Médoc: La fata dai capelli color ruggine!

La fontana che vedete sopra è quella di Bernos sul confine tra il Médoc dell’estuario e quello delle Lande di Guascogna. Forse è la più misteriosa fra tutte le fontane miracolose e guaritrici che pullulano in Aquitania. Misteriosa perché non si sa proprio niente della costruzione del muro che la circonda e della porta che permette di accedere. Si dice che i poteri magici della fontana risalgono ai tempi dei meduli cioè l’antico popolo celtico che abitava la penisola del Médoc ai tempi dei galli. Ma la fontana è stata un luogo di culto per altri popoli più antichi e oggi dimenticati, d’altronde oggetti preistorici di offerta e utensili in selce sono stati ritrovati a prossimità della fontana, nel letto del fiume. Misteriosa anche perché la fontana non è stata cristianizzata come la maggioranza delle nostre fontane guaritrici. Eppure siamo sul cammino di Compostela e i pellegrini hanno anche loro fatto delle offerte alla fontana per secoli, hanno bevuto la sua acqua benefica oppure hanno utilizzato l’acqua per curare i loro mali oppure rilassarsi dopo aver attraversato l’immensa palude ostile che era il Nord Médoc e prima di continuare attraverso la palude verso Bordeaux. Si dice che in questa fontana ci vive una fata dai capelli color ruggine. Questa fata sarebbe una principessa meduli che ci si sarebbe annegata, una sera, e i suoi capelli avrebbero colorato in ruggine l’acqua cristallina della fontana, del fiume e di tutti i fiumi del Médoc. Quindi non vi chiedete più perché l’acqua dei fiumi del Médoc è colore ruggine, avete la risposta. In inverno no, ma in estate è possibile che ci si incontrate la fata. Quindi è meglio andarci in giornata quando la fata dorme nel suo palazzo sotto la fontana e mai in crepuscolo. Le fate sono creature della notte. Se, per caso, ci passate una sera e che vedete una ragazza dai capelli rossi e vestita di bianco. E se lei, appoggiata al muro, si sta pettinando la sua chioma rossa guardando l’acqua. Dovete assolutamente continuare il vostro cammino discretamente senza fermarvi né parlarle. Altrimenti rischierete di fare una brutta fine perché non ci vuole mai disturbare una fata meduli che si sta sbrogliando i capelli. Avevo raccontato in un altro post come la gente di Guascogna usava le fontane miracolose per guarire di certi mali e quindi alla fontana di Bernos era esattamente la stessa cosa tranne che la gente preferiva usare gli spilli. La persona che chiede una guarigione si tocca la zona dolorosa con uno spillo, poi lo spillo è buttato nell’acqua della fontana sperando nell’intercessione della divinità. Non è una semplice offerta alla fata, ma un modo per sbarazzarsi del male che è trasmesso allo spillo. Mettiamo che un imbecille che passa davanti alla fontana ci tuffa la mano per raccogliere lo spillo, lui si prende il male e quello che ha buttato lo spillo è definitivamente guarito. La fontana di Bernos non è soltanto una fontana guaritrice o miracolosa, è una fontana che è anche chiamata “marieuse” in francese che sarebbe qualcosa come paraninfa in italiano. La fata avrebbe dotato l’acqua della fontana del potere di prevedere i matrimoni in ricordo dei giuramenti d’amore scambiati, sul bordo, con il suo galante quando lei era una principessa meduli. Dunque le ragazze del Médoc – quasi mai i ragazzi – che erano preoccupate da queste storie di matrimonio si recavano alla fontana per consultare la fata. In questo caso ancora si usavano gli spilli. La ragazza tornava la schiena alla fontana e gettava sopra la sua spalla sinistra due spilli nell’acqua. Poi lei andava a vedere il risultato. In caso in cui gli spilli erano incrociati nel fondo della fontana, significava che lei era sposata prima la fine dell’anno, altrimenti lei doveva aspettare l’anno seguente per consultare di nuovo la fata….Non mi ricordo le circostanze, ma ho raccontato il gioco degli spilli alle due figlie di mio fratello. E ora le due pesti mi pressano per andare alla fontana e gettare dentro degli spilli. Incrocio le dita e spero che la fata non mi faccia uno scherzo. L’una ha otto anni e l’altra quattordici anni! Comunque le due mocciose mi hanno rassicurato, non è per sposarsi che vogliono consultare la fata, ma per sapere se il padre vincerà al lotto!

 

 

 

 

 

Racconto di Natale di una volta nelle Landes di Guascogna.

Probabilmente non lo sapete, ragazzi, ma i buoi parlano la notte di Natale. Ma è assolutamente vietato di ascoltarli: Nessuno deve sapere quello che dicono. C’era una volta un uomo che pensava che fosse una sciocchezza questa storia dei buoi che parlano la notte di Natale. E, nonostante tutti gli avvertimenti, l’uomo lasciò partire tutta la sua famiglia alla messa di mezzanotte e andò a nascondersi ai piedi del buco da pascolare*. A mezzanotte, l’uomo sentì un bue che diceva all’altro:

– Eh! Martino. Sei qui?

– Sì. E cosa mi vuoi Giovanni? dice l’altro.

– Che faremo domani?

– Porteremo il padrone in terra.

Immaginate un po’, ragazzi, come l’uomo era spaventato! E bene. Lui andò a letto e l’indomani mattino era morto. E i suoi buoi lo portarono al cimitero.

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* Sportello tra la stalla e la cucina nelle antiche cascine delle Landes di Guascogna. Quando lo sportello è aperto i buoi possono passarci la testa per essere nutriti e ingrassati.

 

 

 

 

 

 

 

La casa dei lupi.

 

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Una volta, in una casa, il gatto sentì la padrona che diceva al marito:

– Questo gatto si fa vecchio. Non può più cacciare i ratti come una volta. Ci vorrà annegarlo nel ruscello.

 Bene come vorrai rispose l’uomo.

Il gatto che si scaldava al piede del focolare, sentiva tutto, ma non diceva niente. Un momento dopo la donna disse ancora:

– Carnevale si avvicina. Metterò il gallo in pentola. Così, avremo del buon brodo e del buon bollito il giorno di Martedì Grasso.

Il gatto faceva finta di dormire, ma non perdeva una parola di tutto quello che si diceva. Poi se ne andò fuori a trovare il gallo:

– Gallo, si stanno combinando delle cattive cose per noi due. Tu, vogliono metterti in pentola il giorno di Carnevale, e io, vorrebbero annegarmi perché sto diventando troppo vecchio. Penso che non sia una brutta idea di squagliarsela al più presto.

– Hai ragione, gatto.

Poi il gatto e il gallo se ne andarono. E camminarono, e camminarono. In strada, incontrarono una cicogna.

– Buongiorno brava gente.

– Buongiorno Cicogna, E dove vai così?

– Oh! Ho un’ala rotta. E ormai non posso più volare. Quindi sono costretta a camminare.

– E bene, noi, siamo partiti per fare un viaggio. Se vuoi seguirci. Ti portiamo con noi.

E il gatto, il gallo e la cicogna se ne andarono.

E camminarono, e camminarono. Attraversando un prato, incontrarono un montone che pascolava là.

– Buongiorno brava gente.

– Buongiorno Montone. Non sembra troppo felice!

– Oh! Pensate! Carnevale si avvicina e il pastore vuole vendermi al macellaio del paese.

– E bene, noi siamo partiti per fare un viaggio. Se vuoi seguirci. Ti portiamo con noi.

E il gatto, il gallo, la cicogna ripresero la loro strada con il montone.

E camminarono, e camminarono. Alla fine, arrivarono davanti a una casa, lontano, lontano, in mezzo alla Landa. C’era sul davanti della casa un prato tutto tappezzato di una bella erba verde. Il gallo, la cicogna e il montone si misero a pascolare.

– Oh, a me, disse il gatto, non piace. Nessuno mi ha imparato a pascolare. E entrò nella casa: non c’era nessuno dentro: Andò al salatoio e ne uscì con un bel pezzo di lardo.

Come la notte cadeva, queste quattro bestie, una volta bene sazie, si rifugiarono nella casa per passarci la notte al riparo. Ma presto, sentirono gli urli di una muta di lupi che arrivavano verso la casa al gran galoppo.

– Oh! Disse il gatto, siamo nella casa dei lupi. Ci vuole sbarazzarsi di queste cattive bestiole…Spegniamo la candela, e non diciamo più niente. Tu, gallo, appollaiati su questa mensola davanti alla porta. Tu, cicogna, accoccolati all’angolo del lavandino. Tu, montone, cacciati sotto la tavola. Quanto a me, mi nascondo nelle ceneri del focolare.

I lupi avevano visto da lontano la luce nella casa: non osavano entrare senza sapere chi era dentro.

 Ci entro il primo, disse l’uno di loro, per vedere se non c’è pericolo poi vi chiamerò.

Questo lupo aprì la porta, e ascoltò: non sentì niente. Si inoltrò allora dentro, piano piano. L’oscurità era totale, ed egli brancolava nel buio. Volle avvicinarsi alla tavola per prendere la candela: ma il montone passò dietro di lui, e gli diede tre grandi testate nel sedere, così forte che lo fece cadere sul naso. Il lupo si rialzò e andò verso il focolare per accendere la candela ai tizzoni: il gatto gli saltò alle narici e con le grinfie gli strappò tutto il pelo con un pezzo della pelle del muso.  Il lupo si voltò verso il lavandino: la cicogna lo aspettava e gli cavò un occhio con un colpo di becco.

Il povero lupo, spaventato, massacrato di botte, graffiato e accecato, si salvò fuori senza chiedere il suo conto. Come egli varcava la soglia della porta, il gallo si mise a cantare.

– Chicchirichì!  chicchirichì!  chicchirichì

Il lupo corse verso il posto dove aveva lasciato gli altri.

– Amici, non tornate in questa casa! Non ci si respira un buona aria per noi. Mentre stavo cercando la candela sulla tavola, un fabbro mi ha dato tre grandi colpi di mazza nel sedere: mi ha fatto schiacciare il naso a terra. Ho voluto avvicinarmi del focolare: là, un cardatore mi ha pettinato il muso con il pettine del lino. Accanto al lavandino, c’era un calzolaio che mi ha strappato l’occhio con il suo punteruolo. Andateci a vedere se volete essere trattati come lo sono stato; per quanto mi guarda, non ho nessuna voglia di tornarci.

Sentendo questo, i lupi presi dalla paura, scapparono fino al fondo della Landa, come se avessero avuto il diavolo a ridosso.

Non tornarono mai più nella loro casa; e il gatto, il gallo, la cicogna e il montone ci rimasero, felici e in pace, buoni amici, e ci morirono di vecchiaia.

Fiaba tradizionale delle Lande di Guascogna.  

Le fate della duna di Boumbét.

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C’era una volta un pastore di Taoulade che rinchiudeva le sue pecore in un ovile, a Boumbét dove si trova la Grande Landa. L’ovile di Boumbét non esiste più oggi: era situato a nord dai poggi, presso una specie di prato. Questo pastore era un ragazzo un po’ fiero, e che sapeva anche un po’ leggere.

– Non vuoi frequentare coloro che ti valgono, ne parlare con loro, gli dicevano gli altri pastori, eppure sarai sempre pieno di zecche!

Ma lui lasciava dire e ne faceva solo di testa sua.

Sapete ciò che si raccontava una volta, che si sentiva del rumore sotto la duna di Boumbét. E il pastore, sorvegliando il gregge, ne aveva fatto più di una volta l’esperienza; talvolta si sentiva un gri-gri-gri come se qualcuno avesse mosso stoviglie; talvolta si sentiva come delle grandi risate, oppure come il rumore che fa la gente che cammina sull’alios: Plim-plam, plim-plam…E lui pensava spesso, con un po’ di timore però: mi piacerebbe vedere il nido dei calabroni che possono ronzare in quel modo… Eravamo in mezzo all’estate; si lasciava le pecore fuori durante la notte.

Una sera, il pastore giunse l’ovile, e una volta il gregge fuori, andò a sedersi in cima alla duna. Là, egli tirò un libro dallo zaino e si mise a leggere. E leggeva, leggeva senza smettere…A tratti, dava un occhio alle stelle.

Dopo un lungo tempo, verso mezzanotte, la duna si aprì nel mezzo proprio davanti a lui. E il pastore sentì una voce di donna che diceva: Piccola, vai a vedere cosa succede sulla duna. Una ragazzina salì.

– Madre, lei dice, vedo un pastore seduto su un ciuffo di brughiera.

– Digli di scendere qui, riprese la voce. E che lui non abbia paura che il suo gregge se ne trovi male.

La ragazzina risalì.

Pastore, lei dice, lei deve venire con noi senza essere preoccupato per le sue pecore.

“Dopotutto, lui pensò, si muore solo una volta e comunque voglio vedere questo!” E lui scese. Appena fu entrato che la duna si racchiuse dietro di lui. Trr! Tutto questo l’intrigava molto ed egli guardava spesso in alto.

– Mi segue, dice la ragazzina, nessuno le farà del male. Il pastore giunse nella stanza di un alloggio tanto bello che non aveva mai visto qualcosa del genere: qui c’erano specchi, là stoviglie e vasi; bei mobili da un lato, mobili ancora più splendenti dall’altro: l’uomo ne era abbagliato. Tutto era pulito, tutto splendeva come l’acqua chiara al sole.

In uno specchio, il pastore vide una landa profonda, dove dei pastori erravano sui loro trampoli, dietro i greggi; lui vedeva tutto quello come se fosse su terra.

Poi, scorse un gruppo di donne che ridevano di fronte a lui, così belle e graziose che era un piacere di vederle. Ce ne era una, giovane, che portava nei capelli una corona intrecciata di brughiera e di ginestroni fioriti.

Pastore, lei dice, siediti. Hai qui tutto quello che ci vuole per ristorarti e riposarti. Non ti preoccupare per le tue pecore: non hanno bisogno di te per sorvegliarle.

E le fate gli servirono uno stupendo spuntino, con una profusione di pietanze squisite a cui il pastore non aveva mai assaggiato.

E lui di pensare: “se mai sono stato sazio nella mia vita, è stato questa volta qua…”

Quando il pastore ebbe mangiato a volontà, le fate lo portarono a un letto tanto bello che lui non osava sdraiarsi .

“Non è più il giaciglio dell’ovile, lui pensò, e non ci prenderò delle zecche!”

E si addormentò. Quando si svegliò, si rimise a leggere, e a leggere ancora nel suo libro, a leggere tanto che riuscì a fare aprire la duna e se ne andò.

Il gregge era al posto dove l’aveva lasciato, al completo e bene nutrito.

 

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E, perbacco! da questo giorno dove lui conobbe il cammino, prese l’abitudine di passarci. C’era là dentro una fata giovane e carina, carina come uno specchio. E loro si innamorarono tanto che gli altri pastori non rividero non molto il pastore alla superficie della landa. Ma dove ti stai nascondendo? loro chiedevano. Ti perdiamo per giorni interi! Ma loro potevano parlare e chiedere, lui taceva. Il pastore sorvegliava ancora di tanto in tanto il gregge, bene vestito e le tasche piene di soldi. E il gregge prosperava più degli altri greggi: mai le sue pecore si mescolavano con le altre, che lui fu presente o no; se incontravano altri greggi, deviavano o li attraversavano senza mescolarsi. Tutto questo faceva parlare; ci furono due pastori più furbi degli altri, che vollero sapere cos’era questo mistero, e si misero a spiare il pastore. Una sera, lo videro andare verso la duna di Boumbét; E il pastore poteva fare di tutto, abbassarsi, nascondersi nei cespugli, gli altri lo inseguivano da lontano, da un ovile all’altro; giunsero in tempo per vedere il pastore si infilare nella duna. Ne era abbastanza e l’indomani, già prima lo spuntare del giorno, tutti gli abitanti della Grande Landa spingevano dei gridi che si sentivano fino a Bordeaux.

Ma quando il pastore volle tornare alla casa delle fate, la duna non si mosse più di un vecchio tronco di pino; restò come era prima e tale che è sempre rimasta, un poggio sabbioso, sparso di brughiera e di serpillo con il cammino tutto bianco. e lui, povero pastore, per quanto potesse leggere, mormorare imprecazioni, e versare tutte le lacrime che volle. Non ci torna mai più dentro. Povero era stato, povero era ridiventato. Eppure, il pastore non volle mai lasciare il miserabile ovile sulla duna di Boumbét. Così senza mai sposarsi; non frequentava nessuno, non aveva altro focolare e letto di quelli dell’ovile di Boumbét. Lontano dagli uomini. Lo si vedeva di notte, al chiaro di luna, si diceva, a vagare sulla duna e urtare il suolo con i suoi trampoli, come uno che vuole farsi aprire una porta.

Le fate della duna di Boumbét. Fiaba delle Lande di Guascogna raccolta da Félix Arnaudin.