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Médoc: Catarino del carciofo di Macau!
Io, potete chiamarmi Catarino tanto sono peggio di Catarina de’ Medici per questo vizio di nutrirmi solo di carciofi. A me non importano le scorte di pasta in quei tempi di covid-19, ma se non trovo più i carciofi da mangiare quattro volte la settimana in primavera e in estate, tanto mettere fino al confinamento e suicidarmi. Forse non lo sapete – e sono quasi sicuro che non lo sapete – ma il Médoc è una terra famosa per i carciofi e d’altronde ce ne una varietà che si chiama addirittura “di Macau” dal nome di un paesello del Sud Médoc dove ci si coltivava i più buoni. oggi, purtroppo, il carciofo è passato di moda e la sua coltivazione è in via di estinzione, però, una volta, il Médoc era simile alla Bretagna, e tutta la zona da Macau e anche più a Nord, compresa tutte le isole dell’estuario della Gironda, fino alle porte di Bordeaux era ricoperta da campi di carciofi di Macau; e pensate che il carciofo veniva anche coltivato tra i filari dei vigneti! I bordolesi di allora erano mangiatori di carciofi e, visto che sono i miei nonni che mi hanno fatto crescere, posso dirvi che mi mettevano del succo di carciofo con una goccia di vino nel biberon al posto del latte! Carciofo si dice artichaut in francese, da questa parola deriva la parola di gergo “artiche” che designa i soldi. Se un giorno venite a fare un giro nel Médoc e che mi chiedete di portarvi a visitare uno di quei prestigiosi castelli pacchiani di uno di quei Re del vino, non siate sorpresi di vedermi muovermi con nonchalance in mezzo a tutta questa ostentazione destinata a impressionare i merli. È che so io che tutte queste cose, quei castelli, quei vigneti… sono stati comprati grazie “all’artiche” guadagnato dalle nonne delle nonne di quei Re di operette, che le loro antenate si alzavano alle tre della mattina per caricare la carretta con i carciofi e andare a vendere la loro merce sui mercati di Bordeaux. Queste donne che si ammazzavano a coltivare e vendere i carciofi mentre i mariti non facevano un cazzo della giornata, sì che esse erano della vera nobiltà, quella del Carciofo!….
Primavera: caprioli!
Médoc. La primavera è arrivata, le galline del vicino sono uscite dal loro fottuto torpore e mi svegliano all’alba, il gatto è stato picchiato da una gazza e devo curare la piaga come posso. Anche i rondoni sono tornati e volano e gridano instancabilmente dall’alba al tramonto nei cieli sopra la mia casa. Mi dico che nella foresta devono fiorire i campanellini, le fragole selvatiche e che presto sarà anche il caso degli asfodeli e dei sambuchi, mi dico ancora che i fiumi della foresta devono essere ingrossati dalle piogge invernali. Una famiglia di caprioli ha lasciato la foresta per pascolare nel prato dietro casa mia. Osservo i giovani giocare a inseguirsi sotto la sorveglianza del resto della famiglia. Insomma un inizio di primavera normale nel Médoc eccetto la mia presenza continua a casa da quattro giorni…
Médoc: Indovinello davanti al Mulino Bianco!
Fa molto tempo che non ho proposto un indovinello. Dunque dovete indovinare a cosa servono queste strette passerelle di metallo che corrono sotto certi ponti del Médoc. Vi do un indizio indiretto sotto con la bestiola che mi ha minacciato prima di attraversare la via che porta al Mulino Bianco per raggiungere le sue simili che pullulano nei nostri fiumi. Se vivete alla campagna, l’indovinello non è affatto difficile. C’è da vincere una favola che inserirei nel prossimo post se ci fossero tre o quattro risposte (anche false).
Estuario: Dove si trovano i porcini in Francia?
Un lettore mi chiede: dove si trovano i porcini in Francia? (eppure il nome del porcino è addirittura cèpe de Bordeaux in francese!). Beh, questa domanda un bordolese non ci risponderà mai, nemmeno sdraiato sul suo letto di morte. E poi che ne so io che vivo in un piccolo paese delle lande di Bordeaux a ridosso dell’Oceano Atlantico! 😉 🙂 🙂 🙂
Médoc: La pesca ai fagiani.
All’apertura della caccia, in settembre, il Médoc si trasforma in zona di guerra con tutta questa gente che si veste da Rambo per sparare agli uccelli piccoli e grandi. Ovunque vedrete fagiani andare a zonzo attraverso campi e boschi e qualche volta anche in città. Poverine vittime espiatorie additate alla frustrazione di cacciatori di serie Z che sono incapaci di rivaleggiare con l’intelligenza di un tordo o di una beccaccia. Pensate bene che il fagiano non è un uccello del Sudovest. Sono uccelli di allevamento che sono forniti dalle società di caccia private ai loro membri. Il fagiano è una gallina. Ogni settimana, ovunque nel Médoc, sono rilasciati, nell’ambiente, centinaia di quei bellissimi uccelli che, al massimo, svolazzano maldestramente e che sono tanto abituato all’uomo che, invece di scappare, si precipitano verso i cacciatori pensando che è l’ora del pasto. Allora, i cacciatori chiedono ai loro cani di spaventare le galline ai loro piedi per farle svolazzare o correre un po’ prima di spararle. I cani di malumore, tanto la cosa è ripugnante, lo fanno e si vergognano. E il cacciatore di galline può tornare a casa, fiero, con i suoi due o tre fagiani comprati alla società di caccia. Le rimesse in libertà sono così numerose, che i cacciatori non riescono a uccidere tutti i fagiani e sono quegli uccelli miracolati che incontrate per caso nei campi, nei boschi comunali e qualche volta anche nel mio giardino. La vecchia osserva qualcosa nel fiume di scorrimento – completamente a secco in questa stagione -, scavato su tutta la lunghezza del prato dietro casa sua. E io curioso come una vecchia gazza non posso impedirmi ad avvicinarmi. Quattro fagiani stanno là e non hanno l’idea di uscirne, di saltare il recinto e di scappare nel prato. Si sente già le campane dei cani e i cacciatori usciranno presto dalla pineta. La vecchia non perde tempo e corre a casa sua e torna con un secchiello di granturco e una rete da pesca o un pezzo di pante*. La vecchia si mette tranquillamente a chiamare i fagiani e a lanciare essi del granturco (come lei deve fare ogni giorni alle sue galline). I cacciatori ci hanno raggiunti e cominciano a litigare con la vecchia, che lei deve si spostare affine che loro possano sparare ai fagiani, che sono a loro e che li hanno pagati alla società di caccia. La vecchia si mette a urlare, che non si sposterà mai di davanti ai fagiani e di chiedere loro che razza di cacciatori sono per sparare a delle povere bestiole così, che sono la vergogna di tutti i cacciatori del paese, che il prato e il bosco le appartengono e che se loro non se la danno a gamba, lei chiama i carabinieri. I cacciatori non sanno cosa rispondere e tacciono. La vecchia è soddisfatta. Lei pone il secchiello a terra, prende la rete da pesca e la lancia sui fagiani. Come il piccolo sarto tranne che non sono mosche e che non sono sette, ma quattro fagiani pescati in un colpo in un fossato a secco del Médoc. I fagiani si dibattono, ma la vecchia, indifferente, fa presto a confezionare un fagotto con la rete da pesca, mi saluta, e riparte verso casa sua con il secchiello in una mano e la sua pesca saltellante dall’altra. I cacciatori sono sbigottiti e non capiscono cosa è successo loro. Io quasi mi piscio addosso a osservare la loro disfatta. Qualche giorno dopo, incontro la vecchia landese e le chiedo se i fagiani sono felici nel suo pollaio. Hai visto, lei chiede, quei fulmini di guerra di cacciatori da strapazzo che volevano rubarmi i fagiani? E lei ha fatto bene di intervenire, dico, preso da un brutto presentimento conoscendo un po’ la signora. Ma i fagiani? insisto. Niente, avevo gente a pranzo domenica e hanno finito in pentola. Non erano grossi, una volta spennati, ma ti assicuro che li ho cucinati bene senza piombo!….
*pante: rete tradizionale che si usava una volta per la caccia alla palomba.
Una leccornia tipica di Bordeaux e del Médoc da mangiare in estate?
Hai visto tutte queste vecchie capanne da pesca su palafitte, tutte sghimbesce, con le loro reti a bilancia, che fanno gli aironi sulle rive dei fiumi dei bordolesi? Sai a cosa servono? A pescare minuscoli gamberetti traslucidi che vivono in abbondanza soltanto nelle acque dei nostri fiumi e di cui siamo ghiotti da migliaia di anni. Hai il tuo mercoledì mattina libero? Allora, dimentica le visite delle aziende vitivinicole che sono stronzate perché, sai, quando hai visto un castello, li hai visti tutti! Vieni con me a fare qualcosa che fanno veramente gli abitanti del Médoc! Prendiamo il traghetto a Lamarque per Blaye. Eh, non hai bisogno di imbarcare l’auto che il mercato si trova a cento metri dal molo, ai piedi della cittadella! Hai visto la simpatica ragazza davanti al tavolo da campeggio che ci sorride? Dentro le due cassette ci sono i gamberetti bianchi che il suo pescatore professionale di marito ha pescato all’alba e ha fatto cuocere subito sulla barca in un court bouillon (acqua salata, pepe, finocchio e anice stellato) per qualche minuto, il tempo che i gamberetti da traslucidi diventano bianchi. E perché rido? Perché c’è scritto chevrette (caprette) e che la cosa mi fa sempre ridere, che nel Médoc, sulla riva sinistra, i gamberetti bianchi si chiamano esquire che siamo più gentlemen. E compratene almeno cento grammi che 2 euro non sono tanto e che se non ti piace, mangerò la tua parte! Ora, saliamo alla cittadella per mangiare i nostri gamberetti bianchi sui baluardi! Eh ma cosa fai? Sei americano o che? Il gamberetto bianco si mangia intero! Mi vuoi fare vergognare? Pensi un po’ se qualcuno che conosco mi vedesse con un tizio snob che stacca la testa ai gamberetti! Ho la mia riputazione! Non stiamo bene là a mangiare qualcosa di tipicamente bordolese con questa bellissima veduta sull’estuario. Ti racconto qualcosa della mia infanzia a Bordeaux: quando andavo dai nonni per le vacanze, la nonna mi chiedeva ogni giorno: cosa vuoi per il quattro-ore (la merenda). E io di fare sempre la stessa risposta: esquire! E il nonno andava dal pescivendolo e tornava a casa con un piccolo cono di carta riempito di gamberetti bianchi….E ma cosa fai a tossire così, l’americano? È l’aria dell’oceano? Come i gamberetti bianchi? Ma no, è niente sono i loro baffi che ti fanno il solletico nel fondo della gola. Non ti preoccupare che ho portato da casa i bicchieri e il vino bianco che è il rimedio per quello che hai!….
Médoc: La vigna di Terrarossa.
Una volta, la raschiatura era il vino che i grossi proprietari del Médoc, magnanimamente, regalavano alla gente del Médoc marittimo, venuta a farsi una paga da loro alla stagione della potatura o della vendemmia. La prima pigiatura per i signori del vino, la seconda pigiatura anche per loro. La terza quando non si otteneva quasi più niente dai raspi, era quella regalata ai braccianti: la raschiatura, che veniva allungata con acqua dai proprietari per renderla bevibile. Paghe di miseria e raschiatura. I tempi non sono assolutamente cambiati per i lavoratori della vigna nel Médoc. D’accordo, la raschiatura non si beve più oggi e siamo passati al tavernello, ma questo lo dobbiamo ancora alla magnanimità dei grossi proprietari che non volevano rischiare di fare crepare una manodopera qualificata quando hanno iniziato a usare tutta questa chimica per fare il loro vino tra le due guerre, ma per il resto… Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo. Distese di eriche che fioriscono a milioni in agosto, monotonia degli allineamenti di pinete, savane di erba blu, corbezzoli, felci, ginestroni, cisti …e credo sia tutto, avete fatto il giro delle piante del Reame del Ladèrt da qualche parte sul confine tra il Médoc del vino e quello dell’oceano. Ah no, non è tutto! Ci si cresce della vigna! una vigna selvatica come all’inizio del Mondo. Una vigna immortale, impossibile da estirpare. Ogni quattro o cinque anni, i selvicoltori vengono pulire, arare e mettere sottosopra il Reame del Ladèrt. Anche se non serve proprio a niente visto che, L’anno seguente, tutto è tornato come prima tranne la vigna che sembra essere stata vinta. Però, l’anno seguente, la vigna, la nostra fottuta vecchia padrona, ricomincia a spuntare. Si potrebbe credere che sia la vigna originaria, la madre di tutte le vigne quella che fu addomesticata dagli antichi bordolesi. Ma no, non è il caso ed è addirittura il contrario: è una vigna che fu una volta introdotta e coltivata e che è tornata allo stato selvaggio. Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo, ma centocinquanta anni fa, il Reame del Ladèrt non esisteva, al posto ci si sorgeva Terrarossa, un’azienda vitivinicola, con la sua certosa orgogliosa circondata da un mare di vigneti dove ci si faceva un onesto vino rosso per i clienti dei bordelli parigini. Poi, alla fine dell’ottocento, è sbarcata dal nuovo mondo, una ragazza chiamata Fillossera che, in qualche anno, ha ridotto in cenere Terrarossa e l’ha resa al Médoc dell’Oceano. I grossi proprietari di Terrarossa sono andati a spendere i loro soldi nei bordelli bordolesi e parigini mentre gli abitanti del Médoc marittimo – che si facevano una piccola paga in più con il lavoro della vigna – sono tornati ai loro mestieri di contadini, resinai, pescatori, scaricatori sul porto di Bordeaux….Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo, ma la vigna di Terrarossa, la nostra fottuta vecchia padrona, non ha rinunciato e pazienta ed è come una minaccia, solo quattro piante che sono un segnale che ci avverte che i tempi dei signori del vino e della raschiatura potrebbero tornare….
Strega, Croc e Cassi nel Paese degli Stronzi.
Oceano. Strega conduce una vita più o meno solitaria in una casetta ai piedi delle dune. Strega condivide la casetta con Croc (Corvo) che è un cane nero. L’incrocio improbabile tra un cane di razza Labrit e qualche bestiola sconosciuta. Croc è un cane da tuttofare: ottimo per la caccia alla becaccia, ottimo se dovesse fare il pastore al culo delle pecore, ottimo per tenere compagnia a Strega. Croc è il cane ideale. Strega non possiede di auto, ma solo una vecchia bici arrugginita con il suo cestino posteriore fai da te che regge con pezzi di reti da pesca raccolti sulla spiaggia. Ogni mattina, Strega, solo per andare a comprare il pane, fare la spesa e tornare a casa, deve percorrere più di una decina di chilometri. Il pane è diviso in tre. Un terzo per il pranzo, un terzo per il “quattro-ore” (la merenda), un terzo per la cena. Un giorno di settembre quando la maggiore parte dei turisti hanno “fottuto il loro campo” (sono andati via), Strega si accorge, preparando la cena, che le manca il terzo pezzo di pane. Lei cena senza pane pensando di essere stata golosa e di aver mangiato, senza essersene resa conto, per la merenda, il boccone della sera. I primi segni di demenza lei scherza. L’indomani, Strega si compra una cotoletta dal macellaio e le crocchette per Croc ovviamente al piccolo supermercato del paese. Al ritorno, nemmeno il tempo di sistemare la spesa nella mensa, che la cotoletta lasciata sulla tavola della cucina non si trova più nonché Croc che è scappato. Ho un ladro in casa, si dice Strega. Non è un croc, ma un’agassa! (gazza). Comunque Strega è preoccupata perché Croc non ha mai avuto quel genere di atteggiamento strano ed è la bestiola più onesta del paese. Strega non rimprova niente a questo vagabondo di Croc quando lui torna alla notte facendo finta di niente. L’indomani mattina, prima di andare a comprare il pane, Strega mette il collare a Croc, quello con la campanella per la caccia alla becaccia. Il pane è stato lasciato negligentemente sulla tavola. Croc entra nella cucina, ruba il pane, porta fuori il suo furto e “fotte il suo campo” ( se ne va) nella pineta. Strega che ha spiato Croc si mette a seguirlo. A volte, il rumore della campanella è vicino a volte sembra lontanissimo. Una duna è varcata, un’altra. Croc e Strega ora sono nella leda (la foresta umida). Ma dove mi porta Croc che lui non avrebbe difficoltà a seminarmi? si chiede Strega. Alla leda succede la palude dove crescono le “sigorre” (tipo di carex gigante di cui le foglie sono affilate come lame di rasoio). Strega sente uno strano rumore nella palude, a volte sembra il miagolare di un cucciolo di capriolo, a volte sembra il sussurro di qualche bestiola ferita. Al centro della palude, c’è una specie di poggio, un isolotto. le caviglie affondate in un meandro del fiume, Strega osserva, dietro un cespuglio di sigorre, Croc che si è fermato presso una vecchia quercia. Strega ha le lacrime agli occhi. Una strana bestiola, un cane probabilmente, uno di quei cani piccoli che si vedono solo a Bordeaux o in televisione, è attaccato alla quercia con una corda, le zampe attorcigliate in un filo spinato. Croc è riuscito, i giorni precedenti, più o meno con le sue zanne a liberare la bestiola dalla corda che manteneva la sua testa quasi incollata al tronco. La bestiola divora il pezzo di pane mentre Croc le lecca le ferite. Croc guarda verso il cespuglio dove è nascosta Strega che sta maledicendo gli stronzi che hanno abbandonato e torturato l’animaletto. Mentre Croc resta con la bestiola, Strega si sbriga di ripartire verso la casa. In un’altra vita, Strega è stata infermiera in una città del dipartimento. Quando lei raggiunge di nuovo Croc, il suo zaino è pieno di tutto il materiale necessario: tenaglie, cesoia, filo, aghi, disinfettante, panni, bende…e anche pozioni di streghe per calmare la bestiola. Sarà che la bestiola era esausta dopo giorni passati attaccata alla quercia; sarà la presenza rassicurante di Croc; sarà che essa sentiva che Strega le voleva del bene; sarà per una ragione o un’altra, ma la bestiola si lascia toccare. Strega riesce a tagliare la corda, a ritirare il filo spinato, a curare e bendare le ferite, a suturare con il filo e l’ago il ventre dilaniato dal filo spinato. Ora, Strega fa respirare una pozione a Cassi (il nome dato da Strega alla bestiola cioè Quercia) per addormentarla. Cassi è avvolto in un panno dentro lo zaino e Strega e Croc possono tornare a casa. Sono passate ore. Si telefona alla gendarmeria che non è interessata e che non vuole muoversi per una storia di cane, al veterinario del paese che viene a cercare Cassi e che si meraviglia dal lavoro fatto da Strega nella palude. Passano i giorni e, finalmente, il veterinario telefona per dire che Cassi è completamente guarita e per chiedere cosa Strega vuole fare del cane. Lei me lo porta a casa e non si preoccupa più di niente, pago la fattura. Strega, Croc e Cassi corrono le dune, le pinete e vivono felici nella casetta ai piedi delle dune. Un giorno, tornando dal panettiere, il tubo trasversale del telaio della bici tutta arrugginita di Strega si spacca in due. Strega deve tornare a casa a piedi e abbandonare la bici sulla vecchia strada del paese. Strega non fa attento ai due cani che di solito seguono e che comunque sia hanno l’abitudine di fare la loro vita. Croc la sta accogliendo a casa, ma Cassi non si fa vedere. L’indomani mattina, Cassi è ancora assente e Strega comincia a preoccuparsi. La mattina sta passando e Strega telefona al meccanico del paese per chiedergli se lui potesse andare a ricuperare la bici e fabbricare un tubo in acciaio per ripararla. Lui non è troppo d’accordo perché la riparazione costerebbe più di una bici nuova. Strega insiste. Cinque minuti dopo, il meccanico telefona per dire che lui viene subito a cercare Strega perché c’è il suo fottuto maledetto piccolo cane che monta la guardia davanti alla bici e non lascia avvicinare nessuno. Brava piccola Cassi mormora Strega sorridendo…
Sembra una favola, ma è una storia vera di cui ho conosciuto i tre protagonisti tanti anni fa. In questo momento, alla televisione francese, stanno passando uno spot contro l’abbandono degli animali. I proprietari lasciano i loro animali domestici ai bordi delle strade, nei campi….cantando la canzone di Queens, We are the Champions. Perché, noi francesi, abbiamo il record mondiale degli abbandoni di animali domestici. Ogni volta che vedo lo spot, ripenso alla storia di Strega, Croc e Cassi e mi dico che, in realtà, siamo i campioni del Mondo degli stronzi che pensano che comprare un animale sia la stessa cosa di comprare un videogioco e che, quando l’animale non diverte più, sia possibile di sbarazzarsene per un nuovo, esattamente come loro fanno per i videogiochi…
In cui l’autore di questo blog accarezza i capelli di una fata con il piede destro.
Médoc. Mi reco alla fontana della fata (a la hont de la hada). Pensavo essere solo, ma sfortunato come sono, ho scelto il solo giorno dell’anno dove la discreta fontana riceve altre visite della mia. E dire che nessuno vuole crederci quando dico che sono maledetto! Tutto un gruppo di escursionisti! Ma cosa fanno con tutto questo armamentario e quegli sgabelli pieghevoli che si trascinano dietro di loro? Ma andate via che la fontana è tutta mia e che non è un posto per fare del campeggio! Saluto la compagnia – pensate ipocrita come sono – di un amichevole buongiorno anche se sto bollendo dentro. Tento anche di farla sloggiare questa fottuta gente evocando le zanzare che infestano la palude, ma loro hanno tutto previsto e hanno svaligiato il reparto antizanzare della farmacia del Paese e mi fanno notare che io non puzzo di citronella e che non ho nemmeno un braccialetto repellente, che non sono affatto prudente, che rischio la dengue… E, penso, ma volete cacciarmi dalla mia fontana o che? Sono arrabbiato perché vorrei bagnarmi il piede destro nell’acqua magica della fontana tra i capelli della fata e che non oserei mai farlo davanti a tutta questa canaglia. Pensate cretino e delicato come sono se mostro i miei piedi al primo arrivato! E poi le mie credenze sono affari privati. Abbandono gli escursionisti per seguire, attraverso la palude, il fiume che alimenta la fontana sperando che loro saranno andati via al mio ritorno. Potrei bagnare il mio piede nel fiume tra i gardon, ma no, perché solo le acque della fontana dove vive la fata sono magiche e in una giornata nera per me come quella di oggi, raccoglierò solo sanguisughe. Oh no! Quando torno presso la fontana della fata, gli escursionisti si sono sistemati con cavalletti, carte e tele per dipingerla! E ma cos’è? Un raduno di fan di Monet? Mi siedo sotto una vecchia quercia in un’insenatura del fiume. Talvolta mi alzo e vado ad aggirarmi tra i cavalletti dei pittori della domenica. Loro mi raccontano cose assurde tipo che sono particelle di ferro che colorano le alghe e che creano questo capolavoro della natura e che è questo che loro tentano di dipingere. Non dico loro che non sono alghe come tutti gli abitanti del Paese sanno, ma la chioma rossa della fata, non racconto niente della fontana magica, che sono venuto per bagnarmi il piede, già che loro non se ne vanno! Pensate se comincio a narrare favole. Bocca chiusa. Il tempo non passa e comincio a dirmi che non partiranno mai. Poi qualcuno annuncia che è l’ora del pranzo, che ci vuole tornare alle macchine per cercare il picnic. Esitano perché mi vedono girare intorno alla fontana e tra i cavalletti, ma finalmente, lasciano tutto il loro bordello e partono. Mi tolgo la scarpa e la calza e posso immergere il piede nell’acqua fresca e accarezzare i capelli della fata per un quarto d’ora. Che felicità. Sento del meglio e non avrei mai potuto tornare a casa senza farlo. Dico qualche parola alla fata come la strega mi ha detto di fare. Oh no, i pittori della domenica tornano già! Ma che fottuti scocciatori! Cosa credono quegli orgogliosi? Che sono rimasto appostato tutta la mattina perché sono qualche ladro di scarabocchi? Indosso la calza e la scarpa. Lancio una bella monetina nell’acqua per ringraziare la fata, l’ennesima da un anno. La storia si ripete instancabilmente in modo noioso. La fata fa finta di guarirmi per qualche giorno e poi torna il dolore. Colpa mia. Pensate che tirchio come sono, le offro dei franchi e non degli euro. Come se una fata del Médoc, anche vivendo nelle acque di una fontana persa in mezzo al nulla, potesse essere abbindolata tanto facilmente; anche lei sa che abbiamo cambiato di valuta! Che venale questa fottuta fata! Partendo, sorrido incrociando i pittori della domenica. Belle journée. Adieu Mesdames et Messieurs les peintres.