Covid-19: Il confinato che non poteva più ingoiare i rospi!

Storia vera letta sul giornale: Un confinato, che vive in una cittadina alla campagna, ha chiamato i carabinieri per chiedere loro di intervenire presso le sue vicine perché il tizio non poteva più sopportare il chiasso che loro facevano la sera. Era tanto esasperato dal rumore che se i carabinieri non facessero qualcosa per farle smettere, lui prenderebbe il suo fucile per fare una carneficina e mettere fine definitivamente al problema. Dunque i carabinieri si recano nel paesello e bussano alla porta delle vicine per chiedere loro di abbassare il volume delle loro conversazioni oppure della loro musica. Mentre parlano con le vicine, sentono un chiasso che viene da un prato vicino dove c’è una pozza d’acqua comunale. Figuratevi che tutti quegli schiamazzi erano il rumore degli amori dei rospi e altre rane. Immaginate un po’ come l’irascibile si è sentito cretino quando i carabinieri sono tornati a bussare alla sua porta per dirgli che erano i rospi della pozza d’acqua e che lui dovrà aspettare la fine della stagione degli amori di tutte queste bestiole. Forse l’hanno anche ringraziato per li aver chiamati prima di uccidere le sue vicine per quattro rospi che abitano nei dintorni. A me piace tanto sentire il canto dei rospi e delle rane, le sere di primavera, mi metto addirittura una sedia fuori per sentirle meglio. Mi ricorda quando ero bambino e che andavo a catturare i girini con un vaso da confettura per portarli ai nonni che avevano una pozza d’acqua non lontano dalla casa oppure quando andavo in colonia estiva e che si cantava la canzone dei rospi. 😉

 

Musica: Concerto di vari uccelli.

Il Concerto di vari uccelli è una delle due arie che ci sono pervenute dal balletto del mondo rovesciato, danzato forse in 1624 e composto da Etienne Moulinié (1599-1676). Il compositore ci dice di non fidarsi dei cantanti che cantano delle belle canzoni, che dietro le voci incantevoli di quegli uccelli si nascondono delle preoccupazioni più triviali  … Molto attuale questo brano del Seicento….

Il sort de nos corps emplumés

Des voix plus divines qu’humaines,

Qui tiennent les soucis charmés,

Et font dormir les peines.

Nous vous appellons à tesmoins,

Que si nos voix font des merveilles,

Nos Luths ne penetrent pas moins Les coeurs, que les oreilles.

Gardez de vous abuser tous,

Ce seroyent choses estranges,

Si les Corbeaux, & les Hibous

Chantoyent comme des Anges.

Nous sommes des Dieux deguisez

Qu’en ce lieu ces beautez attirent,

Et c’est pour nos coeurs embrasez

Que nos bouches soupirent.

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Esce dai nostri corpi pennuti

Voci più divine che umane

Che esorcizzano i pensieri

E addormentano le pene

Vi chiamiamo a testimoni

Che se le nostre voci fanno meraviglie

I nostri liuti non penetrano meno i cuori delle orecchie

Tenete di ingannarvi tutti

Sarebbero cose strane

Se corvi e gufi

Cantassero come degli angeli

Siamo Dei travestiti

Che in quei luoghi quelle bellezze attirano

Ed è per i nostri cuori infiammati

Che le nostre bocche sospirano.

La danza del Gran Calumet della Pace.

Accanto alle sue Tragédie lyrique dove ci sono tanti divertimenti, balletti e cori che ritardano e interrompono un intreccio complicato, Jean-Philippe Rameau (1683-1764) ha scritto degli Opéra-ballet e Opéra-héroïque dove gli intrecci sono soltanto dei pretesti per mettere in evidenza e moltiplicare i gruppi coregrafici e vocali. L’Opéra-ballet (o héroïque) più famoso di Jean-Philippe Rameau è Le Indie galanti che fu presentato alla Reggia di Versailles il 22 agosto 1735, con una macchina scenica straordinaria che permetteva degli effetti scenici folgoranti e dei cambiamenti, in un lampo, di decori più lussuosi gli uni dagli altri. Dunque Le Indie galanti sono in realtà quattro “ingressi” (atti) cioè quattro balletti di un atto indipendenti gli uni dagli altri. Il primo balletto si svolge in Turchia, il secondo balletto si svolge in Perù, il terzo in Persia, il quarto nelle colonie francesi dell’America del Nord. Le Indie nel XVIII secolo non sono un luogo geografico preciso, ma designavano tutti questi Paesi lontani dove, nell’immaginario francese, a ogni passo ci si trovava dell’oro e delle avventure romanzesche. Il video sopra è tratto dal quarto balletto intitolato I selvaggi e ha per quadro una foresta esotica – vicino a una colonia francese dell’America del Nord – in cui dovrà si svolgere la cerimonia del Gran Calumet della Pace. Il capo indiano Adario fa atto di sottomissione a due ufficiali stranieri: il francese Damon e lo spagnolo Alvar, tutti e due innamorati di Zima, la figlia di un capo Inca. Zima non vuole né del francese né dello spagnolo e preferisce Adario. l’ufficiale spagnolo vuole vendicarsi, ma il francese lo calma e tutti e due si consolano assistendo alla festa del Gran Calumet della Pace data in loro onore. Pensate un po’ che Le Indie galanti di Rameau  caddero nell’oblio durante due secoli e furono resuscitate da Paul Dukas e Henri Büsser per la ripresa dell’opera all’opera di Parigi nel 1952 e, oggi, a impadronirsi dell’Opéra-Ballet di Rameau ci sono anche danzatori di Krump venuti da Los Angeles…   

ZIMA, ADARIO
Pacifiche foreste
mai un vano desiderio turba qui i nostri cuori.
Se essi sono sensibili
Fortuna, non c’è prezzo per i tuoi favori.


CORO DEI SELVAGGI
Pacifiche foreste
mai un vano desiderio turba qui i nostri cuori.
Se essi sono sensibili
Fortuna, non c’è prezzo per i tuoi favori.


ZIMA, ADARIO
Nei nostri rifugi
grandezza, non venire mai
a offrire le tue false attrattive!
Cielo!, tu li hai fatti
per l’innocenza e per la pace.
Siamo felici nei nostri asili,
siamo felici del bene della tranquillità!
Ah! si può essere felici
quando si desiderano altre cose?

Canzone: Invitation

 

Invitation, una canzone del gruppo Les Ogres de Barback (tratta dall’album Pitt Ocha au pays des mille collines) interpretata insieme alla fanfara  Eyo’Nlé.

“Quattro parole scritte per te

In francese, mandingo o bambara

Una canzone che ci porta a mille miglia dall’odio…..”

 

Canzone: Hobo blues.

Sarà perché mi sento un avventuriero dopo il mio viaggio nelle isole del mare degli Stretti (di cui vi parlerò presto), oppure, più probabilmente, perché ti passano una vecchia canzone di Dutronc 25 volte al giorno per una pubblicità per non so qual coso, ma non riesco più a togliermi questa fottuta canzone dalla testa da una settimana. E quindi non c’è ragione che sia il solo a soffrire. 😉 Tutta la canzone è basata su legami, rime e giochi di parole tra nomi di città e quello che ci fa l’avventuriero.

 

Je suis un aventurier
Et j’ai beaucoup bourlingué. (bourlinguer: girare il mondo, navigare, vagabondare, lavorare penosamente….ecc)
J’ai fait la vie à Varsovie.

J’ai fait le mort à Baltimore.
J’ai fait le rat à Canberra.       (rat: topo, tirchio)
J’ai joué aux dés à Yaoundé.
J’ai joué aux dames à Amsterdam. (doppio senso)
J’ai fait des games à Birmingham.  (doppio senso)
Je suis un aventurier
Avec lequel il faut compter.

Je suis un aventurier
Avec lequel il faut compter.

J’ai été borné à Bornéo. (borné: meschino, gretto, limitato…)
J’ai été pompette à Papeete.   (pompette: ubriaco)
J’ai bu de l’eau à Bordeaux.
J’ai dit tant pis à Tampico.
J’ai été soldat à Bogota
Et des calculs à Calcutta.

A moi, faut pas m’en raconter,
Parce que, vraiment, j’en ai bavé. (En baver: soffrire, aver una vita difficile)

A moi, faut pas m’en raconter,
Parce que, vraiment, j’en ai bavé.

J’ai été errant à Téhéran
Et au sauna à Saana.     
J’ai fait l’chasseur à Kinshassa
Et la nounou à Cotonou.   (nounou: tata)
J’ai fait de la tôle à Dôle.   (tôle: carcere)
J’ai été lourdé à Lourdes.    (lourder: essere lasciat(a)o da un ragazz(a)o; licenziato)

Je suis un aventurier.
J’en ai vrairnent beaucoup bavé.
Je suis un aventurier.
J’en ai vrairnent beaucoup bavé.

J’ai été crétin à Créteil.
J’ai eu la berlue à berlin.   (berlue, avoir la berlue: vedere qualcosa che non esiste, stralunare, essere bieco)

J’ai été gentil à Port-Gentil
Et malpoli à Tripoli.
J’ai fait la vie à Varsovie
Et le mort à Baltimore.

J’étais un aventurier.
Maintenant, c’est terminé.
J’étais un aventurier.
Maintenant, c’est terminé.

Metamorfosi

Te vòli plus entendre

Ni t’entendre parlar,

Dedins la mar flotanta

Me vòli anar negar.

Non ti voglio più sentire

Né ascoltarti parlare,

Nelle onde del mare

Mi voglio andare ad annegare.

Se dins la mar flotanta,

Te vòs anar negar,

Me botarai pescaire

E t’anirai pescar.

Se nelle onde del mare,

Vuoi andare ad annegare,

Mi farò pescatore

E andrò a pescarti.

Se te botes pescaire

Per venir me pescar,

Me botarai floreta

Per lo prat mirgalhar.

Se ti fai pescatore

Per venire a pescarmi,

Mi farò fioretto

Per colorire il prato.

Se te botes floreta

Per lo prat mirgalhar,

Me botarai abelha

E t’anirai baisar.

Se ti fai fioretta

Per colorire il prato,

Mi farò ape

E andrò a baciarti.

Se te botes abelha

Per venir me baisar,

Me botarai bicheta

Per poder t’escapar.

Se ti fai ape

Per venire a baciarmi,

Mi farò cerbiatta

Per poter sfuggirti.

Se te botes bicheta

Per poder m’escapar,

Me botarai caçaire

E t’anirai caçar.

Se ti fai cerbiatta

Per potere sfuggirmi,

Mi farò cacciatore

E andrò a cacciarti.

Se te botes caçaire

Per venir me caçar,

Me botarai la luna

Dedins lo cèl tan grand.

Se ti fai cacciatore

Per venire a cacciarmi,

Mi farò la luna

Nel cielo immenso.

Se te botes la luna

Dedins lo cèl tan grand,

Me botarai l’albeta

T’aurai en me levant.

Se ti fai la luna

Nel cielo immenso,

Mi farò l’alba

Ti avrò al mio sorgere.

Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames!

Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Voilà le Nouvel An tout neuf
Solide comme le Pont-Neuf
Il va réaliser
Tout ce dont vous pouvez rêver

Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Si ces mots-là vous viennent du cœur
Ils porteront bonheur
C’est pourquoi faut toujours
Les dire avec un peu d’amour

J’connais des Jules et leurs rombières
Qui jouent les ducs et les barons
Et qui se coiffent à coups d’soupière
Dès qu’ils discutent à la maison

Il faut entendre l’vocabulaire
« Crevard, pouilleux, fesse de merlan ! »
Ils gueulent comme ça l’année entière
Mais ils s’murmurent au jour de l’an

Bonne année, bonne santé, chère âme
Ma coccinelle, mon gros poupou
Mon minet, mon loulou
Jure-moi qu’sans mon amour
Tu ne pourrais pas vivre un jour

Bonne année, bonne santé, mais l’drame
C’est qu’pendant tous les jours suivants
Jusqu’à l’autre jour de l’an ils s’redisent tendrement
« Tordu, punaise et peau d’ hareng »

Dans tous les coins de la planète
Y a toujours la joie des parents
Qu’les gosses pieds nus et en liquette
Viennent embrasser au jour de l’an
Et si la vie a peu de sourires
On la supporte allègrement
Tant que l’on peut s’entendre dire
« Bonne année, papa, maman »

Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Voilà le Nouvel An tout neuf
Solide comme le Pont-Neuf
Il va réaliser
Tout ce dont vous pouvez rêver (Bonne année)

Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Et souhaitons que dans cent ans
On puisse comme à présent
Se redire de tout cœur
Tous nos meilleurs vœux de bonheur (Bonne année)

Canzone: Questa notte Natale è nato.

Il tema di questa canzone di Natale tradizionale di Guascogna del XVII secolo è assai moderno. Una coppia, M e G, a cui è appena nato un rampollo si accorge che, ormai, lo scopo nella vita di tutto il vicinato è di impedire a questo fottuto bambino di fare le sue notti; è questo, più o meno, il tema di questa canzone. Buon Natale a tutti!

Cette nuit est né Noël, Dans une très jolie maison

Dans un’ chambre de parade, qui était pavée de paille

Chut ! Chut ! Chut ! Chut ! L’enfant dort, pas tant de bruit
Chut ! Chut ! Chut ! Chut ! L’enfant dort, pas tant de bruit

Les anges l’ont anoncé
Et dans les airs ont chanté
L’un jouait de la trompette
L’autre avait un petit fifre
Chut ! Chut ! Chut ! Chut !
L’enfant dort pas tant de bruit
Chut ! Chut ! Chut ! Chut !
L’enfant dort pas tant de bruit

Les pâtres sont arrivés
Avec des sabots ferrés
L’un portait une galette
Et l’autr’ avait une agnelette
Chut ! etc…

Un capucin déluré
Va chanter Magnificat
Pendant qu’il cherche sa note
Joseph le sort par sa calot’
Chut ! etc…

Là aussi, y a le boeuf
Qui ne mange ni ne boit
Ce n’est pas qu’il n’ait l’envie
Mais nul ne lui en charrie
Chut ! etc…

Les pâtres de Bethléem
Sont venus avec Guillem
Joseph derrière la porte
Leur flanqu’ un coup de houssine
Chut ! etc…

Dove un pellegrino di Compostela fantastica su due ragazze diaboliche e il loro gatto rosso che lo trascinano nella lussuria.

Farai un vers, pos mi sonelh, e’m vauc e m’estauc al solelh; donnas i a de mal conselh, e sai dir cals: cellas c’amor de chevaler tornon a mals.

Farò un canto, poiché sonnecchio e cammino e sosto al sole; ci sono donne sconsiderate ed io so dire quali: quelle che amor di cavaliere tengono a male.

Donna non fai pechat mortatau que ama chevaler leau; mas s’ama monge o clergau non a raizo: per dreg la deuria hom cremar ab un tezo.

Donna non fa peccato mortale se ama cavalier leale; ma se ama monaco o chierico senza ragione la si dovrebbe bruciare con un tizzone.

En Alvernhe, part Lemozi, m’en aniei totz sols a tapi: trobei la moiller d’En Guari e d’En Bernart; saluderon mi sinplamentz, per Saint Launart.

In Alvergna, oltre il Limosino, me ne andavo da solo, pellegrino, trovai la moglie di Don Guarino e Don Bernardo mi salutarono con modestia, per san Leonardo!

La una’m diz en son lati: »0, Deus vos salf, don peleri! Mout mi senblatz de bel aizi, mon escient; mas trop vezem anar pel mon de folla gent.«

Una mi dice nel suo linguaggio: “Dio vi aiuti, signor viandante! Mi sembrate molto per bene a prima vista, ma assai ne vediamo andare per il mondo di folle gente.”

Ar auziretz qu’ai respondut: anc no li diz ni bat ni but, ni fer ni fust no ai mentagut, mas sol aitan: »Babariol, babariol, babarian.«

Ora sentite cosa ho risposto: non le dissi né ai né bai, ferro o bastone non menzionai, ma solo questo: “Babariol, babariol, babarian”

»Sor«, diz N’Agnes a N’Ermessen, »trobat avem que’anam queren! Sor, per amor Deu l’alberguem, que ben es mutz, e ja per lui nostre conselh non er saubutz.«

“Sorella” disse Agnese ad Ermessenda “abbiam trovato quel che cercavamo!” “Sorella, per amor di Dio, ospitiamolo che è proprio muto, da lui i nostri propositi non saran rivelati”.

La una’m près sotz son mantel et mes m’en sa cambra, el fornel; sapchatz qu’a mi fo bon e bel, e’l focs fo bos, et eu calfei me volenter als gros carbos.

Una mi prese sotto il mantello, e mi condusse in camera, al fornello; sappiate che fu buono e bello e il fuoco giusto; ai gran carboni io mi scaldai di gusto.

A manjar mi deron capos, e sapchatz aig i mais de dos; et no’i ac cog ni cogastros, mas sol nos tres; e’I pans fo blancs e’I vins fo bos e’I pebr’espes.

Da mangiare mi diedero capponi sappiate che erano un bel po’ non c’erano né sguattero né cuoco, solo noi tre; il pane era bianco, il vino buono, il pepe spesso.

»Sor, s’aquest hom es enginhos e laissa lo parlar per nos, nos aportem nostre gat ros de mantenent, quel farà parlar az estros, si de re’nz ment.«

“Sorella, quest’uomo è un gran furbone ha smesso di parlar per causa nostra portiamo il nostro gatto rosso mantinente lo farà parlare espresso se lui mente.

N’Agnes anet per l’enoios: et fo granz et ac loncz guinhos; et eu, can lo vi entre nos, aig n’espavent, qu’a pauc no’n perdei la valor e l’ardiment.

Agnese va a prendere il gattone: era grosso e con lunghi baffoni: io, quando fu fra noi, n’ebbi spavento, per poco non persi i sensi e l’ardimento.

Quant aguem begut e manjat, e’m despoillei per lor grat; detras m’aporteron lo chat mal e félon: la una’l tira del costat tro al talon.

Quando avemmo bevuto e mangiato mi spogliai come a lor piacque, sulla schiena mi mettono il gatto cattivo e fellone; una lo tira dal costato fino al tallone.

Per la coa de mantenen tir’el chat, el escoisen; plajas mi feron mais de cen aquella ves; mas eu no’m mogra ges enguers qui m’aucizes.

Per la coda, tutto a un tratto tira il gatto e quello graffia ne ebbi più di cento piaghe quella volta; ma non mi sarei mosso neanche morto.

»Sor« diz N’Agnes a N’Ermessen, »mutz es, que ben es conoissen.« »Sor, del bainh nos apaireillem e del sojorn.« Ueit jorn ez ancar mais estei az aquel torn.

“Sorella, disse Agnese ad Ermessenda, è proprio muto, mi pare evidente” “Sorella al bagno prepariamoci e al soggiorno!”Otto giorni e ancor di più restai in quei dintorni.

Tant las fotei com auziretz: cent et quatre-vinz et ueit vetz, que a pauc no i rompei mos corretz e mos arnes; e no’us puesc dir los malavegz, tan gran m’en près.

Tanto io le scopai come udirete: centoottantotto volte, per poco non mi ruppi la correggia e anche l’arnese; non vi posso dire il male che mi prese.

Monet, tu m’iras al mati, mo vers portares el borssi, dreg al la molher d’En Guari e d’En Bernât: e diguas lor que per m’amor aucizo’l cat.

Monet, tu andrai al mattino coi miei versi e un borsellino; dì alla moglie di Guarino e di Bernardo che uccidano il gatto per mio riguardo.
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Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1137), Farai un vers, pos mi sonelh (traduzione italiana di Paolo Canettieri)

Se morissi laggiù…

Se morissi laggiù sul fronte dell’armata,
Tu piangeresti un giorno o mia adorata Lou,
E dopo il mio ricordo cadrebbe come muore
Una granata esplosa sul fronte dell’armata,
Una granata che sembra una mimosa in fiore.
E poi questo ricordo scoppiato nello spazio
Con il mio sangue il mondo ricoprirebbe intero:
Mare, montagne, valli, e la stella che passa,
I soli che maturano stupendi nello spazio
come quei frutti d’oro attorno a Baratier.
Appassito ricordo, vivente in ogni cosa,
Arrosserei le punte del tuo bel seno rosa
Bacerei la tua bocca e; i capelli fiammanti.
E non invecchieresti, ogni tua bella cosa
Rifiorirebbe intatta negli incontri galanti.
Il fatale zampillo del mio sangue sul mondo
Farebbe dono al sole di più luce accecante
Di più colore al fiore, di più impeto all’onda,
Un amore incredibile scenderebbe sul mondo,
Nel tuo corpo dischiuso trionferà l’amante…
Lou, se muoio laggiù, ricordo che s’oblia,
Qualche volta ricordati gli istanti di follia,
Di giovinezza e amore e d’inesausto ardore,
Il mio sangue è la fonte ardente della gioia!
E sii la più felice perché sei la più bella,
O mio unico amore e mia grande follia!
La luce langue
Ora presento
Un lungo, lungo destino di sangue.

Se morissi laggiù… Poesia di Guillaume Apollinaire, 30 gennaio 1915, pubblicata per la prima volta nel 1947 nella raccolta Poesie per Lou. Letta dall’attore Jacques Duby. Traduzione italiana trovata su internet di Claudio Rendina.