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Oceano: Il ragazzo che si era innamorato di una duna.
Dietro questo cartello c’era una duna, non una duna qualsiasi però, una duna piantata dai miei antenati per proteggere il nostro litorale. Una duna che sfidava orgogliosamente l’Oceano da più di cinquant’anni. Una duna ancora bambina e che sognava di essere un giorno bella come l’adolescente smorfiosa di La Teste de Buch all’ingresso del Bacino di Arcachon. Una duna piantata secondo i metodi tradizionali di questo paese di piantatori di dune cioè con una palizzata fatta con dei pini marittimi che veniva rialzata man mano che la sabbia si ammucchiava intorno e dei rami di tamerice per impedire la sabbia di volare via quando soffia il vento dal golfo di Biscaglia. Piantare una duna è un lavoro di una pazienza inaudita che scoraggerebbe anche il vecchio Sisifo con il suo masso. E tutto questo è stato travolto da un’onda assassina venuta dall’altra parte della Terra. La mia duna non profumerà mai più di curry quando fioriscono le immortali, non ammirerò più la fioritura delle unghie delle streghe che colonizzavano i suoi fianchi, non mi arrabbierei più silenziosamente, l’estate, contro i turisti che, nonostante il cartello, calpestavano le linarie a foglie di timo, i poligoni marittimi, le euforbie…perché mi sentivo proprietario della mia duna e soltanto io avevo il diritto di percorrerla. Mentre vago con altri abitanti sbalorditi davanti al disastro delle dune portate via dall’Oceano e dal litorale che ha indietreggiato ancora di una decina di metri quest’anno, sento la gente venuta da Bordeaux e di altrove che si estasia davanti allo spettacolo della marea del secolo, davanti a queste onde mostruose che si infrangono sulla spiaggia; sciacalli che utilizzano tutti gli aggettivi del dizionario francese per descrivere la nostra sciagura: “Bello, spettacolare, impressionante, straordinario, stupendo, mozzafiato…E io che ho perso un’amica, mi viene da piangere…