Un medullo nell’anfiteatro di Mediolanum Santonum!

L’anfiteatro di Saintes. Anche la Francia è strapiena di vecchi palazzi sport romani e non capisco perché si organizzano lotterie per salvarli invece di lasciare fare la natura.

Non ho potuto rifiutare. Caio, il ricco proprietario dei chioschi intorno all’anfiteatro, ha storto il naso, si è grattato tra le gambe e ha sputato il vino. Va bene, lui ha sospirato, il vino di Burdigala non sarà mai all’altezza del Frascati, ma visto che il prezzo è ridicolo e che il beveraggio è destinato solo ad abbrutire gli spettatori, mi compro il tutto. Taccio e intasco il denaro e l’insulto. Anche se ho fretta di tornare al porto e di lasciare la Gallia, non voglio offendere il cliente romano che mi propone ora di assistere al più bello spettacolo del mondo civilizzato. Che imbonitori quei romani! Mi siedo all’aria aperta nella cavea. Un leggero zefiro soffia dall’Oceano e rinfresca le pietre surriscaldate del monumento incastonato tra le colline. Gli alberi di fico della via profumano l’aria e cacciano gli odori corporali del mio vicino. Le chiacchiere del pubblico che entra nell’anfiteatro assomigliano al suono cristallino dell’acqua che corre nell’acquedotto che collega il fiume Charente all’anfiteatro. La gente tranquillamente mangia e beve aspettando l’ora dello spettacolo; sembra un immenso picnic oppure qualche gioiosa festa contadina. La gente si mette a cantare, ora l’anfiteatro è quasi pieno e non avevo mai visto tanta gente riunita insieme. Guardo verso il porto di Mediolanum Santonum e mi dico che ho fatto bene di accordare un giorno in più all’equipaggio che, dopo il fiume, dopodomani dovremo fronteggiare l’oceano per tornare nel nostro caro Paese dei Medulli. Caio sorprende il mio sguardo verso Burdigala e mi dice che la porta nella mura è quella dei morti e che l’altra, all’opposto, è quella dei vivi. Mi viene come un sospetto di essere stato invitato a una carneficina. Le stelle appariscono nel cielo della Gallia, la luna come impaurita si nasconde dietro una nuvola solitaria. Le fiaccole sono accese. Sconvolgente, un gregge umano varca la porta dei vivi. Il pubblico si mette a urlare delle insanie. Un coro si alza: Uccidiamoli! Uccidiamoli! Uccidiamoli! I tori sono lasciati…..

(Nell’anfiteatro di Saintes, un’archeologa mi diceva che negli scavi intorno alla porta dei morti, sono state ritrovate delle bottiglie di vino del XIX secolo e che, il secolo precedente, si poteva ancora vedere le rovine di due o tre case che furono costruite là. Di cui l’idea di questo post).  

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Terza parte.

Cordouan, Le Balene, Chassiron. Tre fari. Tre antichissimi signori edificati dal Bastardo francese e dai ricchissimi armatori di Bordeaux e di La Rochelle per servire di fanali e guidare, di notte, le loro navi attraverso le acque dai correnti violentissimi, i banchi di sabbia in movimenti perpetuali e gli scogli affioranti e affilati come lame di rasoio della bocca della Gironda e degli stretti Bretone e d’Antiochia più a Nord nel mare degli Stretti. Le navi di guerra del Bastardo francese solcando verso l’arsenale di Rochefort, quelle dei ricchi armatori, traboccando d’oro guadagnato con il commercio triangolare e il traffico con le Antille, la Louisiana, il Canada e le coste dell’Africa Occidentale verso La Rochelle e Bordeaux. Cordouan, Le Balene, Chassiron. Tre antichissimi signori edificati per proteggere l’oro degli armatori dai pirati della Charente e dai poveri pastori del Médoc che affondavano le navi accendendo dei fanali sulle dune della sinistra spiaggia di La Négade (négade: annegamento in guascone). Andateci alla punta di La Négade, tutto a Nord del Médoc, un giorno d’inverno senza luna, e ci vedrete i fantasmi dei cavalli che galoppano sulle dune con i loro fanali attaccati al collo per ingannare le navi; andateci e ci vedrete i fantasmi dei selvaggi abitanti del Médoc mettere le loro imbarcazioni nelle acque gelide dell’Oceano per impadronirsi della merce e di assolutamente tutto fino all’ultimo asso di legno e all’ultimo chiodo di una nave arenata; andataci e vedrete i fantasmi dell’equipaggio e dei passeggeri della nave camminare nudi, persi nelle paludi, alla ricerca di una via per raggiungere Bordeaux…

Non si va sull’isola d’Oléron senza imboccare, per chilometri, la strada senza ombra che attraversa tutta l’isola fino alla punta Nord. Perché tutte le spedizioni all’isola d’Oléron hanno sempre lo scopo di salire in cima al faro di Chassiron. Dopo Saint-Denis d’Oléron, l’isola si restringe e significa che abbiamo quasi raggiunto la punta. Il faro si drizza sulla falesia. Perché il terreno si è innalzato con il passare dei secoli e le onde dello stretto d’Antiochia l’hanno scavato a picco. Tutto sembra calmo in quella giornata soleggiata di primavera. Una cartolina postale con questa barca bianca che tira dei bordi lontano in mezzo allo stretto d’Antiochia. Ma non vi lasciate ingannare, sono soltanto delle apparenze. Talvolta, la falesia si mette a crollare sotto l’urto delle onde che la assediano e si vedono enormi blocchi staccarsene ed essere portati via rotolati dalle onde. Fenomeno sismico. Lo stretto d’Antiochia si allarga e fanno secoli che le isole di Ré e d’Oléron si allontanano l’una dall’altra. La falesia che crolla significa che la procedura di divorzio non è ancora compiuta e non sarà compiuta prima migliaia di anni ancora. Sulla costa rocciosa, l’Oceano sta vincendo la battaglia e fa stragi ovunque. Si è dovuto abbandonare l’antico faro di Chassiron per edificarne un nuovo nelle terre che anche lui, un giorno, cadrà nell’Oceano. Non c’è nessuna spiaggia. La bassa marea svela soltanto scogli, un letto di rocce screpolate, tagliato da banchi d’argilla e ricoperto di laminaria. Ecco, sotto i vostri occhi, la prova della selvatichezza dell’Oceano di cui la furia è senza tregua come lo sanno bene gli abitanti del Golfo di Biscaglia….

Ci vuole salire in cima al faro di Chassiron per abbracciare la roccia d’Antiochia, gigantesco scoglio assediato dall’Oceano; L’isola di Ré a Nord con la linea bianca delle sue dune ei suoi paeselli; Il continente verso Est e il brutto porto industriale di La Pallice; l’isola d’Aix come a metà inabissata nello stretto d’Antiochia, l’isolotto di Boyard con il famoso forte; la torre della chiesa di Saint-Pierre; la geometria delle saline che formano come una gigante ragnatela; Saint-Denis e le sue casette bianche che si stacca in mezzo ai vigneti. Ah, i vigneti dell’isola d’Oléron che si estendono ovunque. Certo che non siamo in Bretagna qui! Ci vorrebbe salire, un giorno d’inverno, in cima a questo fottuto faro! Quando l’Oceano furioso urla, quando non sentite nemmeno l’esplosione delle onde che rimbombano sulla falesia. Quelle notti di temporale che vi raccontano i vecchi pescatori del paese quando gli uccelli di mare sono tanto spaventati e accecati dai lampi del temporale che vengono a schiacciarsi contro i vetri della lanterna del faro come se fossero falene….

 

 

Viaggio nelle isole del mare degli stretti, di là dalla fine delle Terre! Prima parte.

 

Maggio. Stamane ho preso il traghetto a Lamarque per Blaye ed eccomi a guidare verso Nord lungo il mio caro fiume perché non voglio assolutamente lasciarlo dagli occhi nonché il Médoc sulla riva sinistra. Soprattutto il Médoc che ne ho già la nostalgia. La fine delle Terre per un abitante del Médoc è il faro di Cordouan in mezzo alla bocca del fiume Gironda. Dall’isolotto di Cordouan seguite il litorale atlantico verso Sud fino a Le Porge-Océan. Tracciate un tratto orizzontale verso Est fino alle paludi di Blanquefort in riva al fiume Garonna, risalite verso Nord fino a tornare a Cordouan. Questo triangolo è il Médoc. Il mare degli Stretti (la mer des Pertuis in francese) è il mare che si trova tra il faro di Cordouan è la regione di La Rochelle. Una cosa divertente che devo raccontarvi è che ho le orecchie completamente tappate da quando ho lasciato Blaye per serpeggiare verso Nord tra i paeselli di La Saintonge. Già che ho le orecchie completamente tappate a Listrac che è il punto culminante del Médoc a 40 metri di altezza! Allora, pensate un po’ in questo fottuto paese di colline e di scogliere a strapiombo dell’estuario della Gironda! Noi siamo un pantano sotto il livello del mare, loro sono la Svizzera! E le mie povere orecchie che non sentono più niente! Non mi costa assolutamente di confessarlo perché, anche se adoro il Médoc, non sono sciovinista e quindi non capisco perché i turisti preferiscono il Médoc visto che La Saintonge è mille volte più bella! Il paese non puzza di poltiglia bordolese, ma profuma di fieno appena tagliato. Non c’è questa monotonia di vigneti e di pinete che ricoprono tutta la noiosa Olanda che è il Médoc. Da loro i vigneti scalano le colline e i campi di grano invasi da papaveri per migliaia le scendono. Poi, i paesi sono belli. C’è un’unita con queste case bianche agli scuri blu, grigi oppure verdi che crollano sotto la fioritura delle monarde e delle malvarose. La Saintonge è il Paese di queste piante che ci crescono come la gramigna da noi. Il Médoc è un antico Paese di pastori squattrinati, allora tutti i paesi sono brutti tranne forse Saint-Estèphe che è il solo paese un po’ agghindato della nostra penisola. Ho previsto di fare una tappa a Talmont per il picnic, ma visto che guido come una lumaca e che mi fermo in ogni paesello non ci sarò mai all’ora del pranzo! A Talmont non c’è di panetteria per comprare il pane per preparare i panini previsti per mangiare sulla falesia. Non pensate che le panetterie siano ovunque in Francia, anzi nelle campagne sono piuttosto rare ed è il caso nella zona di La Saintonge. A volte, vedete sulla vecchia strada romana, antiche stazioni di servizio trasformate in cantine che vendono Cognac oppure in negozi di frutta e verdura oppure in negozi di “antiquariato moderno”con i soliti cartelli all’ingresso e all’uscita che dicono: Deposito di pane cioè che c’è un panettiere di un grosso borgo  della zona che fornisce in pane i paeselli dei dintorni in quei posti insoliti. Dunque è il caso a Talmont dove c’è il deposito di pane più strano che non abbia mai visto e posso dirvi che più delle case bianche dagli scuri blu, più delle monarde e dei campi di grano pieni di papaveri, più delle falesie, più della gente che parla con un accento tanto diverso del mio, è questo deposito che mi fa sentire davvero all’estero; anche se, dal deposito, vedo il Médoc sull’altra sponda! Figuratevi che il deposito di pane è dentro un locale tecnico che serve alla manutenzione delle chiuse e di riparo quando piove per gli allievi che aspettano alla fermata il bus del Liceo. E dunque troneggia in mezzo al locale un distributore automatico di pane e io una cosa del genere non l’ho mai vista in vita mia. Immaginate lo shock culturale per l’indigeno del Médoc che sono, mi sembra di essere in un episodio di Starwars. Mi avvicino prudentemente e leggo le istruzioni, ma non riesco a capire come il distributore potrà darmi il mio pane quotidiano visto che non vedo di cassetto. Va bene proviamo, inserisco la mia moneta e scelgo “baguette de campagne”. Un rumore di pistone, immagino anche un fischio almeno che siano le mie povere orecchie martirizzate! E miracolo! Un cassetto nascosto si apre e posso ricuperare la mia baguette ancora calda. Forse la Kangoo che ho incrociato poco prima era quella del panetteriere che veniva rifornire il distributore? Va bene, ora possiamo andare a fare il picnic sulla falesia. Talmont è una cittadina tipica di La Saintonge. Ai tempi dei romani, la cittadina si chiamava Tamnum ed era il porto di una città più vasta che era Novioregum e che è situata sull’altipiano a Barzan. Il posto oggi si chiama: il mulino del Fâ (fa per fanum). Figuratevi che ai tempi di quei megalomani di romani al posto del vecchio e piccolo mulino c’era una statua gigante tipo colosso di Rodi di qualche Dio italico che contemplava la bocca del fiume. Erano completamente pazzi quei romani! La città fu annientata dai Vandali e dopo questa zona dell’estuario fu sempre una zona popolata da pirati fino ai tempi di Napoleone. Pirati guasconi sulla riva sinistra del Médoc e pirati francesi sulla riva destra di La Saintonge. La cosa si capisce facilmente perché la bocca della Gironda è la zona più pericolosa d’Europa per la navigazione con i suoi correnti marini e i suoi banchi di sabbia; il guadagno era facile per i pirati sperimentati dell’estuario. Un po’ a Nord dal posto dove ci troviamo, a Meschers, un paese di abitazioni troglodite scavate nella falesia, c’è la grotta del pirata Cadetto in cui lui si era sistemato ai tempi del Re Enrico IV. Si dice che il tizio, in una sola notte, costruì una nave in cima alla falesia. Gli altri pirati lo presero in giro per la sua nave e lui ridacchiò di loro (sapete i pirati e la conversazione!). E tutti gli abitanti di cadere dalle nuvole di vedere, l’indomani, la nave galleggiare, ormeggiata ai piedi della falesia. Si dice che il nocchiere era un ariete nero dalle corna luminose. Et tutte le notti, la nave solcava verso la bocca dell’estuario e dirottava le navi per precipitarle sulle scogliere oppure farle spiaggiare e impadronirsi dell’oro. E tutti nel Paese di La Saintonge di chiamare Cadetto: l’uomo alle mani di Satana. Sono storie tipiche dell’estuario della Gironda. Maledetta altitudine che devo scendere dalla scogliera per andare a pranzare nella palude in mezzo alle Angeliche, ai cavalli e alle cicogne che altrimenti perdo le mie orecchie a dodici chilometri a volo d’uccello dal Médoc….

Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene: ultima parte.

Domenica mattina verso le nove sul porto di La Rochelle. Osservo i turisti imbarcare sui traghetti con le loro bici per l’isola di Ré e la bici è il modo migliore per circolare e scoprire i paeselli che fanno tutto il fascino dell’isola; senza bici o macchina, in un pomeriggio, non fate quasi niente sull’isola di Ré tranne a restare intrappolato nei dintorni di Rivedoux con la veduta sul ponte a pedaggio e il porto industriale di La Rochelle. A me non piace la bici e e non sono venuto a La Rochelle in macchina, ma in treno. Quindi è la ragione per cui non mi attardo troppo sul porto perché devo recarmi antistante alla stazione per prendere la corriera numero 3 che porta la gente da La Rochelle fino all’isola di Ré e che serve tutti i paeselli dell’isola per solo qualche euro. È così che fanno gli allievi dell’isola che frequentano le scuole di La Rochelle. Ovviamente non prendono i traghetti e i genitori non vanno a fare cinquanta chilometri ogni giorno in macchina per accompagnare e cercare i rampolli a scuola. Io ho preso la corriera dalla scuola materna fino alla fine dei miei studi e la prendo ancora oggi quindi non mi disturba affatto. Alla stazione sono il solo passeggero, ma davanti al liceo di La Rochelle è tutta un’altra storia visto che c’è una scolaresca tedesca che sale sulla corriera e che siamo bloccati perché quei fottuti adolescenti tedeschi e i loro professori pagano i loro biglietti con delle monetine di rame come fanno le vecchiette francesi nei supermercati. La signora alla guida della corriera lo prende con umorismo e la ammiro perché io ne avrei fatto una crisi di nervi.”Laisse gaux!” lei grida, entusiasta, ed eccoci ripartiti verso l’isola di Ré. Alla fermata seguente, due donne con un adolescente e un cucciolo di Labrador salgono a bordo. Una delle due donne e l’adolescente trovano a sedersi davanti mentre l’altra donna con il cucciolo di Labrador si siede nel fondo davanti a me. Lei puzza, ma puzza di marea tanto che certi giovani tedeschi scappano verso i posti davanti. La signora vuole ingaggiare la conversazione in inglese con un’adolescente tedesca che non degna rispondere. Lei non insiste. Fottuta kartoffel, la sento balbettare arrabbiata. Un’abitante dell’isola, penso. Una che è diventata virtualmente milionaria, dal giorno all’indomani, quando l’isola di Ré ha superato Saint-Tropez nei cuori dei V.I.P e che il prezzo della terra ha raggiunto le stelle; una che è attaccata alla sua terra come una patella alla sua roccia e che non ci rinuncerà mai, anche per tutto l’oro del mondo. Il cucciolo di Labrador è passato sotto la sedia e mi morsicchia le tibie. Non oso dire qualcosa perché ho paura della reazione della donna nei confronti della bestiola. E non manca. Lei vuole assolutamente correggere il cane per educarlo. Quasi la supplico: Niente, veramente è niente signora, il suo cane è adorabile. Scambiamo quattro parole. Questa donna è veramente strana e forse sapete che le patate sono la grande specialità dell’isola di Ré, e bene, figuratevi che, mentre sto parlando con lei, ogni volta che questa fottuta donna vede un campo di patate dal finestrino, lei si mette a saltare sulla sedia e di gridare a squarciagola: Le patate! Le patate! – E anche in tedesco in caso in cui gli altri passeggeri della corriera che l’hanno snobbata non avrebbero capito – Poi lei torna alla conversazione come se niente fosse successo. La conversazione langue e la signora mi torna le spalle e poco dopo la vedo sonnecchiare contro il finestrino. Una cosa divertente è che anche l’autista si mette a urlare a squarciagola ogni tanto, ma lei è per annunciare i nomi dei paeselli e le fermate. Quando lo fa, la pazza al cucciolo di Labrador si sveglia per guardare fuori in caso in cui ci sarebbe l’ennesimo campo di patate da segnalare. Un vero manicomio questa fottuta corriera! Confesso che sono un po’ deluso dai paeselli che attraversiamo, mi aspettavo a altro. Ovviamente c’è l’oceano, ci sono le casette bianche, le monarde e le malvarose che invadono tutto, ma comunque non trovo niente di veramente bello come il paese di Talmont-sur-Gironde in riva al nostro estuario. Tutto mi sembra un po’ artificiale. Forse più a Ovest dove mi sto recando o forse dovrei tornare in un’altra stagione? La scolaresca tedesca scende a prossimità di Saint-Martin-de-Ré mentre so già che la signora con il cucciolo e le sue due comparse vanno al capolinea. La corriera è quasi vuota. Poi sale a bordo una masnada di ragazze che vengono dal cavallo visto che sono vestite per l’equitazione. Mi diverto perché le ragazze portano dei berretti rose dove hanno scritto i loro nomi di guerra che sono piuttosto tosti. Sorrido un po’ meno quando “amazzone lubrica” comincia a farmi occhiolini! Che bellissima odissea questo tragitto fino alla baia delle balene! Ecco la mia fermata in piena campagna, il faro delle balene! L’autista mi avverte di non mancare l’ultima corriera del pomeriggio altrimenti sono buono per tornare a La Rochelle in autostop. Realizzo subito che sono stato presuntuoso quando ho preparato la gita su internet. Dopo la visita del faro, volevo andare a pranzare ad Ars-en-Ré che sembrava a due passi e mi rendo conto che andare a piedi fino a Saint-Clément-des-Baleines sarebbe già un exploit visto che fa mille gradi e che non c’è un fottuto albero su questa fottuta strada provinciale. Sono condannato a passare la giornata a prossimità del faro delle balene. Poi scopro che ai piedi del faro, ci sono i soliti ristoranti di pesce, gli stessi di La Rochelle con i loro menù a base di cozze. Già non creperò di fame. Insieme ai ristoranti, ci sono negozi che vendono tutte le schifezze cinesi tipiche dell’isola di Ré e anche prodotti veramente tipici tipo sale e sapone al latte d’asina. Bene è tempo di andare a vedere il famoso faro delle balene. In realtà ci sono tre fari: la vecchia torre delle Balene edificata da Vauban nel XVII secolo per sorvegliare i pertuis (una parola francese che designa uno stretto tra un’isola e una terra oppure tra due isole) Nord e Sud e avvertire il continente in caso di intrusione di navi inglesi verso l‘arsenale di Rochefort. Il faro più importante e moderno è quello delle balene che è stato edificato nel XIX secolo perché la torre delle balene era troppo arcaica e non abbastanza alta per garantire la sicurezza della navigazione. Di fronte al faro delle balene, in pieno oceano, su un banco roccioso c’è il faro des baleineaux (baleineaux in francese sono i piccoli delle balene). Mentre salgo i 257 gradini del faro, sento un padre dire al figlio che il faro si chiama così perché una volta le balene frequentavano le acque della baia delle balene appunto e d’altronde la spiegazione si trova anche su internet. Non dico niente, ma so che è completamente falso perché sul sito della biblioteca nazionale, ho scovato un racconto del XVI secolo di un capitano originario delle Charentes e che spiega che queste balene designavano certi scogli pericolosissimi, a forma di balene, e che si trovano al largo della costa ovest dell’isola di Ré; che ce n’era un altro che per la stessa ragione di forma si chiama: la cerva…ecc. La veduta dalla cima del faro sulla baia delle balene è veramente qualcosa e devo dirvi che non sono mai andato più a Ovest su questo pianeta, è una prima per me. Non vi racconto tutto perché sono già stato troppo lungo. Dopo il pranzo sono andato a fare il bagno nelle acque turchesi delle baia delle balene e ho anche fatto una di queste piramide effimere con dei ciottoli che vedete ovunque sulla spiaggia fino alle prossime grosse maree. Ho percorso il sentiero litorale quasi fino al paese di Les-Portes-en-Ré. Poi, sono tornato per prendere l’ultima corriera della giornata. Dentro la corriera, c’era la stessa masnada di ragazze che all’andata. Ribuongiorno “amazzone lubrica” ho detto ad alta voce e tutte le ragazze di ridere….

Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene: Terza parte.

 

Sabato 26 maggio. Ieri sera, sono andato un po’ a zonzo per trovare un posto dove cenare. Volevo evitare i ristoranti rumorosi del porto e le loro fottute cozze all’uso di La Rochelle. Dunque ho seguito il nome delle vie più intriganti o divertenti e mi sono ritrovato rue Sardinerie verso il vecchio canale Maubert nel quartiere Saint-Nicolas a mangiare un piatto di crostacei sulla piazza de la Fourche, sotto un albero dei sigari tanto vecchio che non ne avevo mai visto uno così in vita mia. Dopo il ristorante, ho fatto una lunga passeggiata sul molo sud di La Rochelle tra la baia e il porto turistico dei Minimes. A destra, sull’altra sponda, il sole tramontava dietro la Tour de la Lanterne. Ho proseguito sul molo, poi ho preso la passerella Nelson Mandela che collega il molo alla diga del Bout Blanc e sono andato tutto all’estremità per vedere la luce del faro di Chauveau, lontano a Ovest, in pieno mare. Piovigginava. Durante un certo tempo, mi sono messo a osservare tre pescatori che lanciavano instancabilmente lontano nelle onde della baia le loro lucciole fluorescenti prima di ricuperarle. Piove. Una notte senza, ho pensato. Li ho salutati con un cenno del capo, era tempo per me di tornare verso le luci della città. Prima di imboccare il molo, dietro la Tour Saint-Nicolas, mi aveva già fatto degli occhiolini la guinguette la Belle de Gabut. Il sito fa pensare, in dimensione più modesta, al progetto Darwin nella vecchia caserma Niel di Bordeaux. Insomma Un covo di artisti e di writer dove si possono ascoltare gruppi musicali, ballare, cenare, farsi un bicchiere, giocare alle carte, vedere degli spettacoli. Perché no? ho pensato. Dopotutto la notte è giovane e sono in vacanza. Due birre più tardi e mentre ascoltavo dei tizi rifare il Mondo, mi è venuto una certezza: Non conosco la città e dopo le birre e il vino bianco del ristorante, non ritroverò mai più l’albergo….

Presto, l’indomani mattina, sono già sul porto a prendere una colazione alla terrazza di un bar. Fortunatamente ha smesso di piovere e la giornata si annuncia splendida. Ci sono già i primi corridori e i vecchi che passeggiano con il cane. Mi diverto perché tutta questa gente fa gli slalom tra i camion dei netturbini che raccolgono i rifiuti o che lavano la strada. Anch’io ho l’intenzione di fare una passeggiata questa mattina, ma non in mezzo ai rifiuti. Lungo il molo opposto a quello di ieri sera e che comincia dietro la tour de la Lanterne. La rue des deux moulins, la spiagga comunale de la Concurrence, il viale du Mail e i resti dei bastioni settecenteschi costruiti da Vauban. Ma prima di tutto, vorrei visitare la tour de la Lanterne e volevo già andarci appena sono arrivato ieri. Credo sia la cosa più stupefacente che scopre un abitante del Médoc sbarcando a La Rochelle. Figuratevi che loro hanno questo torrione medievale con i suoi merli e beccatelli  e la sua impressionante guglia gotica che assomiglia come due gocce d’acqua al monumento più bello e mitico del nostro Médoc: il faro di Cordouan. Ma non il nostro faro di Cordouan moderno, ma quello medievale che conosciamo solo attraverso vecchie stampe. Anche la tour de la Lanterne è un faro come il suo nome lo indica, ma fu anche un abominevole carcere nel corso della storia  dove furono internati cattolici o protestanti durante le guerre di religione che devastarono La Rochelle nel XVII secolo; marinai e corsari francesi, inglesi od olandesi durante tutto il XVIII secolo; briganti vandeani e altri superstiziosi durante la Rivoluzione francese. Dunque dopo la colazione, mi prendo un biglietto per visitare la tour de la Lanterne. Avete in mente Edmond Dantès e l’abate Faria, rinchiusi nel castello d’If al largo di Marsiglia, nel Conte di Montecristo di Alexandre Dumas? Ero un po’ in questo stato d’anima penetrando nella Tour de la Lanterne. Salendo i quattro piani si scopre che i marinai incarcerati in questo cilindro hanno lasciato dei messaggi incisi ovunque sulle pareti. Talvolta sono semplici graffiti incisi con un nome, una data, i giorni e gli anni passati in carcere; ma talvolta sono addirittura delle opere d’arte scolpite nelle pietre e che raffigurano le loro navi e la speranza di un giorno potere lasciare libero questo inferno. Commuovente. Peccato che la maggioranza della gente che sta visitando la torre lo faccia, non per la storia di La Rochelle, ma per il panorama su La Rochelle in cima. Dopo la visita della tour de la Lanterne e la passeggiata, faccio un giro al vecchio mercato. C’è gente che va a La Rochelle per l’acquario, io ci vado soprattutto per verificare che il prezzo del pesce è ridicolo a La Rochelle come dicono tutti i bordolesi che tornano da un soggiorno in questa città…

Una cosa davvero simpatica da fare a La Rochelle è di andare a trascorrere una giornata al mare. Ovviamente c’è la spiaggia comunale in fondo della baia, ma è come andare a fare il bagno sul porto di Audenge sul Bacino di Arcachon. Quindi meglio andare alla spiaggia dei Minimes sull’oceano. Ci sono due possibilità: attraversare a piedi il porto di turismo per raggiungerla o prendere il vaporetto elettrico che ci porta in una ventina di minuti per tre euro. Non vale le nostre spiagge del Médoc perché sull’altra sponda avete la veduta sul porto industriale di La Pallice e d’altronde gli abitanti di La Rochelle frequentano le spiagge di Chatelaillon che è una stazione balneare molto più a Sud dalla spiagga dei Minimes. Però se non avete un mezzo di trasporto, va bene la spiaggia dei Minimes. Una cosa davvero meravigliosa da fare su questa spiaggia e di seguire il sentiero litorale sulla falesia pieno Sud verso Chatelaillon. Non ho mai visto una cosa del genere. Un giardino dell’Eden. Una profusione incredibile di fiori. Non potete immaginare cosa sia questo sentiero prima di l’aver seguito con le onde turchese dell’Oceano Atlantico che battono la falesia. Senza dubbio per me, il più bel posto di La Rochelle. Una cosa intrigante per qualcuno di Bordeaux e che dalla falesia si vede, in mare,  una “cabana chancada” come si dice in guascone cioè una cabana su palafitte come le due che abbiamo ad Arcachon sull’isola agli uccelli e che simboleggiano insieme alla duna del Pilat il Bacino di Arcachon. E bene, figuratevi che questa cabana chancada è la replica di un faro reso famoso dall’ultimo romanzo di Jules Verne: Il faro in capo al Mondo. Il faro non è nato dall’immaginazione fertile di Jules Verne, ma è veramente esistito e fu edificato nel 1884 sull’isola degli Stati al largo del Capo Horn. Poi abbandonato nel 1902 tanto le condizioni di vita erano inospitali su questo lembo di terra. Il faro in capo al Mondo cade nel dimenticatoio durante 90 anni. Poi, nel 1993, un abitante di La Rochelle, un po’ avventuriero, riscopre i suoi resti. L’anno seguente lui lancia il progetto di ricostruire con una piccola squadra di dieci persone il faro del capo del Mondo sull’isola degli Stati nonché una sua replica che potrebbe illuminare le coste della vecchia Europa all’alba del terzo millenario. Nel 1998 si riaccendeva la lanterna del faro del capo al Mondo e il primo gennaio 2000 gli rispondeva la sua replica dal vecchio continente. C’erano già posti che avevo voglia di scoprire dopo la lettura di un libro e, ora, mi accorgo che ci sono posti che mi danno voglia di leggere vecchi libri di Jules Verne! 😉

Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene: Seconda parte.

Ci sono tantissimi gusti di gelato da Ernest che ho provocato un ingorgo pedonale nella vecchia via medievale che scende verso il porto. La commessa mi sorride perché dal gelataio Ernest sono fieri di mandare in confusione i clienti davanti alla loro scelta di gusti. Sento la gente protestare nella coda e la signora dietro di me mi tira addirittura dei pugni alla schiena e alle costole per aiutarmi a decidermi. Per favore, due minuti, signora! Non so cosa scegliere! Caspita, ne fanno anche al canelė con dei pezzi di canelé dentro! Sto esitando, signora. Forse lei non lo sa, ma i canelé sono quasi un’invenzione di mia nonna. Sono di Bordeaux e dunque…Va bene, lei mi interrompe, “egli” ci racconterà la sua vita più tardi e ora “egli” si decide che fa un’ora che “egli” sbadiglia alle cornacchie davanti alle vaschette. “Egli” non è la sola persona in vacanza a La Rochelle!….

Qualcuno che ha saputo del mio weekend a La Rochelle mi ha ordinato dei pavė (sampietrini) che sono una delle specialità del cioccolatiere della maison Criollos quindi, dopo la pausa gelato, mi reco rue Chef-de-Ville alla ricerca della minuscola fabbrica di cioccolato che sembra più una gioielleria che la bottega di un cioccolatiere e mi chiedo come fa l’artigiano per produrre qui la tonnellata di sampietrini che lui vende ogni anno a Natale. Comunque mi compro due scrigni con dentro i preziosi sampietrini, Lo scrigno ordinato e l’altro per me. Cosa volete non so resistere alla tentazione…

Non importa il luogo. Se mi trovo in un posto dove vedo l’Oceano Atlantico, mi sento subito a casa. Gli abitanti delle Charentes non sono diversi di noi come pensava una volta la gente di Bordeaux sentendo il loro accento incomprensibile quando loro attraversavano il nostro fiume. La televisione ha cancellato gli accenti e la gente è meno misteriosa di una volta. Anche loro sono mangiatori di ostriche e bevitori di vino. Noto comunque il numero stupefacente di crêperie nelle vie del centro storico di La Rochelle. Tanto che ho l’impressione di essere in Bretagna e non a meno di duecento chilometri da casa mia. Un supplizio per un tizio come me che mangia crêpe solo per la Candelora. Un’altra cosa che mi intriga a La Rochelle e che tutta la gente si veste in marinière e ci sono interi negozi che vendono solo marinière. Altrove la cosa sarebbe davvero ridicola, ma a La Rochelle sembra la regola di indossare la divisa dei marinai per passeggiare in città e sul porto. Ho l’impressione di essere un figurante in una vecchia  commedia musicale di Jacques Demy e non sarei sorpreso se qualcuno mi chiedesse di indossare velocemente una marinière perché si aspetta solo me per la ripresa. Ovviamente, scopro che solo i turisti giocano ai marinai d’acqua dolce perché gli abitanti di La Rochelle preferiscono vestirsi in giallo e nero che sono i colori della squadra di rugby locale….

Entro nella chiesa Saint-Sauveur del XVII secolo con il suo vecchio campanile del XV secolo. E posso immaginare la vostra stupefazione leggendo la cosa e sperando forse che qualcuno abbia cacciato via a pedate nel sedere il miscredente che sono. E invece c’è qualcosa che dovete sapere su di me: adoro andare nelle chiese per guardare gli ex voto. Non tutti gli ex voto però, le navi ex voto e le marine ex voto sono una mia passione. Anche per questo, la gente di La Rochelle ci assomiglia e dentro le loro chiese potete ammirare dei modellini stupendi di navi attaccati ai piloni delle navate come potete farlo da noi e immaginarvi le storie di fortune di mare che si nascondono dietro queste offerte. Sono in paradiso. Poi, corro alla cattedrale per vedere se ci sono altre navi ex voto. Ne vedo due in una cappella laterale con una collezione di quadri di marine ex voto, ma è nel buio completo. che delusione! Il sagrestano ha dovuto accorgersi della mia frustrazione e lui si avvicina ridendo. Buongiorno! Lei dovrebbe accostarsi alla grata e forse succederà qualcosa. Faccio come lui dice e quando sono quasi a toccare la grata della cappella, la luce si accende  rivelando il tesoro della cattedrale. E la luce fu! esclama sempre ridendo il sagrestano. Quasi mi viene la fede. Cos’è un miracolo? chiedo. Quasi, lui risponde, un miracolo tecnologico, c’è un sensore di movimento che attiva il sistema illuminazione della cappella. Mi sento cretino….

 

 

 

 

Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene. Prima parte.

La Rochelle. 26 maggio. Non è ancora mezzogiorno che i ristoranti di pesce, schierati elegantemente come marinai alla parata sul molo Duperré, sono pieni zeppi di un’umanità affamata e indecisa alla lettura dei menù che offrono almeno dieci mille modi di cucinare le cozze. Quelli che hanno già mangiato si accalcano lungo il molo alla ricerca di un imbarco pomeridiano verso l’isola di Ré o quelle d’Aix e d’Oléron. I turisti francesi si riconoscono da lontano perché sono quelli che cercano, prima di tutto, le navi che solcano verso Fort Boyard, un carcere su un isolotto tra l’isola d’Aix e quella d’Oléron e dove si gira un gioco televisivo molto popolare in Francia e che viene diffuso ogni estate da un’eternità. Mentre passeggio nel flusso oceanico dei turisti sul molo Duperré, vedo qualcosa che mi sta intrigando davvero. Il famoso Duperré appunto. La statua imponente dell’ammiraglio Guy-Victor Duperré sul molo e che sembra ignorata dalle macchine fotografiche dei turisti. Mio povero Duperré, mi dico, non meriti nemmeno una foto eppure sei il personaggio storico rochelais più importante della città insieme a Jean Guitton che anche lui deve vedere il suo monumento ignorato antistante al Municipio. Mi avvicino. Non è il fatto che la statua sia invisibile alla gente che mi incuriosisce, ma un’altra cosa. E dunque mi chiedo perché diavolo l’ammiraglio guarda verso il centro storico della città e mostra il suo culo all’oceano ed è questo che trovo davvero strano. Fottuti gavache* è il contrario che si doveva fare, la statua dell’ammiraglio doveva guardare verso l’oceano per abbracciarlo e voltare il culo alla città! Cretini! Non solo i gavache hanno sistemato la statua del vecchio ammiraglio nella direzione sbagliata, ma il povero sembra addirittura un barbone con il suo viso sudicio, la sua divisa tutta annerita di sporcizia. La statua trascurata  si vede come un naso in mezzo al viso come diciamo in francese e io non vedo più che l’ammiraglio che sembra una verrucca su questo molo curatissimo. Mi avvicino ancora per salutare comunque la statua dell’ammiraglio. E mi accorgo che l’ignominia non finisce qui perché un vandalo, uno mio concittadino, si è arrampicato sulla statua per incollare uno sticker dei girondini di Bordeaux. Vedi ammiraglio, penso tra me e me, non sei il solo che deve vergognarsi e sentirsi offeso dall’atteggiamento dei suoi concittadini. Siamo in due sul molo di La Rochelle.

*Gavache: termine dispregiativo usato una volta a Bordeaux per designare gli abitanti delle Charentes.

Estuario della Gironda: Il solo paese di Francia dove i magri sono grossi!

Cari lettori, se venite a trascorrere qualche giorno nella regione bordolese in primavera, forse sarete sorpresi di vedere lungo l’estuario della Gironda dei cartelli che dicono tutti la stessa cosa in due parole enigmatiche: “Gros maigres” cioè Grossi magri in italiano. E forse, vi chiederete cosa possono essere questi fottuti grossi magri che pullulano nell’estuario della Gironda. Il magro è un pesce tra i più apprezzati dagli abitanti dell’estuario della Gironda insieme all’alosa ed alla lampreda; altrove in Francia si chiama Courbine, ma nel Sud Ovest della Francia lo chiamiamo magro. Un pesce tanto magro che può misurare fino a 2 m per 100 kg di peso! Quindi non si chiama “magro” per questa ragione, ma per le sue carni pregiatissime, certo che i nostri magri non sono pieni di Omega 3  e grassi come i volgari salmoni norvegesi di allevamento! Diciamolo una volta che avete assaggiato del magro non volete più mangiare altri pesci. Quando vedete questi cartelli significa che i magri che vengono venduti misurano almeno una quarantina di centimetri; d’altronde è assolutamente vietato di pescare e di vendere dei magri che misurano meno perché i magri hanno una vita sessuale attiva solo dopo cinque anni quindi pescare dei piccoli magri esaurirebbe la risorsa. Notate che, nell’estuario della Gironda, il magro che pesa meno di 1 chilo è chiamato “maigrette” mentre i “maigras” sono i magri che pesano tra 1 e 2 chili .

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Un magro di 40 kg pescato nell’estuario della Gironda.

Nell’oceano Atlantico, Il magro è diffuso tra la Norvegia e il Congo. Potete trovarlo anche nel Mediterraneo ma non è così comune come da noi. I magri che vivono nell’Atlantico Nord si riproducono soltanto nell’estuario della Gironda tra il comune di Meschers sur Gironde e quello di Mortagne sur Gironde. Ogni anno e durante tutta la sua vita, il magro lascia, in marzo, l’Atlantico per raggiungere le acque tiepide del nostro Mississippi europeo perché l’amico ha bisogno di un’acqua a 20 gradi per andare in fregola. In luglio, il magro lascia l’estuario della Gironda per tornare in Atlantico. In italiano, il magro si chiama bocca d’oro, invece, in francese, il magro si chiama anche “grogneur” cioè grugnitore. Cosa volete gli italiani sono dei poeti! Ecco un pesce che ha una vescica natatoria che gli permette di fare un bacano del diavolo, produrre suoni udibili fuori dell’acqua, durante il periodo di fregola, per decine e decine di metri e i nostri cugini lo chiamano bocca d’oro! Notate che è questa particolarità del magro che costituisce la sua sfortuna. La pesca al magro è una pesca all’orecchio! Prima di mandare le reti in acqua, i pescatori dell’estuario appiccicano l’orecchio sul fondo della nave per scovare i magri. Un altra particolarità dei pescatori dell’estuario è abbastanza divertente. Vi ho detto che la risorsa è preziosa dunque quando i pescatori catturano i magri, praticano la fecondazione artificiale. Sopra un secchiello d’acqua, accarezzano i ventri delle femminili per fare emettere le uova. Poi, “masturbano” i maschi finché eiaculano lo sperma sulle uova per fecondarle e buttano l’intruglio nelle ricche acque dell’estuario della Gironda…