Oceano: Giallo a Lacanau!

Sotto 9 scatti che raccontano un pomeriggio di dicembre in giallo nel Médoc e un racconto dello scatto in giallo mancante.

Qualche metro quadro. Una piccola stanza per fare la cucina scavata nel muro lebbroso della vecchia discoteca e, fuori, raggomitolati davanti all’apertura fatta nel muro stesso, il banco e due tavoli sbilenchi sotto una pensilina divorata dal sale oceanico. Il locale del mercante di churros è aperto tutto l’anno anche per Natale o per il primo gennaio e ti fa, in inverno, come un faro di vederlo rischiarato sul molo deserto. L’uomo dietro il banco se ne frega di mangiare il suo guadagno estivo aprendo in inverno perché quello che gli piace il più al mondo è di stare là a contemplare l’oceano. Un eremita. Giorni, mesi, anni, mezzo secolo a fare friggere churros lo sguardo perso lontano verso Ovest. Sotto il banco, ai piedi del mercante di churros, due cagnoline di caccia senza età, sempre fiatate e moribonde, in guerra eterna con i cani randagi che invadono la cittadina in inverno. L’uomo, fatalista, ha smesso di lamentarsi dei cani erranti presso il municipio, tanto pisciare nell’oceano, lui dice. Il mercante di churros è lunatico e per niente commerciante. Talvolta l’uomo fa finta di non conoscerti anche se lo frequenti da anni; in quei giorni, gli dai tanto fastidio che sembra ti fare quasi un favore di scaldare l’olio per i churros. Talvolta il mercante dimentica l’oceano per un momento, è diventa addirittura prolisso. Un narratore nato. Ti racconta storie di caccia inverosimili, di nuvole di tordi che offuscano il sole sopra le pinete, di stormi di migliaia di anatre sopra lo stagno. Sono storie che si trasmettono nella sua famiglia di generazione in generazione. Lui racconta le sue storie, lanciando briciole di churros ai passeri, come se ne fosse stato protagonista. Fai finta di crederci anche se sai che lui è perpetuamente dietro il suo banco. Una volta, ci sono andato una sera per comprare churros e c’era anche questa vecchia coppia davanti a me. Ho chiacchierato un po’ con la signora che mi ha raccontato di venire ogni mercoledì sera per regalarsi questo piccolo piacere dei churros. Ma che questo mercoledì era speciale perché il marito aveva subito un intervento cardiaco e la prima cosa che lui voleva fare uscendo dall’ospedale, era di andare all’Oceano e di mangiare dei churros. Il mercante non ha detto una parola, ma era commosso. Che cretino! ha esclamato ridendo la vecchia signora. Poi ci siamo accorti parlando che eravamo quasi vicini. Il Médoc è un’isola. Dopo l’estate di due anni fa, ho visto le attrezzature del mercante di churros in strada, poi che c’erano lavori di ristrutturazione, mi sono detto che il tizio aveva finalmente deciso di ammodernare il locale e di lasciare gli anni 1970 per gli anni 2020. I mesi sono passati e niente. Poi, alla fine di quest’estate, ho visto che al posto del banco di churros aveva spuntato une specie di bar a ostriche come si vede ad Arcachon. Ora, in inverno, dopo una giornata a raccogliere funghi nelle pinete o plastica in spiaggia, non faccio più il mio piccolo rituale di ordinare i miei churros al mercante, poi di andare al bancomat, accanto all’ultimo parrucchiere prima l’America, ritirare un po’ di denaro per pagare il mio caffè e il mio piccolo piacere come diceva la vecchia signora. Non mi metto più al riparo sotto la vecchia pensilina tutta arrugginita i giorni di pioggia o di gelo, non mi siedo più in cima alla duna per mangiare i miei churros colore sole invernale. No, resto sul molo sperando di vedere il mercante di churros che ha passato la sua vita a contemplare l’Oceano dietro un banco di quattro metri quadri. Forse lui è andato in pensione oppure ha deciso di dedicarsi alla caccia o di andare a vedere cosa c’era a Ovest. Non lo so. Comunque resto sul molo come un cretino fino al tramonto. So che lo rivedrò un giorno o l’altro. Il Médoc è un’isola.

Médoc: i primi porcini sono arrivati!

Passeggiare la sera in foresta. Raccogliere i primi porcini della stagione. Tornare a casa. Una volta i porcini puliti, scaldare una padella con del grasso d’anatra. Aggiungere i porcini. A fine cottura, gettare nella padella un trito d’aglio e di prezzemolo. Salare. Peppare. Mescolare con un cucchiaio di legno. Servire subito i porcini alla bordolese accompagnati di un buon bicchiere di vino rosso…

Oceano: Alex nel paese dei mangiatori di finferle.

Domenica 6 dicembre. Dopo la stagione dei porcini, inizia la stagione delle finferle che può durare a volte fino a marzo quando l’inverno è clemente. Le finferle crescono ovunque nelle pinete in riva all’oceano, per miliardi. Basta inchinarsi per raccoglierne a manciata. Non solo crescono nelle pinete, ma assaltano le dune e trovate le più belle sotto i pini marittimi più vicino all’oceano, quelli che crescono storti o addirittura all’orizzontale per resistere alla forza dei venti oceanici. Io vado a raccogliere le finferle a Lacanau tra lo stagno del Cousseau e la spiaggia dell’Alexandre di cui vi ho parlato più volte su questo blog. Seguo la pista ciclabile interminabile che attraversa la foresta, poi che costeggia l’Oceano seguendo l’antico tracciato del Vallo Atlantico. Sembra il sentiero del mago di Oz; tanto stretto che i rarissimi ciclisti che lo percorrono devono mettere piede a terra quando si incrociano. Respiro a pieni polmoni il profumo degli immortali delle dune, dei cisti a foglie di salvia, dei pini marittimi. Assaggio i frutti un po’ dolce dei corbezzoli. Noto la crescita delle nuove piantagioni di pini e la progressione dei lecci verso Est che indica i cambiamenti climatici meglio di qualsiasi esperto della Cop21. Mi diverto a osservare la galleria che un tasso ha scavato sotto il sentiero e a identificare un falco pescatore nel cielo. Avrei già potuto riempire lo zaino di finferle, ma mi piace di più quelle che si trovano ai piedi delle ultime dune quindi continuo a camminare e a varcare una duna dopo l’altra. Ecco il mio posto preferito, al riparo del vento. Non è un posto silenzioso perché si sente di continuo il chiasso che fa l’oceano. Mi metto a raccogliere finferle. Sono più numerose degli aghi di pino ed è un compito abbastanza fastidioso, soprattutto all’inizio della stagione quando le finferle sono ancora piccole. Io ne voglio soltanto per fare una frittata o un risotto quindi uno o due chili dovrebbero essere più che sufficiente. I funghi. È così che i nostri antenati, piantatori di dune e di pini marittimi, sopravvivevano in inverno in questo paese dove nessuna coltura è possibile.

Botanica: In autunno, le piovre rosse invadono i boschi di Bordeaux!

Questo strano fungo si chiama anthurus archeri oppure Clathrus archeri. In italiano, lo chiamate Polipo Stellato, noi lo chiamiamo cuore di strega o grinfia del diavolo. Un fungo molto comune a Bordeaux e nelle immense foreste di Guascogna. Il fungo ha tutte le caratteristiche pestilenziali di un altro fungo che vi ho presentato recentemente: il cazzo del diavolo. Comunque, a me fa tenerezza e quando lo incontro mi viene sempre in mente i papaveri di carta o di plastica che indossano i britannici il 11 novembre per ricordare i caduti della prima guerra mondiale. Sorprendente? No, non tanto perché questo fungo è un ricordo vivo della prima guerra mondiale lasciato dai nostri amici australiani, neozelandesi e sudafricani. Il fungo è sbarcato in Europa con le truppe del Commonwealth che trasportavano le spore del fungo nei loro vestiti e le loro attrezzature e anche dalla lana importata allora in Francia dall’Australia e che si ammucchiava nei magazzini del porto di Bordeaux e che non poteva essere spedita nelle filature dell’Est della Francia. Polipo Stellato ha seguito le truppe del Commonwealth e la lana di Sydney man mano che loro avanzavano verso Est e come è una specie abbastanza invasiva ha continuato la sua conquista dell’Europa dopo la guerra e forse adesso è giunto anche in Italia. Prima di maledire lo strano fior puzzolente, abbiate un pensiero per questi giovani venuti dalla fine del Mondo per morire sui campi di battaglia. Polipo Stellato, storia di un fungo sbarcato, in piena guerra, sui moli di Bordeaux cento anni fa.

Botanica: In Francia, i satiri non hanno bisogno di viagra!

 

Se seguite questo blog, sapete già che ho una passione per i funghi e per tutto quello che riguarda l’etimologia dei loro nomi perché è qualcosa che può essere davvero divertente. Il fungo che vedete sopra è tanto osceno che spesso i libri di micologia non lo indicano. Per dire come la natura del micologo che sia dilettante o professionista è principalmente pudibonda. Il botanica Carl von Linné che diede un nome a tutte le piante dell’universo gli ha dato il nome di Phallus impudicus. Mi fa sorridere questo tipo di eufemismo. Cosa volete, il tizio era svedese e protestante fino al midollo quindi la cosa si capisce facilmente. Nella mia famiglia, non abbiamo questi pudori di signorine e abbiamo un modo di parlare piuttosto bordolese cioè schietto quindi lo chiamiamo “cazzo del diavolo”. In francese è ancora diverso e il suo nome più corrente è “satiro puzzolente”, ma il fungo ha anche altri nomi: uovo del diavolo, spugnola del diavolo, falsa spugnola del diavolo. Forse, mi chiederete cosa c’entra il diavolo con questo simpatico fungo. L’odore, l’abominevole odore di putrefazione che emana di questo fottuto cazzo del diavolo. Un fungo davvero ripugnante, ma anche affascinante. All’estremità del pene, c’è una sostanza verdastra e gelatinosa che puzza di cadavere e che attira le mosche, è cosi che il cazzo del diavolo riesce a diffondere le sue spore, sporcando e ubriacando le mosche con questa sostanza sifilitica. È il lato affascinante di questo fungo perché senza la simbiosi con la mosca, il cazzo del diavolo avrebbe difficoltà a riprodursi. Cari lettori, se passeggiate nei boschi e che sentite un odore orribile di carne in decomposizione, non chiamate la polizia per segnalare che avete scoperto il carnaio di qualche serial killer, verificate prima se non ci sia qualche satiro puzzolente nei dintorni. Poi, se passeggiate con un cane  sguinzagliato nei boschi, non lasciatelo mai leccarvi le mani o il viso perché i cani sono come le mosche e sono avidi di questa sostanza che puzza di cadavere.

La penisola del Médoc? A volte, assomiglia al paese delle meraviglie di Alice!

 

Credo sia il fungo più conosciuto al Mondo. Il fungo che incontrate in numerose fiabe per bambini. In Italia lo chiamate ovolo malefico, ma ha anche altri nomi. In Francia lo chiamiamo soltanto “amanite tue-mouches” perché una volta veniva mescolato con del latte per fare dell’insetticida. Gli abitanti della  Kamchatka lo utilizzavano per ubriacarsi e gli sciamani della Siberia lo bevevano per invocare gli spiriti, fare delle diagnosi o predire il  futuro. Io sono sempre contento di incontrarlo nei boschi perché è un segno che dovrei trovare dei funghi porcini non lontano. Curiosamente, in Francia fino agli anni 1970, l’ovolo malefico veniva considerato mortale eppure non ha mai ucciso nessuno, non è affatto paragonabile alla tignosa verdognola. Cosa rischiate a mangiare questo fungo? Niente di troppo piacevole: mal di pancia, emicrania, ubriachezza, torpore e allucinazioni perché l’ovolo malefico è un fungo psicotropo; è quello che lo caratterizza. Nel XIX secolo, in Europa, era molto di moda questa storia degli sciamani siberiani che usavano questo fungo per aver delle allucinazioni e certi viaggiatori europei hanno fatto l’esperienza e descritto gli effetti provocati dall’ovolo malefico. Nel 1860, un famoso botanico e micologo inglese, Mordecai Cubitt Cooke, pubblica uno dei primi libri sui farmaci psicotropi, intitolato: Seven sisters of sleep, in cui vengono descritte le proprietà del tabacco, dell’oppio, dell’hashish, del betel, della coca, della belladonna e dell’ovolo malefico. Un libro che fu un best seller nella società vittoriana di allora. Si dice che questo libro sarebbe stato la principale fonte di ispirazione di un altro best seller, ma quello conosciuto nel mondo intero e non solo in Inghilterra. Avete un’idea del libro? Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Il fatto è che Lewis Carroll si sarebbe ispirato del capitolo sull’ovolo malefico per Alice, capitolo in cui il botanico Cooke racconta per la prima volta il fenomeno delle distorsioni visive che sono generate e proprie al consumo di questo fungo. Per esempio una crepa su un marciapiede si mette a diventare una voragine mentre una voragine diventa una piccola crepa. Alice è la tipica mangiatrice di ovolo malefico. Dopo aver assaggiato il fungo, lei si mette a rimpicciolire oppure a crescere e deve imparare a dosare i due lati del fungo per ritrovare la sua statura normale.

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Alice questa volta attese con pazienza che il superbo animale si decidesse a parlare. Dopo un po’ il Bruco si tolse di nuovo la pipa di bocca sbadigliò due o tre volte di seguito e si stirò tutto. Poi scese dal fungo e mentre se ne andava strisciando tra l’erba disse soltanto: “Un lato ti farà più alta. L’altro più piccina”.

“Un lato di che COSA? L’altro lato di che COSA?” pensò Alice.

“Del fungo” le rispose il Bruco come se Alice avesse parlato ad alta voce. Un attimo dopo il Bruco non c’era più.

Alice si voltò pensosa verso il fungo. Stette per un pezzo a domandarsi quali potessero essere i due lati dato che il fungo era rotondo. Si trattava di una questione veramente difficile. Alice allargò le braccia intorno al cappello del fungo e ne staccò con le mani alcuni pezzi da varie parti.

“Quale sarà quello buono?” si domandava perplessa mentre dava un morso per fare una prova al pezzo che teneva nella mano destra.

D’un tratto sentì un forte colpo sotto il mento; infatti il mento aveva urtato contro i piedi!

Spaventata per l’improvviso cambiamento ma pensando che non c’era un attimo da perdere dato che continuava rapidamente a rimpicciolire Alice s’affrettò a mordere l’altro pezzo. Il mento era ormai tanto attaccato ai piedi che per aprire la bocca soltanto un po’Alice dovette fare uno sforzo doloroso. Però vi riuscì e inghiottì il pezzo di fungo che teneva nella mano sinistra.

“Finalmente la mia testa è libera!” disse Alice contenta. Ma la sua felicità si mutò subito in apprensione quando si accorse che non riusciva più a vedere dove fossero finite le sue spalle. Guardando in giù vide soltanto un collo lunghissimo: esso sembrava levarsi come un alto fusto sopra un mare di foglie verdiche parevano perdersi lontano….

(Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, capitolo V)

 

 

Oceano: Alla ricerca d’oro nella foresta dello scultore di alberi!

Ve l’ho già detto che la gente della penisola del Médoc è un popolo di raccoglitori e di mangiatori di funghi? E’ tanto vero che la gente prende le vacanze addirittura per andare a funghi e che viene matta in autunno, non solo per i funghi porcini ed i gallinacci, ma anche per un fungo squisito e altamente velenoso, chiamato bidaou in guascone (tricholoma equestre in italiano),  che cresce unicamente nella sabbia delle dune oceaniche. Va bene, oggi, non parleremo di quei bidaou di cui il consumo è vietato in Italia, ma di un altro fungo che cresce nelle immense pinete di pini marittimi che costeggiano l’Oceano Atlantico: i finferli. Dopo la stagione dei gallinacci e dei funghi porcini, i mesi che vanno da novembre fino a gennaio sono dedicati alla ricerca dei finferli. Ed io, oggi, ho assolutamente bisogno di trovare quei funghi perché è il contorno tradizionale che accompagna l’oca per il nostro pranzo di natale. Notate che i finferli non sono difficili da trovare perché si trovano per tonnellate, soprattutto nelle foreste in riva all’oceano e particolarmente in quelle di Lacanau. Quindi oggi vi porto al mare per cercare dei funghi, sorprendente no? Il mio “giacimento” si trova a Nord, non lontano dalla mia spiaggia segreta dell’Alexandre di cui ho già parlato più volte su questo blog, in una strana foresta ai piedi dell’ultima duna a ridosso dell’oceano.

 

Ve l’ho già detto che adoro camminare? quindi da dove ho lasciato la macchina a Lacanau, dovete camminare due ore attraverso la solitudine della foresta verso Nord prima di raggiungere il posto. Quando il clangore dell’oceano si fa più forte e diventa assordente; quando le vostre gambe non vi reggono più; quando i vostro polmoni sono pronti ad esplodere; quando avete un gusto di sangue in bocca, allora siete arrivati e vi resta a salire le ultime dune per raggiungere il mio giacimento di finferli.

Dentro una strana foresta, quasi spettrale, soprattutto quando c’è la nebbia e che soffia il vento, che vi ricorda che questo paese una volta veniva chiamato il paese mezzo morte. Non è la foresta di pini marittimi ben allineata e coltivata come la vigne, no, qui siamo davvero in un altro universo, un campo di battaglia dove si svolge una guerra eterna tra i pini e l’oceano per la conquista della duna. Sembra una foresta creata da un dio, una specie di maestro bonsai pazzo. Conoscete l’arte dei bonsai? E’ l’arte della costrizione perché essa consiste a costringere un albero a non crescere ed a mantenerlo in vita in uno stato fuori dal tempo naturale; è una costrizione tutta particolare perché lo scopo del maestro bonsai è mantenere un albero piccolo e bello senza uccidere l’albero. Il bonsai è un albero in equilibrio tra la natura e la morte; è una lotta tra un albero che vorrebbe crescere ed un uomo che lo costringe a rimanere piccolo. Ma qui, in questa strana foresta, non c’è di maestro bonsai perché la bellezza di quegli alberi alle forme bizzarre ed eccentriche è puramente fortuita e lo scopo della natura non è certamente di  creare opere d’arte, ma la morte. Qui niente maestro bonsai che costringe gli alberi con forbici, cesoie e filo di ferro perché la natura possiede già i suoi arnesi che sono il vento ed il sale. Solo con il vento e un po’ di sale, la natura riesce a creare tutta questa strana bellezza. Dico la natura, ma il pino marittimo ha il suo ruolo perché è lui che trova delle strategie per sopravvivere a questa costrizione permanente esercitata dalla natura per farlo crepare e se saliamo in cima alla duna, vedrete che i pini marittimi hanno sviluppato un’altra strategia per sopravvivere, quella di crescere addirittura all’orizzontale. Ed è in mezzo a questa foresta che si trovano i finferli. Un fungo magico che si nasconde sotto gli aghi dei pini, un po’ fastidioso a raccogliere, ma sono tanti numerosi che vi trovate con lo zaino pieno in una piccola ora e dovrete tornare perché i finferli cotti si conservano molto bene al congelatore e l’inverno si annuncia lungo.