Velieri nel porto di Bordeaux. Corot Jean-Baptiste Camille (1796-1875). Museo del Louvre. Parigi.
Forse non ci crederete, ma una volta il Médoc – non quello del vino, l’altro – era un Paese di pastori. Poi la foresta ha conquistato tutte le lande e i pastori sono diventati coltivatori di pini marittimi e resinai. Oggi, c’è ancora qualche pastore nel Médoc, ma loro si contano sulle dita di una mano. Quando ero adolescente, mia zia era andata a sistemarsi in un paesello del Médoc e, a due passi, c’era uno di quei pastori con il suo gregge di pecore che aveva i pascoli di una proprietà vitivinicola a mezzadria. La sera era tutto uno spettacolo di vedere il cane uscire dalla casa e filare a tutta birra nei campi per raggruppare le pecore e riportarle all’ovile. Faceva tutto da solo questo cane e faceva camminare il suo regimento di trecento pecore su un bel pezzo di strada provinciale. Puntuale come un orologio svizzero questo cane e gli automobilisti lo sapevano ed evitavano come il diavolo di ritrovarsi sulla strada provinciale durante questa micro transumanza: “è l’ora del cane” loro sospiravano. L’anno scorso, ho saputo che un giovane pastore si era sistemato in un’antica fattoria in un paese del Médoc non lontano da casa mia. E bene figuratevi che questo pastore è il figlio del pastore che aveva l’ovile nel paesello di mia zia. Il comune dove lui vive ha fatto ristrutturare un vasto ovile per il suo gregge di trecento pecore di razza basco-béarnaise e gli ha dato in affitto delle terre in riva alla Garonna. Una caseificio è stato sistemato a ridosso dell’ovile e il giovane pastore con la moglie fanno il loro formaggio e lo vendono tre giorni per settimana. Fanno una straordinaria toma dei Pirenei e cosa si può fare di altro con delle pecore basco-béarnaise! Io non credo di aver mai mangiato una toma migliore della loro. È che sono coccolate queste pecore! Da luglio a settembre, il gregge è spostato negli alpeggi estivi dei Pirenei. Su in vacanze le pecore! In cura termale al lago de L’hurs sopra Lescun. E non come una volta dove gli antichi pastori dovevano fare camminare i greggi dal Médoc fino ai Pirenei. In veicolo per bestiame le signorine con tutte le comodità moderne! Quando le pecore sono nei Pirenei, la moglie del pastore ha pietà di noi, i drogati della toma, e scende dalla montagna, una volta per settimana, per venire fino a Bordeaux e aprire il caseificio. Che Santa donna! Dunque come lo dicevo il giovane pastore fa soltanto la toma dei Pirenei e qualche volta abbiamo diritto al Greuil che è una specialità tipica del Sudovest della Francia. È qualcosa che si trova solo in inverno quando le pecore ricominciano a fare del latte e in primavera verso Pasqua e qualche volta i pastori che trascorrano l’estate nelle montagne dei Pirenei ne fanno un po’. Comunque non cercate il Greuil nei supermercati perché è una roba che si trova solo su qualche mercato presso i piccoli produttori di formaggio e io sono molto fortunato di aver un pastore che fa del Greuil a qualche chilometro da casa mia. Quindi in questo momento c’è il greuil che è l’equivalente più o meno della ricotta in Italia. Io apprezzo solo il Greuil fatto con il latte di pecore, ma esistono Greuil fatti con latte di mucca o di capra, ma non è affatto la stessa cosa perché sono Greuil abbastanza neutri. C’è una differenza e, credetemi, quando mangiate del Greuil di pecore, avete gli aromi animali del latte di pecore in bocca e sapete esattemente cosa state mangiando. Greuil deriva dalla parola guascone grulh che significa “piccolo grumo”. Ovviamente ogni pastore ha i suoi segreti di lavorazione e tutti i greuil sono diversi da un pastore all’altro. Comunque la base è sempre la stessa. Dopo la fabbricazione della toma, il pastore ricupera il petit-lait (il serio del latte) che viene messo in un calderone. Poi Si fa riscaldare il serio a una temperatura vicina al punto di ebollizione. Dopo circa un quarto d’ora, la caseina che aveva resistito all’azione del caglio si coagula e scende nel fondo del calderone. Sappiamo di questa coagulazione perché si forma alla superficie delle bolle gassose che vengono chiamati “occhi”. Ci sono dei pastori che smettono di scaldare il serio al primo occhio, altri al secondo e ancora altri quando appare il terzo occhio. Insomma ci sono diverse scuole. Poi si fa raffreddare il calderone per due o tre ore. La materia bianca allora che galleggia in superficie, in forma di fiocchi, viene raccolta con una schiumaiola e posta all’interno di un telo piegato a forma di borsa dove il Greuil gocciolerà e si agglomererà per diverse ore. Il Greuil è un formaggio dalla consistenza soda e dalla grana fine, abbastanza untuoso e grasso. Si consuma fresco e quando ne comprate dovete mangiarlo subito perché non si conserva più di una settimana in frigorifero. Ho scritto che era anche un formaggio forte che sa di pecore. Quindi di solito non si mangia al naturale ma con qualcosa di dolce o di salato. Per esempio in dessert, potete mangiarlo con della confettura di mirtillo, di ciliegie, del miele, dello zucchero…ecc. Poi se volete mangiarlo con qualcosa di salato, potete provare l’erba cipollina oppure un trito di cipolla. Una volta, i pastori nelle montagne dei Pirenei abbinavano il Greuil con un caffè molto forte oppure con un bicchiere di armagnac zuccherato. Non c’è niente di meglio per affrontare una giornata di lavoro!
Médoc. La nebbia che avvolge tutto in questa mattina di fine settembre annuncia una giornata caldissima. Ho preparato il picnic compreso qualche bottiglia di vino. Non si sa mai e non ci vorrebbe morire di sete. In una curva della strada provinciale, lungo un vigneto, mi sembra indovinare uomini intorno a un’immensa tavola. Prendono una pausa per la collazione, penso, e presto torneranno a lavorare tra i filari. Tempo di vendemmia. Guardo l’orologio, non sono ancora le nove e non sono veramente in ritardo perché la nave parte solo alle dieci. Dal porto, diciamo piuttosto dal prato, non si vede la riva destra dell’estuario della Gironda. Un airone mattiniero sta pescando in un buco d’acqua mentre decine di egrette stanno ancora a letto negli alberi, ma dopotutto è domenica. Il sole scioglie gli ultimi banchi di nebbia e la nostra destinazione, incoronata da un’aureola azzurrognola, appare nel lontano: l’isola Senza-Pane! dico ancora l’isola Senza-Pane come gli abitanti del Médoc, ma il suo nome ufficiale è da più di cento anni: l’isola Nuova (l’île Nouvelle). Nuova nel senso che sono due isole, l’isola Bouchaud a Nord e l’isola Senza-Pane a Sud, che sono separate solo da un piccolo braccio dell’estuario che è stato arginato nel mezzo del XIX secolo per fare una sola isola. L’isola Nuova fa sei chilometri di lunghezza per circa sei cento metri di larghezza. Notate che hanno ragione gli abitanti dell’estuario di continuare a chiamarle Bouchaud e Senza-Pane visto che dalla tempesta del 2010, le due isole sono di nuovo separate e che il dipartimento della Gironda ha deciso di non colmare la breccia per fare dell’isola Nuova una riserva naturale e ornitologica. Ai tempi della sua gioventù si diceva l’isola del piccolo Fagnard per l’isola Senza-Pane e l’isola del grande Fagnard per l’isola Bouchaud. (fagnard ha il senso di un mucchio di fango nel gergo locale). La nave solca le riche acque melmose dell’estuario. A destra, c’è la punta dell’isola Verde; di fronte, la piccola isola del forte Paté; a sinistra, il vasard di Beychevelle, l’isola Nuova e l’isola di Patiras più lontano a Nord. Ma forse vi state chiedendo perché ho parlato della gioventù dell’isola Senza-Pane? Allora, immaginatevi un po’ più di duecento anni indietro, diciamo in 1800, allo stesso posto di me sulla nave e guardate verso l’isola Senza-Pane e quella di Bouchaud. Cosa vedete? Assolutamente niente! Senza-Pane e Bouchaud non esistono ancora! Adesso, immaginatevi nel futuro, diciamo negli anni 2200, e forse la nave non solca verso Senza-Pane, ma verso un’isola che non conosco perché non è ancora nata. È questo l’estuario della Gironda. Un motto perpetuo. Una gigantesca macchina a creare delle isole e a farne morire altre. Duecento anni fa, c’erano altre isole sull’estuario, oggi inabissate, e che sono diventate quasi mitologiche per gli abitanti dell’estuario e sto pensando alle due più conosciute ancora e che sono l’isola di Trompeloup e quella de la Croûte. C’è una coppia inglese sulla nave e la donna mastica un po’ di francese. Lei mi dice che hanno dimenticato la lozione antizanzare all’albergo. Gliene propongo, ma lei non vuole accettare e devo veramente insistere. Due pazzi, penso.
Come nascono le isole della Gironda? È qualcosa di misterioso. Un alchimia tra elementi naturali che interagiscono tra loro. Ci vuole la melma cioè i milioni di tonnellate di sedimenti, di alluvioni, di limi che convogliano, ogni anno, i fiumi Dordogna e Garonna verso l’oceano. La melma si chiama in francese la “vase”. Ci vogliono tonnellate di sabbia, i venti, le maree e gli uccelli che portano la vegetazione. Un primo stadio della nascita di un’isola si chiama in gergo del Médoc, il “vasard” che è la stessa cosa che il “fagnard” cioè un mucchio di melma che si è agglomerato e che si sta sviluppando in un’isola. La parola ha anche un altro senso e tutte le isole che non sono abitate o arginate dall’uomo si chiamano “vasard” nell’estuario. Quindi avete il vasard di Plassac che è un’isola in formazione al largo di Blaye, ma anche il vasard di Beychevelle che è un’isola non arginata al largo di Beychevelle. Cammino sulla vecchia diga che circonda l’isola Senza-Pane. Osservo gli uccelli marini che campano nella palude e nella mangrovia a Sud e penso che hanno fatto bene gli inglesi di accettare un po’ di lozione antizanzare. Sull’isola Senza-Pane, siamo ancora in luglio e ci sono migliaia di libellule, farfalle e zanzare. E dire che non sono lontano da casa mia eppure sembra addirittura un altro universo! Sento delle cannonate sulla riva destra verso la cittadella di Blaye come se la città fosse sotto assedio. La stagione della caccia è iniziata, penso. Siamo sulla linea di difesa di Bordeaux creata da Vauban nel XVII secolo per impedire agli inglesi di riprendersi Bordeaux. Il catenaccio di Bordeaux come viene chiamato. Sulla sponda destra dell’estuario, la cittadella di Blaye. In mezzo al fiume, il forte dell’isola Paté. Sulla sponda sinistra, il Forte-Médoc. Dunque siamo circa un secolo più tardi, nel 1800 e cosa succede? L’isola Senza-Pane sorge quasi tra la cittadella di Blaye e il forte-Paté sulla linea di difesa di Bordeaux. Nel 1814, ai tempi di Napoleone, gli inglesi fanno il blocco dell’estuario. Il 3 aprile, una nave inglese, il Belzebù, si nasconde dietro l’isola Senza-Pane e si diverte a bombardare la città di Blaye per dieci giorni. Fort-Médoc che si trova a cinque chilometri sulla riva sinistra non è di nessuna utilità. L’apparizione di un isola ha distrutto tutta l’architettura difensiva immaginata da Vauban. Non c’è un albero e fa mille gradi sull’isola Senza-Pane. Forse sapete che queste terre alluvionali della Gironda sono le migliori del Mondo per il vino. E dunque verso gli anni 1850, la viticultura si sistema su Senza-Pane e Bouchaud con un’azienda vitivinicola per ogni isola. Due villaggi sono edificati con i suoi alloggi per gli operai, la casa dell’amministratore, la tinaia, la scuola per i bambini. Oggi, solo quello di Senza-Pane è perfettamente conservato e si visita. Al massimo hanno vissuto sessanta famiglie di îlout (il nome che si dà alla gente che vive sulle isole dell’estuario) durante l’età d’oro della viticultura sulle due isole, diciamo tra il 1850 e la prima guerra mondiale. Fa troppo caldo per restare sulla diga e d’altronde è l’ora del pranzo. Il solo albero dell’isola che fa un po’ di ombra è l’ippocastano centenario dietro la scuola dove sono state sistemate quattro tavole da picnic. Chiudo gli occhi e, dietro il vociare degli uccelli e delle rane, mi sembra sentire quello dei bambini îlout che giocano sulla diga. Mentre sto aprendo una bottiglia, arriva la coppia inglese. Lei ringrazia ancora per la lozione antizanzare. Niente, dico, ma scommetto che avete dimenticato anche il vino, ma questa volta non devo insistere troppo. Un giono sull’isola Senza-Pane.
Il fiume Gironda.
Un lettore mi chiede come si mangiano i cannelé. Con appetito risponderei. Ora una domanda più difficile dalla parte di un altro lettore: Che differenza c’è tra Gironda e Garonna? La domanda mi ricorda la prima volta che ho soggiornato in Italia e che ho scoperto esterrefatto, insieme alle patatine al forno, che gli abitanti di questo strano Paese chiamavano assolutamente qualsiasi corso d’acqua: FIUME. Mi lasciava assolutamente sbalordito questa cosa. La ragione ne è abbastanza semplice, credo. La parola fiume assomiglia alla parola francese “fleuve”. E io un “fleuve” ne ho uno, la Gironda, che fa fino a 11 km di larghezza quasi davanti a casa. Allora immaginate la mia stupefazione di sentire la parola fiume che associavo alla parola fleuve – e quindi a qualcosa di maestoso – per designare qualsiasi piccolo corso d’acqua. Era la cosa più strana e divertente del mondo. In francese facciamo una distinzione tra fiume (fleuve) e fiume (rivière). Dunque la Francia ha quattro fleuves cioè quattro grossi corsi d’acqua che si gettano in mare: la Senna, la Loira, La Gironda e il Rodano. Tutti gli altri fiumi vengono chiamati rivières perché sono sia affluenti dei fleuves sia non abbastanza importanti per meritare il nome di fleuve. Quindi a Bordeaux ci sono tre fiumi: La Garonna e la Dordogna che sono delle rivières e la Gironda che è un fleuve. La Gironda nasce al livello del Bec d’Ambès dall’incontro tra la rivière Garonna e la rivière Dordogna. Poi la Gironda è un fleuve particolare perché è un estuario cioè che è sottomesso due volte al giorno alle maree oceaniche su tutta la sua lunghezza. E noi, gente del Médoc, come chiamiamo la Gironda: fleuve, estuario o Gironda? Noi diciamo semplicemente rivière come se fosse il piccolo corso d’acqua che scorre dietro la vostra casa. Strano, no? Probabilmente la leggendaria modestia della gente del Médoc. Va bene, la lezione è finita. Potete andare a prendere un’aspirina! 😉
I tre fiumi di Bordeaux al Bec d’Ambès. La Garonna a sinistra si unisce alla Dordogne a destra per formare la Gironda.
Io questo racconto delle sirene della Garonna, l’ho sentito più volte e ho deciso di condividerlo con voi, lettori e lettrici. Nella versione sotto, il racconto si svolge lungo il fiume Gers che è un affluente della Garonna, ma è sempre la stessa storia che sentirete che siate in riva alla Garonna o lungo uno dei suoi affluenti, quella di quei disgraziati..
Ci sono sirene nel mare. Ce ne anche nei fiumi. In un momento, avrete la prova che qualcuno ne ha visto nel fiume Gers. Le sirene hanno i capelli lunghi e fini come la seta, e si pettinano con pettini d’oro. Dalla testa alla cintura rassomigliano a delle belle ragazze diciottenni. Il resto del corpo è simile al ventre e alla coda dei pesci. Quelle bestiole hanno la loro propria lingua per spiegarsi tra esse. Se devono parlare con dei cristiani, parlano sia in guascone sia in francese. Si dice che le sirene vivranno fino al giorno del Giudizio Universale. Certi credono che queste creature non abbiano di anima. Però molti pensano che abbiano dentro il corpo le anime delle persone annegate in stato di peccato mortale. Io su questo non saprei decidere chi ha ragione tra gli uni e gli altri. Durante il giorno, le sirene sono condannate a vivere sotto l’acqua. Non si è mai saputo cosa ci fanno. La notte, risalgono per greggi, e folleggiano, nuotando, al chiaro di luna, fino al primo suono dell’angelus della mattina. Succede che si battono. Allora si graffiano e si mordono, per succhiarsi il sangue. Al primo suono dell’angelus, sono costrette a tornare sotto l’acqua.
Molti marinai, viaggiando sul mare hanno visto greggi di sirene nuotare intorno alle navi. Molti barcaioli ne hanno visto anche loro nella Garonna. Cantavano, nuotando, canzone tante belle, così belle, che ne avete mai sentito né sentirete mai delle simili. Per fortuna, i padroni delle navi e delle barche non si fidano, e sanno ciò che ci vuole pensare di queste cantanti. Impugnano un bastone, e si mettono a picchiare i giovani marinai pronti a tuffarsi per raggiungere le sirene. Però i padroni non possono sempre aver l’occhio dappertutto. Allora, le sirene cascano sui tuffatori. Succhiano loro il cervello e il sangue; mangiano il loro fegato, il cuore e la trippa. I corpi dei poveri annegati diventano delle sirene, fino al giorno del Giudizio.
E ora, ecco la prova che ci sono sirene nel fiume Gers. C’era una volta, in una frazione della città di Lectoure chiamata La Côte, un giovane tessitore tanto appassionato, ma tanto appassionato di pesca che la gente gli aveva dato il soprannome di Bernardo-Pescatore (che significa airone in guascone). Ogni sera, al tramonto, se ne andava a tendere le sue reti da pesca e le sue linee di fondo nel fiume Gers. Poi tornava l’indomani mattina, prima l’alba, per alzarle. Una sera, ai tempi della mietitura, Bernardo-Pescatore, era andato a sistemare le sue reti e le sue linee di fondo alla cascina di Talayzac, nel comune del Castéra-Lectourois. Fatto questo, si dice per se stesso:
– La mia casa è lontano, la cascina di Talayzac è a due passi. Conosco il padrone. Mi alloggerà per la notte. Domami, gli farò regalo di una carpa. Il contadino fece cenare Bernardo -Pescatore, e lo mandò a dormire in un buon letto. Dopo il suo primo sonno, Bernardo-Pescatore saltò a terra, si vestì nell’oscurità, aprì la finestra, guardò la luna e le stelle, e pensò:
– Sono quasi le tre. É tempo di andare ad alzare le reti e le linee di fondo.
Subito, Bernardo-Pescatore scese verso il fiume. A cento passi dal Gers, sentì gridi e risate di ragazze. – Diavolo! Egli pensò. Le ragazze del Castéra sono venute a fare il bagno qui. Avranno spaventato i pesci. Non avrò bisogno di prendere in prestito la giumenta del contadino di Talayzac per portare la mia pesca a casa.
Bernardo-Pescatore si avvicinò lentamente lentamente del fiume, nascondendosi dietro i cespugli, i frassini e i salici per vedere bene le ragazze senza farsi notare. Le ragazze pettinavano con dei pettini d’oro i loro capelli fini come la seta. Nuotavano e folleggiavano al chiaro di luna. Bernardo-Pescatore sentiva i loro gridi e le loro risate.
– Il diavolo mi porta via, egli pensò, se conosco una di queste ragazze e se capisco una parola di loro gergo.
Lo spuntare dell’alba era vicino, e Bernardo-Pescatore era ancora a guardare. Alla fine, una delle ragazze lo accorse e gridò:
– Un uomo! Un uomo!
Subitamente, tutte le ragazze si voltarono verso Bernardo-Pescatore:
– Bernardo-Pescatore, amico mio, vieni, vieni a nuotare con noi.
– Madre di Dio! Sono in mezzo a un gregge di sirene.
– Bernardo-Pescatore, amico mio, vieni, vieni a nuotare con noi.
Allora, le sirene cominciarono una canzone così bella, così bella, che ne avete mai sentito e ne sentirete mai una simile.
Per la virtù di questa canzone, Bernardo-Pescatore era forzato ad avvicinarsi all’acqua.
Le sirene cantavano senza mai smettere.
Madre di Dio! pensava il tessitore, sono in mezzo a un gregge di sirene.
E le sirene cantavano. Bernardo-Pescatore era in riva al fiume. Pronto a tuffarsi nell’acqua senza volerlo, quando le campane della chiesa del Castéra suonarono le prime note dell’angelus. Subito, le sirene smisero di cantare e si nascosero sotto l’acqua.
Bernardo-Pescatore tremava come la foglia del trifoglio selvatico. Era pallido come un morto. Alzò le sue reti e le sue linee di fondo. Mai il tessitore aveva preso tanti bei pesci. Ma non conservò niente per lui e diede tutta la sua pesca al contadino di Talayzac. Fatto questo, tornò a casa a La Côte, e restò sette giorni senza uscirne. L’ottavo giorno, partì all’alba per Notre-Dame-de-Bétharram che è un luogo di devozione rinominato nel Béarn. Lì, Bernardo-Pescatore trascorse tutto un mese a fare bruciare delle candele, e a sentire delle messe, dall’alba fino a mezzogiorno. La sera diceva il suo rosario fino all’ora di andare a letto. Tornando a La Côte, Bernardo-Pescatore bruciò le sue reti e le sue linee di fondo. Non pescò mai più e consigliò ai suoi amici di fare come lui. La notte, non si avvicinava del fiume Gers perché aveva paura di incontrare di nuovo un gregge di sirene.
Come le alose e le lamprede che risalgono i fiumi bordolesi in primavera, vi invito a risalire con me la Garonna seguendo pigramente il corso del fiume lungo la vecchia strada provinciale che collega Bordeaux a Langon. Non vi porto a Sauternes, Sainte-Croix-du-Mont, Loupiac o Cadillac, ad assaggiare i nostri vini bianchi. Ma, a Podensac, una piccola cittadina nelle Graves, che è conosciuto nel mondo intero per il Lillet, il famoso aperitivo di Bordeaux. Perché Podensac? Non per il Lillet. In un precedente post, vi avevo fatto visitare nei Paesi Baschi, la stupenda casa dello scrittore Edmond Rostand che lui chiamava: la sua poesia di pietre e di verdure. E bene figuratevi che, a Podensac, c’è un’altra poesia di pietre e di verdure che potete visitare: il domaine de Chavat che è classificato “jardin remarquable” dal ministero della Cultura, il label più prestigioso per un giardino in Francia, credo. Non visitate lo château che stanno ancora ristrutturando, ma passeggiate nel parco che è diventato il giardino pubblico della cittadina di Podensac e che trabocca di opere dello scultore modenese Ernesto Gazzeri e non solo. La proprietà assomiglia molto a quella di Edmond Rostand a Cambo-les-Bains e potremmo essere addirittura nei Paesi Baschi o sulla costa atlantica e invece siamo in riva alla nostra cara e vecchia Garonna. Quando dico che la proprietà assomiglia a quella di Rostand, non parlo della casa o del giardino, ma dell’ambizione del proprietario di farne uno stravagante teatro di verdure e di sculture, una follia come diciamo in francese, una poesia di pietre e di verdure come diceva Rostand a proposito della sua villa di Arnaga. Come nasce il domaine de Chavat? Chavat era il nome di un modesta proprietà vitivinicola che esisteva già nel XVII secolo, una casetta con un piccolo vigneto. Niente di più. Poi, nel 1914, Chavat è comprato da François Thévenot che è un ricco imprenditore di lavori pubblici e che ha guadagnato una montagna di soldi costruendo delle dighe nei Pirenei. Dunque François Thévenot nel 1917 chiede ai migliori architetti di Francia di edificargli un sogno cioè uno château con uno splendido parco. Ma non solo un parco con le piante più esotiche che possano crescere a Podensac, ma anche un’incredibile terrazza a strapiombo della Garonna, delle grotte artificiali, delle fontane, un fiume che attraversa il giardino, un tempio d’amore, delle serre, le sculture dell’italiano Ernesto Gazzeri…ecc. La cosa più sorprendente in questo giardino è il castello d’acqua che alimenta il fiume e che è la prima opera realizzata da un giovane architetto svizzero, Edouard Jeanneret, di cui le opere sono mondialmente conosciute sotto il nome di Le Corbusier. La proprietà ha accolto per un tempo degli artisti e la più conosciuta è certamente la scrittrice Colette. Poi, negli anni 1930, François Thévenot perde tutto in seguito al crack della borsa americana e la proprietà è comprata dal comune che ne farà una casa di riposo per cinquanta anni. Poi il comune si è deciso, alcuni anni fa, di trasformare Chavat in un giardino pubblico e di ristrutturare tutta la proprietà che ha una superficie di sei ettari. I lavori non sono ancora finiti tanto il cantiere è colossale, ma comunque questo anno si festeggia i primi cent’anni di Chavat. Andateci! Non lo so. Visitate Sauternes o Barsac, poi compratevi qualcosa da mangiare e da bere e andate a fare un picnic a Chavat. Sotto i platani, in riva al fiume, un giorno di canicola. Poi, passate la giornata nel parco a passeggiare tra le statue di Gazzeri: i leoni, il mistero della vita, il soldato romano, Venere al bagno, Euterpe, Calliope, Minerva, il discobolo, la sirena…ecc. Francamente, non c’è niente di più tipico del Sud-Ovest della Francia che di fare una cosa del genere! E se ve lo dice un bordolese…
La Bastide è il quartiere di Bordeaux situato sulla riva destra della Garonna e che conoscete già se seguite Bordeaux e dintorni (altrimenti vi invito a curiosare nelle stagioni di Bordeaux e dintorni). Oggi, vi propongo una piccola passeggiata con me sul lungo Garonna, da qualche parte tra il Ponte di Pietra e il Ponte Jacques-Chaban-Delmas.
A La Bastide, attraverso i pioppi e gli ontani, si può vedere la Borsa Marittima e dirsi che il bordolese è particolarmente reazionario nel campo architetturale visto che il coso settecentesco è stato edificato nel XX secolo. Caspita, mentre gli americani costruivano dei grattacieli, i bordolesi erano ancora bloccati nel XVIII secolo! E forse lo siamo ancora nel 2017!
A proposito di americani. A Port Bastide, potete fare gli americani e pagarvi una gita in una barca d’epoca in legno. E perché no? Perché a Bordeaux non si potrebbe fare come nei film americani ubicati a Venezia dove c’è sempre la scena romantica in cui la coppia si ritrova di notte sulla laguna in barca di legno! Ma forse è possibile solo a Venezia! A Bordeaux, attraversate la Garonna in barca al chiaro di Luna senza aver fatto un bagno di prodotti insetticidi prima e, vi assicuro, che tornate a casa con la malaria! Fate la vostra traversata in giornata senza essere spalmato di crema solare e finite la gita tipo astice alla termidoro. Non per niente i bordolesi si avventurano raramente sul fiume! La paura di finire al pronto soccorso!
A La Bastide, potete vedere quei due edifici ciechi che sono i vestigi di due pile del mitico ponte trasportatore di Bordeaux. E se non sapete cos’è un ponte trasportatore o transbordeur come si dice in francese. Fate un giro a Nord di Bordeaux, nel dipartimento della Charente-Maritime, fino a Rochefort perché in questa città hanno il fratello gemello del ponte trasportatore fantasma di Bordeaux e io ci ho camminato sopra in un precedente post. Un ricordo indimenticabile.
A La Bastide, non vedrete manifesti per Macron, Fillon o Le Pen, ma ovunque ci sono manifesti che chiamano a votare per Mélenchon o Poutou. Perché La Bastide è di Sinistra e ci si crede ancora alla lotta delle classi a La Bastide.
A La Bastide, due bottiglie della mostra “Le bordolesi XXL” che hanno avuto l’onore di essere esibite al giardino pubblico di Bordeaux per una festa del vino di tanti anni fa, sono ormai in pensione sognando probabilmente alla loro gloria effimera. Ma io non le ho dimenticate.
A la Bastide, c’è una palestra all’aperto gratis in cui i giovani e i disabili in sedia a rotelle vengono a farsi i muscoli. E io non so come fanno a restare in questo recinto con questo caldo che già abbiamo in aprile.
A La Bastide, c’è un cantiere navale con barche nuove di zecca e altre che sembrano risalire al diluvio e che gli operai tentano di rabberciare senza illusioni. Poi, come in Italia, ci sono gli umarells come quello che vedete in bici e che vengono scocciare gli operai a raccontare loro tutta la giornata come si ristruttura una barca.
A La Bastide, ci sono campi di fiori blu che ti sembrano uscire da un quadro di Monet. Tranne che non ci vuole guardare di troppo vicino perché il suolo è pieno di cadaveri di bottiglie e di preservativi usati.
A La Bastide, lungo la sponda del fiume, il sottobosco è pieno di piante di borragine. A me evoca l’Italia la borragine. Forse perché ne ho mangiato per la prima volta in quel Paese.
A La Bastide, ci sono cartelli che ti raccontano che una volta c’era un’isola misteriosa tra Bordeaux e La Bastide. E tu che sei del Médoc, dell’estuario della Gironda e delle sue isole, ti viene in mente che a La Bastide sono solo gelosi della gente del Médoc per inventarsi queste storie!
A La Bastide, il Municipio di Bordeaux ci ha relegato un piccolo busto dedicato a Toussaint Louverture invece di fare una bella statua dell’illustre uomo in centro città. Perché i nostri nonni erano trafficanti di carne umana e non ci vuole gridarlo troppo forte. Meglio vantarsi per la nostra immagine e raccontare che siamo la città di Montaigne e di Montesquieu.
A La Bastide, si vede sull’altra riva la brutta chiesa di Saint Louis des Chartrons.
A La Bastide, talvolta ci si crede a Hyde Park.
A La Bastide, c’è un ragazzo che cammina su una fune.
A La Bastide, si può passeggiare leggendo la poesia dello scrittore bordolese Jean de la Ville de Mirmont che è considerato tra i più grandi poeti francesi e che probabilmente sarebbe diventato il più grande se non fosse stato ucciso a solo 27 anni durante il primo conflitto mondiale.
A La Bastide, si guarda i bordolesi della riva sinistra e i turisti che si divertono allo specchio d’acqua come se loro fossero su un altro pianeta. Si potrebbe attraversare il fiume per raggiungerli, ma decisamente fa troppo caldo per lasciare l’ombra dei platani.
L’acchiappaminchioni è il nome che ho trovato per la città del vino di Bordeaux. Quando pensate che ci sono persone che vengono a Bordeaux da Paesi lontani e che si comprano un biglietto alla città del vino di Bordeaux per godersi, dalla terrazza, un costoso bicchiere di vino di Namibia in mano (o peggio un costoso bicchiere di vino del loro Paese in mano), un panorama su Bordeaux. Roba da non crederci per un tizio come me! No, perché, basta andare in una cantina o al mercato per comprare una simpatica bottiglia di vino di Bordeaux, di quello che va bene come si dice da noi. Poi di attraversare la Garonna e di salire la montagna delle orchidee per assaggiare in cima, nei cieli bordolesi, il vostro bicchiere di vino godendo, in mezzo alla fioritura delle coronille, di un panorama mozzafiato su Bordeaux e sopra lo specchietto alle allodole che è la città del vino. E poi potete portare anche il vostro cestino da picnic perché c’è un bel prato in riva al lago di montagna dalle acque turchesi che troverete lassù. Ed è gratis! 😉
Mentre sto ammirando Piazza della Borsa, dalla riva destra della Garonna, attraverso le canne, il mio sguardo è attirato da una macchia arancione sull’acqua che stona proprio con il colore terroso del fiume dei bordolesi. E, probabilmente, se non ci fosse il colore del giubbetto di salvataggio del kayakista, non avrei mai notato il kayak che scivola lentamente e senza rumore sulle acque del fiume verso il Ponte di Pietra. Lo seguo con gli occhi e qualcosa si sveglia nel mio cervello tutto arrugginito e mi torna in mente i nomi di Hasler e di Sparks. Nomi diventati mitologici in tutti i paeselli dell’estuario della Gironda. Storia sentita mille volte quella dell’odissea di Hasler e di Sparks e degli altri otto temerari pesciolini inglesi; avventura vera e terrificante che mi dava la pelle d’oca quando la sentivo raccontare, bambino, dai vecchi pescatori e scaricatori del porto della Luna. Chiudo gli occhi e risalgo in pensiero il vecchio fiume dei bordolesi per ritrovare il luogo dove è iniziata l’avventura dei dieci temerari pesciolini inglesi. Vedo il Bec d’Ambès dove la Garonna si unisce alla Dordogna per dare nascita a una terza ragazza: la Gironda cioè l’estuario. Seguo il corso dell’estuario. Recito come una litania i nomi dei paesi dell’estuario che siano quelli della riva sinistra cioè quelli del mio caro Médoc, che quelli della riva destra cioè quelli della Saintonge. Sorvolo le isole dell’estuario. Arrivo nel Basso Médoc dove l’estuario diventa addirittura un braccio di mare e non vedo più la riva destra del fiume. Continuo costeggiando il litorale fangoso del Médoc fino alla foce dell’Estuario. Saluto il Verdon. Passo la punta di Grave e saluto il monumento che ricorda i dieci temerari pesciolini inglesi. Adesso sono a più di cento chilometri da Bordeaux e continuo il mio viaggio in pensiero. Do un occhiata al faro di Cordouan che segna il punto più settentrionale del mio Mondo. Ora sono nel Golfo di Biscaglia nell’Oceano atlantico e scendo verso Sud lungo le spiagge sabbiose della penisola del Médoc. Il Paese Mezzo Morto. Non c’è niente altro che le dune e la foresta a perdita d’occhio. Vedo il lago di Hourtin a sud e so che sono quasi arrivato. La vecchia strada provinciale che finisce nell’Oceano a Nord dal lago. Ci sono. Eccola la spiaggia del Pin Sec. Sono a Bordeaux, ma in immaginazione mi trovo in cima alla Duna del Pin Sec. Il giorno è diventato notte. Sono le otto della sera. Guardo l’oceano. Non vedo niente, ma so che ho fatto un balzo nel passato e che siamo il lunedì sette dicembre 1942 e che davanti a me c’è il sommergibile inglese HMS Tuna che è tornato in superficie…Il resto, se siete curiosi, ve lo raccontano modestamente Hasler e Sparks, i due soli pesciolini inglesi sopravvissuti all’avventura, tornati trent’anni dopo sui luoghi dell’operazione Frankton. BASTA CLICCARE L’IMMAGINE SOPRA!