e tutto intorno a voi ci sono dei presepi pieni di Re magi e di bambini Gesù del Guatemala, del Nicaragua, del Giappone, dell’India, degli Stati Uniti, del Senegal, di Arcachon o delle isole Salomone. Notate che non avete bisogno di Gps perché c’è un’unica strada che attraversa il Paese. Il clou dello spettacolo è dentro la chiesa che trabocca letteralmente di presepi. A me fa pensare alle maquette di treni elettrici tutti quei presepi e, per esempio, c’è ne uno che riproduce letteralmente un paese di Arcachon con un bambino Gesù figlio di un ostricoltore! Dopo una chiacchierata con Cécile che organizza l’evento da quasi venti anni, sono attirato dal buon odore di qualcosa che sta friggendo. Oh no! Non è possibile! Davanti al bar, c’è una donna che tiene un bancone dove lei vende delle Meraviglie e mi dico che siamo veramente fuori dal tempo a Castelmoron se loro mangiano già delle Meraviglie prima di Natale! (Le Meraviglie sono dolci di Carnevale tipici di Bordeaux e sono una mia grande passione). Mi precipito e ne compro un pieno sacchetto. Poi, entro nel bar-antiquariato dove chiedo un cioccolato al proprietario. Il sacchetto pieno di Meraviglie calde che ho posto sulla tavola mi fa degli occhiolini. Il tizio ride davanti alla mia commedia e mi invita a mangiare delle Meraviglie perché è sua moglie fuori che le sta facendo. Faccio i miei complimenti a sua moglie quando ripasso davanti il bancone. Meglio di quelle di Bordeaux! lei esclama avendo riconosciuto il mio accento. Ormai non è più un coltello che ci vorrebbe per tagliare la nebbia, ma un’ascia. Il tempo di rivedere il presepe dei gatti che mi aveva tanto ammagliato all’inizio della visita. Poi sarà tempo di tornare a casa.

 

 

 

 

 

 

 

Qual è il rapporto tra Cenerentola, un tizio che non aveva bisogno di Viagra e un paese di Gironda?

Vayres è una cittadina costruita su uno sperone roccioso a strapiombo sul confluente del Gestas e della Dordogna, a venti minuti a est di Bordeaux poco prima Libourne. Cittadina famosa per il vino, le lamprede, il castello medievale e il mascheretto in autunno. Io che sono di Bordeaux pronuncio Vayres malissimo e dico qualcosa che in italiano assomiglierebbe a Veir. Invece gli abitanti del paesello pronunciano il nome semplicemente Verre cioè come vetro o ancora bicchiere in francese. Mi direte che è normale per un paese vitivinicolo. È omofono con un sacco di parole questo bicchiere francese. Pensate un po’ che bicchiere e vetro (verre), verso (vers) verme (ver) verde (vert) e la cittadina di Vayres si pronunciano allo stesso modo. Ah, ne ho dimenticato uno che è presente nel blasone della cittadina di Vayres! Vaio cioè vair in francese che è la pelliccia dello scudo in araldica e anche il nome che si dà alla pelliccia grigia e bianca di certi scoiattoli. Nella Cenerentola di Charles Perrault, la vera, non l’americana, la ragazza indossa le scarpe di vaio al ballo cioè in pelliccia di scoiattolo. Cosa pensate? Che sia più comodo non solo per ballare, ma anche per ballare in un castello medievale freddo e pieno di correnti d’aria, scarpe in pelliccia di scoiattolo (vair) oppure scarpe di cristallo (verre)? Bene. Siamo d’accordo. Il promontorio di Vayres è abitato dalla preistoria e attrezzi di selce sono stati scoperti durante degli scavi archeologici. Ai tempi di Asterix, la città era un oppidum gallo-romano e, al posto del castello, c’era una torre di legno (non di vetro!) che permetteva di controllare i dintorni cioè di  fare pagare un riscatto ai viaggiatori sulla strada tra Bordeaux e Périgueux (non erano pazzi questi romani!). Il nome della città era allora Varatedo e da Varatedo a Vayres c’è un passo. Passa un po’ di tempo e durante il Medioevo la torre di legno è sostituita da un castello e un torrione in pietra (non di vetro!) e sempre con lo scopo di riscattare i viaggiatori! Adesso siamo in piena guerra dei Cent’anni e il castello sta difendendo i bordolesi dagli invasori francesi. Perdiamo la guerra e il castello è quasi distrutto. Restano da quel periodo buio della nostra Storia: Il torrione del XIV secolo, il castello d’ingresso e i fossati. Il castello è ceduto alla famiglia d’Albret che abbiamo già incontrata sul blog. Famiglia guascone, originaria dell’Albret nelle Landes di Guascogna, che è riuscita dopo secoli di saccheggi, complotti, matrimoni loschi e guerre diverse, a mettere sul trono di Francia uno suo figlio: Enrico IV. Il tizio fa alcuni soggiorni nel castello di Vayres. Decisamente questa storia di omofonia non si lascia perché il figlio di Giovanna d’Albret era soprannominato il vert galant. Il vert galant del castello di Vayres che non è di vetro. Divertente. Cosa significa essere verde in francese? Si dice di un tizio che non ha bisogno di viagra, se vedete quello che voglio dire! Nel 1583, il castello è  venduto da Enrico IV alla famiglia de Gourgue che lo ristruttura in castello rinascimentale e potete ammirare, ancora oggi, la straordinaria galleria di stile manierista realizzata da Louis de Foix, l’architetto del faro di Cordouan alla foce della Gironda. Poi, il castello è di nuovo assediato durante la Fronda e gravemente danneggiato. La famiglia de Gourgue lo fa di nuovo ristrutturare aggiungendo nuovi elementi architetturali…Va bene, ne ho già scritto troppo ed è tempo per me di tornare nel giardino alla francese…