In cui l’autore vi regala una parola bordolese per Natale!

Questa parola è mounaque. Le mounaque in bordolese sono le bambole. All’origine sono le bambole di stoffa o di paglia e per estensione, almeno è così nella mia famiglia, tutto quello che assomiglia da vicino o da lontano a una bambola e dunque tutte le bambole made in Cina tipo Barbie o Disney, i G.I Joe… sono delle mounaque per me. Notate che una mounaque designa anche una persona debole e senza carattere. Quindi se la mia mounaque di fratello, invece di voler fare l’americano e di dirmi che sua figlia voleva  i pogues per Natale, mi avesse semplicemente detto: la drôlesse veut des mounaques de Fornique pour Noël (la marmocchia vuole bambole di Fornica per Natale) avrei capito subito e non avrei perso tutta una giornata a ricercare due mounaque che siano di Fornite o d’altrove! 😉 

 

In cui l’autore di questo blog cucina una crema all’uso di Bordeaux!

Oggi, vi propongo un dessert super classico di Bordeaux a base di Sauternes. Perché a Bordeaux il Sauternes sia lo beviamo sia lo mangiamo. La cucina bordolese – come l’ho già detto più volte su questo blog – è molto semplice. Figuratevi che per questo Sauternes comfort made in Bordeaux facile facile e squisito ci vogliono soltanto tre ingredienti! 😉

  •  6 uova alla moda di Guascogna (cioè che la gallina deve aver male al culo dopo aver fatto l’uovo)
  • 25 cl di Sauternes
  • 150 g di zucchero

Separate i tuorli dagli albumi. Sbattete i tuorli con lo zucchero finché diventano bianchi.

Versate il composto in una casseruola. Aggiungete man mano il Sauternes.

Mettete la casseruola su fuoco dolce mescolando delicatamente. Quando la crema comincia ad addensare, ritirate dal fuoco. Lasciate raffreddare.

Montate gli albumi a neve.

Incorporateli alla crema di Sauternes.

Qualche ora in frigo. Da abbinare ovviamente con un bicchiere di Sauternes.

Bon ap’

In cui l’autore vi racconta la storia di una parola bordolese mettendo due “gueille” nella valigia per Milano!

I diversi modi di dire mocio in Francia metropolitana secondo le regioni. Notate che il termine comune per dire mocio in francese è serpillère.

Gueille (si pronuncia gheiiii in italiano) è un parola usatissima nella mia famiglia. All’origine, gueille viene dal guascone ghèlha (si pronuncia allo stesso modo di gueille) e designava un cencio, uno straccio, un vestito logoro. Gueille in bordolese apparteneva anche al mondo della viticoltura e la gueille era un pezzo di stoffa che si metteva tra il tappo e la botte per renderla stagna e nello stesso tempo la gueille faceva respirare il vino. La gueille era sempre bagnata di vino. Oggi ci sono i tappi di silicone, una volta c’erano soltanto le gueille. Dunque gueille ha un doppio senso in bordolese come lo scoprirete sotto. Nella mia famiglia, la gueille è semplicemente un indumento e non importa che indossate un vestito usato o nuovo, che viene da Chanel o da un negozio di cianfrusaglie, che l’avete pagato una cifra astronomica oppure tre franchi sei soldi  perché, per i membri di mia famiglia, sarà comunque una gueille. Oh no, non ho più una gueille da indossare! Sono i saldi, andiamo a comprare qualche gueille! E dunque, per noi, gueille non è una parola pregevole o spregevole, è una parola neutra, ma è un’evoluzione propria. In bordolese, la parola ha un senso solo negativo: Oh questo vestito è una gueille! (di pessima qualità), non vai comunque a indossare questa gueille, no? Guarda questa donna come è vestita da gueille!…ecc. È che la gueille in bordolese è non solo il vestito, ma anche lo strofinaccio, il panno che usate per asciugare le stoviglie, il mocio per lavare la casa. Dunque questo è il primo senso della parola gueille nel senso di vestito o di straccio.

Poi c’è un secondo senso di gueille, un senso figurato che riguarda il fatto che la gueille in viticoltura era questo straccio sempre bagnato di vino tra il tappo e la botte. Dunque una gueille è una persona debole, che non regge sulle sue gambe come qualcuno che è ubriaco. Braccia da gueille, gambe da gueille. Quel calciatore è una vera gueille, sta cadendo appena un avversario lo tocca. Una gueille è una persona che ha una costituzione debole, che cade a ogni soffio di vento,  che si ammala subito per qualsiasi cosa; che non sopporta di bere più di un bicchiere di vino. Una gueille è anche qualcuno che ama ubriacarsi, un alcolizzato. Si dice aver le gambe da gueille oppure aver il naso da gueille per designare un ubriacone. Gueille riguarda anche l’acqua. Per esempio, se rientrate a casa, completamente bagnato  perché avete dimenticato l’ombrello, ci sarà sempre qualcuno per dirvi che siete una gueille oppure un gueillous che è anche peggio con questo suffisso in “ous” per precisare che siete bagnato fradicio….Caspita, ma perché non entrano nella valigia queste due “gueille?” Ma sono una vera “gueille” che ora non riesco più a chiuderla! 🙂

 

Caspita, che cagnaccio!*

Sono completamente essicato!

*Un freddo cane, un froid de chien…A Bordeaux non si associa mai il cane al freddo come lo fanno gli italiani e i francesi. No, da noi, il cane è sempre associato al caldo, all’afa. La parola bordolese “cagnas” (la s si pronuncia fortemente) significa cagnaccio, ma designa anche il caldo. Se qualcuno vi dice: il fait un cagnas dehors! (fa un cagnaccio fuori!) la persona parla di meteo e si lamenta del caldo. Se qualcuno vi dice: il y a un cagnas dehors! (c’è un cagnaccio fuori!) la persona parla sia di meteo  sia del cane rognoso, cattivo o grosso che lei vede fuori dalla finestra (è ambivalente). Sempre in bordolese, la “cagne” designa sia la cagna sia la svogliatezza, la pigrizia nata dal caldo o no, quindi se non volete fare lo sforzo di andare alla finestra per vedere di cosa sta parlando la persona, le direte: j’ai la cagne. (ho la cagna). Se il vostro interlocutore è simpatico lui capirà il sottinteso cioè “non è che sono pigro, ma con questo caldo non mi sento di fare un movimento quindi se potessi portarmi un’aranciata una volta che avrai smesso di guardare da questa stupida finestra”. Più o meno. Associare il caldo ai cani, gli antichi bordolesi l’hanno anche insegnato ai barbari romani spiegando loro, non senza difficoltà, che il “cagnas” succede in estate quando Sirio, la stella principale della costellazione del Cane, sorge e tramonta con il sole. I romani hanno dato il nome di canicola al “cagnas” poi sono tornati in patria. E forse, mi dico, che i tizi hanno avuto la “cagne” di spiegare la cosa ai figli visto che i discendenti, dopo due mille anni, ne sono ancora a usare l’espressione: un freddo cane… 😉

Vita e morte di un gatto bordolese.

La prima parte è stata scritta lunedì e l’ultimo paragrafo stasera. I termini tra virgolette appartengono al gergo che uso in famiglia.

Il “gat” ha un altro nome, ma io l’ho sempre chiamato “Gian Coglione” che è un termine bordolese affettuoso per designare qualcuno (spesso un bambino) di un po’ stupido, ma che in fondo amiamo bene; è poi nella mia famiglia diamo sempre dei  nomignoli ridicoli alle bestiole. Lo scrittore Jules Renard diceva che “l’ideale della calma è in un gatto seduto.” Il vecchio “gat” è seduto sulla scrivania e mi guarda con calma. Non si direbbe che, cinque minuti fa, lottavo con lui per tentare di amministragli il trattamento che gli ha dato il veterinario. Sotto gli occhi  del “gat” seduto, ritrovo la mia calma. Non penso più ai morsi, ai graffi sulle mani e ai trecento euro che ho dovuto lasciare al veterinario. Rivedo il “gat” dodici anni prima e che aveva già tre anni quando mia zia fu costretta ad adottarlo. Era un gatto da appartamento che viveva con i fratelli da una ragazza nel centro di Bordeaux. Poi, la ragazza ha dovuto trasferirsi negli Stati Uniti per ragioni professionali e lei era riuscita a piazzare gli altri gatti tranne il “Gian Coglione” che campava dalla madre della ragazza e che aveva una passione esclusiva per i cani. Pensate un po’ alla vita di questo gatto in mezzo ad una muta di Cavalier King Charles! Quindi la signora che sa che mia madre è una “gatounayre” (una gattara) le ha proposto il “gat”. Cosa ha fatto mia madre che non poteva accogliere un gatto in più a casa sua? Non indovinerete mai anche se doveste vivere mille anni! tipico di mia madre! La tizia è andata a trovare sua sorella che era in ospedale per un intervento qualsiasi e mentre la poverina era in sala risveglio, ancora sotto l’effetto dell’anestesia, le ha chiesto: “non ti piacerebbe un gatto?” Secondo mia madre, sua sorella avrebbe detto di sì, mentre la sorella ha sempre negato visto che lei era addormentata e che, comunque, lei ha sempre odiato i gatti…

Quindi il “gat” ha lasciato Bordeaux e la civiltà per andare a vivere con mia zia alla fine del Mondo, tutto al Nord della penisola del Médoc dove l’estuario sfocia nell’Oceano Atlantico. Il “gat” è diventato selvatico quanto la gente del Médoc. Si dice che cacciava i palombi in autunno nella “lède” (la foresta dunaria a ridosso dell’oceano), che pescava le spigole in estate nell’oceano. Si dice mille cose mitologiche su questo “gat” nella mia famiglia. Questo “gat” è anche telepatico, un talento davvero particolare che ho potuto notare quando il “gat” è venuto a vivere a casa mia. Se vedete il “gat” seduto ad un certo posto, siete sicuri che vedrete mia zia arrivare in macchina nei dieci minuti seguenti. Mi ricordo anche che il “gat” ha fatto la guerra per anni ad un gatto da razza che apparteneva ad un barone del vino e ogni volta che il “gat” mandava l’altro, l’aristocratico, dal veterinario, mia zia non poteva nascondere un sorriso di vittoria. In inverno, talvolta, chiamavo mia madre perché ero preoccupato dal “gat”. Chissà che fine avrà fatto il “gat” della zia, mi lamentavo, adesso che piove da giorni sul golfo di Biscaglia. Cretino! rispondeva mia madre, il “gat” è sdraiato sulle ginocchia della zia mentre lei legge davanti al camino e i martin pescatori sono tornati nel giardino….

Così il gat ha vissuto questa vita alla Huckleberry Finn per dieci anni. Poi, due anni fa, la zia è tornata alla civiltà perché non si può vivere per sempre al Nord del Mondo e la zia mi ha affidato il “gat” perché la bestiola non avrebbe sopravvissuta nemmeno un giorno a Bordeaux. Il primo giorno, il “gat” è scomparso e pensavo che fosse tornato al Nord del Mondo, poi l’indomani mattina, ho trovato il “gat” seduto davanti alla porta con un uccello tra i fauci e durante un anno intero, ogni mattina, il “gat” mi ha fatto questo tipo di regalo. Non tanto sorprendente, vi direi, perché mia zia non ama gli animali pigri che non hanno un mestiere, è il “gat” faceva il cacciatore. Poi il gatto si è stancato di questa vita sportiva ed è diventato casalingo preferendo il conforto della casa. Faceva arrabbiare la zia di vedere il gatto così. Cosa vuoi, zia, è il “vieillou” (la vecchiaia); il “gat” non può continuare a fare il cretino fuori a quindici anni. Mangia ancora qualche ostrica la domenica? chiedeva la zia. No, invece, ho scoperto che il “gat” adora il panettone. Allora, sei tu che lo rende pigro, mi rimproverava la zia…

Da qualche giorno, il “gat” non mangiava più. L’ho portato dal veterinario che gli ha estratto due denti brutti. Un’ecografia ha messo in evidenza un tumore al fegato e il veterinario gli ha tolto il liquido che riempiva l’organo. Oggi, sono tornato dal veterinario perché il trattamento non funziona e non volevo fare soffrire il “gat” un giorno di più. E’ la fine, ha detto il tizio, non erano i denti che lo impedivano di mangiare, ma il tumore che è stato folgorante. Ho chiamato la zia. Arrivo subito, lei ha detto singhiozzando. Il “gat” ha raddrizzato le orecchie e, con le sue ultime forze, ha saltato dal tavolo e ha camminato fino alla porta, poi si è seduto. Pazienza dottore, ho detto, il “gat” sta aspettando qualcuno prima il suo ultimo viaggio…

A Bordeaux, i terroristi del vino ci fanno pisciare a dirotto!

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Sapete come si dice tavernello, vinaccio e aceto in francese? Beaujolais! I vignaioli terroristi del Beaujolais hanno ancora colpito come ogni anno in novembre, del resto. Una volta, ce la prendevano solo con gli stranieri e particolarmente con quei poveri giapponesi, ma da qualche anno, ce la prendono con tutti e anche i poveri bordolesi, che non hanno mai chiesto niente a nessuno, non sono più risparmiati. Io resisto ancora e non mi lascio ingannare da un’etichetta dove c’è scritto “vino per buffone”, “gatto rosso” o che mi invita a “pisciare a dirotto”. Ma voi, lo comprerete un vino che si vanta di aver come qualità principale di fare pisciare a dirotto il consumatore? tranne ad avere problemi urologici! Mi crepa il cuore di osservare, nel mio supermercato preferito, un reparto intero dedicato al Beaujolais già semi vuoto. Tanti bordolesi sono già caduti. Noto con spavento che i terroristi del Beaujolais non si accontentano più del tradizionale vino rosso che profuma di banana e che ormai c’è anche un rosato che profuma di banana. Io resisterei anche se dovessi essere l’ultimo bordolese. Non berrei mai un bicchiere di Beaujolais tranne, ovviamente, se me lo prescrivesse un urologo al posto dell’acqua di Vichy. 😉

No, cari lettori, canelé non è il nome degli abitanti di Bordeaux…

… Perché gli abitanti di Bordeaux si chiamano “bordelais” e nemmeno il nome degli abitanti di Lacanau  perché loro si chiamano “canaulais”. Canelé è semplicemente il nome di un dolcetto bordolese che ha conquistato il Mondo e che gli indigeni di Bordeaux mangiano a palate per il pranzo domenicale e anche il resto della settimana per dire la verità. Dateci il nostro canelé quotidiano come recita un vecchio detto bordolese! La ricetta? Cliccate qui e saprete tutto a proposito del canelé!

 

 

 

 

 

 

 

A Bordeaux, i vendemmiatori si mangiano, ma sviscerati perché i loro fegati servono a fare la salsa!

Se siete a Bordeaux o nei dintorni in autunno e che abbiate la buonissima idea di fare un giretto nei mercatini, vedrete questi cartelli davanti alle bancarelle dei pescivendoli dove c’è scritto: Vendemmiatori (vendangeurs in francese). Non lo leggerete nelle guide turistiche, ma i vendemmiatori sono una grande specialità della regione bordolese quanto le ostriche di Arcachon diciamo; d’altronde provengono dalla stessa zona. Vi rassicuro, non si tratta di qualche bracciante catturato nei vigneti del Médoc e preparato alla marinara dagli indigeni di Arcachon. Il vendemmiatore è il nome bordolese di una piccola triglia (rouget in francese). In altre regioni francesi, la triglia si chiama anche beccaccia per il suo sapore simile alla selvaggina, ma a Bordeaux il pesce viene chiamato vendemmiatore perché frequenta il nostro litorale atlantico e vive nel bacino di Arcachon durante il periodo delle vendemmia per la più grande gioia dei bordolesi. Una differenza di sapore tra la triglia e il vendemmiatore ci sarà sicuramente perché il prezzo non è lo stesso e un giorno ho visto una vecchietta bordolese che voleva prendere a schiaffi un pescivendolo accusato di tentare di rifilarle delle triglie invece dei suoi cari vendemmiatori di Arcachon. Io non ho il palato abbastanza educato per notare la differenza.

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Come si cucinano i vendemmiatori a Bordeaux? Sapete forse che è un’eresia di sviscerare le piccole triglie perché perdono questo sapore di selvaggina, ma a Bordeaux dovete chiedere al pescivendolo di pulire i pesci e che lui vi ricupera i fegati (loro sono abituati a farlo) perché sono i fegati che danno qualcosa in più alla ricetta. Quindi per la ricetta tradizionale bordolese, diciamo per 4 persone, avete bisogno di 16 vendemmiatori, 2 cucchiai di olio d’oliva, 50 g di burro, 4 scalogni grigi, 1 cucchiaino di aceto di vino, sale, pepe e i fegati ovviamente. Fate riscaldare 40 g di burro e l’olio d’oliva in una padella a fuoco medio. Mettete i vendemmiatori a fuoco vivo per 2 minuti su ogni lati. Riservate i pesci caldi al forno. Aggiungete il resto di burro nella padella e gli scalogni tritati finemente e fate rosolare 2 minuti. Poi, deglassate con l’aceto di vino, aggiungete i fegati, mescolate bene, salate e pepate. Avete la salsa al fegato. Versate la salsa sui vendemmiatori e…a tavola!

 

Un lettore mi chiede: Qual è la parola più bella della lingua francese?

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La liseuse, Henner Jean Jacques (1829-1905). Parigi, museo d’Orsay

Io adoro la parola “liseur, euse” che deriva dal verbo “lire” (leggere) e che designa una persona che legge molto. Nel dizionario, sopra la parola liseur, euse, c’è la parola “liseron” che designa il convolvolo (abbiamo anche la parola latina “convolvulus” per dire “liseron”, ma sarebbe decisamente troppo di onore per una pianta che tutti consideriamo una gramigna). Qual è il rapporto tra il fatto di leggere molto e il convolvolo in francese? Un bellissimo proverbio inventato da Raymond Queneau che completa il proverbio seguente: “C’est en forgeant qu’on devient forgeron” (Forgiando si diventa fabbri) e Raymond Queneau di aggiungere: “et c’est en lisant qu’on devient liseron”. In italiano si perde la rima: Forgiando si diventa fabbri  e leggendo si diventa convolvolo, ma in francese è la cosa più bella e divertente del mondo!…al femminile la parola “liseuse” non designa soltanto una ragazza che legge molto, ma anche una specie di mantellina che le donne indossavano per leggere a letto; una copertina per foderare i libri; un piccolo coltello che serviva di tagliacarte e di segnalibro – ricordo di un tempo dove i libri venivano venduti intonsi. Questa parola “liseuse” è come la gramigna e si risemina da solo e oggi che le donne non indossano più di mantelline per leggere a letto, che i vecchi tagliacarte prendono la polvere nei cassetti delle biblioteche, ai tempi di internet e delle nuove tecnologie, questa parola “liseuse” ha preso un altro senso perché un genio francese ha avuto l’idea di utilizzare questa straordinaria parola per designare i lettori di Ebook e io ho regalato a natale una di queste diavolerie informatiche a mia madre (che è una grande “liseuse”) solo perché la sonorità di questa parola mi piace da morire. Forse mi direte che non c’è di differenza tra la parola “lecteur” e “liseur” e invece c’è una differenza abissale. Un “lecteur” è una persona che legge oppure che ha la funzione di leggere o ancora un dispositivo elettronico o informatico che permette di leggere un testo o dei dati. Invece un “liseur” è qualcuno che ha una specie di strana malattia, quella della lettura, e che per sopravvivere ha la necessità vitale di leggere tutti i libri dell’Universo….