Bordeaux: L’aperitivo più bordolese del Mondo?

Quanto mi fanno pena quei turisti cinesi, inglesi, americani, parigini che si fanno degli aperitivi e spendono un capitale alla terrazza dei bar bordolesi. Eh no, cari amici, farsi un bicchiere di Sauternes oppure  di Tariquet in un Wine bar di Bordeaux per l’aperitivo non è particolarmente bordolese, è solo un po’ snob. Se volete bere un aperitivo alla moda degli indigeni, non avete nemmeno bisogno di essere a Bordeaux. Blanc limé cioè vino bianco e gassoza ghiacciata in casau (giardino) oppure nella ghiacciaia per il picnic se passate la giornata al mare oppure in campagna. Questo sì che è l’aperitivo più bordolese del Mondo! 😉

Perché non serve assolutamente a niente di leggere l’etichetta di una bottiglia di vino?

Mio povero Sileno, Dio della vinificazione e del ferrocianuro di potassio!

Perché l’etichetta non indica assolutamente niente dell’intruglio contenuto nella bottiglia che avete comprato (tranne ovviamente a comprare alcuni vini naturali fatti da vignaioli sempre più numerosi). Niente di più falso del proverbio latino: in vino veritas. Di recente, la Commissione Europea ha avuto la pazza idea, non di controllare il diametro delle zucchine di mare, care alla Meloni, ma di informare, semplicemente di informare – pensate informare che verbo sporco – il consumatore sulla composizione del vino che lui compra. Forse non sapete di questa cosa allucinante, ma i produttori di vino, di birra e di alcol non hanno l’obbligo di indicare gli ingredienti che loro mettono nelle loro bevande, né le calorie d’altronde. Pensateci bene a questa cosa: I venditori d’acqua devono dettagliare tutto sulle loro etichette, i produttori di vino: niente. La ragione di questa stranezza è che le bevande che indicano più di 1,2% di alcol non sono considerate come derrate alimentari! E dunque per rimediare a questa assurda anomalia, la Commissione Europea ha lanciato in marzo 2017, l’idea sacrilega di un’etichettatura più trasparente simile a quella che si pratica per l’industria dell’acqua. Il Parlamento europeo ha deciso di occuparsi della questione e di votare un emendamento…è niente. La lobby dei viticoltori è così possente che la discussione è completamente impantanata, il vino è business come ha detto, l’altro giorno, Salvini. Il vino non si tocca punto, dicono i parlamentari francesi. E pensate un po’ se i consumatori sapessero cosa c’è in un litro di vino, loro sfuggirebbero e addio alla montagna di soldi che genera questo business. L’uva è solo una parte degli ingredienti necessari per fare un vino, oggi; quindi iscrivere sull’etichetta il tipo di vitigno oppure mostrare la faccia di un vignaiolo o di raccontare storiette non vi informa per niente sul vino. No, perché non andate a pensare che ci sia solo del vino nel vino. Per esempio, c’è un coso che si chiama l’omogeneizzazione e dunque per omogeneizzare il vino è rendere tutta la produzione uguale, i viticoltori hanno diritto di usare trecento tipi di lieviti, in particolare per chiarificare e conservare, del bisolfito di ammonio che favorisce lo sviluppo dei lieviti, dell’ureasi per diminuire il tasso d’urea, della gelatina alimentare oppure della colla di pesce che disacidificano, del solfato di rame, che elimina i difetti di gusto e di odori, dello zolfo, dei frammenti di legno  per dare dell’aroma al vino. Non dimentichiamo il ferrocianuro di potassio che è una polvere gialla usata per “sferrare” il vino cioè ridurne la quantità di ferro e di rame. In toto, per la vinificazione viene autorizzata sessanta additivi e settanta ausiliari tecnologici che servono a impedire i residui nella bottiglia. La cosa bella è che i produttori di vino sono sempre più numerosi a fare vini senza additivi, a rinunciare a fare gli chimici e a voler proporre un vino meno artificiale. E dunque quegli ultimi sono in favore della trasparenza totale sull’etichetta, la desiderano. Tranne che questo fottuto emendamento promesso dai deputati europei non viene mai alla luce. Insabbiato grazie alla lobby degli industriali del vino. Ora ci vorrà aspettare che l’emendamento sia votato eventualmente dal prossimo Parlamento europeo e approvato in consiglio dei ministri dagli Stati membri. Ahi, temo che non sia per domani che i vignaioli che fanno vini naturali potranno togliersi dal culo le carasson* che hanno messo loro la mafia del vino.

* carassons, pali di vite in bordolese.

 

Bordeaux: La cirrosi più grande del Mondo si trova a Bordeaux!

Cirrosi in francese si scrive cirrhose e si pronuncia esattamente allo stesso modo di “six roses” (sei rose). D’altronde esiste una canzone basata su questo gioco di parole. Storia di un ragazza ubriacone che non capisce perché gli amici la chiamano “six roses”. E poi, c’è una certa logica perché se avete una cirrosi, rischiate a breve di ricevere un mazzo di rose per il vostro funerale, no? La Cirrosi è anche il nome azzeccatissimo che hanno trovato certi bordolesi per designare questo grosso tumore giallastro che vedete nella foto sopra, sull’altra sponda, prima il ponte. Al Comune e all’ufficio turistico chiamano il coso: la Città del Vino (con una maiuscola a Vino) oppure il Guggenheim del Vino. Dicono che sarebbe un museo, un centro culturale dedicato alle Civiltà del Vino con tanti spazi tematici, simulatori virtuali che ti fanno viaggiare dalla raccolta dell’uva fino al bicchiere di un cliente cinese in un bar chic di Pechino. Il bordolese, lui, non si lascia abbindolare come il primo turista venuto e sa perfettamente che lo scopo del coso è soltanto di spacciare il nostro tavernello locale. E non andate a dirgli che l’edificio raffigura lo spirito del vino oppure un decanter perché, per un bordolese, il coso assomiglia a una cirrosi. Punto. D’altronde l’ho sentito dire, in centro città, da un mio amico a un altro francese che aveva l’accento del Nord e che gli chiedeva come recarsi alla Città del Vino: Ah lei cerca la Cirrosi… 😉

Il Médoc secondo il sito internet Siviaggia.it è situato…in Champagne!

Per illustrare un articolo intitolato: Ora puoi iscriverti alla Marathon du Médoc, ma devi amare (tanto) il vino, il sito Siviaggia.it ha scelto lo scatto sopra.

Quindi, cari podisti, se partite dai vigneti di Pauillac e che vi ritrovate nel panorama del sito Siviaggia.it, non siate sorpresi di provare un po’ di stanchezza perché venite appena di percorrere 650 km! Champagne! E se mi raccontate che sbaglio, che non si tratta della Montagna di Reims nello scatto, ma di una qualsiasi campagna di Bordeaux, io vi dico che sono il Re d’Inghilterra e che a pranzo mi sono mangiato un grosso topo! 😉 

Purtroppo le iscrizioni per la Maratona del Médoc sono già chiuse. Ma se volete iscrivervi in lista d’attesa:

https://www.marathondumedoc.com/

 

 

Vino e umorismo: Ageusia!

Io sono il francese medio tipico e se mi passano per la millesima volta in televisione il film L’ala o la coscia? con Louis de Funès, lo guardo comunque. Solo per questa scena che mi fa scoppiare dal ridere ogni volta e dove il famoso critico gastronomico Charles Duchemin (Louis de Funès) soffre di ageusia ciò che non lo impedisce di riconoscere un vino di Saint-Julien. Mitico.

Bel colore vermiglio, un po’ violetta, bella lucentezza. È un Bordeaux, un grande Bordeaux. Un po’ di muffa nobile in sospensione, le particelle scendono lentamente, questo vino ha 23 anni, è un 53, una grande annata. Il vino, è la terra. Quella è leggermente ciottolosa, è un Médoc. Il vino, è anche il sole. Questo vino ha approfittato di una bella esposizione Sud-ouest su una collina di buona pendenza. È un Saint-Julien, Château Léoville Las Cases 1953!

Médoc: Il figlio di Demetra…

Dioniso è la vite. Non esistevano un solo Dioniso in Grecia. C’era il Dioniso di Tracia, quello di Tebe e anche il Dioniso di Eleusi, di origine cretese, che era all’opposto di quello di Tracia, nel senso che era un edonista, sempre ridente, gioioso e che amava alzare il gomito alla buona. Insomma la bontà personificata. Il vero Dio dei viticoltori. Questo Dioniso era nato dagli amori clandestini e incestuosi tra Zeus e sua sorella Demetra. Dioniso voleva tanto bene agli uomini che è lui che addomesticò per loro le belve feroci, che fu l’autore della Civiltà, l’istigatore dell’agricoltura e del commercio, il padrone e il legislatore delle città. Dioniso fu catturato dai Titani che lo tagliarono a pezzi, lo fecero bollire e dispersero le sue ossa ai quattro venti. Demetra in lamentazioni ricercò le ossa del figlio e una volta riunite, lo fece nascere una seconda volta. È così che Dioniso era venerato a Eleusi: Mutilato, disperso e resuscitato. Lo smembramento di Dioniso simboleggiava la morte e la rinascita della natura e il suo culto un rito iniziatico agrario. Non pensate che sia questo Dionisio che ha inventato la viticoltura perché, in realtà, sono i Dei georgiani. E i primi artefatti georgiani legati alla coltura della vite risalgono a sei mille anni. Ho avuto la fortuna, alcuni mesi fa, in una mostra a Bordeaux, di ammirare tre sarmenti di vite avvolti in foglie d’argento, scoperti in un tumulo georgiano e che risalgono alla seconda metà del terzo millennio a.C. Probabilmente un culto che doveva già prefigurare quello di Dioniso in Grecia. Comunque non importano i nomi che si danno a Dioniso. La vite muore e rinasce ogni anno, allora sarebbe stato troppo ingiusto che non sia la stessa cosa per i viticoltori. Perché loro non avrebbero potuto rinascere dopo la loro morte nel paradiso dei viticoltori e portare con loro la loro vite per continuare a coltivarla e farsi dei bicchieri con gli amici? Osservo la ragazza che sta lavorando tra i filari. Altri viticoltori hanno già finito la potatura e raccolgono i sarmenti tagliati  per farne dei roghi. Le ceneri saranno disperse tra i filari. Dioniso era morto. Ancora qualche giorno da aspettare e Demetra tornerà per resuscitare il figlio…

Vino: 2017 un millesimo di merda per i vini di Bordeaux.

In maggio, i vignaioli guardano il cielo e pregano. Pregano perché vorrebbero che i santi di ghiaccio, quei tre bastardi dell’apocalisse che sono Mamerto (11 maggio), Pancrazio (12 maggio) e Servazio (13 maggio) si tengano alla larga dei loro vigneti. Dopo Servazio si dice che non c’è più rischio di gelo per le piante e che i giardinieri possono ricominciare a respirare. Ma i vignaioli non ci credono a queste sciocchezze e continuano a pregare, a tremare  e a incrociare le dita fino al 25 maggio perché come dice il proverbio, solo quando sant’Urbano è passato, il vignaiolo è rassicurato. Siamo il 29 aprile e non c’è più da tremare o pregare tutti i santi dell’universo per evitare un’eventuale gelata tardiva nei vigneti in maggio perché il gelo l’abbiamo avuto nella notte di giovedì. Non succedeva da più di 25 anni una cosa del genere. Quasi due mesi d’estate e una notte di freddo ha distrutto tutto. Lo château vicino a casa mia ha perso tutta la raccolta 2017 e sono numerosi a essere in questo caso che sia nel Médoc, a Saint-Emilion, Nelle Graves, a Sauternes…Ti strappa il cuore di vedere tutti questi vigneti bruciati lungo le strade. E ti strappa ancora più il cuore di sentire stamane sul mercato la gente che ha perso il guadagnapane.

Fottuta lingua italiana!!!!!

Gioco televisivo francese:

Il Carlo Conti francese: Bene, lei ha risposto bene alle quattro domande. Ora è giunta l’ora dell’ultima domanda per guadagnare i dieci mille euro messi in gioco oggi. Lei è pronta?

Il candidato: Proviamo.

Il Carlo Conti francese: La domanda è quella: Cos’è in italiano il prosecco? Lei, come per le altre domande, ha tre possibilità. Vediamo. Prima possibilità, il prosecco è un vino. Seconda possibilità, il prosecco è una salumeria. Terza possibilità, il prosecco è un’altra cosa.

Il candidato: Il vino sono certo di no perché è il prosciutto che è un vino, credo sia anche un vino tipo Champagne. Invece mi dice bene la salumeria. Per quanto ciò che si nasconde dietro la terza proposta, boh, forse un formaggio…

Il Carlo Conti francese: Allora, lei ci dà una risposta per vincere i dieci mille euro di oggi?

Il candidato: Sono abbastanza sicuro di me e penso che il prosecco sia una salumeria perché so che il prosciutto è un vino quindi scelgo la seconda proposta cioè il prosecco è una salumeria.

Il Carlo Conti francese: Vediamo cosa dice il computer…Noooooo! Il prosecco è un vino! Lei ha fatto una piccola confusione perché è il contrario: il prosecco è un vino ed è il prosciutto che è una salumeria. Ma è vero che le parole sono davvero vicine.

Il candidato: Vero ed io ero convinto che il prosciutto era un vino!

E io davanti allo schermo di pensare esattamente la stessa cosa del candidato: Fottuta lingua italiana!!!!!

Vino: In cui si cercherà a capire perché San Vincenzo è diventato il patrono dei vignaioli!

San Bixente, Saint Vincent

San Bixente in basco, saint Vincent in francese, San Vincenzo in italiano. Diacono martirizzato nel IV secolo e patrono dei vignaioli francesi dal XVI secolo. Statua del XVIII secolo proveniente dall’antica chiesa di Irouléguy è esposta al museo di Bayonne.

Di solito, i bordolesi si interessano soltanto a Saint-Estèphe e Saint-Emilion, ma ho deciso di parlarvi di questo tizio spagnolo, Vicente (Vincent in francese), che è diventato il santo patrono dei vignaioli. Dimenticate il proverbio italiano che dice che non ci vuole scherzare con i santi perché la scelta in Francia di San Vincenzo come patrono dei vignaioli sarebbe nata da un calembour. Notate che anche alla Chiesa piacciono i calembour e non dimenticate il famoso: Tu sei Pietro e su questa pietra…ecc. È la stessa cosa per Vincent e il tizio  sarebbe stato scelto da alcuni vignaioli ubriachi perché era l’ultimo saint Vincent disponibile e ci voleva assolutamente un Vincent perché il nome permette un calembour che vale bene quello su san Pietro. La prima sillaba di vincent è vin (vino) e la seconda (cent) è omofona di sang (sangue). Vincent cioè Vin-Sang (vino-sangue) e per un tizio che era in più diacono cioè la persona in carica di versare il vino nel calice durante la messa e non mi dite che non trovate l’aneddoto un po’ divertente, altrimenti vi chiedo di ripensarci un po’ dopo due o tre bicchieri! Nelle altre lingue, non funziona affatto il gioco di parole quindi trovo un po’ ridicolo un san Vincenzo italiano o un san Vicente spagnolo, patrono dei vignaioli.

Non siete convinti da questa spiegazione? Per dire la verità, anch’io la trovo un po’ fantasiosa quindi proseguiamo la ricerca e tentiamo di capire perché un santo spagnolo del IV secolo, che non ha mai avuto niente a che vedere con il vino, è diventato il patrono dei vignaioli (e di tutti quelli che lavorano nel campo viticolo) nel XVI secolo in Francia. Un’altra ipotesi dice che non sarebbe il nome Vincenzo che conta, ma il modo in cui san Vincenzo è stato giustiziato e che gli ha dato l’onore di diventare il patrono dei vignaioli. Non si scherzava all’epoca e san Vincenzo fu condannato da Daciano, l’uomo di fiducia dell’imperatore Diocleziano, ad aver il corpo pestato, schiacciato in tale modo di fare schizzare il suo sangue come il succo d’uva che gronda sotto la violenza del torchio e si dice anche che san Vincenzo fu messo addirittura in un torchio e che l’hanno spremuto! Io non ci credo ancora meno a questa ipotesi che spiegherebbe la scelta di san Vincenzo, patrono dei vignaioli, perché la metafora è davvero orrenda per dei vignaioli che sono piuttosto persone gioiose. Ma ti piomba una serata intorno al vino di raccontare il supplizio di san Vincenzo! A me il supplizio evoca l’anatra al sangue se avete già sentito parlare di questo famoso piatto della tradizione francese, forse san Vincenzo non sarebbe stato male come patrono dei macellai! Ma non finisce qui il martirio di san Vincenzo, una volta morto, il corpo è cucito in una pelle di bue e buttato in mare al largo di Valencia e miracolo! Quando i marinai, una volta il lavoro fatto, tornano al porto, cosa vedono? la salma che li aspettava tranquillamente sulla riva! E nessuno ha pensato a fare di San Vincenzo il patrono dei marinai, dei naufraghi e dell’acqua invece del patrono dei vignaioli?

Adesso lasciamo la Spagna e trasportiamo in Francia, a Parigi, sulla riva sinistra della Senna, ai tempi del re Childeberto I che ci fa edificare un’abbazia chiamata Santa Croce-San Vincenzo e dove arrivano due reliquie del santo: una stola e un braccio. E cosa succede secondo voi in questa abbazia che possedeva dei vigneti in tutta la regione parigina? I monaci vignaioli fanno di san Vincenzo, il loro protettore contro il gelo e la grandine. Poi , il culto di san Vincenzo si diffonde ad altri vigneti e contamina tutto il territorio (non Bordeaux perché non ci crediamo noi ai poteri dei santi, ma in Borgogna ci credono a san Vincenzo, eccome che ci credono!). Forse non vi dice niente Santa Croce-San Vincenzo eppure è una delle chiese più conosciute di Parigi, ma oggi si chiama abbazia di Saint-Germain-des-Près perché, tre secoli dopo le reliquie di san Vincenzo, la chiesa ha ricevuto le reliquie di sain Germain di cui il culto ha soppiantato quello di san Vincenzo. Se andate al café de Flore, non potete mancare l’abbazia…Devo dire che questa ipotesi per san Vincenzo patrono dei vignaioli mi sembra più verosimile.

Ci sono anche altre ipotesi. Per esempio sempre con questa storia di calembour perché il nome Vincent è una rima facile da utilizzare in mille proverbi che riguardano la vigna. Un’altra ipotesi sarebbe che l’asino di san Vincenzo avrebbe brucato un vigneto e quindi inventato la potatura tranne che non è l’asino di san Vincenzo ma l’asino di san Martino ad avere commesso il delitto. Poi si dice ancora che san Vincenzo si festeggia il 22 gennaio quindi più o meno al momento del risveglio della vigna e dunque sarebbe la ragione per cui san Vincenzo sarebbe il patrono dei vignaioli..

Notate che questo san Vincenzo tiene duro in un paese  scristianizzato come la Francia e il suo culto è molto vivace, soprattutto dai selvaggi della Borgogna dove il santo si festeggia con tante messe, prediche, benedizioni, processioni…ma in mattinata perché il pomeriggio è dedicato solo a Bacco. ..Una volta, non c’era solo san Vincenzo, l’ultimo scampato, ma una quantità inverosimile di santi che proteggevano i vigneti: San Vernerio, san Martino, sant’Urbano, San Marcellino…ecc…ecc. La buona sorte di san Vincenzo è che è stato tra i più tardivi e che non ha avuto a subire la rabbia dei vignaioli quando loro si accorgevano che tutti i santi e sante non potevano niente contro il brutto tempo. A questo proposito, c’è un aneddoto divertente che riguarda Sant’Urbano, un predecessore di San Vincenzo. Siamo il 25 maggio 1682, giorno della Sant’Urbano a Rouffach in Alsazia quando eccezionalmente nella notte si mette a gelare. Cosa fanno allora i vignaioli del paese che vedono i loro vigneti distrutti? Vanno in chiesa, prendono la statua di Sant’Urbano e la buttano in un fontana gridando al santo: “Non vuoi darci del vino, allora bevi anche tu dell’acqua!” 😉