29 ottobre. Per il mio ultimo giorno nei Paesi Baschi, vi porto a Cambo-les-Bains, piccola stazione termale tipica del Sud-Ovest della Francia, dove si trova Arnaga, la villa di Edmond Rostand, padre di Cyrano de Bergerac e più grande poeta francese dei suoi tempi. Tanto sontuosa la casa con i suoi giardini alla francese e all’inglese e il suo parco di quindici ettari che Arnaga è soprannominata il Versailles basco. Non è semplicemente una casa, fu un progetto grandioso di Edmond Rostand quello di concepire una casa che sia un dialogo tra la cultura e la magia dei paesaggi pirenaici che circondano la casa. D’altronde per parlare di Arnaga, Edmond Rostand usava volentieri l’espressione: “la mia poesia di pietre e di verdura” per dire come il poeta considerava la casa come una sua creazione poetica. Non si può proprio immaginare o rappresentarsi cosa fu il successo di Cyrano de Bergerac in Francia, negli ultimi anni del XIX secolo, senza andare a Arnaga. Edmond rostand non aveva di fortuna personale e tutto quello che vedete ad Arnaga è stato pagato con i diritti d’autore che ha toccato Edmond Rostand per Cyrano de Bergerac. Una sera del 1897, l’opera teatrale è presentata al pubblico parigino, il trionfo è tale che, l’indomani, Edmond Rostand è milionario e guardato ormai come il più grande poeta francese del dopo guerra (quella del 1870 contro i tedeschi). Ma come nasce veramente Arnaga e perché fare edificare una casa nei Paesi Baschi? La storia di Arnaga nasce come una favola e finisce purtroppo in tragedia per Edmond Rostand. Siamo nel 1902 e, Edmond Rostand, alla vetta della sua gloria letteraria con le sue opere teatrali: L’Aiglon, La Samaritaine e Cyrano de Bergerac, si ritrova di nuovo a Cambo per curare un’affezione polmonare. Il poeta ha sempre avuto una salute cagionevole. Convinto una prima volta dal suo medico di famiglia di fare una cura termale nel Sud-Ovest della Francia – la regione delle acque miracolose e dell’aria pura – Rostand ha fatto un primo soggiorno, due anni prima, a Cambo-les-Bains ed è stato ammagliato dai Paesi Baschi, poi una volta guarito, è tornato a Parigi dove si è di nuovo ammalato a causa dall’aria mefitica della Capitale. Ritorno a Cambo per curarsi. Mentre Rostand passeggia tranquillamente lungo il fiume Arraga (Cambo si trova nella vallata dell’Arraga), salendo una piccola collina che domina la cittadina e la vallata, lui è colpito dalla bellezza del paesaggio che si svela sotto i suoi occhi e decide che è il luogo ideale per edificare il progetto di casa che ha dentro di sé. Vedete la storia di Arnaga comincia come una favola. Rostand mette tutta la sua fortuna nel suo sogno. Un terreno di 31 ettari è comprato. L’architetto parigino, gran premio di Roma, Albert Tournaire, assistito dall’architetto bordolese, Pierre Ferret, sono assunti e devono realizzare tutte le idee che escono dalla mente fertile di Rostand. Tournaire, Ferret e Rostand inventano, creando Arnaga, un nuovo stile architetturale che verrà chiamato più tardi: lo stile neobasco. Oggi, le vedete ovunque queste case neobasche se fate un giro nei Paesi Baschi. Il modello di base è la cascina tradizionale basca a traliccio della provincia del Labourd (la zona intorno a Bayonne) di cui si riprende solo l’aspetto esterno cambiando tutto l’interno facendoci entrare il sole. Mentre la casa basca tradizionale è quasi al buio per proteggersi dai rigori dell’inverno e dai raggi di sole in estate, la casa neobasca è aperta sulla natura e sempre soleggiata con la moltiplicazione delle finestre, dei balconi, delle verande. Credo sia la cosa più sorprendente quando visitate Arnaga, le aperture su tutte le facciate sono fatte per dare un punto di vista sempre nuovo sui paesaggi che circondano la casa; già dal primo piano, avete l’impressione di essere alla cima di un faro. Dunque la realizzazione di Arnaga è affidata all’architetto Tournaire, ma non solo perché tutto gli arredamenti interni sono affidati ai più grandi artisti e artigiani francesi di allora: Citiamo i pittori Gaston Latouche, Hélène Dufau, Georges Delaw, Eugène Pascau, Jean Veber, lo scultore Raoul Verlet e il genio del ferro battuto Henri Vian (il nonno di Boris Vian). Immaginate che il cantiere inizia nel 1903 ed è compiuto nel 1906! Tre anni, solo tre anni per realizzare tutta questa opera. E non c’erano le strade di oggi e con materiali che venivano da Bordeaux, Tolosa, Parigi, Londra e fino dalla Cina per i pannelli del salotto cinese! Dentro, la casa è abbastanza classica, come si immagina una casa dell’alta borghesia francese della fine del XIX secolo. Ci sono comunque delle stanze commuovente. Al primo piano, il boudoir della moglie di Edmond Rostand, la poetessa Rosemonde Gérard (conosciuta ancora oggi dai francesi solo per due famosi versi: “Car vois-tu, chaque jour je t’aime davantage, Aujourd’hui plus qu’hier et bien moins que demain”) che è decorato con dei pannelli dipinti da Jean Veber e che raffigurano diversi episodi delle fiabe di Charles Perrault. Edmond Rostand e la moglie erano affascinati dalle fiabe. Anche la stanza da gioco dei bambini Rostand è la cosa più deliziosa da contemplare nella casa con i pareti dipinti da Georges Delaw e che raccontano episodi della canzone per bambini (i bambini francesi l’imparano ancora a scuola, oggi): Bon voyage monsieur Dumollet. Poi, c’è la hall inglese della casa con i dipinti di Gaston Latouche che raffigurano la Fête chez Thérèse (una poesia di Victor Hugo) con Cyrano di Bergerac, Christian o Roxane che si nascondono nei dipinti…Ci sono elementi davvero divertenti e che mostrano anche un po’ la personalità di Edmond Rostand. Il balcone nella hall dove si presentava il poeta ai suoi invitati recitando i suoi versi (il lato teatrante del poeta). Poi un orologio (potete vederla nelle immagini) che invece di iniziare a mezzogiorno, inizia alle due e se pensate che c’è un espressione francese che dice che non ci vuole cercare mezzogiorno alle due, con questo orologio, sì! Secondo la leggenda, l’orologio permetteva al poeta di cacciare gli scrocconi che si presentavano sempre ad Arnaga all’ora del pranzo. Mi dispiace diceva il poeta, abbiamo già mangiato, guardate l’orologio, ad Arnaga sono le due. Poi gli scrocconi erano riaccompagnati “gentilmente” al portone della proprietà. C’è un altro aneddoto divertente a proposito di uno scherzo che faceva Rostand ai suoi invitati e che è legato all’elettricità. Non pensate perché siamo nel 1906 che il poeta non aveva l’elettricità e il riscaldamento elettrico. Pensate davvero che con la sua salute cagionevole, Rostand avrebbe aperto la sua casa di 600 metri quadrati ai quattro venti e che avrebbe fatto rasare foreste intere per riuscire appena a scaldarsi un po’ le ossa in inverno? Infatti la casa è stata la prima casa provvisto dall’elettricità nei Paesi Baschi a un’epoca o l’elettricità era riservata all’illuminazione pubblica e agli edifici della Repubblica. Semplicemente Rostand ha chiesto all’ingegnere che si occupava della stazione idroelettrica della zona di potere collegarsi alla rete. Un generatore fu sistemato nelle scuderie e Rostand ebbe l’elettricità! E non parliamo di quattro lampade perché la potenza elettrica che poteva ricevere Arnaga era l’equivalente di quella di uno stadio di calcio odierno. Quindi elettricità e riscaldamento a pavimento era già la norma ad Arnaga nel 1906. Bene, allora Rostand che era teatrante quando riceveva della gente, aveva, durante i pranzi, un piccolo campanello elettrico nascosto e lui lo usava per fare apparecchiare e sparecchiare la tavola dalle domestiche. E tutti gli invitati di essere allibiti davanti a questo balletto. Ma come, mentre tutte le porte sono chiuse, fanno le domestiche dalle cucine nel sottosuolo per sapere quando ci vuole portare un piatto o sbarazzare la tavola? si chiedevano i poveri diavoli tornando a Parigi con questa enigma da risolvere in mente. Dunque vedete niente sembra potere offuscare la felicità della famiglia Rostand. Ma finalmente, Rostand, questa villa di Arnaga perché veramente l’ha fatta edificare? Sicuramente c’era l’angoscia di lasciare un’opera, una poesia di pietre e di verdura come lui diceva, qualcosa che sopravvivrebbe alle sue opere letterarie dopo la sua morte. Le opere letterarie cadono nel dimenticatoio, le case tipo Arnago rimangono per il postero. E lui, nel fondo, non pensava che il suo successo fosse una cosa acquista per sempre. E, su questo, purtroppo, il poeta non aveva torto. Siamo nel 1910, Rostand, dopo anni e anni di lavoro, scrive le ultime battute dell’opera teatrale Chantecler che lui pensa essere il suo capolavoro assoluto, che dovrebbe aver ancora più successo di Cyrano de Bergerac. Io, Chantecler, non l’ho mai visto al teatro, ma so che è la storia di un gallo che pensa che è lui ogni mattina che fa sorgere il sole, di un merlo che pensa conoscere le arie che avranno successo prima degli altri, di un pavone che si crede sempre vestito all’ultima moda….Rostand, secondo la leggenda, avrebbe avuto l’idea dell’opera osservando un gallo particolarmente vanitoso nel pollaio di Arnaga…insomma, attraverso il gallo Chantecler, Rostand vuole denunciare la società del suo tempo. La prima di Chantecler è un flop colossale. In una sera, Rostand era diventato milionario con Cyrano de Bergerac, in una sera, Rostand si ritrova rovinato, non solo per i costi faraonici dello spettacolo, ma anche perché i diritti d’autore che lui ha preso in anticipo per Chantecler sono stati inghiottiti nella villa di Arnaga ed è ovvio che l’opera non sarà mai più data nei teatri parigini dopo il fiasco. I soldi sono una cosa, ma anche la reputazione di poeta di Edmond Rostand è a pezzi. Rostand perde assolutamente tutto in una sera. La gente non si riconosce assolutamente in questi animali. Lo spettacolo non è capito ed è giudicato grottesco. La critica lo massacra. Il disastro è assoluto. Dunque Rostand si rinchiude ad Arnaga e non vuole più sentire parlare di Chantecler tranne che tutto è là per ricordargli il disastro e ci sono stanze intere che lui ha fatto decorare alla gloria di Chantecler durante la costruzione della casa. Le domestiche non hanno il diritto di evocare Chantecler, gli amici che vengono da Parigi sono imbarazzati e gli mentono un po’ per risollevargli il morale. Non c’è niente da fare. Il poeta cade in una profonda depressione e da questo anno 1910 fino alla sua morte, Rostand avrà solo un successione di sfortune. (penso alla separazione con la moglie. Loro si adoravano, ma vivere continuamente in questo clima…). Esco dalla villa per passeggiare nel giardino alla francese. Dopo la nebbia di questa mattina, il sole comincia a sorgere in mezzo alla poesia di pietre e di verdura. Un gallo si mette a cantare.
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Paesi Baschi: La Madonna che contempla l’oceano sul confine tra l’Austria e la Francia!
L’ho già detto in un altro post, ma secondo me, Ainhoa, è tra i più bei borghi medievali dei Paesi Baschi e anche del Sud della Francia. E siccome sono ancora nei Paesi Baschi per qualche giorno, ho deciso di portarvi di nuovo ad Ainhoa per far un’escursione fino alla cima del Monte Atsulai che culmina a 390 metri di altezza e dove si trova una cappella dedicata alla Madonna del Biancospino (Arantzazuko Ama Birjinaren kapera in basco). Madonna che è apparsa sull’Atsulai, una volta, a un pastore a prossimità di una fonte miracolosa che ha il potere di guarire le malattie della pelle e che fa quindi la disperazione di tutti i dermatologi della regione. Ma vi racconterò la storia dell’apparizione della Madonna del Biancospino, una volta che mi sarò dissetato alla fontana della Birjina (vergine) situata a ridosso della Kapera (cappella). Fa caldo da non crederci per un fine ottobre e mi tarda veramente di arrivare alla fontana. Sono davvero un tipo strano e mentre tanti dei miei concittadini bordolesi stanno facendo la spesa nelle ventas di Dantxaria, io cosa sto facendo? un’escursione in montagna! Il richiamo della montagna? No, è solo che sono da qualche giorno all’interno dei Paesi Baschi e che l’Oceano mi manca e quindi mi sono deciso a conquistare l’Atsulai per vedere qualcosa di familiare di lassù. Non ridete, ma l’Atsulai per me è come l’Himalaya perché 390 metri di altezza non sono niente per qualcuno che vive nella penisola del Médoc dove il punto più alto si trova a 40 metri sopra il livello del mare! Diciamo che la mia limite sono i cento metri della duna del Pilat sul Bacino di Arcachon e ancora in cima ho già orecchie tappate, allora figuratevi sull’Atsulai! Mi vedo già a spalancare la bocca, sbadigliare, gonfiare le guance, fare tutta una serie di smorfie per stappare le mie povere orecchie. Spero solo di non spaventare i pottok (cavalli baschi) che pascolano in libertà nella montagna, ma forse l’acqua della fontana è buona anche per le orecchie bordolesi che hanno problemi di pressione! Già sento ancora il belare delle pecore, è già qualcosa! Il sentiero è anche una via crucis e, in vetta, un po’ dopo la cappella c’è un calvario. All’inizio contavo le croci delle stazioni sul cammino, poi ho dimenticato davanti allo spettacolo della fioritura dei crochi selvatici, della bellezza della cittadina di Ainhoa ai piedi della montagna, dei grifoni veleggiando nei correnti ascensionali dei cieli baschi sperando che qualche pecora abbia l’idea di rompersi il collo in un burrone, della vista delle antiche cascine basche bianche e rosse, disseminate nelle colline tondeggianti della vallata della Nivelle, e che hanno tutte le porte orientate verso l’est come gli ovili del mio vecchio Paese, per proteggersi dal vento del golfo di Biscaglia e accogliere i primi raggi del sole. Dopo un’ora di camminata, arrivo alla fontana e saluto la Madonna che è stata sistemata sopra, alla fine del XIX secolo, in una piccola grotta artificiale. Sono miscredente, ma non sono maleducato quindi le offro un piccolo mazzo di croco che ho raccolto sul cammino, dopotutto lei mi offre una meravigliosa acqua fresca che viene dal cuore dell’Atsulai. All’inizio del post, vi ho detto che la Madonna del Biancospino (Arantzeko Birjina in basco) è apparsa a un pastore. Immaginate, siamo nel Medioevo e il ragazzo ha imboccato esattamente lo stesso cammino di me per portare il suo gregge a pascolare sull’Atsulai. Arrivando dove mi trovo, al livello del ruscello che correva allora all’ombra di un Biancospino, il pastore si accorge che qualcosa splende nel Biancospino. Si avvicina, intrigato, ed esclama: Aranza zu! (lei in un Biancospino!). Il ragazzo scende la montagna in fretta per annunciare che lui ha visto la Dama. Ovviamente, il ragazzo non è creduto, ma dopo qualche tempo, lui riesce a convincere gli abitanti di Ainhoa e loro si decidono a edificare una cappella nel quartiere (quartiere ha il senso di frazione in basco) di Karrika, ai piedi dell’Atsulai. Cosa succede allora? I materiali da costruzione portati la giornata a Karrika, si ritrovano misteriosamente l’indomani mattina in cima all’Atsulai e quindi gli abitanti di Ainhoa vedendoci un segno divino, edificano la cappella al posto dove si trova oggi. Ancora un tornante per raggiungere la cappella della Madonna del Biancospino sopra la fonte. Il panorama è magnifico. Di fronte, la cima di La Rhune, la montagna sacra dei baschi, è avvolta nelle nuvole. Sotto i miei piedi la vallata della Nivelle, poi, nel lontano verso Nord, mi immagino le Lande di Guascogna. Ad Ovest, si vede fino a Saint Jean de Luz e l’Oceano si confonde con l’orizzonte. A sud, a qualche centinaia di metri dal mio posto di osservazione, c’è la Spagna. Notate che non conta che sia la Spagna o la Francia perché gli abitanti sono esattamente gli stessi. Il mio sguardo abbraccia tutto il circo di Xareta e una prossima volta, vi porterò in Spagna, a due passi di Ainhoa, nel villaggio di Zugarramurdi e le sue famose grotte dove durante il Medioevo, le streghe basche ci facevano il Sabba. Sotto i miei piedi ancora, dal lato spagnolo, la vallata di Baztán, paradiso degli escursionisti, che, recentemente, è stata resa mondialmente celebre dai libri di Dolorès Redondo che scrive dei gialli che mescolano thriller e mitologia basca. Io l’avevo trovata sempre ridente e simpatica questa vallata di Baztán, ma secondo la scrittrice, ci si vive ancora il Basajaun, la Dea Mari, i Laminak e tante altre creature delle leggende basche. Devo dire che, adesso che ho letto la sua trilogia, la trovo più inquietante, ma forse saranno solo le nuvole nere che corrono sopra il Baztán! Passo il pomeriggio in questo luogo magico: ad accarezzare i pottok, a tentare di decifrare i misteriosi simboli sulle riproduzioni delle steli discoidali basche. Capisco perché c’è sempre stato un eremita a vivere a prossimità della cappella, dal Medioevo fino alla meta del XIX secolo, voglio dire tutta questa bellezza, questo silenzio….Va bene, è già tempo per me di tornare a malincuore verso questa fottuta “Civiltà”.
Teaser: La Madonna che contempla l’oceano sul confine tra l’Austria e la Spagna!
La settimana prossima verrà pubblicato un post su un luogo magico sul confine tra l’Austria e la Spagna. Non mancate!
Nota per i lettori scarsi in Geografia che non sanno che l’Austria e la Spagna hanno un confine comune:
La regione di Bordeaux si chiamava l’Aquitania, poi con la riforma regionale del 2015 e l’aggiunto dei dipartimenti delle Charente e quelli del Limosino all’Aquitania, la regione ha preso il nome di Nuova Aquitania. In superficie la regione Nuova Aquitania è più grande dell’Austria e posso dirvi che questo fatto è molto sottolineato dai nostri media locali. All’inizio si leggeva volentieri nei giornali: la regione Nuova Aquitania è grande quanto il Portogallo! Tranne che era solo una sbruffonata inventata dai giornalisti e dai nostri politici locali perché è falso, la Nuova Aquitania fa 8000 km² di meno del Portogallo! Quindi si è dovuto cercare un Paese più modesto in Europa a cui potevamo paragonarsi e abbiamo trovato l’Austria che, con i suoi miserabili 83 879 km², non può competere con i 84 061 km² della Nuova Aquitania. Da allora, ci vantiamo di avere una regione più grande di un paese come l’Austria e non importa che non abbiamo la minima idea di cosa sia come tipo di paese l’Austria, che siamo incapaci di situarvi l’Austria su una mappa geografica o di raccontarvi due aneddoti storici su questo paese. Ormai la vera Austria siamo noi!
Paesi Baschi: In cui l’autore di questo blog vi racconta una fiaba a proposito dei Mamurrak!
Sempre sabato scorso nei Paesi Baschi. Pomeriggio ad Ainoha sul confine tra la Francia e la Spagna. Secondo me, Ainoha è semplicemente il più bel paese del sud della Francia. Ma noi, bordolesi, passiamo ad Ainoha soprattutto per andare a Dantxaria a due passi dove facciamo il pieno di sigarette, alcol e salumi. Lo scatto è stato preso dal camposanto di Ainoha perché volevo parlarvi di una bellissima tradizione basca di una volta che riguardava la morte e un certo tipo di insetto. Poi ho cambiato idea e, in questa bellissima giornata soleggiata, ho deciso di raccontarvi una favola basca che parla di altri insetti e che non è senza rapporto con il post che avevo previsto e che sarà pubblicato, se me lo ricordate, probabilmente per Ognissanti.
Prima la favola, devo dirvi due parole sui Mamurrak baschi. I Mamurrak (hanno diversi nomi in basco) sono dei geni della mitologia basca che possono essere catturati la notte che precede la San Giovanni ponendo un astuccio per aghi aperto su un cespuglio. Certi dicono che sono degli insetti tipo delle mosche, altri pretendono che sono addirittura degli uomini minuscoli che portano dei pantaloni rossi. Come tutti i geni, i mamurrak possono essere utili o dare fastidio come lo racconta la favola sotto:
A casa Mendiondo, c’era un padrone che era un gran pigrone, eppure i lavori della sua fattoria erano sempre terminati i primi. Una mattina, in appena un’ora, il prato sotto la casa si trovò falciato; una domenica, durante il tempo della messa, tutto il frumento di un campo fu tagliato. Tutta la gente era sorpresa perché non si vedeva mai un bracciante a casa sua. Anche la moglie del padrone si fidava di lui. Una domenica come lui andava in chiesa, egli nascose qualcosa in un cespuglio. La moglie lo vide da lontano e fu curiosa di sapere cos’era. Lei scoprì un astuccio per aghi. Lo aprì e ne uscì una decina di mosche. Queste mosche le andarono agli occhi e alle orecchie chiedendo: “Che fare? che fare? che fare?”. Sbalordita, la donna disse: “Rientrate nello stesso buco” e subito le mosche rientrarono nell’astuccio. Lei lo racchiuse e lo rimise al suo posto. La moglie non mise molto tempo a raccontare al marito quello che le era successo, e, lui, confessò che erano queste mosche che facevano tutti i lavori della fattoria. A partire da questo momento, le mosche effettuavano tutto il lavoro, qualunque sia, che la donna loro dava. Un giorno, le mosche la tormentavano dicendo rumorosamente: “Lavoro! lavoro! lavoro!” La moglie del padrone stanca diede un setaccio alle mosche e disse: “Andate e riempite la botte vuota che si trova in cantina portando dell’acqua dentro questo setaccio dalla rete del molino, poi la metterete al prato sotto casa”. E lei di pensarsi tranquilla per qualche ora. Dopo un breve momento, avendo finito questo lavoro, le mosche tornano e si rimettono a cianciare: “Lavoro! lavoro! lavoro! lavoro!”. La moglie ne potendo più di queste mosche, andò a trovare il marito e disse: “Che miracolo è questo? Dobbiamo sbarazzarsi di queste mosche! – Sì, rispose il marito, ma purtroppo dobbiamo a ognuna uno stipendio. – Ci sono dieci oche che vivono sotto il tetto ; diale loro, disse la moglie.” (n.b: la lingua basca non conosce il tu). Appena la frase fu pronunciata che le oche volarono via a gran voce verso le nuvole, e le mosche di Mendiondo non riapparvero più.
Paesi Baschi: La ragazza basca che portava i calzoni!
Veduta di Bayonne. Paul Signac (1863-1935)
Ho trascorso il mio sabato nei Paesi Baschi e mentre pranzavamo in terrazza, ai piedi della cattedrale di Bayonne, con un semplice piatto di salumi accompagnato da un bicchiere di Rioja, un gruppo di cantanti baschi si è messo ad interpretare qualche brano di una pastorale basca (è un pezzo di teatro dove si canta e si balla) che è stata recitata quest’anno a Bayonne e nei dintorni e che mette in scena la vita di Catalina de Erauso (una cosa piuttosto rara perché sono sempre uomini che sono protagonisti in queste pastorale). Catalina de Erauso detta ancora la monaca Alferez è conosciutissima in tutta la Spagna quanto Don Chisciotte. Ma chi era questa fottuta Catalina de Erauso? (Notate che il brevissimo riassunto della vita di Catalina che ho scritto sotto ha solo la modesta pretesa di svegliare eventualmente la vostra curiosità e se mi chiedete un’opera per andare più avanti, vi consiglio di leggere il romanzo che Thomas de Quincey ha scritto su di lei: Le avventure di una monaca vestita da uomo).
Catalina de Erauso è un personaggio storico che è veramente esistito anche se la successione di eventi particolarmente straordinari e rocamboleschi che hanno costellato la sua vita possono farvene fortemente dubitare. La tizia nasce nel 1585 a Donostia che è il nome basco della città di San Sebastiano ed è messa molto presto in pensione in un convento per ricevere quello che si chiamava allora un’educazione di donna. Lei scappa dal convento all’adolescenza per menare una vita d’uomo perché non le conviene la vita che le suore hanno deciso per lei. Cosa fa allora la nostra Catalina de Erauso? Travestita in paggio, la ragazza circola attraverso tutta la Spagna vivendo alla giornata, praticando il brigantaggio e qualche piccolo lavoro quando non c’è qualche ricco da depredare. Poi, Catalina si stanca di questa esistenza diciamo picaresca per usare di un termine di origine spagnolo, insomma come lei si era stanca della sua vita al convento. Cosa può fare allora il nostro tornado basco per guadagnare il pane? Catalina decide di tentare l’avventura nelle Americhe e siamo nel 1602 quando la ragazza di diciassette anni sbarca a Panama. E di lì, la sua vita non è più che una serie di drammi sanguinosi e di omicidi. Per sfuggire all’impiccagione per omicidi, Catalina si arruola nell’esercito – che è solo una condanna a morte differita all’epoca – e da libero sfogo ai suoi istinti e si mette a massacrare a gara e, nell’esercito, trovano che è tanto bravo e coraggioso a fare il mestiere questo ragazzo che Catalina è nominata al grado di Alferez che in italiano significa Portabandiera. Di nuovo costretta a sfuggire, Catalina parte dalla Concepción in Cile con lo scopo di raggiungere San Miguel de Tucumán, una città del Nord dell’Argentina. E per questo, la ragazza deve attraversare addirittura tutta la Cordigliera delle Ande e lei ci riesce, a piedi quasi senza cibo e acqua, ma questo lo racconta Catalina e la sua leggenda e molti dubitano della veracità di questo viaggio. Comunque, in un ennesimo duello, Catalina è gravemente ferita e non ha altra scelta che di trovare rifugio in un convento e di svelare alle suore, che comunque non sono cieche, che lei è una donna. Figuratevi, cari lettori, come il rumore si propaga alla velocità della luce in tutto il reame della Nuova Spagna. Il fottuto tizio che, da anni, mette a ferro e fuoco tutto il reame è una donna! Sbalordimento. E per sbarazzarsi di Catalina, le autorità religiose, completamente scocciate da questo caso, decidono di rispedire catalina in Spagna. Il Re deciderà delle sorti della diabolica ragazza. Durante la traversata da Santa Fe a Barcellona, Catalina trova il tempo di scrivere le sue famose memorie che ci affascinano ancora oggi. Arrivata in Spagna con la sua faccia tosta tutta basca, Catalina riesce a convincere il Re Filippo IV, non solo di non farla impiccare, ma di versarle una pensione per i suoi ottimi servizi nell’esercito. Poi, di passaggio a Roma, la tizia è ricevuta in audienza dal pontefice Urbano VIII che la confessa, le dà l’assoluzione dei peccati e la autorizza a continuare a vivere come un uomo portando dei vestiti maschili. Pensate che la storia di Catalina sia finita? Assolutamente no! La vita rocambolesca di Catalina prosegue senza tregua. La monaca Alferez come viene chiamata allora Catalina da tutta la Spagna, si imbarca per il Messico e, sotto il nome di Antonio de Erauso, si mette a fare il mulattiere per guadagnare la sua vita. Sono gli ultimi elementi che conosciamo della vita di questo intrepide bersagliere della Biscaglia, così il destino di Catalina finisce su un mistero…
Paesi baschi: E adesso gli animalisti se la prendono con il gioco dell’oca!
Aquitania. Paesi Baschi. Incredibile, vogliono sostituire l’anatra o l’oca con una specie di piñata! Cari lettori e lettrici, conoscete il gioco dell’oca? è un gioco che, una volta, era molto popolare nei Paesi Baschi e domani si svolgerà un gioco dell’oca durante le feste di Cambo-Les-Bains e Brigitte Bardot e la sua fondazione hanno deciso di manifestare contro questa tradizione e di proporre addirittura di sostituire l’anatra con uno zimbello in plastica o con una piñata!
Il gioco dell’oca (antzara jokoa) che oggi dovrebbe piuttosto chiamarsi il gioco dell’anatra (ahate jokoa) si svolge di solito la domenica delle feste patronali. Questa gara si gioca dal medioevo nei Paesi Baschi e non appartiene proprio alla tradizione basca quindi potete trovare il gioco dell’oca in altre regioni europee. Il gioco consiste a tendere un cavo orizzontale attraverso una strada, un frontone (un campo di pelota basca), ad altezza di una coppia cavallo-fantino e a sospenderci un’oca legata per le zampe. Il ruolo del fantino lanciato al galoppo è di staccare il collo della bestiola. Il primo fantino che tenta l’exploit utilizza una sciabola smussata ed è chiamato Re. Il gioco dell’oca fu adottato dalla provincia del Labourd durante il soggiorno nei Paesi Baschi di Carlo IX nel 1565. Un secolo più tardi, l’antzara jokoa (il gioco dell’oca) fu vietato da Pierre de Lancre durante i grandi processi di stregoneria nei Paesi Baschi. L’inquisizione cattolica vedendo nel gioco dell’oca un rito iniziatico alla magia. Per dire la verità, non è del tutto falso: è qualcosa legato ad un rito pagano. Storicamente, la bestiola sospesa raffigura in modo mitico la iella che il popolo deve scongiurare a tutto costo. L’anatra o l’oca simboleggiavano i grandi flagelli – la carestia, le epidemie come la pesta o la lebbra – e i cavalieri erano mandati e pagati dagli abitanti per strappare la testa dello spirito malvagio simbolizzato dall’oca. Vi rassicuro, oggi, l’oca o l’anatra non è più sospesa vivente come una volta. Dal 1924, le bestiole sono le stesse che potete trovare quando fate la spesa dal macellaio. La cittadina di Sare è uno dei rari comuni che ha conservato questo gioco senza interruzione dal periodo napoleonico. Fino a 1914, il gioco si praticava due volte l’anno durante le feste patronali (seconda domenica di settembre e giorno di natività della vergine), nel quartiere Ihalar per le feste di Santa Caterina (che duravano tre giorni) poi nel quartiere d’Istilarte e in quello di Añimainea. Perché oggi l’anatra si è sostituita all’oca? Per una ragione molto semplice: Il gioco dell’oca con un’anatra è più conveniente di quello con un’oca; è solo una questione economica. Seriamente, avete visto il prezzo di un’oca? Se venite un giorno nei Paesi Baschi non mancate le nostre feste perché non abbiamo soltanto il gioco dell’oca per divertirsi 😉