Parigi: In cui l’autore si perde nelle nuvole di Claude Monet!

A Giverny, nel giardino di Claude Monet, era troppo presto nella stagione per osservare la fioritura delle ninfee del giardino d’acqua, allora lei ha proposto, l’indomani mattina, di andare a vedere le ninfee al museo dell’Orangerie. Non oso dirle che mi danno sui nervi i grandi musei parigini, che mi generano una frustrazione che lei non può nemmeno immaginare, che non riesco mai a concentrarmi abbastanza per godere delle opere esposte, che c’è sempre qualcuno a spintonarmi quando guardo qualcosa, che il chiacchiericcio senza fine della gente o quello delle scolaresche mi è insopportabile, che mi viene la voglia di assassinare ogni persona che vedo con una macchina fotografica; che se non fosse per farle piacere, non ci entrerei mai al museo dell’Orangerie, io. Arriviamo i primi e mi siedo sul banco centrale della seconda sale delle Ninfee e mi metto a contemplare Le Nuvole. Mi dico che, nel Médoc, le ninfee devono essere già fiorite sul lago di Lacanau e che probabilmente se avessi un giorno di riposo come quello di oggi, sarei sul lago. Chiudo gli occhi. C’è un’insenatura sul lago che si chiama la baia delle Ninfee e dove si rifugiano i cigni in estate perché è la sponda più selvaggia del lago. Nella foresta che costeggia questa baia, talvolta, ci si incontrate un pazzo che si vanta di averci sistemato un giardino dell’Eden. Ed è vero! perché lui ha costruito, con quattro assi, un pontile sul lago da cui avete una vista paradisiaca sulle zattere di ninfee che danno il nome alla baia. Una cosa che mi fa sempre sorridere quando ci passo, è che lui ha affissato su un pino, un cartello con il suo numero di telefono. Il cartello dice che se non siete d’accordo con lui, che trovate che il posto non è paradisiaco come lui pretende e che lui non è al suo posto abituale ad ammirare il lago, potete fargli una chiamate per dirglielo. Il cartello dice anche che se telefonate, dovete avere argomenti seri per sostenere il vostro punto di vista. Sono seduto nella barca in mezzo alla baia delle Ninfee e sto ammirando i fiori di colore malva delle ninfee. Nelle zattere galleggianti a forma di cerchio delle ninfee, le gallinelle d’acqua ci fanno i loro nidi ed è sempre uno spettacolo incantevole in questa stagione di vedere i loro pulcini neri e tutti pelosi, nuotare tra i fiori. Io ci vorrei restare un’eternità in questa barca a osservare le ninfee e le damigelle blu che ci danzano sopra e che sembrano diamanti quando il sole le attraversa. Una volta, mi ricordo che stavo leggendo e che mi sono addormentato nella barca. Poi, ho avuto l’impressione che qualcuno mi guardava. E c’era un cormorano nella barca. Sapete come aprono le ali per asciugarle. Cristici. Forse lui ha sentito che mi ero svegliato, che il mio modo di respirare era diverso, che lo guardavo con gli occhi socchiusi. L’uccello si è tuffato nell’acqua prima che possa salutarlo. Un’altra volta, ma era in aprile quando le acque del lago sono tutte ingiallite dal polline di milioni di pini, ho vogato fino all’isola agli uccelli in mezzo al lago. C’era un cervo che aveva probabilmente nuotato fino all’isola per sfuggire all’ultima battuta di caccia dell’anno. Ci siamo guardati. Paralizzati. Io dall’emozione, lui dalla paura. Fino alla primavera, dobbiamo vestirsi con abiti ridicoli quando andiamo in foresta perché c’è sempre il rischio di essere preso per un cervo da un cacciatore. Il cervo si è rassicurato di vedermi vestito come un Arlecchino e si è disinteressato di me. Lui da una parte dell’isola a pascolare, io dall’altra ad approfittare del sole e a nuotare tra le erbe acquatiche che fanno paura ai bambini di mio fratello perché ci si vivono miriadi di gamberi di fiume. In fine pomeriggio non ho più visto il cervo e ho pensato che lui era tornato a casa, lontano a nord, nelle paludi di Carcans. Nella barca sento il sospiro del vento nei pini e le querce, i vocalizzi delle rane e quelli delle anatre nelle vecchie lagune al sud. Seguo con gli occhi le nuvole bianche che solcano i cieli blu sopra Lacanau. Sento anche il tamburellare di un picchio nel fondo della foresta….Quasi mi sta parlando questo picchio! Ma cosa fai? Stai sonnecchiando che fa due ore che guardi questa tela? Ma no, protesto completamente disorientato di ritrovarmi all’Orangerie, stavo studiando Le Nuvole di Monet! D’altronde mi ricordo che lui ha concepito queste sale come dei luoghi di riposo, per sfuggire al bordello della città in qualche modo…Lei ride e vuole assolutamente mi fare confessare che non ho provato un’emozione artistica, ma che ho dormito tutto il tempo che ho passato in questa sala. Va bene, lei dice, adesso dobbiamo andare a trovare qualche brasserie per pranzare, poi mi dovrai abbandonare a Orsay per ritrovare la tua amica di Parigi…

 

 

In cui l’autore di questo blog si innamora nel giardino di Claude Monet!

Non ridete, ma mi sono innamorato dei papaveri orientali del giardino di Claude Monet a Giverny. Conoscevo ovviamente i papaveri comuni che chiamiamo coquelicot in francese, ma i papaveri orientali non li avevo mai incontrati prima di questa visita nel giardino di Monet. Forse ne avevo sentito parlare e ancora non ne sono sicuro, ma una cosa è certa: i papaveri orientali sono completamente sconosciuti nel paese dove vivo. Come dire. Sono rimasto sbalordito davanti a quei fiori. Pensavo che fossero dei papaveri dopati, di quelli che si sarebbero presi qualche ormone, degli americani in qualche modo. Mi sono innamorato subito di questi papaveri che hanno dei fiori grandi e belli da eclissare addirittura le peonie e altri iris del giardino di Monet, di queste varie tonalità che vanno dal rosso il più scuro fino al rosa il più tenero, di questi fogliami di un bel verde cupo. Non vedevo più niente che questi papaveri. Completamente soggiogato il tizio di Bordeaux! Dopo un tempo, sono andato a chiedere delle informazioni presso un giardiniere perché non ne potevo più di ammirare questi fiori senza sapere niente di essi. Il giardiniere si è messo a sorridere davanti alla mia ignoranza e alle mie domande. Non per prendermi in giro, notate; ma perché è qualcosa che gli succede ogni tanto, che un visitatore gli faccia delle domande a proposito dei papaveri orientali. E lui di spiegarmi che quei papaveri perenni sono poco conosciuti in Francia e che sono stato fortunato di venire a Giverny durante la stagione in cui fioriscono altrimenti non li avrei nemmeno notati. Ma io, già tutto innamorato di quei papaveri orientali, cosa mi interessava di più in questa discussione. Una sola cosa. Sapere se potessi coltivarli a Bordeaux! E lui di dirmi che non dovrebbe essere difficile, che essi sono facili da coltivare ovunque. La cosa da fare sarebbe di comprare delle piantine su un mercato la prossima primavera…Io mi sento quasi disperato da questa notizia. Pensate, aspettare un anno! Poi come faccio a procurarmi le piantine visto che, dove vivo, non sanno probabilmente niente di quei bellissimi papaveri orientali. Lui ride vedendo la mia faccia. Mi lascia finire. Altrimenti lei si compra una bustina di semi e basta seminare tra giugno e luglio, un po’ all’ombra, in piccoli solchi separati da 20 centimetri per facilitare il diradamento delle piantine a 10 centimetri tra esse. Poi, se lei vuole trasferire le piantine in altre aiuole, l’operazione si fa in settembre-ottobre o in febbraio-marzo. L’importante è di lasciare almeno un intervallo di 30 centimetri tra le piantine. L’anno prossimo, lei avrà dei papaveri orientali nel suo giardino. Questo giardiniere è tanto simpatico che lui mi dà anche le varietà più interessanti e più belle da coltivare che sono Princesse Louise, Bonfire, Perry White e Corinna. E anche se ho una buona memoria, mi scrivo tutto su una carta. Dunque di ritorno a Bordeaux, mi metto a cercare una bustina di semi di papaveri orientali. E finalmente riesco a mettere la mano su una presso il mio vivaista. All’inizio lui non sapeva nemmeno di cosa stavo parlando con la mia storia di papaveri orientali. Lui ha telefonato a un amico che ha telefonato a un amico…e, dopo una settimana, il tizio mi ha telefonato per dirmi che era riuscito a procurarsi una bustina. E lei deve dimenticare tutte le varietà esotiche citate perché sono semi di papaveri orientali di colore rosso. E niente altro. Ieri, mi sono preparato il terreno, ho seminato, ho annaffiato e non ne posso già più di aspettare i primi germogli…

Uno scatto qualunque a Giverny.

A Giverny hanno anche loro una chiesa Santa Radegonda come abbiamo noi, abitanti dell’estuario della Gironda. Mentre il cimitero della nostra chiesa Santa Radegonda è tutto fiorito e ridente quanto il giardino di Claude Monet a Giverny, il cimitero della loro chiesa Santa Radegonda a Giverny è di una tristezza assoluta. Quasi da sembrare abbandonato. Il cimitero è dietro la chiesa e ci vuole salire un cammino tutto scassato e, a mezzo cammino, sulla destra c’è la tomba della famiglia Monet. Lei mi sta raccontando di Camille, la prima moglie di Claude Monet, che è raffigurata in tanti dipinti di Monet e come la seconda moglie di Monet, Alice Hoschedé, chiese al marito di distruggere tutti gli scatti che lui aveva di Camille e tutta la loro corrispondenza. Poi, lei mi fa notare quattro poveri papaveri che fioriscono sul cammino davanti alla tomba di Monet e altri che crescono anche nelle crepe dei muri della chiesa. Lei sorride e dice che la povera Alice deve rivoltarsi nella tomba alla vista dei papaveri. Ed è vero, sto pensando, che i papaveri evocano insanabilmente l’immagine di Camille che è questa donna che sta passeggiando in mezzo ai papaveri nei dipinti di Monet. Così Camille è un po’ con Monet e i figli, dico. E poi anche per Alice la fioritura di quei quattro papaveri deve essere la cosa più aspettata e più incantevole del mondo, se pensi che loro sono seppelliti in quel luogo assolutamente lugubre che è allietato solo dal rosso di quei quattro poveri papaveri durante la bella stagione. Lei sorride di nuovo e mi dice che non trascurano abbastanza il cimitero e che dovrebbero l’abbandonare completamente, così in qualche anno il luogo sarebbe sommerso dai papaveri. Sai come i papaveri sono invasivi. So che lei mi punzecchia perché fa anni che tento di coltivare dei papaveri e si piacciono dappertutto tranne nel mio giardino. Ma comunque trovo bella la sua idea di un cimitero impressionista. Scendiamo il brutto cammino per raggiungere la strada e lei si mette a cantare una canzone francese di una volta. Gentil coquelicot, Mesdames. Gentil coquelicot nouveau. Due bordolesi pazzi a Giverny.

Alex nel giardino di Claude Monet a Giverny. Seconda parte.

Il giardino di Claude Monet a Giverny. Blanche Hoschedé-Monet (1865-1947).

Il giardino di Claude Monet è tanto frequentato che sembra la via Sainte-Catherine di Bordeaux un giorno di soldi. Fermarsi per ammirare la fioritura degli iris, dei papaveri, delle peonie…è un rischio e ho mancato tre volte di cadere nello stagno delle ninfee e mia madre è stata quasi buttata via due volte dal ponte giapponese perché lei restava là a sbadigliare ammirando la prospettiva invece di circolare e di lasciare questi fottuti malati di turisti fare i loro scatti e i loro selfie. Povero Monet! Anche lui non potrebbe più oggi sistemare il suo cavalletto nel suo giardino per dipingere in pace i suoi fiori. Ma quei turisti te lo manderebbero in acqua in un attimo! Un tizio così che disturberebbe la circolazione e impedirebbe di scattare tutto e niente. Pensate un po’ lo scandalo! Ma lui non sarebbe sopportato più di due minuti nel suo proprio giardino! La gente non vede niente, non guarda niente del giardino di Claude Monet, troppo occupata a scattare tutto e anche le cose che non hanno il minimo interesse. Per dirvi come la gente che frequenta il giardino sembra sfuggita da un manicomio. C’è un tizio anziano che sta visitando il giardino con la moglie. Il povero porta una barba bianca e ha un basco in testa. E tutti quei malati di pensare che il tizio è un attore che sta interpretando il ruolo di Claude Monet e tutti di abbandonare la fotografia dei fiori per andare a scocciare il povero vecchio per scattarlo o farsi un selfie con lui. Pensate un po’ come il vecchio era contento di dovere subire tutte queste stronzate. Alla fine, l’ho visto anche rifugiarsi con la moglie verso la casa per scappare a questa situazione. Dopo l’episodio del vecchio, sta arrivando un matrimonio cinese perché in questo giardino la follia non finisce mai. Il fotografo cinese è tanto attrezzato di videocamere e di fotocamere che lui potrebbe girare addirittura un episodio di Star Wars nel giardino di Claude Monet. Sorrysorry, lui dice pigiandosi e noi capiamo che sorrysorry significa in cinese: fuori dalle palle che siete in mezzo alle nozze. Ma forse lui non deve conoscere mia madre perché quando la tizia ha pagato un biglietto per visitare un posto, non la “spedite” così facilmente. E, francamente, lei se ne frega completamente di essere sugli scatti delle nozze. Faccio notare a mia madre che la sposata ha delle scarpe da basket rose sotto lo stupendo abito nuziale. Lei mi fa notare che le damigelle sono in mutande. No mamma! sono in minigonne. Guardi, il coso nero che loro hanno sopra le mutande non è una cintura. Ma perché le damigelle hanno due borse? Ti confesso che ci conosco poco in moda cinese. Mamma, non vuoi sedersi cinque minuti su un banco, il tempo che finisce tutto questo bordello? Anche due damigelle vengono a sedersi accanto a noi e non ho mai avuto l’impressione di essere così invisibile in vita mia. Ogni tre seconde, le signorine cinesi si fanno un selfie. Ma cos’è questa gente? chiede mia madre. Degli alieni, rispondo, guardando gli sposi, diretti dal fotografo, fare finta di baciarsi, di correre al rallentatore sul piccolo ponte, di raccogliere una radicchiella o di guardare nel lontano. Quando il matrimonio è partito, si apre una nuova scena nel giardino di Monet e tutti i turisti di precipitarsi verso lo stagno delle ninfee per scattare un giardiniere in barca che sta lavorando a potare delle piante acquatiche. A me fa pensare a un numero di circo che ho visto allo zoo tranne che è un giardiniere in mostra al posto di un’otaria. Ci sediamo di nuovo su un banco dove ci sono due donne inglesi. Va bene, mi dico. Finalmente due persone normali. In realtà, le donne stanno parlando del chiasso che fanno le gazze nel giardino e che loro non vedono. Poi, le due donne mi chiedono se ho visto le gazze durante la nostra passeggiata. Sono tanto imbarazzato che non oso rispondere e loro che insistono! Mi dispiace, signore, non sono gazze che sentite, ma le rane dello stagno. Loro ridono. Mia madre mi chiede di tradurre la conversazione e preferisco mentire dicendo che le inglesi mi parlavano delle rane. Poi, mia madre si allontana e la vedo parlare con un giardiniere. Lei torna sorridendo. Finalmente ancora una mezz’ora e scopriremo l’anima del giardino di Claude Monet! Pazienza. Io ne dubito, ma preferisco tacere. Dopo una mezz’ora lei dice che è l’ora e mi chiede se ho notato qualcosa. Niente. Non vedo di cosa stai parlando. I pazzi, lei dice, tutti i pazzi sono andati a pranzare e il giardino è tutto per noi! Lei va a raggiungere i giardinieri, sicuramente per chiedere loro dei consigli per le sue piante. Io mi decido a visitare la casa di Monet e dalla finestra del primo piano, guardo mia madre chiacchierare con due giardinieri, poi lei si mette a vagare tutto al suo sogno tra le aiuole fiorite e disertate del giardino di Claude Monet…

Alex nel giardino di Claude Monet a Giverny. Prima parte.

Oltre alla bellezza del giardino di Claude Monet, dopo appena cinque minuti passati tra le aiuole del giardino, ti viene una certezza assoluta, non è solo il giardino di Claude Monet, ma anche il giardino di un manicomio a cielo aperto. Nel giardino, ci sono donne francesi inchinate sopra un’aiuola e che stanno ammirando delle piante che hanno dei fiori di colore viola. Loro si chiedono che potrebbero essere queste bellissime piante e l’una di dire che sono probabilmente alcune piante esotiche o giapponesi. Mia madre che è della campagna e che ha sentito la conversazione, non può impedirsi di mettere il suo grano di sale come diciamo in francese cioè di dire la sua. Sono degli agli, signore! E le donne di meravigliarsi perché non hanno mai sentito parlare di piante che hanno un nome così strano. Mia madre è sotto shock e devo prenderla dal gomito per allontanarla e tentare di spiegarle una cosa non semplice cioè che lei è probabilmente l’unica in Francia a usare aglio al plurale e soprattutto a usare questo plurale e che le donne hanno capito che lei diceva ossa. (il plurale francese di ail (aglio) di solito è ails (agli), ma può essere anche aulx (agli) in un francese sostenuto; aulx è omofono di os (ossa). Aulx e os si pronunciano semplicemente o aperta). Va bene, sospira mia madre, le cretine non hanno mai visto dell’aglio, non conoscono il loro plurale e, secondo te, è colpa mia! Mamma, sia meno letteraria quando parli con la gente; è tutto quello che ti chiedo!

 

Il viaggio a Giverny.

 

La coda davanti alla casa di Claude Monet a Giverny.

Da Parigi per andare a visitare la casa e soprattutto il giardino di Claude Monet a Giverny, non è affatto complicato. Basta recarsi alla stazione di Saint-Lazare e al primo piano c’è tutto un immenso spazio dedicato solo alla vendita dei biglietti per Giverny. Una volta preso il biglietto grande linea Parigi-Rouen e più leggeri di cinquanta euro (per due, andata e ritorno) siamo pronti per l’avventura. Tanta gente che va a Giverny che non è proprio credibile: cinesi, coreani, giapponesi, americani, inglesi, spagnoli. Gli italiani no. Non sento parlare italiano quindi ne deduco che loro preferiscono restare a Parigi, al fresco, a visitare Notre Dame o il Sacré Coeur che sono attività che costano niente e li capisco. Ci sono anche escursionisti francesi, tutto un gruppo, vestiti e attrezzati come per fare un trekking nell’himalaya. Sono le otto della mattina, fa già 25 gradi e sudo solo a guardarli o forse per gli euro già spesi e che sospetto di non essere gli ultimi della giornata. Il viaggio nel treno affollato dura appena quarantacinque minuti. Non so cosa mi ero immaginato in un treno Parigi-Rouen. Sicuramente qualcosa che assomiglia alle immagini di Epinal con un treno che fila lungo la Senna attraverso prati pieni di mucche, frutteti che crollano sotto i meli in fiore, stupende case a traliccio, profumo di sidro che penetra nel treno dai finestrini. E, invece di campagna normanna idealizzata, non lasciamo mai un paesaggio di periferia parigina fino a Mantes-la-Jolie dove scendono gli escursionisti francesi. Allora loro non vanno a Giverny? Ma a scalare i grattacieli di periferia! Nel treno, accanto a me, c’è una giovane studentessa inglese che mi è simpatica subito perché lei sta leggendo una vecchia edizione tascabile di Even cowgirls get the blues di Tim Robbins. Ci mettiamo naturalmente a discutere a proposito del libro che è un classico anche in francese, di Tim Robbins, di Claude Monet, di cosa ci aspettiamo a scoprire a Giverny. Tre esseri umani normali in mezzo a un’orda di zombie gli occhi fissati sui loro smartphone. Quando scendiamo dal treno a Vernon, notiamo che ci sono dei passi designati sul marciapiede che indicano il cammino che dobbiamo seguire, ma basta seguire la greggia asiatica che si dirige verso le navette per Giverny. Pensate un po’ che andare dalla stazione di Bordeaux all’aeroporto che è abbastanza lontano, vi costa un po’ più di un euro con la corriera. E là in questo paesello sperduto di Vernon, per fare meno di cinque chilometri, devo sborsare venti euro per due biglietti (andata e ritorno). È uno scherzo? chiedo all’autista. Niente scherzo mi risponde l’autista, prendiamo anche la carta di credito. Va bene, sospiro, abbiamo sborsato già settanta euro e non abbiamo ancora visto nemmeno un papavero. Davanti alla casa di Claude Monet c’è una coda inverosimile e meno male che siamo arrivati presto. Dobbiamo aspettare più di un’ora sotto la morsa del sole prima di raggiungere lo sportello. E là, mi succede una cosa incredibile, che vale nel fondo anche tutto questo viaggio a Giverny, perché ne stiamo ancora ridendo più di una settimana dopo il nostro ritorno a Bordeaux. Dunque prendo due biglietti e cosa mi dice l’addetta allo sportello, probabilmente per le sue statistiche, penso. Where do yo come from? Lei mi chiede in inglese con un fottuto accento guascone da dove vengo!!! Be’ di Bordeaux! rispondo un po’ stupito dal suo accento. Ma pensate che lei si ferma e si mette a parlarmi in francese? Ma no! E lei di rispondermi: Me too, I’m from Talence ! (una frazione di Bordeaux). Be’ allora, rispondo, perché lei mi parla in inglese che siamo della stessa città? Lei scoppia dal ridere e ci mettiamo a discutere in francese mentre nella coda la gente si mette a perdere pazienza. Quando le dico il nome del mio paesello nel Médoc. Lei mi dice che il suo zio ci abita e mi chiede se lo conosco. Eccome lo conosco! Tutti lo conosciamo, il tizio è conosciuto come il lupo bianco. Ridiamo di concerto. Ma io non  perdo comunque il nord e le dico: adesso che abbiamo scoperto che siamo quasi della stessa famiglia, lei non può farci uno sconto sul prezzo dei biglietti. E anche lei, in buona bordolese, non perde il nord e di rispondere sempre ridendo: Mi dispiace, non è possibile. Venti euro. 😉

Botanica: Il miracolo di Lourdes nel giardino di Claude Monet a Giverny!

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Quei rosai che potete ammirare nel giardino di Claude Monet a Giverny e in tutte le aiuole di Francia, d’altronde, si chiama “Centenario di Lourdes” ed è stato creato nel 1958 per festeggiare il centenario delle apparizioni della Madonna a Bernadette Soubirous. Un rosaio miracoloso perché resiste a tutto: alla pioggia, alla siccità, a tutte le malattie crittogamiche che di solito sono le piaghe di tutti i rosai dei nostri giardini; resisterebbe anche ad un’esplosione nucleare, secondo me. E’ questo carattere miracoloso che lo rende tanto popolare e conveniente nei giardini pubblici francesi. Que soy la rosèr miraculosa de Lourdes potrebbe dire il rosaio nella lingua di Bernadette Soubirous e della Madonna. 😉

Bordeaux: il sindaco narciso che non amava le iridi!

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1900. Claude Monet. Il giardino dell’artista a Giverny

Uno dei miei più grandi piaceri in maggio era di andare al parco floreale di Bordeaux per ammirare la straordinaria collezione di iris della città di Bordeaux, forse tra le più belle di Francia. Quindi mi reco al parco floreale, godendo in anticipo la fioritura delle iridi, e al posto delle immense aiuole fiorite che costeggiavano di solito il ruscello che attraversa il giardino, cosa vedo? Niente! Un terreno incolto! Ho mancato fare un infarto tanto la cosa mi ha rotto il cuore. Vago nel parco floreale completamente scombussolato fino ad incontrare un giardiniere che faceva la potatura di qualche albero e riesco a balbettare: le iridi…cosa è successo alla collezione di iridi?!? E lui di rispondermi che le iridi sono troppo capricciose, che la fioritura dura molto poco e che il risultato è troppo aleatorio e che spesso i fiori giganti dai colori sontuosi sono rovinati dalla pioggia e dal vento, che ci volevano quarantacinque giorni di lavoro a tempo pieno ogni anno per mantenere la collezione e che il municipio, finalmente, in tempo di crisi, ha deciso di ridurre il personale del giardino e di sacrificare la collezione di iridi per risparmiare quattro soldi. Faccio notare al giardiniere che quando si è trattato di  fare costruire il nuovo stadio di 40.000 posti contiguo al giardino floreale oppure per questo stupido museo delle civiltà del vino in riva alla Garonna, i soldi si sono trovati. E l’amico giardiniere di rispondermi: Non è la stessa cosa! Lo stadio e il museo lusingano l’orgoglio del nostro sindaco, le iridi no. Se fosse un fiore, il tizio sarebbe un narciso! Amarezza.