La Duna Bianca
Una volta, nessuno mi conosceva. Partoriente
Giacente sul fondo dell’Oceano tale un’isola inghiottita,
Il mio grande grembo di sabbia riparava a migliaia
Pesci impauriti dalle brusche mandibole focene.
Però, ogni volta, che verso la terra una tempesta faceva derivare
Le onde pesanti, la mia groppa prosperava
Di venti bracci; e un giorno i pescatori di Boïos
Mi videro sorgere scricchiolando alla superficie delle acque stanche.
E sempre verso il cielo, mi ergevo, lunga e larga,
E accecante di bianchezza sempre.
Irosa mentre accosto alla riva,
Per sfondarmi, da ogni lato,
L’Oceano mi colpisce.
Sforzi inutili: dolcemente traccio il mio cammino,
Alzando la testa sopra il vento marino.
E maestra dell’Abisso che piove, intorno a me,
i suoi vortici di schiuma. Tocco le sponde del Moulleau.
Dopo duecento anni di battaglia amara,
Ho visto morire Boios, e nella sua grande conca chiara,
Sentito i gridi guerrieri dei Vandali incendiari,
E la preghiera di cento poveri pescatori,
Salvati da Nostra Dama, una sera di temporale.
Alcuni secoli più tardi, un Grand’uomo nasceva
Che con il pino robusto e la canna gracile
Volle intralciare i miei balzi di gigante.
Delle dune, mie sorelle, che conquistavano il Paese.
Ed ecco che i pini e le canne si radicavano
Dentro le nostre viscere: E mi addormentai come le mie sorelle
Sotto le ombre di un bosco prodigioso.
Però una bella mattina d’estate, un ronzio,
Gioioso e continuo, si sentì e mi risvegliò.
E, chiedendo cos’era al bosco pinoso
Gli alberi mi risposero: “È il canto delle cicale”.
Vedendomi in mezzo a tanta ombra e a tanti canti,
Allora gridai: “Dolcemente! O pinete giganti!
Perché non sta a voi di ombreggiare la mia vecchia groppa,
Ma sono io che devo ombreggiare le vostre giovane chiome!
“Dolcemente! perché non voglio perdere il mio nome di Duna Bianca!
Non voglio vedere su di me né erbe né rami.
Per la mia bellezza, ho bisogno soltanto di sole, e niente altro che il sole!”
E tornai a ergere la mia sabbia verso l’azzurro,
Tanto alto che oggi stesso, alla mia cima potete vedere
Alcune chiome di pini come cappelli spettinati.
E che presto inghiottirò: Ed esse rivedranno la luce
Che quando tutti i miei grani saranno polvere che vola.
Traduzione grossolana e approssimativa da me di una poesia, la Ròca Blanca, di Emilien Barreyre. Nato ad Arès nel 1883, Barreyre è il poeta del mare e della vita vissuta dai marinai del Bacino di Arcachon. Pescatore e figlio di un pescatore. Nessuno ha saputo come lui cantare l’oceano guascone, le sue sponde, la sua gente. Spinto da un povertà estrema, Barreyre lascerà il il suo caro Bacino di Arcachon nel 1930 e si stabilirà nella periferia parigina e, dopo alcuni anni a fare l’operaio la giornata e a scrivere poesie la notte, ci morirà nel 1944, senza mai aver potuto tornare nella sua terra natia.