Oceano: Dove il lettore verrà a sapere che Gatto Silvestro non è per forza un gatto in Francia!

 

Questa pianta erbacea (Lagurus Ovatus) che non serve proprio a niente e che cresce nelle nostre dune tra i cisti, i corbezzoli, le brughiere e le ginestre, si chiama in italiano: piumino oppure coda di lepre. Invece in francese, la pianta è conosciuta sotto il nome di gros-minet che è il nome che il Titi francese (con solo due t) dà a Gatto Silvestro. Titi, il canarino, non dice come Titti, il suo omologo italiano:  Oh, oh, Mi è semblato di vedele un gatto! Già perché, da noi, il nostro Titi non ha problema con la lettera R e soffre solo di una pronuncia blesa, ma soprattutto perché lui non vede un semplice gatto, ma un grosso micio cioè letteralmente in francese un gros minet: Z’ai cru voir un ‘rominet ! dice il nostro canarino francesizzato. A volte, incontrate, chissà perché, persone che raccolgono quei gatti silvestri  per farne dei mazzi di fiori secchi. Gli spighi bianchi dei gatti silvestri sono più serici dei peli miseri di Gatto Silvestro quando li accarezzate, ma possono anche farvi starnutare se li avvicinate al vostro naso. Come un micio, vi dico! Tranne ovviamente che il gatto silvestro delle dune non scoccia gli uccelli oppure il suo prossimo come Gatto Silvestro e non fa le fusa come un gros minet! 😉

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oceano: la gente covidiciannovizzata che ci governa in Francia!

la gente covidiciannovizzata che ci governa da Parigi ha inventato la spiaggia dinamica, quella che ci proibisce, noi abitanti dell’Aquitania che abbiamo 720 km di litorale, di essere statico sulla sabbia, di sedersi, di sdraiarsi. Questa gente di Parigi non è capace di capire che la Natura possa essere altra cosa che una specie di struttura da sfruttare, un parco di divertimento, una palestra, un supermercato…. No, per me, cari covidiciannovizzati del governo, vi sembrerà strano, ma la Natura è una necessità vitale come respirare o mangiare. Quindi non farò tutte queste coglionaggini che mi prescrivete. Non andrò in spiaggia per correre, camminare, nuotare, surfare….senza mai smettere di muovermi. No, andrò in spiaggia per fare tutto quello che voglio e anche il resto. Ci andrò per provare la stessa emozione di sempre quando varco l’ultima duna, varcata un milione di volte, e che scopro l’Oceano. Ci andrò per ammirare la sua bellezza quando il sole verdeggia le onde o le tinge di blu al punto che i suoi colori fanno pensare a delle pietre preziose. Ci andrò quando soffia il vento del Nord e che l’Oceano diventa tutto spumoso. Ci andrò per sentire il suo murmuro in estate e i suoi urli in inverno. Ci andrò per sdraiarmi in alto delle dune piantate dai miei antenati e guardare le nuvole. Ci andrò per divertirmi dei voltapietre che corrono sulla spiaggia e per invidiare i nibbi che volano alto nel cielo. Ci andrò per sedermi, in cima alla duna, e leggere tutta una giornata in mezzo alle immortali. Ci andrò per sognare. Ci andrò per respirare l’odore delle alghe o seguire dallo sguardo una barca da pesca, lontano a Ovest, en route verso Arcachon. Ci andrò quando i pini profumano oppure quando gli alberi cadono dopo le tempeste invernali. Ci andrò per non fare un cazzo dall’alba al tramonto. Ci andrò quando le cicale mi rendono pazzo oppure quando sento, in tutta una giornata d’autunno, solo il rumore della campane di un cane da caccia nel lontano. Ci andrò quando il sole brucia e quando ho l’impressione che le mie orecchie stanno per cadere a causa del freddo. Ci andrò per raccogliere funghi e corbezzoli per la marmellata. Ci andrò fino al mio ultimo soffio, solo perché ho bisogno di sedermi e sdraiarmi nelle vecchie dune del Médoc. Quindi potete inviare i droni, l’esercito e gli elicotteri perché non mi muovo! 😉

Oceano: Pòdetz virar lo cuu au vèn!

Mappa del litorale del Médoc e delle Lande di Guascogna.

Dunque, secondo il piano di deconfinamento di quel pisciafreddo di Édouard Philippe, i parigini, dal 11 maggio, potranno tornare a stiparsi al ritmo di 26 000 persone all’ora sulla linea 13 della loro metropolitana puzzolente, mentre io, dovrò voltare il culo al vento e continuare a rinunciare a passeggiare sulla spiaggia deserta dell’Alexandre dietro casa mia! Da un lato, proseguimento della strage dei parigini che vivono nella zona più contaminata di Francia; dall’altro, una misura vessatoria in una zona sotto controllo dove meno di 1% della popolazione è stata in contatto con il virus!  😠😠😠

 

Racconto della Duna Verde. Quinta e ultima parte.

Nella prima parte del racconto, abbiamo visto che Guglielmo Orfayre ha stretto un patto con il Diavolo e che, in cambio di denaro, lui deve recarsi, dopo un anno e un giorno, alla Duna Verde per incontrare il suo creditore. Nella seconda parte, abbiamo visto che non è tanto facile di raggiungere la Duna Verde. Nella terza parte, abbiamo visto che anche il Diavolo ha i suoi problemi familiari. Nella quarta parte, abbiamo visto che questo racconto sa un po’ di mitologia. Nell’ultima parte vedrete che….no, non dico niente.

…Come avete fatto per attraversare? gridò il Diavolo.

– Lei vede questa pietra? Abbiamo messo il piede sopra, poi abbiamo saltato.

Il Diavolo ci si precipitò, ma la pietra era soltanto della spuma grigia. Colò a picco e annegò.

Sbarazzato del Diavolo, i giovani sposi tornarono verso Bordeaux.

– Soprattutto, disse Ridiscette, la più giovane figlia del defunto Diavolo, prima di entrare nella casa dei tuoi genitori, non devi abbracciarli perché altrimenti mi dimenticheresti.

Ma Guglielmo Orfayre fu tanto contento di vedere i suoi genitori, che la prima cosa che fece il medocchino fu di abbracciarli.

Allora, Ridiscette, la più giovane figlia del defunto Diavolo, svanì.

Guglielmo Orfayre ne fu infelice e, per mesi, cercò la moglie ovunque nel Médoc e in tutta la Gironda.

Un giorno che era in compagnia di due amici, si recarono in un “albergo” del quartiere Meriadeck di Bordeaux. Entrarono e viderono una bellissima ragazza. Il primo amico le disse:

– Vorrei andare a letto con lei.

– D’accordo, ma saranno mille scudi.

Detto questo, lei andò chiudersi in camera e come aveva dimenticato di chiudere le persiane, l’uomo andò per chiuderle. E non poté impedirsi di spalancare e di chiudere le persiane per tutta la notte.

L’indomani sera, tornarono “all’albergo”. E il secondo amico di Guglielmo Orfayre volle anche lui entrare nella camera della bellissima ragazza. Allora lei, gli chiese di andare a cercare acqua. Soltanto lui, non poté impedirsi di tirare acqua dal pozzo del cortile per tutta la notte.

Finalmente, solo la terza sera, Guglielmo Orfayre osò parlare con la ragazza.

– Come! Non mi riconosci?

– No.

– Sono Ridiscette, la più giovane figlia del defunto Diavolo, tua moglie!

E andarono a letto, ma per il resto, lo lascio alla vostra immaginazione. Per quanto mi riguarda, il mio racconto finisce qui.

Racconto della Duna Verde. Quarta parte.

Nella prima parte del racconto, abbiamo visto che Guglielmo Orfayre ha stretto un patto con il Diavolo e che, in cambio di denaro, lui deve recarsi, dopo un anno e un giorno, alla Duna Verde per incontrare il suo creditore. Nella seconda parte, abbiamo visto che non è tanto facile di raggiungere la Duna Verde. Nella terza parte, abbiamo visto che anche il Diavolo ha i suoi problemi familiari. Nella quarta parte, vedrete che questo racconto sta diventando addirittura mitologico.

…Per la virtù della bacchetta magica, Ridiscette, la più giovane figlia del diavolo, diventò com’era prima. Tranne un piccolo osso che si era perso, quello del minolo del piede destro.

Tornarono insieme alla casa del Diavolo e Guglielmo Orfayre rimise le tre uova di pernice. Come era stato convenuto, il Diavolo diede una delle sue figlie a scegliere. Soltanto che gli occhi di Guglielmo furono bendati. però guardando bene verso terra, sotto la benda, Guglielmo riconobbe quella che amava vedendo il minolo in cui mancava un piccolo osso.

– Voglio quella, disse Voglio quella, disse Guglielmo Orfayre.

– Bene, l’avrai, disse il Diavolo.

Dopo la cena, il Diavolo disse:

– Ora, andate a dormire in questo letto.

Verso le undici e mezza, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, che era “diventata” la moglie di Guglielmo Orfayre, disse:

– Dobbiamo scappare perché mio padre va tornare presto per ucciderci tutti e due.

– Ma come potremmo scappargli?

– Lasciami fare.

C’erano tre cavalli nella scuderia del Diavolo. L’uno si chiamava il Vento, l’altro il Tuono e il terzo il Lampo.

Corsero e inforcarono il Vento che portò via loro a grande velocità.

A mezzanotte, il Diavolo arrivò senza rumore per uccidere la coppia ma si accorse della loro fuga. Prestamente, corse verso la scuderia e non trovò più il Vento. Allora inforcò il Tuono e si mise al loro inseguimento.

Su il Vento, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, si voltava spesso per vedere se suo padre li seguiva.

La strada filava a una velocità pazza sotto di loro.

A un momento, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, vide suo padre che si avvicinava a vista d’occhio. Allora si mutò in fiume e mutò il marito in pescatore.

– Signor, disse il Diavolo, lei non ha visto passare un uomo e una ragazza su un cavallo?

– “Sta abboccando” bene, disse il pescatore.

–  Non le chiedo questo! Le chiedo se avesse visto un uomo e una ragazza su un cavallo?

– “Sa abboccando” bene, rispose ancora una volta il pescatore.

– Lei è un cretino, sgridò il Diavolo furioso.

E tornò a casa sua. Raccontò parola per parola, a sua moglie, la conversazione che aveva avuto con il pescatore.

– Tornò subito, disse la moglie, erano loro!

Si precipitò nella scuderia e inforcò il Lampo che partì come un fulmine.

Durante quel tempo, gli sposi avevano già percorso un grande pezzo di cammino. Però, dopo giorni e giorni, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, si accorse di nuovo che suo padre si avvicinava a vista d’occhio.

Allora, si mutò in giardino e mutò il marito in giardiniere che zappava.

– Signor, disse il Diavolo, fermandosi netto, lei non ha visto un uomo e una ragazza su un cavallo?

– Oh, “sta maturando” bene! Rispose il giardiniere.

– Non le chiedo questo! Le chiedo se lei non avesse visto passare un uomo e una ragazza a cavallo?

– Oh, “sta maturando” bene, rispose di nuovo il giardiniere.

– Lei è un cretino, sgridò il Diavolo furioso.

E tornò a casa sua. Raccontò parola per parola, a sua moglie, la conversazione che aveva avuto con il giardiniere.

– Tornò subito, disse la moglie, erano loro!

Si precipitò nella scuderia e inforcò il Lampo che partì come un fulmine.

Dopo giorni e giorni, il Diavolo arrivò davanti a un fiume molto largo. Sull’altra sponda, sua figlia e suo genero….(fine quarta parta)

 

 

 

Oceano: Racconto della Duna Verde. Terza parte.

Nella prima parte del racconto, abbiamo visto che Guglielmo Orfayre ha stretto un patto con il Diavolo e che, in cambio di denaro, lui deve recarsi, dopo un anno e un giorno, alla Duna Verde per incontrare il suo creditore. Nella seconda parte, abbiamo visto che non è tanto facile di raggiungere la Duna Verde. Nella terza parte, vedrete che anche il Diavolo ha i suoi problemi familiari.

….Davanti alla porta della casa del Diavolo, c’è uno stagno – come quello del Cousseau a Lacanau – dove le sue tre figlie vanno a fare il bagno. Ti nasconderai, poi quando staranno nell’acqua, ruberai i vestiti di una di esse.

Guglielmo Orfayre fece come gli aveva indicato il cavallo delle dune e vide arrivare le tre figlie del Diavolo. Quando furono nell’acqua, prese i vestiti di una di esse. Uscirono dall’acqua l’una dopo l’altra. Le due prime si vestirono e tornarono alla casa dei genitori. La terza, Ridiscette, che era la più giovane delle tre, cercò a lungo i suoi vestiti e cominciò a disperarsi all’idea di rimanere completamente nuda per tornare a casa.

Quel furbo di Guglielmo si decise a restituirglieli. Fece finta di arrivare all’improvviso e aiutò Ridiscette nelle sue ricerche. Come si pensa bene, il tizio scovò i vestiti subito. Ridiscette lo ringraziò e quando ebbe finito di vestirsi, lei chiese:

– Lei viene forse dal mio padre?

– Sì appunto.

– Allora, mi segua.

È così che Guglielmo Orfayre penetrò dal Diavolo.

Il Diavolo disse, vedendo Guglielmo:

– Ah, eccoti! Non hai dimenticato quello che ti ho chiesto all’incrocio un anno e un giorno fa? 

– No, poiché eccomi.

– Bene, cenerai con noi, poi andrai a dormire sotto la tavola.

Dopo la cena, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo si avvicinò a Guglielmo Orfayre e gli disse, a bassa voce, nell’orecchio:

– Quando mio padre le ordinerà qualcosa, lei farà esattamente l’opposto. Se lui dice di andare a dormire sotto la tavola, lei deve coricarsi sul banco dentro il camino. 

Sotto lo sguardo del Diavolo, Guglielmo Orfayre si sdraiò sotto la tavola, però quando il Diavolo fu andato via, Guglielmo si sistemò nel camino per dormire. A mezzanotte, l’enorme tavola si schiacciò con un rumore spaventoso. L’indomani mattina, il Diavolo fu sorpreso di vedere il medocchino ancora vivo.

La moglie del Diavolo disse al marito.

– Qualcuno lo informa. Finalmente, si misero tutti a tavola per la colazione. Dopo la colazione, il Diavolo disse:

– Ragazzo mio, se riuscirai le tre prove che ti imporrò, sposerai una delle mie figlie. Prima, devi andare in cima alla Duna Verde e tagliare tutta la foresta a pezzi. E il Diavolo gli diede una scure in legno, una sega in legno e un’accetta in legno.

A mezzogiorno, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, venne per portargli il pranzo.

– Ma come mai! Lei non ha ancora cominciato a lavorare?

– E come avrei potuto fare qualcosa? Suo padre mi ha dato degli attrezzi di legno e tutti sono rotti da tempo! 

– E bene! Mentre lei mangerà, me ne occuperò e, grazie alla sua bacchetta magica, la foresta intera fu a terra, bene segata, bene spaccata, bene impilata.

Al tramonto, Guglielmo scese dalla Duna Verde.

– Ho tutto tagliato come lei ha ordinato, disse Guglielmo al Diavolo.

– Hai lavorato bene, disse il Diavolo, esterrefatto. Stasera dormirai nel camino.

Sotto lo sguardo del Diavolo, Guglielmo Orfayre si sdraiò sul banco dentro il camino, però quando il Diavolo fu andato via, Guglielmo si sistemò sotto la tavola. A mezzanotte, l’enorme camino si schiacciò con un rumore spaventoso. L’indomani mattina, il Diavolo fu sorpreso di vedere il medocchino ancora vivo.

La moglie del Diavolo disse al marito:

– Qualcuno lo informa. Finalmente, si misero tutti a tavola per la colazione. Dopo la colazione, il Diavolo disse:

– Ragazzo mio, ora devi purgare lo stagno. E il Diavolo gli diede una pala di carta, una zappa di carta e una forca di carta.

A mezzogiorno, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, venne per portargli il pranzo.

– Ma come mai! Il lavoro non è ancora finito?

E come avrei potuto fare qualcosa? Suo padre mi ha dato degli attrezzi di carta e tutti sono ammollati da tempo!

E bene! Mentre lei mangerà, me ne occuperò e, grazie alla sua bacchetta magica, lo stagno fu vuotato e purgato.

Al tramonto, Guglielmo tornò.

– Ho tutto purgato, disse Guglielmo.

– Hai lavorato bene, disse il Diavolo, esterrefatto, stasera dormirai sotto il letto.

Sotto lo sguardo del Diavolo, Guglielmo Orfayre si sdraiò sotto il letto, però quando il Diavolo fu andato via, Guglielmo si sistemò nel camino. A mezzanotte, l’enorme letto si schiacciò con un rumore spaventoso. L’indomani mattina, il Diavolo fu sorpreso di vedere il medocchino ancora vivo.

La moglie del Diavolo disse al marito:

– Qualcuno lo informa. Finalmente, si misero a tavola per la colazione. Dopo la colazione, il Diavolo disse:

– Ragazzo mio, vedi questa torre, in alto alla Duna Verde, alla vetta ci sono tre uova di pernice. Le cercherai e me le riporterai.

Ci andò, però la torre era perfettamente dritta e i muri perfettamente lisci; non c’era modo di arrampicarsi.

A mezzogiorno, Ridiscette, la più giovane figlia del Diavolo, venne per portargli il pranzo.

– Allora, lei ha le tre uova?

– E no! Non ho di scala e quindi non posso salire!

– Allora, disse Ridiscette, lei deve uccidermi e farmi bollire così lei metterà le mie ossa all’estremità le une delle altre per fare una scala.

Guglielmo Orfayre fece come detto e, una volta le ossa messe da un’estremità all’altra, potette arrampicarsi fino alla vetta della torre dove trovò le tre uova di pernice e ridiscese…. (fine terza parte)

 

 

 

Oceano: Racconto della Duna Verde. Seconda parte.

Nella prima parte del racconto, abbiamo visto che Guglielmo Orfayre ha stretto un patto con il Diavolo e che, in cambio di denaro, lui deve recarsi, dopo un anno e un giorno, alla Duna Verde per incontrare il suo creditore. Nella seconda parte, vedrete che non è tanto facile di raggiungere la Duna Verde.

Guglielmo Orfayre disse ai suoi genitori per rassicurarli:

– Ora, è tempo di intraprendere il lungo viaggio fino alla Duna Verde, ma potete essere sicuri che tornerò presto.

Guglielmo camminò verso Ovest come la prima volta quando voleva suicidarsi nel Mare Oceano. Camminò a lungo, camminò giorni e notti sulla strada, nella foresta e attraverso le paludi, camminò per settimane e settimane e, cosa curiosa, il Mare Oceano che era pure non troppo lontano dalla casa dei genitori non si faceva mai né vedere né nemmeno sentire. E nessuna traccia di una qualsiasi Duna Verde. Dopo aver sorpassato l’incrocio dove Guglielmo incontrò il Diavolo, il viaggio si proseguì  verso Ovest per qualche settimana fino al giorno in cui Guglielmo vide un ovile sulla landa, uno di quegli ovili mobili che i pastori possono smontare e spostare facilmente quando le dune si divorano i magri pascoli della landa, un “courtiou” come si chiama questo tipo di ovile nella lingua del Médoc. Guglielmo bussò alla porta e una vecchia pastorella – ma vecchia che non è possibile di immaginare una pastorella più anziana! – gli aprì la porta.

– Buongiorno, signora. Vorrei sapere se lei potesse indicarmi il cammino della Duna Verde?

– Io, no, rispose la vecchia pastorella, ma ho sei cavalli, di quei cavalli delle dune del Médoc che sono veloci come il vento e che vanno tanto lontano che forse essi potranno saperlo. Appunto eccone tre che stanno arrivando!

La vecchia interrogò i cavalli delle dune, ma essi non avevano mai sentito parlare della Duna Verde.

– Pazienza, c’è ancora speranza! Aspettiamo il ritorno degli altri tre che stanno ancora galoppando nella landa. Purtroppo, quando i cavalli delle dune raggiunsero l’ovile alla notte, il risultato fu lo stesso e gli animali non avevano mai sentito parlare della Duna Verde.

La vecchia vide che Guglielmo Orfayre era disperato di non trovare la Duna Verde e gli disse:

– Senta, ho una sorella che ha cento anni di più di me. Lei potrà sicuramente indicarle dove si trova questa Duna Verde. Campa nell’ovile che lei vede a Ovest sulla landa. Guglielmo che non aveva gli occhi acuti della vecchia non vedeva niente, ma rassicurato dalle parole della vecchia si rimise a camminare. Dopo due giorni di una camminata difficile, finalmente si trovò davanti alla porta dell’ovile a bussare.

La sorella maggiore gli aprì la porta.

– Buongiorno, signora. Vorrei sapere se lei potesse indicarmi il cammino della Duna Verde?

– Io, no, rispose la vecchia pastorella, ma ho sette cavalli, di quei cavalli delle dune del Médoc che sono veloci come il vento e che vanno tanto lontano che forse essi potranno saperlo. Appunto eccone tre che stanno arrivando!

La vecchia interrogò i cavalli delle dune, ma essi non avevano mai sentito parlare della Duna Verde.

– Pazienza, c’è ancora speranza! Aspettiamo il ritorno degli altri tre che stanno galoppando nella landa. Purtroppo, il risultato fu lo stesso. I cavalli delle dune non avevano mai sentito parlare della Duna Verde.

– Aspettiamo ancora, disse la vecchia, manca il settimo cavallo delle dune che dovrebbe arrivare alla notte.

Una volta il settimo cavallo tornato, la vecchia lo interrogò:

– Non sai dove si trova la Duna Verde?

Sì, rispose il cavallo delle dune, ne arrivo.

– Quel ragazzo vorrebbe andarci, ma lui non conosce il cammino, disse la vecchia.

Quando il cavallo ebbe mangiato e bevuto, Guglielmo Orfayre salì sulla sua schiena e partirono come il vento. Il viaggio durò alcuni giorni. Finalmente, arrivarono in vista della Duna Verde dove campava il Diavolo.

Il cavallo si fermò e disse a Guglielmo Orfayre:

– Devi fare come ti consiglio….. (fine seconda parte)

 

 

 

Oceano: Racconto della Duna Verde.

C’era una volta un certo Guglielmo Orfayre che era figlio di un mercante e di una mercante del Médoc e, mentre loro erano in viaggio per i loro affari, lui ne aveva approfittato per dilapidare tutto il denaro della famiglia nelle bische bordolesi. Pensate un po’ come un giovane credulone del Médoc è una preda facile da abbindolare per quei furbi di Bordeaux! Non rimaneva niente ai genitori al loro ritorno, nemmeno un soldino, solo quel figlio inconseguente e gli occhi per piangere davanti alla perdita di tutta una vita di duro lavoro. Il padre cacciò Guglielmo dicendogli di andare a cercare fortuna e di tornare solo quando avrà riguadagnato il denaro perso sui tavoli da gioco di Bordeaux. Guglielmo aveva un’altra idea, quella di mettere fine alla sua miserabile vita andando ad annegare nel Mare Oceano. Dunque Guglielmo Orfayre si mise a camminare verso Ovest.  Camminò a lungo, camminò giorni e notti sulla strada, nella foresta e attraverso le paludi, camminò per settimane e settimane e, cosa curiosa, il Mare Oceano che era pure non troppo lontano dalla casa dei genitori non si faceva mai né vedere né nemmeno sentire. Un giorno, all’incrocio di un cammino, Guglielmo Orfayre incontrò un uomo seduto sul tronco di un pino e seppe istintivamente che quel tizio era il Diavolo. L’uomo disse a Guglielmo Orfayre: Dove vai? Vado ad annegare perché ho speso nelle bische bordolesi tutto il denaro dei miei genitori e ho causato la loro rovina, rispose Guglielmo. Che storia! Ascolta bene. Non vai più lontano. Torna a casa tua al negozio dei tuoi genitori e vedrai che non ci mancherà niente. Però bisognerà che  tu venga a vedermi, a casa mia, alla Duna Verde, in un anno e un giorno, e se avessi l’idea di non venire, andrei a cercarti, credilo bene. Tornato dai genitori, Guglielmo Orfayre ebbe la sorpresa di vedere il negozio riempito delle merci e delle derrate le più rare. Guglielmo Orfayre diventò più saggio e non andò più a sperperare il denaro del negozio nelle bische bordolesi. Tutto era per il meglio nel migliore dei mondi possibili. Tranne che i giorni succedevano ai giorni, i mesi succedevano ai mesi, e il tempo dell’incontro con il diavolo si avvicinava. E successe il momento dove Guglielmo dovette partire per la Duna Verde….(fine prima parte)

Médoc: Foche nel Mare Oceano del Golfo di Biscaglia!

Carta del comportamento da adottare in caso di incontro con una foca affissa su una spiaggia medocchina.

Non è mai banale anche per qualcuno come me che passa molto tempo a solcare il litorale del Médoc, ma può succedere talvolta di incontrare qualche foca sulle nostre spiagge in inverno. Sono foche grigie bretoni o ch’ti che vengono in villeggiatura per imparare ai loro cuccioli a pescare prima di lasciarli vivere la loro propria vita. Qualche anno fa, ho osservato una piccola colonia di quei vacanzieri, un giorno dall’alto di una duna tutto al Nord del Médoc. La sabbia della duna era dura come del cemento. Soffiava un vento gelido, tanto che non sentivo più le mie estremità e che avevo l’impressione che il mio naso, le mie orecchie e i miei denti stavano sul punto di cadere. E le foche se la godevano sulla spiaggia a prendere il sole livido di febbraio come se fossero in qualche paese tropicale…

Settembre 1917: Una foca di 1 metro e venti è stata uccisa sulla spiaggia di Vieux-Boucau nelle Landes dal doganiere G… che l’ha trovata, sdraiata sulla spiaggia durante il suo giro di ispezione. Spaventato dai gridi dell’animale da lui completamente sconosciuto, quel doganiere l’ha stordito dopo l’aver ferito a morte da un colpo di fucile quando l’animale ha cercato di riguadagnare il mare. La spoglia è stata inviata al museo del Mare di Biarritz….

Agosto 1920: Un altra foca è stata presa da pescatori girondini verso il Cap-Ferret. Pesava 49 chili e misurava un metro e quaranta. Il corpo era coperto di un pelo ruvido e corto di colore grigio cenere. Quella foca stordita a colpi di bastone come succede, purtroppo, quasi sempre quando marinai e cacciatori si trovano in presenza di animali che non conoscono, ha sopravvissuto solo 48 ore alle sue ferite. Durante quel breve intervallo, si è potuto osservare la sua dolcezza e la sua intelligenza. Si lasciava accarezzare e rispondeva dallo sguardo alle richieste che le facevamo….

Dunque sono in cima alla duna, molto lontano dalla piccola colonia, nascosto e tutto commosso in mezzo alle ammofile. Non faccio niente, mi accontento di fare il guardone. Non faccio rumore. Non scendo sulla spiaggia perché le foche che ricuperano sdraiate sul banco di sabbia dopo la pesca, rischierebbero di spaventarsi, di scappare verso il mare, di esaurirsi….Allora, sarei responsabile della loro morte e varrei ancora meno dei miei ignoranti antenati cacciatori occasionali di foche. Tornando a casa, telefono alla lega di protezione degli uccelli sul Bacino di Arcachon che si occupa anche della protezione delle foche. Do le coordinate GPS della spiaggia dove ho visto le foche, il responsabile brontola un po’ perché il posto è alla fine del mondo. Non ci penso più e qualche giorno dopo, il responsabile mi richiama per  dirmi che le foche sono in piena salute. Da allora, ogni tanto, ritorno su questa spiaggia in inverno con la segreta speranza di vederci di nuovo una piccola famiglia di foche….

 

Oceano: Passeggiata lungo la craste della Berle!

Lacanau in gennaio: lungo la craste della Berle*

Felci giganti, carici centenarie e foreste di betulle costituiscono il mondo delle berle. Nei confronti degli altri alberi delle nostre foreste, le betulle sembrano ragazze con le loro silhouette snelle e alte, splendenti  nei loro abiti di sposa. Ma non vi fidate. L’universo delle berle è quello dell’umidità, della decomposizione, dei funghi, della muffa e degli insetti che divorano tutto. Avvicinatevi, avete visto queste macchie che costellano gli abiti delle betulle e queste sbavature che colano come lacrime di fuliggine? Ora, guardate al suolo le mani delle ragazze! Hanno i dorsi delle mani tutte piene di artrite e di reumatismo come le vecchiette che hanno lavorato la vite durante sessant’anni. Le dita giovani, già logorata, sono spesse e nodose e non hanno abbastanza di forza per ancorarsi profondamente nel suolo della berle, le vecchie mani sono come posate sulla superficie spugnosa della palude. Le mani delle ragazze causano la loro morte. In inverno, quando le craste straripano e inondano per mesi le berle, quando piove troppo, che soffia il vento dall’Ovest e che le ragazze hanno preso un po’ di età, le vecchie mani delle ragazze non riescono più a graffiare abbastanza il suolo per mantenersi dritte, ed è la morte. Le betulle non invecchiano mai nelle berle.               

*Nella lingua guascone del Médoc, le craste sono canali che permettono lo scorrimento delle acque da una palude verso uno stagno, lo stagno di Lacanau in questo caso. Stagno significa lago. Per quanto riguarda berle, la parola designa un prato paludoso in riva a uno stagno.