Médoc: In cui l’autore raccoglie e trapianta qualche testicolo di prete!

Il primo testicolo di prete del mio giardino.

 In aprile, i prati, i fossi, i margini dei boschi si macchiano di porporino. Ovunque nel Médoc, fioriscono i bellissimi orchis mascula che sono le orchidee più precoci in primavera. Orchis se dovessi usare un eufemismo è un’allusione alla forma ovoide dei tuberi. Mascula significa che la pianta è assai “rigogliosa”. Una volta, in francese, la lingua era più schietta è Orchis mascula si chiamava addirittura cogli….Va bene, uso di un nuovo eufemismo: testicolo di prete. E non ci vuole troppo di immaginazione per capire il perché. Dietro casa mia, in un prato dove pullulano gli orchis mascula, stanno costruendo una casa e, l’anno scorso, in aprile, sono andato a prelevare qualche orchis per tentare di salvare qualche pianta prima l’inizio del cantiere. Non ci credevo molto perché si dice che è una cosa quasi impossibile di trapiantare delle orchidee selvatiche. E invece, qualche giorno fa, mi è fiorita la mia prima orchidea in giardino. Non vi dico la soddisfazione. Ne sono ancora tutto commosso anche se il mio testicolo di prete puzza di piscia di gatto! 🙂 🙂 🙂

In cui l’autore di questo blog si innamora nel giardino di Claude Monet!

Non ridete, ma mi sono innamorato dei papaveri orientali del giardino di Claude Monet a Giverny. Conoscevo ovviamente i papaveri comuni che chiamiamo coquelicot in francese, ma i papaveri orientali non li avevo mai incontrati prima di questa visita nel giardino di Monet. Forse ne avevo sentito parlare e ancora non ne sono sicuro, ma una cosa è certa: i papaveri orientali sono completamente sconosciuti nel paese dove vivo. Come dire. Sono rimasto sbalordito davanti a quei fiori. Pensavo che fossero dei papaveri dopati, di quelli che si sarebbero presi qualche ormone, degli americani in qualche modo. Mi sono innamorato subito di questi papaveri che hanno dei fiori grandi e belli da eclissare addirittura le peonie e altri iris del giardino di Monet, di queste varie tonalità che vanno dal rosso il più scuro fino al rosa il più tenero, di questi fogliami di un bel verde cupo. Non vedevo più niente che questi papaveri. Completamente soggiogato il tizio di Bordeaux! Dopo un tempo, sono andato a chiedere delle informazioni presso un giardiniere perché non ne potevo più di ammirare questi fiori senza sapere niente di essi. Il giardiniere si è messo a sorridere davanti alla mia ignoranza e alle mie domande. Non per prendermi in giro, notate; ma perché è qualcosa che gli succede ogni tanto, che un visitatore gli faccia delle domande a proposito dei papaveri orientali. E lui di spiegarmi che quei papaveri perenni sono poco conosciuti in Francia e che sono stato fortunato di venire a Giverny durante la stagione in cui fioriscono altrimenti non li avrei nemmeno notati. Ma io, già tutto innamorato di quei papaveri orientali, cosa mi interessava di più in questa discussione. Una sola cosa. Sapere se potessi coltivarli a Bordeaux! E lui di dirmi che non dovrebbe essere difficile, che essi sono facili da coltivare ovunque. La cosa da fare sarebbe di comprare delle piantine su un mercato la prossima primavera…Io mi sento quasi disperato da questa notizia. Pensate, aspettare un anno! Poi come faccio a procurarmi le piantine visto che, dove vivo, non sanno probabilmente niente di quei bellissimi papaveri orientali. Lui ride vedendo la mia faccia. Mi lascia finire. Altrimenti lei si compra una bustina di semi e basta seminare tra giugno e luglio, un po’ all’ombra, in piccoli solchi separati da 20 centimetri per facilitare il diradamento delle piantine a 10 centimetri tra esse. Poi, se lei vuole trasferire le piantine in altre aiuole, l’operazione si fa in settembre-ottobre o in febbraio-marzo. L’importante è di lasciare almeno un intervallo di 30 centimetri tra le piantine. L’anno prossimo, lei avrà dei papaveri orientali nel suo giardino. Questo giardiniere è tanto simpatico che lui mi dà anche le varietà più interessanti e più belle da coltivare che sono Princesse Louise, Bonfire, Perry White e Corinna. E anche se ho una buona memoria, mi scrivo tutto su una carta. Dunque di ritorno a Bordeaux, mi metto a cercare una bustina di semi di papaveri orientali. E finalmente riesco a mettere la mano su una presso il mio vivaista. All’inizio lui non sapeva nemmeno di cosa stavo parlando con la mia storia di papaveri orientali. Lui ha telefonato a un amico che ha telefonato a un amico…e, dopo una settimana, il tizio mi ha telefonato per dirmi che era riuscito a procurarsi una bustina. E lei deve dimenticare tutte le varietà esotiche citate perché sono semi di papaveri orientali di colore rosso. E niente altro. Ieri, mi sono preparato il terreno, ho seminato, ho annaffiato e non ne posso già più di aspettare i primi germogli…

Uno scatto qualunque a Giverny.

A Giverny hanno anche loro una chiesa Santa Radegonda come abbiamo noi, abitanti dell’estuario della Gironda. Mentre il cimitero della nostra chiesa Santa Radegonda è tutto fiorito e ridente quanto il giardino di Claude Monet a Giverny, il cimitero della loro chiesa Santa Radegonda a Giverny è di una tristezza assoluta. Quasi da sembrare abbandonato. Il cimitero è dietro la chiesa e ci vuole salire un cammino tutto scassato e, a mezzo cammino, sulla destra c’è la tomba della famiglia Monet. Lei mi sta raccontando di Camille, la prima moglie di Claude Monet, che è raffigurata in tanti dipinti di Monet e come la seconda moglie di Monet, Alice Hoschedé, chiese al marito di distruggere tutti gli scatti che lui aveva di Camille e tutta la loro corrispondenza. Poi, lei mi fa notare quattro poveri papaveri che fioriscono sul cammino davanti alla tomba di Monet e altri che crescono anche nelle crepe dei muri della chiesa. Lei sorride e dice che la povera Alice deve rivoltarsi nella tomba alla vista dei papaveri. Ed è vero, sto pensando, che i papaveri evocano insanabilmente l’immagine di Camille che è questa donna che sta passeggiando in mezzo ai papaveri nei dipinti di Monet. Così Camille è un po’ con Monet e i figli, dico. E poi anche per Alice la fioritura di quei quattro papaveri deve essere la cosa più aspettata e più incantevole del mondo, se pensi che loro sono seppelliti in quel luogo assolutamente lugubre che è allietato solo dal rosso di quei quattro poveri papaveri durante la bella stagione. Lei sorride di nuovo e mi dice che non trascurano abbastanza il cimitero e che dovrebbero l’abbandonare completamente, così in qualche anno il luogo sarebbe sommerso dai papaveri. Sai come i papaveri sono invasivi. So che lei mi punzecchia perché fa anni che tento di coltivare dei papaveri e si piacciono dappertutto tranne nel mio giardino. Ma comunque trovo bella la sua idea di un cimitero impressionista. Scendiamo il brutto cammino per raggiungere la strada e lei si mette a cantare una canzone francese di una volta. Gentil coquelicot, Mesdames. Gentil coquelicot nouveau. Due bordolesi pazzi a Giverny.

Alex nel giardino di Claude Monet a Giverny. Prima parte.

Oltre alla bellezza del giardino di Claude Monet, dopo appena cinque minuti passati tra le aiuole del giardino, ti viene una certezza assoluta, non è solo il giardino di Claude Monet, ma anche il giardino di un manicomio a cielo aperto. Nel giardino, ci sono donne francesi inchinate sopra un’aiuola e che stanno ammirando delle piante che hanno dei fiori di colore viola. Loro si chiedono che potrebbero essere queste bellissime piante e l’una di dire che sono probabilmente alcune piante esotiche o giapponesi. Mia madre che è della campagna e che ha sentito la conversazione, non può impedirsi di mettere il suo grano di sale come diciamo in francese cioè di dire la sua. Sono degli agli, signore! E le donne di meravigliarsi perché non hanno mai sentito parlare di piante che hanno un nome così strano. Mia madre è sotto shock e devo prenderla dal gomito per allontanarla e tentare di spiegarle una cosa non semplice cioè che lei è probabilmente l’unica in Francia a usare aglio al plurale e soprattutto a usare questo plurale e che le donne hanno capito che lei diceva ossa. (il plurale francese di ail (aglio) di solito è ails (agli), ma può essere anche aulx (agli) in un francese sostenuto; aulx è omofono di os (ossa). Aulx e os si pronunciano semplicemente o aperta). Va bene, sospira mia madre, le cretine non hanno mai visto dell’aglio, non conoscono il loro plurale e, secondo te, è colpa mia! Mamma, sia meno letteraria quando parli con la gente; è tutto quello che ti chiedo!

 

Il viaggio a Giverny.

 

La coda davanti alla casa di Claude Monet a Giverny.

Da Parigi per andare a visitare la casa e soprattutto il giardino di Claude Monet a Giverny, non è affatto complicato. Basta recarsi alla stazione di Saint-Lazare e al primo piano c’è tutto un immenso spazio dedicato solo alla vendita dei biglietti per Giverny. Una volta preso il biglietto grande linea Parigi-Rouen e più leggeri di cinquanta euro (per due, andata e ritorno) siamo pronti per l’avventura. Tanta gente che va a Giverny che non è proprio credibile: cinesi, coreani, giapponesi, americani, inglesi, spagnoli. Gli italiani no. Non sento parlare italiano quindi ne deduco che loro preferiscono restare a Parigi, al fresco, a visitare Notre Dame o il Sacré Coeur che sono attività che costano niente e li capisco. Ci sono anche escursionisti francesi, tutto un gruppo, vestiti e attrezzati come per fare un trekking nell’himalaya. Sono le otto della mattina, fa già 25 gradi e sudo solo a guardarli o forse per gli euro già spesi e che sospetto di non essere gli ultimi della giornata. Il viaggio nel treno affollato dura appena quarantacinque minuti. Non so cosa mi ero immaginato in un treno Parigi-Rouen. Sicuramente qualcosa che assomiglia alle immagini di Epinal con un treno che fila lungo la Senna attraverso prati pieni di mucche, frutteti che crollano sotto i meli in fiore, stupende case a traliccio, profumo di sidro che penetra nel treno dai finestrini. E, invece di campagna normanna idealizzata, non lasciamo mai un paesaggio di periferia parigina fino a Mantes-la-Jolie dove scendono gli escursionisti francesi. Allora loro non vanno a Giverny? Ma a scalare i grattacieli di periferia! Nel treno, accanto a me, c’è una giovane studentessa inglese che mi è simpatica subito perché lei sta leggendo una vecchia edizione tascabile di Even cowgirls get the blues di Tim Robbins. Ci mettiamo naturalmente a discutere a proposito del libro che è un classico anche in francese, di Tim Robbins, di Claude Monet, di cosa ci aspettiamo a scoprire a Giverny. Tre esseri umani normali in mezzo a un’orda di zombie gli occhi fissati sui loro smartphone. Quando scendiamo dal treno a Vernon, notiamo che ci sono dei passi designati sul marciapiede che indicano il cammino che dobbiamo seguire, ma basta seguire la greggia asiatica che si dirige verso le navette per Giverny. Pensate un po’ che andare dalla stazione di Bordeaux all’aeroporto che è abbastanza lontano, vi costa un po’ più di un euro con la corriera. E là in questo paesello sperduto di Vernon, per fare meno di cinque chilometri, devo sborsare venti euro per due biglietti (andata e ritorno). È uno scherzo? chiedo all’autista. Niente scherzo mi risponde l’autista, prendiamo anche la carta di credito. Va bene, sospiro, abbiamo sborsato già settanta euro e non abbiamo ancora visto nemmeno un papavero. Davanti alla casa di Claude Monet c’è una coda inverosimile e meno male che siamo arrivati presto. Dobbiamo aspettare più di un’ora sotto la morsa del sole prima di raggiungere lo sportello. E là, mi succede una cosa incredibile, che vale nel fondo anche tutto questo viaggio a Giverny, perché ne stiamo ancora ridendo più di una settimana dopo il nostro ritorno a Bordeaux. Dunque prendo due biglietti e cosa mi dice l’addetta allo sportello, probabilmente per le sue statistiche, penso. Where do yo come from? Lei mi chiede in inglese con un fottuto accento guascone da dove vengo!!! Be’ di Bordeaux! rispondo un po’ stupito dal suo accento. Ma pensate che lei si ferma e si mette a parlarmi in francese? Ma no! E lei di rispondermi: Me too, I’m from Talence ! (una frazione di Bordeaux). Be’ allora, rispondo, perché lei mi parla in inglese che siamo della stessa città? Lei scoppia dal ridere e ci mettiamo a discutere in francese mentre nella coda la gente si mette a perdere pazienza. Quando le dico il nome del mio paesello nel Médoc. Lei mi dice che il suo zio ci abita e mi chiede se lo conosco. Eccome lo conosco! Tutti lo conosciamo, il tizio è conosciuto come il lupo bianco. Ridiamo di concerto. Ma io non  perdo comunque il nord e le dico: adesso che abbiamo scoperto che siamo quasi della stessa famiglia, lei non può farci uno sconto sul prezzo dei biglietti. E anche lei, in buona bordolese, non perde il nord e di rispondere sempre ridendo: Mi dispiace, non è possibile. Venti euro. 😉

Gironda: Incontro con uno scultore modenese in un giardino bordolese!

Come le alose e le lamprede che risalgono i fiumi bordolesi in primavera, vi invito a risalire con me la Garonna seguendo pigramente il corso del fiume lungo la vecchia strada provinciale che collega Bordeaux a Langon. Non vi porto a Sauternes, Sainte-Croix-du-Mont, Loupiac o Cadillac, ad assaggiare i nostri vini bianchi. Ma, a Podensac, una piccola cittadina nelle Graves, che è conosciuto nel mondo intero per il Lillet, il famoso aperitivo di Bordeaux. Perché Podensac? Non per il Lillet. In un precedente post, vi avevo fatto visitare nei Paesi Baschi, la stupenda casa dello scrittore Edmond Rostand che lui chiamava: la sua poesia di pietre e di verdure. E bene figuratevi che, a Podensac, c’è un’altra poesia di pietre e di verdure che potete visitare: il domaine de Chavat che è classificato “jardin remarquable” dal ministero della Cultura, il label più prestigioso per un giardino in Francia, credo. Non visitate lo château che stanno ancora ristrutturando, ma passeggiate nel parco che è diventato il giardino pubblico della cittadina di Podensac e che trabocca di opere dello scultore modenese Ernesto Gazzeri e non solo. La proprietà assomiglia molto a quella di Edmond Rostand a Cambo-les-Bains e potremmo essere addirittura nei Paesi Baschi o sulla costa atlantica e invece siamo in riva alla nostra cara e vecchia Garonna. Quando dico che la proprietà assomiglia a quella di Rostand, non parlo della casa o del giardino, ma dell’ambizione del proprietario di farne uno stravagante teatro di verdure e di sculture, una follia come diciamo in francese, una poesia di pietre e di verdure come diceva Rostand a proposito della sua villa di Arnaga. Come nasce il domaine de Chavat? Chavat era il nome di un modesta proprietà vitivinicola che esisteva già nel XVII secolo, una casetta con un piccolo vigneto. Niente di più. Poi, nel 1914, Chavat è comprato da François Thévenot che è un ricco imprenditore di lavori pubblici e che ha guadagnato una montagna di soldi costruendo delle dighe nei Pirenei. Dunque François Thévenot nel 1917 chiede ai migliori architetti di Francia di edificargli un sogno cioè uno château con uno splendido parco. Ma non solo un parco con le piante più esotiche che possano crescere a Podensac, ma anche un’incredibile terrazza a strapiombo della Garonna, delle grotte artificiali, delle fontane, un fiume che attraversa il giardino, un tempio d’amore, delle serre, le sculture dell’italiano Ernesto Gazzeri…ecc. La cosa più sorprendente in questo giardino è il castello d’acqua che alimenta il fiume e che è la prima opera realizzata da un giovane architetto svizzero, Edouard Jeanneret, di cui le opere sono mondialmente conosciute sotto il nome di Le Corbusier. La proprietà ha accolto per un tempo degli artisti e la più conosciuta è certamente la scrittrice Colette. Poi, negli anni 1930, François Thévenot perde tutto in seguito al crack della borsa americana e la proprietà è comprata dal comune che ne farà una casa di riposo per cinquanta anni. Poi il comune si è deciso, alcuni anni fa, di trasformare Chavat in un giardino pubblico e di ristrutturare tutta la proprietà che ha una superficie di sei ettari. I lavori non sono ancora finiti tanto il cantiere è colossale, ma comunque questo anno si festeggia i primi cent’anni di Chavat. Andateci! Non lo so. Visitate Sauternes o Barsac, poi compratevi qualcosa da mangiare e da bere e andate a fare un picnic a Chavat. Sotto i platani, in riva al fiume, un giorno di canicola. Poi, passate la giornata nel parco a passeggiare tra le statue di Gazzeri: i leoni, il mistero della vita, il soldato romano, Venere al bagno, Euterpe, Calliope, Minerva, il discobolo, la sirena…ecc. Francamente, non c’è niente di più tipico del  Sud-Ovest della Francia che di fare una cosa del genere! E se ve lo dice un bordolese…

 

 

 

Animali: Il ritorno del gatto diabolico!

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L’anno scorso, nel post: i maniaci della caccia alle lumache e il gatto che pratica il commensalismo, vi avevo raccontato come, in autunno, faccio dei mucchi di foglie e di legno sotto i siepi per permettere ai ricci, i miei piccoli commensali  che vivono nel mio giardino, di svernare tranquillamente. Da qualche giorno, ci divertiamo perché i tre primi cuccioli di riccio sono usciti da uno di quei mucchi di legno e, ogni giorno, le bestiole si avventurano un po’ più lontano dal nido; quasi a entrare in casa l’altro giorno! Il gatto diabolico, che conoscete già se seguite il blog, ormai si prende per una volpe e vorrebbe mandarsi giù le due galline che il vicino ha sistemato nel suo giardino. Quindi il gatto si è messo a campare nel giardino del vicino e sta cercando un mezzo di entrare nel piccolo pollaio. Mi rovina la salute questo atteggiamento del gatto diabolico e, ogni volta che qualcuno bussa alla porta o mi telefona, ho paura che sia il vicino per annunciarmi che, finalmente, il mio fottuto gatto ha fatto fuori le sue galline. Non vivo più. Non ridete, ma la prima cosa che faccio quando mi sveglio o quando torno a casa la sera, è di andare a vedere, attraverso i siepi, se le bestiole sono ancora viventi. Che angoscia! Lei tenta di rassicurarmi, che forse il gatto è innamorato delle galline perché sono delle cose che succedono. Io non ci credo perché mi ricordo ancora quando il gatto è stato accusato di attaccare le cicogne della riserva naturale. Che l’ho difeso sapendo che lui era colpevole. Come se questo fottuto gatto potesse aver un sentimento e pensare a un’altra cosa di quella di riempirsi la pancia. Si vedono solo su internet queste cose, mia povera! Una cosa che mi manda in bestia è che il gatto si è accorto che ci sistemiamo fuori prima la cena per osservare i cuccioli di riccio. Dunque lui, ogni sera, degna lasciare il suo posto nel giardino del vicino quando ci sente parlare. Vattene volpe! Torna alle tue galline che non voglio più vederti! Pensate come il gatto se ne frega di tutto quello che posso dirgli. Lui, tranquillamente, va ad annusare ogni piccolo riccio. Da’ un colpo di dente che ridiamo un po’ alle tue spese, gli dico (non troppo forte, penso, che non voglio spendere soldi dal veterinario!). Il gatto ci guarda e sembra dirci: è a quello che siete ridotti ora che sono più nel giardino, ad ammirare questa roba di niente. Siete patetici! Poi, lui si allontana, fiero come Artabano, verso l’altra parte del giardino, quella dove si trova le galline. Ma ci snobba questa cattiva bestiola! quasi mi strangolo dall’indignazione…

Animali: I maniaci della caccia alle lumache e il gatto che pratica il commensalismo!

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A Bordeaux, Le chiocciole si chiamano “cagouilles” e le limacce sono le “loches”. Tutti i miei vicini si dicono esperti per sbarazzari delle lumache che infestano giardini e orti. Sono tutti maniaci. Ci sono gli apprendisti stregoni che fabbricano intrugli nauseanti a base di ortica, di ginestra e di lumache. Il più puzzolente essendo questo fottuto macerato di lumache e per ottenerlo ci vuole, le notti di luna piena, infilare le lumache su un spiedino poi lasciarle macerare in una bottiglia d’acqua per una quindicina di giorni. Cospargete il macerato di lumache tra le vostre piante. Ottimo repellente, non solo le lumache scappano, ma anche i vicini traslocano. Ci sono i MacGyver che si fanno dei  recinti elettrificati che sono alimentati con panelli solari o che sistemano nel giardino tutta una rete complessa di trappole fatta di vasi capovolti, di tegole romane, di assi, di fili di rame; tanto complesse queste reti che alla fine non c’è più posto per fare l’orto. Ci sono i sadici e quelli sono i più numerosi che usano le ceneri di legna, i gusci d’uovo polverizzati, la segatura, le cortecce di pino e anche gli aghi, i trucioli, la farina, i gusci di noci, le pagliette di lino…insomma tutte le cose taglienti che possono ferire le lumache o impedirle di strisciare. Ci sono gli ch’ti che preferiscono usare la birra e farle ubriacare a morte e per questo gli ch’ti devono prima assaggiare tutte le birre della creazione perché si sa bene che le lumache sono molto difficili per quanto riguarda i marchi di birra. Ci sono quelli che usano la chimica e che amano vincere facile. Ci sono i pazienti che annaffiano l’orto per praticare la caccia da appostamento. Ci sono gli americani che sono come gli ch’ti ma, invece della birra, preferiscono la coca-cola. ci sono gli sbrigativi che usano il fucile da caccia. Ci sono i farmacisti che preferiscono il bicarbonato di sodio. Ci sono i satanisti che fanno dei pentacoli con del sale intorno alle piante. Ci sono i golosi che escono dopo la pioggia con una pentola pensando già all’abbuffata e che si chiamano tra loro cagouillards (mangia-lumache) sulla riva destra dell’estuario. Ci sono quelli che tornano sempre dall’oceano con un secchiello d’acqua di mare per regalare una talassoterapia alle loro lumache. ci sono quelli che assomigliano a dei babbi natale perché si radono la barba e si tagliano i capelli solo una volta l’anno perché riservano i loro peli per le lumache perché si sa bene che le bestiole odiano strisciare su peli e capelli. Ci sono quelli che iscrivono la prole all’equitazione o che frequentano il campo da corsa per raccogliere il crine di cavallo e il letame che sono ottimi repellenti….ecc.

E io la mia lotta contro le lumache in giardino? Io non faccio niente. Da alcuni anni, ho due o tre famiglie di ricci nel giardino e quindi loro mi sbarazzano delle lumache e di certi insetti ed io faccio loro dei mucchi di foglie e di legno sotto i siepi che possano svernare tranquillamente. Quando c’è la siccità come questo anno e che lumache si fanno più rare, che la carestia minaccia, il gatto accetta di mangiare nel fondo del giardino e di condividere le sue crocchette con i ricci. In luglio, avevo il bambino di mio fratello a casa e gli ho mostrato i ricci che stavano mangiando nella ciotola del gatto mentre la bestiola li guardava di un occhio benevolo. Sapete cosa mi ha detto il bambino completamente ammagliato? Quando si è vista una cosa del genere, si può morire tranquillo. Va bene, ho risposto, ne vedrai altre nella vita dopotutto hai solo otto anni! 😉

Botanica: Tre signorine mediterranee nel mio giardino.

D’accordo vivo in una penisola conosciuta  nel mondo intero per i suoi vitigni, ma sono vitigni utilizzati per fare del vino! Non valgono niente per la produzione di uva da tavola. Andate a mangiare le bacche di una vite di Petit Verdot oppure di Malbec e capirete subito il senso della parola “astringente” con questa deliziosa sensazione di aver ingoiato una raspa da formaggio! Quindi, l’anno scorso, per scherzare, mi sono piantato tre viti da tavola trovate sul mercato: un’italiana, una libanese e un’altra che potrebbe essere siriana o greca, non so più perché non ho conservato le etichette. Riuscirei a raccogliere qualcosa? Di solito, la vigna si coltiva facilmente e la potatura non è complicata quindi vedremo! Ovviamente, non ho piantato le viti solo per questa ragione, ma anche per un altro motivo. Secondo me, non può esistere un giardino senza vigna, è come un giardino senza ciliegio, manca qualcosa. Io mi vedo già la sera con la mia vigna al sole che mi accoglierà dopo una giornata di assenza e che mi nasconderà l’orto del vicino e il suo brutto muro nel fondo del giardino. Perché la vigna ha questo potere di rendere belle le cose più brutte e poi mi immagino sotto la pergola con la mia vite che avrei fatto arrampicare tutta intorno a bere un bicchiere di vino! Colpa voi, cari amici italiani, sono delle cose che ho visto in Italia 😉