Oceano: Dove il lettore verrà a sapere che Gatto Silvestro non è per forza un gatto in Francia!

 

Questa pianta erbacea (Lagurus Ovatus) che non serve proprio a niente e che cresce nelle nostre dune tra i cisti, i corbezzoli, le brughiere e le ginestre, si chiama in italiano: piumino oppure coda di lepre. Invece in francese, la pianta è conosciuta sotto il nome di gros-minet che è il nome che il Titi francese (con solo due t) dà a Gatto Silvestro. Titi, il canarino, non dice come Titti, il suo omologo italiano:  Oh, oh, Mi è semblato di vedele un gatto! Già perché, da noi, il nostro Titi non ha problema con la lettera R e soffre solo di una pronuncia blesa, ma soprattutto perché lui non vede un semplice gatto, ma un grosso micio cioè letteralmente in francese un gros minet: Z’ai cru voir un ‘rominet ! dice il nostro canarino francesizzato. A volte, incontrate, chissà perché, persone che raccolgono quei gatti silvestri  per farne dei mazzi di fiori secchi. Gli spighi bianchi dei gatti silvestri sono più serici dei peli miseri di Gatto Silvestro quando li accarezzate, ma possono anche farvi starnutare se li avvicinate al vostro naso. Come un micio, vi dico! Tranne ovviamente che il gatto silvestro delle dune non scoccia gli uccelli oppure il suo prossimo come Gatto Silvestro e non fa le fusa come un gros minet! 😉

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I gatti bubolanti che vivono nel ciliegio del mio giardino!

Nel mio giardino c’è un ciliegio tanto vecchio che è diventato  cavo con il passare degli anni. Questo ciliegio è strangolato da una vecchia edera e senza l’edera il ciliegio crollerebbe in inverno al primo soffio di vento oppure sotto la sua abbondante fioritura in maggio. Dentro questo ciliegio vive una coppia di gatti bubolanti e ho difficoltà ad addormentarmi, in quel periodo,  se non sento la loro conversazione. In francese, il chat-huant – che ho tradotto in gatto bubolante – è uno dei nomi che diamo all’allocco. Strani quei francesi, mi direte, a chiamare gatto un uccello forse aggiungendo che non si è mai visto un gatto bubolare, gufare o ululare, che il gatto miagola. Punto. Non posso che essere d’accordo, ma vi spiego questa stranezza linguistica. Cominciamo da “huant” che è il participio presente del verbo “huer”. Huer all’origine è legato alla caccia ed è un verbo onomatopeico che designa le grida dei cacciatori che inseguono la selvaggina. Un verbo che sicuramente non si può usare per il gatto che lui caccia nel silenzio e nell’immobilità la più completa quindi dimentichiamo questo primo senso di huer. Per estensione huer ha preso il senso di fischiare, deridere, gridare, sfottere, schernire…ecc. Huer è un verbo che esprime la disapprovazione a teatro, al cinema o allo stadio; gli hou ! francesi corrispondono ai buu italiani e il verbo huer al verbo italiano buare. Ovviamente i gatti non vanno a teatro, ai concerti e non tifano per una qualsiasi squadra. Quindi possiamo dimenticare questo secondo senso di huer. Esiste un terzo senso al verbo huer, il verbo huer è usato per i gridi che spingono gli uccelli notturni. I gatti miagolano – notate che il mio pigola ma è un’altra storia – quindi  cosa c’entrano i gatti con gli allocchi? C’è un altro verbo in francese più tecnico per dire huer quando si tratta degli allocchi: hôler che corrisponde a bubolare. Ma non cambia niente. Prendete il problema come volete, i gatti non bubolano. Cerchiamo un’altra spiegazione. Forse si parla di gatto bubolante perché, in qualche modo, l’allocco ha punti in comune con il gatto. Possiamo notare che sono animali notturni che cacciano la notte e che dormono il giorno; che l’allocco ama a passare la giornata, sdraiato su un ramo, al sole; che hanno una passione smisurata per topi, sorci, ranocchi, serpi o lucertole; che amano essere sempre puliti; che sono stati vittimi della superstizione degli uomini…ecc. Ma no, non è affatto la spiegazione: il gatto bubolante non è una specie di gatto volante. Dunque c’è un altro motivo per cui l’allocco si chiama gatto bubolante in francese. Un altro nome più generico del chat-huant in francese è chouette (civetta) che è un diminutivo e che ci dà la soluzione del mistero. Figuratevi che, una volta, choue era l’onomatopea del verso delle civette, ma ugualmente il nome che designava l’insieme delle civette. Poi si è aggiunto un qualificativo per distinguere l’allocco che è più rumoroso delle altre civette: Choue ha dato chouhuan poi chahuant e chat-huant con il passare dei secoli. Vedete il gatto non c’entra e all’origine sono due onomatopee: hou hou ! 😉

Il gatto che faceva delle confetture.

Il mio gatto ha una passione per il formaggio, non tutti i formaggi però, il formaggio molto stagionato, quello che ha un sapore forte e che noi umani abbiniamo di solito con della confettura o del miele. Notate che la bestiola non è gretta purché sia stagionato dopo che il formaggio sia toma dei Pirenei o provolone, lei se ne frega. É tutto uno spettacolo di vedere il gatto mendicare un pezzo di formaggio dopo il pranzo della domenica. Non vedete l’animale della settimana e, misteriosamente, quando arriva il piatto di formaggi della domenica a tavola, il gatto appare ai vostri piedi a chiedere la sua parte. Poi questo gatto è tanto gourmet che non potete immaginarvelo. Quando lui vede abbinare il formaggio con della confettura, lui si mette a guardarci come se fossimo gli esseri umani più spregevoli di questo universo. Lui non ha bisogno di parlare e capiamo subito il suo pensiero: “Miserabili! Siete ancora a rovinare questo ottimo formaggio abbinandolo con queste orrende confetture! Siete veramente dei barbari!” E lui preferisce andare a mangiare il suo pezzo di formaggio altrove piuttosto che assistere a questo spettacolo schifoso. Ma lo vedreste fare a snobbarci portando in bocca la sua leccornia fuori, fiera come Artabano la bestiola! Completamente sorda alle mie recriminazioni: “Vai, vai, caro marchese, che qualcuno ti ha trovato in strada e che sei arrivato a casa mia in una scatola per scarpe cinesi. Vai, e cambia di albergo se non siamo abbastanza  raffinati  per te. Pensate un po’ che la bestiola mi ascolta! Parlare con questo gatto è come pisciare in un scolapasta! Da qualche tempo, non c’è più  formaggio a casa la domenica perché il pastore dietro casa mia, ha portato il suo gregge di trecento pecore in vacanze nelle montagne dei Pirenei e tornerà nel Médoc solo in settembre. Il gatto è alla dieta. Nel Médoc, ormai è la stagione del sambuco e trascorriamo le nostre sere a raccogliere nei boschi le bacche dell’albero alle fate come chiamiamo qui il sambuco per fare le nostre confetture invernali. É qualcosa di tipicamente del Sudovest la confettura di sambuco. Quando torniamo dalla nostra raccolta, appiccicati e macchiati di rosso, il gatto ci aspetta all’ingresso del bosco e ci riaccompagna a casa, ma da lontano che non vuole essere visto con noi. Immaginate un po’ la vergogna! Fottuto marchese. Ho detto al gatto che la moglie del pastore torna da Pirenei per il weekend e aprirà il negozio sabato mattina. Mi dai una mano per la confettura, gli ho detto, e compro un pezzo di toma sabato. D’accordo? Il problema è che questo gatto è più intelligente di me. Dopo avere sgranato due bacche di sambuco per scherzare, lui si è deciso di fare il capo. Forse lui ha pensato che ci andrei comunque a comprare del formaggio visto che anch’io ne sono goloso. Quindi inutile di stancarsi troppo. Il gatto sorveglia le operazioni sdraiato sulla tavola del giardino o al fresco dalla casa. Dopo il sambuco, mi dico, ci sarà la stagione delle more. Poi ci vorrai andare a raccogliere mazzi di immortali nelle dune oceaniche per profumare la casa durante l’inverno. Poi inizierà la stagione delle castagne, quella di gallinacci e dei porcini. A fine dicembre, sarò ancora nei boschi di pini a raccogliere finferli per abbinare la nostra oca di natale. Sorrido al gatto e gli dico che la nostra vita di abitante della penisola del Médoc non ci rinuncerei per niente al mondo. E, per una volta, il gatto è d’accordo con me…

Animali: Il ritorno del gatto diabolico!

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L’anno scorso, nel post: i maniaci della caccia alle lumache e il gatto che pratica il commensalismo, vi avevo raccontato come, in autunno, faccio dei mucchi di foglie e di legno sotto i siepi per permettere ai ricci, i miei piccoli commensali  che vivono nel mio giardino, di svernare tranquillamente. Da qualche giorno, ci divertiamo perché i tre primi cuccioli di riccio sono usciti da uno di quei mucchi di legno e, ogni giorno, le bestiole si avventurano un po’ più lontano dal nido; quasi a entrare in casa l’altro giorno! Il gatto diabolico, che conoscete già se seguite il blog, ormai si prende per una volpe e vorrebbe mandarsi giù le due galline che il vicino ha sistemato nel suo giardino. Quindi il gatto si è messo a campare nel giardino del vicino e sta cercando un mezzo di entrare nel piccolo pollaio. Mi rovina la salute questo atteggiamento del gatto diabolico e, ogni volta che qualcuno bussa alla porta o mi telefona, ho paura che sia il vicino per annunciarmi che, finalmente, il mio fottuto gatto ha fatto fuori le sue galline. Non vivo più. Non ridete, ma la prima cosa che faccio quando mi sveglio o quando torno a casa la sera, è di andare a vedere, attraverso i siepi, se le bestiole sono ancora viventi. Che angoscia! Lei tenta di rassicurarmi, che forse il gatto è innamorato delle galline perché sono delle cose che succedono. Io non ci credo perché mi ricordo ancora quando il gatto è stato accusato di attaccare le cicogne della riserva naturale. Che l’ho difeso sapendo che lui era colpevole. Come se questo fottuto gatto potesse aver un sentimento e pensare a un’altra cosa di quella di riempirsi la pancia. Si vedono solo su internet queste cose, mia povera! Una cosa che mi manda in bestia è che il gatto si è accorto che ci sistemiamo fuori prima la cena per osservare i cuccioli di riccio. Dunque lui, ogni sera, degna lasciare il suo posto nel giardino del vicino quando ci sente parlare. Vattene volpe! Torna alle tue galline che non voglio più vederti! Pensate come il gatto se ne frega di tutto quello che posso dirgli. Lui, tranquillamente, va ad annusare ogni piccolo riccio. Da’ un colpo di dente che ridiamo un po’ alle tue spese, gli dico (non troppo forte, penso, che non voglio spendere soldi dal veterinario!). Il gatto ci guarda e sembra dirci: è a quello che siete ridotti ora che sono più nel giardino, ad ammirare questa roba di niente. Siete patetici! Poi, lui si allontana, fiero come Artabano, verso l’altra parte del giardino, quella dove si trova le galline. Ma ci snobba questa cattiva bestiola! quasi mi strangolo dall’indignazione…

La casa dei lupi.

 

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Una volta, in una casa, il gatto sentì la padrona che diceva al marito:

– Questo gatto si fa vecchio. Non può più cacciare i ratti come una volta. Ci vorrà annegarlo nel ruscello.

 Bene come vorrai rispose l’uomo.

Il gatto che si scaldava al piede del focolare, sentiva tutto, ma non diceva niente. Un momento dopo la donna disse ancora:

– Carnevale si avvicina. Metterò il gallo in pentola. Così, avremo del buon brodo e del buon bollito il giorno di Martedì Grasso.

Il gatto faceva finta di dormire, ma non perdeva una parola di tutto quello che si diceva. Poi se ne andò fuori a trovare il gallo:

– Gallo, si stanno combinando delle cattive cose per noi due. Tu, vogliono metterti in pentola il giorno di Carnevale, e io, vorrebbero annegarmi perché sto diventando troppo vecchio. Penso che non sia una brutta idea di squagliarsela al più presto.

– Hai ragione, gatto.

Poi il gatto e il gallo se ne andarono. E camminarono, e camminarono. In strada, incontrarono una cicogna.

– Buongiorno brava gente.

– Buongiorno Cicogna, E dove vai così?

– Oh! Ho un’ala rotta. E ormai non posso più volare. Quindi sono costretta a camminare.

– E bene, noi, siamo partiti per fare un viaggio. Se vuoi seguirci. Ti portiamo con noi.

E il gatto, il gallo e la cicogna se ne andarono.

E camminarono, e camminarono. Attraversando un prato, incontrarono un montone che pascolava là.

– Buongiorno brava gente.

– Buongiorno Montone. Non sembra troppo felice!

– Oh! Pensate! Carnevale si avvicina e il pastore vuole vendermi al macellaio del paese.

– E bene, noi siamo partiti per fare un viaggio. Se vuoi seguirci. Ti portiamo con noi.

E il gatto, il gallo, la cicogna ripresero la loro strada con il montone.

E camminarono, e camminarono. Alla fine, arrivarono davanti a una casa, lontano, lontano, in mezzo alla Landa. C’era sul davanti della casa un prato tutto tappezzato di una bella erba verde. Il gallo, la cicogna e il montone si misero a pascolare.

– Oh, a me, disse il gatto, non piace. Nessuno mi ha imparato a pascolare. E entrò nella casa: non c’era nessuno dentro: Andò al salatoio e ne uscì con un bel pezzo di lardo.

Come la notte cadeva, queste quattro bestie, una volta bene sazie, si rifugiarono nella casa per passarci la notte al riparo. Ma presto, sentirono gli urli di una muta di lupi che arrivavano verso la casa al gran galoppo.

– Oh! Disse il gatto, siamo nella casa dei lupi. Ci vuole sbarazzarsi di queste cattive bestiole…Spegniamo la candela, e non diciamo più niente. Tu, gallo, appollaiati su questa mensola davanti alla porta. Tu, cicogna, accoccolati all’angolo del lavandino. Tu, montone, cacciati sotto la tavola. Quanto a me, mi nascondo nelle ceneri del focolare.

I lupi avevano visto da lontano la luce nella casa: non osavano entrare senza sapere chi era dentro.

 Ci entro il primo, disse l’uno di loro, per vedere se non c’è pericolo poi vi chiamerò.

Questo lupo aprì la porta, e ascoltò: non sentì niente. Si inoltrò allora dentro, piano piano. L’oscurità era totale, ed egli brancolava nel buio. Volle avvicinarsi alla tavola per prendere la candela: ma il montone passò dietro di lui, e gli diede tre grandi testate nel sedere, così forte che lo fece cadere sul naso. Il lupo si rialzò e andò verso il focolare per accendere la candela ai tizzoni: il gatto gli saltò alle narici e con le grinfie gli strappò tutto il pelo con un pezzo della pelle del muso.  Il lupo si voltò verso il lavandino: la cicogna lo aspettava e gli cavò un occhio con un colpo di becco.

Il povero lupo, spaventato, massacrato di botte, graffiato e accecato, si salvò fuori senza chiedere il suo conto. Come egli varcava la soglia della porta, il gallo si mise a cantare.

– Chicchirichì!  chicchirichì!  chicchirichì

Il lupo corse verso il posto dove aveva lasciato gli altri.

– Amici, non tornate in questa casa! Non ci si respira un buona aria per noi. Mentre stavo cercando la candela sulla tavola, un fabbro mi ha dato tre grandi colpi di mazza nel sedere: mi ha fatto schiacciare il naso a terra. Ho voluto avvicinarmi del focolare: là, un cardatore mi ha pettinato il muso con il pettine del lino. Accanto al lavandino, c’era un calzolaio che mi ha strappato l’occhio con il suo punteruolo. Andateci a vedere se volete essere trattati come lo sono stato; per quanto mi guarda, non ho nessuna voglia di tornarci.

Sentendo questo, i lupi presi dalla paura, scapparono fino al fondo della Landa, come se avessero avuto il diavolo a ridosso.

Non tornarono mai più nella loro casa; e il gatto, il gallo, la cicogna e il montone ci rimasero, felici e in pace, buoni amici, e ci morirono di vecchiaia.

Fiaba tradizionale delle Lande di Guascogna.  

Mentre sto morendo…

Giaccio su un letto improvvisato in salotto. Il gatto si è sistemato da giorni su una copertina ai miei piedi e non vuole più né uscire né mangiare. Mi preoccupa questo fottuto gatto. Non posso parlare tanto i miei polmoni mi bruciano e tanto ho passato gli ultimi giorni a vomitare acqua e sangue. Quindi mi sono messo a comunicare telepaticamente con il gatto. Tento di ragionarlo. Cosa farai gatto quando sarò morto? Spero non sia uno di questi fottuti gatti che si lascia morire di crepacuore! Non vuoi fare il tuo mestiere di gatto e andare a cacciare i corvi che vedo, dalla finestra, invadere il giardino? Lui guarda fuori e mi risponde telepaticamente che non ci sono corvi, che sto delirando a causa della febbre. Tu credi, gatto? Allungo la mano per la centesima volta della giornata verso il tavolino e prendo il termometro elettronico a forma di pistola e lo punto verso il mio fronte. Chiudo gli occhi e premo il grilletto. Una raffica di bip affollata mi succhiella le orecchie, guardo lo schermo che indica lo stesso 41 gradi di dieci minuti fa. A me sembra comunque che la febbre sia un po’ calata, no? Cretino! mi risponde telepaticamente il gatto. Tremo dal freddo nonostante le copertine e il riscaldamento spinto al massimo e faccio notare al gatto che la bolletta del gas invece mi farà veramente sudare quando la riceverò in primavera. Ma lui adesso tiene il broncio e non mi risponde più. Tento di leggere un po’ ma è uno sforzo troppo importante per me e, dopo dieci righe, sento la mia testa presa in una morsa e devo prendere un nuovo antidolorifico. Sonnecchio e quando mi risveglio, prendo di nuovo la mia fottuta temperatura che non varia mai. E se guardiamo un po’ la televisione per farci compagnia, gatto? Ma non puoi stare un po’ tranquillo! esclama telepaticamente il gatto. Accendo la televisione e, sullo schermo, vedo un tizio di 105 anni che tenta di battere il record ciclista dell’ora dei più di 105 anni!!! Gatto, dico telepaticamente, Altro che corvi, ora vedo un centenario che si crede Francesco Moser! Il gatto, intrigato, si mette anche lui a guardare lo schermo e lui mi dice che non è un delirio, che la cosa sta succedendo per davvero; assistiamo all’exploit e vediamo anche il vecchio lamentarsi perché avrebbe potuto fare meglio se lui avesse visto che mancavano gli ultimi dieci minuti. Fottuto vecchio. Lui tutto arzillo a 105 anni e io che sono ancora bambino nei suoi confronti e che sto crepando con un fottuto gatto per tutta compagnia. Non è giusto. È la genetica, dice il gatto, lui ha una genetica fuori dal comune; tu, hai la stessa genetica di Marguerite Gautier. Vuoi vedere se sono la Gautier? Scommetto che sono capace di andare fino alla porta d’ingresso e tornare in un lampo. Appena, mi alzo che mi accorgo che ho fatto lo spaccone e dopo due passi la testa mi gira atrocemente. Il gatto mi accompagna, ma sento bene che già andare fino alla porta e sopra le mie forze. Il ritorno è terribile e devo fare una pausa nel bagno per sputare la metà dei miei polmoni nel cesso. Finalmente, chissà come, riesco a raggiungere il letto improvvisato. Hai visto, gatto? Altro che l’exploit del vecchietto, che io sono riuscito a percorrere venti metri senza polmoni. Brava Maggie! scherza telepaticamente il gatto. Poi, mi addormento e fa notte quando lei mi risveglia e mi dà un po’ di brodo. Oggi, racconto, sono riuscito a parlare con il gatto, ma sai che lui ha letto Alexandre Dumas! Stai tranquillo, lei dice, è solo la febbre. Poi, mia madre mi telefona: Hai visto il vecchio in bici? E tu che resti a casa a fare il malato immaginario per un po’ di polmonite! È genetico, mamma. Secondo il gatto, ho la stessa genetica delle protagoniste dei romanzi del XIX secolo, quelle che si spengono come le candele! Mi dici che parli con il gatto? Forse è tempo di chiamare l’ospedale psichiatrico, non pensi? Guardo il gatto sdraiato ai miei piedi e lui si volta per farmi un occhiolino. Sono in inferno.

Parigi: Seguendo un gatto flaubertiano e scherzoso nel cimitero dei vanitosi!

In questa quarta parte del mio soggiorno a Parigi, c’è un lessico:

Bidassoa: fiume della regione Aquitania sul confine tra la Spagna e la Francia. Sulla sponda Nord, la città francese di Hendaye, sulla sponda Sud, la città spagnola di Hondarribia (Fontarrabie in francese).

Drôlement: avverbio francese che significa “molto, assai, parecchio e che l’autore di questo blog usa in modo buffo ogni quattro parole.

Hondaribbia: città spagnola conosciuta da tutti i bordolesi che ci vanno il weekend per comprare sigarette, alcol, formaggi…ecc. Andate al supermercato Alcampo di Hondaribbia e ci troverete solo gente di Bordeaux.

M’as-tu-vu: espressione francese di mia nonna per designare un pavone, una persona vanitosa…ecc. Letteralmente: Mi hai visto.

Mistigri: gatto in francese.

Pinard: modo peggiorativo ma simpatico per dire vino in francese, deriva dalla parola Pineau, credo. Non è negativo: Mouton-Rothschild è un buon pinard.

Merlot: vitigno vanitoso che sta conquistando il mondo perché non è sensibile alle malattie come il delicato Cabernet-Sauvignon. Esistono persone snob che usano addirittura “merlot” per dire “vino.”

Guardarsi in cane di maiolica (Se regarder en chien de faïence in francese): significa guardarsi in modo ostile e silenzioso.

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Il bel tempo è tornato e l’affittacamere mi suggerisce di fare un giro al cimitero del Père Lachaise. Appena cinque minuti da casa. Tutto diritto. Basta imboccare la via della Bidassoa per qualche centinaia di metri e lei è arrivato. Lei mi vede esitare: cosa c’è ancora? A lei non piacciono i cimiteri? Ancora una delle sue misteriose superstizioni bordolesi?  Drôlement che mi piacciono i cimiteri, rispondo, sono stato allevato da due streghe del Médoc, è solo che temo di essere colpito da un diluvio via della Bidassoa. Lei conosce il clima dei Paesi Baschi? Piove drôlement! Una volta ho trascorso una settimana a Hondarribia e pioveva tanto che sono rimasto sette giorni senza vedere né l’Oceano né i Pirenei! E, secondo me, i parigini non avrebbero dato questo nome alla via senza una ragione, no? Lei ride e tenta di rassicurarmi che non c’è un microclima basco in via della Bidassoa, che siamo a Parigi, che un tizio di Bordeaux avrà sicuramente la pioggia nel suo dna e che comunque il bollettino meteo annuncia solo una tempesta di cielo blu. Ovviamente, credulone come sono, parto all’avventura senza ombrello e arrivo alle porte del cimitero, bagnato fino agli slip e le scarpe da buttare. Maledetta affittacamere! Fortunatamente, ha smesso di piovere e non sono più solo a passeggiare nel vecchio cimitero. I turisti ed i gatti si sono messi a spuntare come i gallinacci dopo una pioggia di giugno nel Paese Mezzo Morto. Io non ho una mappa o un’applicazione smartphone per indicarmi le tombe dei m’as-tu-vu che sono stati seppelliti nel cimitero. E poi non mi interessa troppo di seguire una mappa, di fare il percorso che fanno tutti gli altri visitatori. Non mi interessano le tombe delle vecchie principesse russe, degli scrittori, dei musicisti, dei generali delle guerre napoleoniche. Io, come tutti i membri della mia famiglia, sono un lettore di epitaffi e, come sono stato allevato da due streghe del Médoc, so che devo trovarmi un gatto che mi servirà di guida per scovare i più sinceri, i più bei, i più commoventi che non si trovano mai presso le tombe più maestose perché i vanitosi hanno un debole per le parole altisonante. Il gatto mi guarda, un vecchio mistigri parigino che ha dovuto essere di colore rosso in una vita precedente. Mi piace drôlemente questo gatto e decido di chiamarlo Flaubert. Questo gatto è sicuramente un lettore diligente di Flaubert oppure la reincarnazione dello scrittore. Mi piace il suo atteggiamento, il suo modo di passare sprezzantemente davanti alle tombe più sontuose senza buttarci  nemmeno uno sguardo. Osservo l’attitudine del gatto e mi torna in mente quello che ha scritto Flaubert quando il tizio ha visitato il cimitero di Bordeaux che assomiglia drôlement al Père Lachaise:

“Qui la vanità ha fatto ricorso alla sciocchezza che l’ha ben assecondata. Piramidi di granito sono ammucchiate sui bottegai,  sarcofagi di marmo sugli armatori; nel giorno del giudizio coloro che hanno più pietre addosso forse non saranno i più lesti a salire in cielo, carichi come saranno del peso del loro orgoglio” (Flaubert in Viaggio nei Pirenei).

Il gatto mi guida attraverso le tombe dei m’as-tu-vu senza mai lasciarsi avvicinare. Lo perdo, slitto sui sampietrini bagnati, metto i piedi in tutte le pozzanghere del cimitero, ma riesco a seguirlo chissà come (in realtà, il gatto sta giocando con me). Ad un momento penso raggiungerlo, ma il gatto si infila dietro una tomba in forma di cappella gotica e sparisce. È la fine della nostra collaborazione e so che devo cercare i miei epitaffi in questo angolo del cimitero. Alzo gli occhi per leggere il cognome inciso sulla tomba…

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E leggo: Famiglia Pinard. Possibile che il gatto Flaubert mi abbia portato qui, non per gli epitaffi, ma solo per fare uno scherzo ad un abitante di Bordeaux? Mi viene un dubbio e senza pensarci volto le spalle per guardare la tomba di fronte…

 

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Famiglia Merlot! Scoppio dal ridere davanti a questo scherzo oppure a questa coincidenza del destino. Immagino già la testa dell’affittacamere quando lei mi chiederà della mia visita al cimitero: Allora, lei cosa ha visto? Qualcosa legato al vino. Un gatto mi ha mostrato la tomba della famiglia Pinard che guarda in cane di maiolica quella della famiglia Merlot ed è drôlement drôle!

Vita e morte di un gatto bordolese.

La prima parte è stata scritta lunedì e l’ultimo paragrafo stasera. I termini tra virgolette appartengono al gergo che uso in famiglia.

Il “gat” ha un altro nome, ma io l’ho sempre chiamato “Gian Coglione” che è un termine bordolese affettuoso per designare qualcuno (spesso un bambino) di un po’ stupido, ma che in fondo amiamo bene; è poi nella mia famiglia diamo sempre dei  nomignoli ridicoli alle bestiole. Lo scrittore Jules Renard diceva che “l’ideale della calma è in un gatto seduto.” Il vecchio “gat” è seduto sulla scrivania e mi guarda con calma. Non si direbbe che, cinque minuti fa, lottavo con lui per tentare di amministragli il trattamento che gli ha dato il veterinario. Sotto gli occhi  del “gat” seduto, ritrovo la mia calma. Non penso più ai morsi, ai graffi sulle mani e ai trecento euro che ho dovuto lasciare al veterinario. Rivedo il “gat” dodici anni prima e che aveva già tre anni quando mia zia fu costretta ad adottarlo. Era un gatto da appartamento che viveva con i fratelli da una ragazza nel centro di Bordeaux. Poi, la ragazza ha dovuto trasferirsi negli Stati Uniti per ragioni professionali e lei era riuscita a piazzare gli altri gatti tranne il “Gian Coglione” che campava dalla madre della ragazza e che aveva una passione esclusiva per i cani. Pensate un po’ alla vita di questo gatto in mezzo ad una muta di Cavalier King Charles! Quindi la signora che sa che mia madre è una “gatounayre” (una gattara) le ha proposto il “gat”. Cosa ha fatto mia madre che non poteva accogliere un gatto in più a casa sua? Non indovinerete mai anche se doveste vivere mille anni! tipico di mia madre! La tizia è andata a trovare sua sorella che era in ospedale per un intervento qualsiasi e mentre la poverina era in sala risveglio, ancora sotto l’effetto dell’anestesia, le ha chiesto: “non ti piacerebbe un gatto?” Secondo mia madre, sua sorella avrebbe detto di sì, mentre la sorella ha sempre negato visto che lei era addormentata e che, comunque, lei ha sempre odiato i gatti…

Quindi il “gat” ha lasciato Bordeaux e la civiltà per andare a vivere con mia zia alla fine del Mondo, tutto al Nord della penisola del Médoc dove l’estuario sfocia nell’Oceano Atlantico. Il “gat” è diventato selvatico quanto la gente del Médoc. Si dice che cacciava i palombi in autunno nella “lède” (la foresta dunaria a ridosso dell’oceano), che pescava le spigole in estate nell’oceano. Si dice mille cose mitologiche su questo “gat” nella mia famiglia. Questo “gat” è anche telepatico, un talento davvero particolare che ho potuto notare quando il “gat” è venuto a vivere a casa mia. Se vedete il “gat” seduto ad un certo posto, siete sicuri che vedrete mia zia arrivare in macchina nei dieci minuti seguenti. Mi ricordo anche che il “gat” ha fatto la guerra per anni ad un gatto da razza che apparteneva ad un barone del vino e ogni volta che il “gat” mandava l’altro, l’aristocratico, dal veterinario, mia zia non poteva nascondere un sorriso di vittoria. In inverno, talvolta, chiamavo mia madre perché ero preoccupato dal “gat”. Chissà che fine avrà fatto il “gat” della zia, mi lamentavo, adesso che piove da giorni sul golfo di Biscaglia. Cretino! rispondeva mia madre, il “gat” è sdraiato sulle ginocchia della zia mentre lei legge davanti al camino e i martin pescatori sono tornati nel giardino….

Così il gat ha vissuto questa vita alla Huckleberry Finn per dieci anni. Poi, due anni fa, la zia è tornata alla civiltà perché non si può vivere per sempre al Nord del Mondo e la zia mi ha affidato il “gat” perché la bestiola non avrebbe sopravvissuta nemmeno un giorno a Bordeaux. Il primo giorno, il “gat” è scomparso e pensavo che fosse tornato al Nord del Mondo, poi l’indomani mattina, ho trovato il “gat” seduto davanti alla porta con un uccello tra i fauci e durante un anno intero, ogni mattina, il “gat” mi ha fatto questo tipo di regalo. Non tanto sorprendente, vi direi, perché mia zia non ama gli animali pigri che non hanno un mestiere, è il “gat” faceva il cacciatore. Poi il gatto si è stancato di questa vita sportiva ed è diventato casalingo preferendo il conforto della casa. Faceva arrabbiare la zia di vedere il gatto così. Cosa vuoi, zia, è il “vieillou” (la vecchiaia); il “gat” non può continuare a fare il cretino fuori a quindici anni. Mangia ancora qualche ostrica la domenica? chiedeva la zia. No, invece, ho scoperto che il “gat” adora il panettone. Allora, sei tu che lo rende pigro, mi rimproverava la zia…

Da qualche giorno, il “gat” non mangiava più. L’ho portato dal veterinario che gli ha estratto due denti brutti. Un’ecografia ha messo in evidenza un tumore al fegato e il veterinario gli ha tolto il liquido che riempiva l’organo. Oggi, sono tornato dal veterinario perché il trattamento non funziona e non volevo fare soffrire il “gat” un giorno di più. E’ la fine, ha detto il tizio, non erano i denti che lo impedivano di mangiare, ma il tumore che è stato folgorante. Ho chiamato la zia. Arrivo subito, lei ha detto singhiozzando. Il “gat” ha raddrizzato le orecchie e, con le sue ultime forze, ha saltato dal tavolo e ha camminato fino alla porta, poi si è seduto. Pazienza dottore, ho detto, il “gat” sta aspettando qualcuno prima il suo ultimo viaggio…

Bordeaux: La città dove i gatti preferiscono la birra cambogiana al vino!

Per capire il titolo del post, dovete cliccare le immagini per leggere la storia di questo gatto bordolese particolare secondo la sua padrone. Ma non vi accontate delle immagini, leggete il mio testo sotto altrimenti perderete un piccolo pezzo di storia bordolese che ho tentato di trasmettere con questo racconto.

C’è una prima parte a questo post che potete leggere qui. Diciamo che avevo scritto il post l’anno scorso dopo il mio soggiorno a Parigi dove mi ero gravemente ammalato e dove mi ero anche emozionato scoprendo quattro capolavori della maiolica bordolese al Petit Palais. Appena sono potuto tornare a Bordeaux, mi sono recato nel mio caro vecchio quartiere portuale di Bacalan sulle tracce di questa famosa manifattura di maiolica dei fratelli Vieillard e che ha prodotto, in particolare, quei piatti di maiolica ispirati dalla Manga di Hokusaï e che sono ancora oggi ricercati dagli antiquari del mondo intero. Poi, non ho pubblicato il post perché la passeggiata mi ha in qualche modo spazzato il cuore e ci ho rinunciato, ma oggi mi sento di proporre il post. Certo, non è una passeggiata nel centro storico di Bordeaux patrimonio mondiale dell’Unesco, semplicemente una passeggiata nel quartiere della mia infanzia in cui tutto un vecchio mondo tipicamente bordolese sta scomparendo e  lascerà, dopo la completa ristrutturazione del quartiere, il posto ad una nuova popolazione più ricca e sofisticata; già il nome del quartiere è cambiato e non si dice più Bacalan, ma Bordeaux maritime, non si dice più i bacini fluviali, ma la Marina…ecc…

Non è che sono amaro ed è normale che una città che esiste da più di 2500 anni sia sempre in mutamento. Quello che non capisco è che tutti i sindaci che si succedono da un secolo a Bordeaux hanno per solo ambizione di lasciare alla posterità un nuovo quartiere ancora più brutto, se fosse possibile, di quello che ha fatto edificare il suo predecessore. E poi, per realizzare questa strana ambizione, i sindaci hanno sviluppato una fissazione: fare di Bordeaux una Metropoli di un milione di abitanti; è la ragione per cui, nonostante la crisi economica che colpisce la gente, vedete tutti questi cantieri edili a Bordeaux. Per il momento, Bordeaux conta appena 400.000 abitanti e 700.000 se contiamo le 27 agglomerazioni urbane che fanno parte della Metropoli bordolese. La cosa davvero divertente è che il numero di abitanti rimane abbastanza stabile, anno dopo anno, cioè che il bordolese non è particolarmente di tipo coniglio…Ma torniamo alla storia della nostra manifattura di maiolica situata apposto “rue de la Faïencerie” (via della Maiolica) a Bacalan.

Per una strana coincidenza – ma non si dice che la storia è un eterno ricominciamento – la situazione economica di Bordeaux oggi ed i mutamenti della città sono abbastanza paragonabili a quelli della fine del XVIII secolo, non così drammatici però. Alla fine del XVIII secolo, la città di Bordeaux è tra le più ricche di Francia, il suo porto è il secondo porto al mondo dopo quello di Londra…eppure la popolazione di Bordeaux crepa di fame. Per quanto riguarda il quartiere di Bacalan a Nord di Bordeaux non è un quartiere urbanizzato, è una campagna che prolunga gli Chartrons, il quartiere dei negozianti in vino; una campagna piantata da qualche vigneto e dove la gente vive di pesca ai gamberetti perché a Bacalan cominciava quello che si chiamava le grandi paludi bordolesi. Poi succede qualcosa di abbastanza frequente in un estuario: tutta la zona sud (dove oggi c’è la stazione Saint-Jean) in riva al fiume e dove erano le attività industriali ed i cantieri navali di Bordeaux si ritrova completamente infangata dalle alluvioni della Garonna e tutte le aziende devono sgomberare più a valle e così che nasce il quartiere operaio e portuale di Bacalan. Scrivevo che il popolo di Bordeaux crepava di fame in una città traboccando di ricchezze e tanto vero che, prima la Rivoluzione francese, durante l’anno 1773 ci sono già delle sommosse della fame. Può sembrare un paradosso ma è facilmente spiegabile: tutti i generi alimentari prodotti nelle campagne di Bordeaux venivano esportati verso le colonie francesi per arricchire alcuni speculatori e armatori. La situazione è talmente grave che i fratelli Teynac, tre fratelli bordolesi che hanno fatto fortuna nelle Indie, decidono nel 1779 di edificare un immenso mulino da 24 ruote capace di produrre, grazie alle maree della Garonna, 1000 quintali di grano al giorno per nutrire la gente di Bordeaux. Un progetto faraonico chiamato i “mulini degli Chartrons” A cosa assomigliavano quei mulini degli Chartrons? Immaginate un immenso ponte-canale perché i fratelli hanno fatto scavare addirittura un gigantesco canale che passa sotto i mulini per fare ruotare le 24 mole con le acque della Garonna. E questo mulino si trovava in questo nuovo quartiere industriale di Bacalan dove stiamo passeggiando, tra la “rue de la Faiencerie” e la “rue Lucien Faure” dove è stato costruito di recente il ponte levatoio. Il mulino ha funzionato solo 4 anni, tra l’anno 1788 e l’anno 1792. Avete indovinato perché? Perché nessuno ha pensato a costruire il mulino su uno degli innumerevoli estey (così si chiama in bordolese i fiumi sottomessi alle maree dell’estuario della Gironda) di Bordeaux e il  canale è completamente intasato dalle alluvioni dopo solo 3 anni. La faccio breve perché quei mulini degli Chartrons hanno tutto un destino. Nel 1834, il negoziante David Johnston compra i mulini per sistemarci la sua manifattura di maiolica e sopprime tutte le installazioni molitorie.  Nel 1838, David Johnston diventa sindaco di Bordeaux e nel 1842 vende la manifattura ai suoi soci: i fratelli Vieillard. Notate che David Johnston ed i fratelli Vieillard non erano solo dei geni della maiolica, ma anche quello che si chiamava allora dei “padroni sociali o utopisti” cioè che gli operai prendevano dei buoni stipendi, c’era tutto un sistema di previdenza sociale e pensionistico, scuole e asili nidi per i bambini degli operai…ecc…Dal 1852 fino al 1895, durante  l’età d’oro della maiolica a Bordeaux, la manifattura Vieillard impiegava più di 800 operai…poi la manifattura è chiusa alla morte dei figli Vieillard ed è distrutta. E di questa pezzo di storia bordolese resta questo muro laterale, il nome della via….e tanti piatti di maiolica che fanno ancora oggi la gioia dei collezionisti…