Oceano: Passeggiata lungo la craste della Berle!

Lacanau in gennaio: lungo la craste della Berle*

Felci giganti, carici centenarie e foreste di betulle costituiscono il mondo delle berle. Nei confronti degli altri alberi delle nostre foreste, le betulle sembrano ragazze con le loro silhouette snelle e alte, splendenti  nei loro abiti di sposa. Ma non vi fidate. L’universo delle berle è quello dell’umidità, della decomposizione, dei funghi, della muffa e degli insetti che divorano tutto. Avvicinatevi, avete visto queste macchie che costellano gli abiti delle betulle e queste sbavature che colano come lacrime di fuliggine? Ora, guardate al suolo le mani delle ragazze! Hanno i dorsi delle mani tutte piene di artrite e di reumatismo come le vecchiette che hanno lavorato la vite durante sessant’anni. Le dita giovani, già logorata, sono spesse e nodose e non hanno abbastanza di forza per ancorarsi profondamente nel suolo della berle, le vecchie mani sono come posate sulla superficie spugnosa della palude. Le mani delle ragazze causano la loro morte. In inverno, quando le craste straripano e inondano per mesi le berle, quando piove troppo, che soffia il vento dall’Ovest e che le ragazze hanno preso un po’ di età, le vecchie mani delle ragazze non riescono più a graffiare abbastanza il suolo per mantenersi dritte, ed è la morte. Le betulle non invecchiano mai nelle berle.               

*Nella lingua guascone del Médoc, le craste sono canali che permettono lo scorrimento delle acque da una palude verso uno stagno, lo stagno di Lacanau in questo caso. Stagno significa lago. Per quanto riguarda berle, la parola designa un prato paludoso in riva a uno stagno.

 

Oceano: Giallo a Lacanau!

Sotto 9 scatti che raccontano un pomeriggio di dicembre in giallo nel Médoc e un racconto dello scatto in giallo mancante.

Qualche metro quadro. Una piccola stanza per fare la cucina scavata nel muro lebbroso della vecchia discoteca e, fuori, raggomitolati davanti all’apertura fatta nel muro stesso, il banco e due tavoli sbilenchi sotto una pensilina divorata dal sale oceanico. Il locale del mercante di churros è aperto tutto l’anno anche per Natale o per il primo gennaio e ti fa, in inverno, come un faro di vederlo rischiarato sul molo deserto. L’uomo dietro il banco se ne frega di mangiare il suo guadagno estivo aprendo in inverno perché quello che gli piace il più al mondo è di stare là a contemplare l’oceano. Un eremita. Giorni, mesi, anni, mezzo secolo a fare friggere churros lo sguardo perso lontano verso Ovest. Sotto il banco, ai piedi del mercante di churros, due cagnoline di caccia senza età, sempre fiatate e moribonde, in guerra eterna con i cani randagi che invadono la cittadina in inverno. L’uomo, fatalista, ha smesso di lamentarsi dei cani erranti presso il municipio, tanto pisciare nell’oceano, lui dice. Il mercante di churros è lunatico e per niente commerciante. Talvolta l’uomo fa finta di non conoscerti anche se lo frequenti da anni; in quei giorni, gli dai tanto fastidio che sembra ti fare quasi un favore di scaldare l’olio per i churros. Talvolta il mercante dimentica l’oceano per un momento, è diventa addirittura prolisso. Un narratore nato. Ti racconta storie di caccia inverosimili, di nuvole di tordi che offuscano il sole sopra le pinete, di stormi di migliaia di anatre sopra lo stagno. Sono storie che si trasmettono nella sua famiglia di generazione in generazione. Lui racconta le sue storie, lanciando briciole di churros ai passeri, come se ne fosse stato protagonista. Fai finta di crederci anche se sai che lui è perpetuamente dietro il suo banco. Una volta, ci sono andato una sera per comprare churros e c’era anche questa vecchia coppia davanti a me. Ho chiacchierato un po’ con la signora che mi ha raccontato di venire ogni mercoledì sera per regalarsi questo piccolo piacere dei churros. Ma che questo mercoledì era speciale perché il marito aveva subito un intervento cardiaco e la prima cosa che lui voleva fare uscendo dall’ospedale, era di andare all’Oceano e di mangiare dei churros. Il mercante non ha detto una parola, ma era commosso. Che cretino! ha esclamato ridendo la vecchia signora. Poi ci siamo accorti parlando che eravamo quasi vicini. Il Médoc è un’isola. Dopo l’estate di due anni fa, ho visto le attrezzature del mercante di churros in strada, poi che c’erano lavori di ristrutturazione, mi sono detto che il tizio aveva finalmente deciso di ammodernare il locale e di lasciare gli anni 1970 per gli anni 2020. I mesi sono passati e niente. Poi, alla fine di quest’estate, ho visto che al posto del banco di churros aveva spuntato une specie di bar a ostriche come si vede ad Arcachon. Ora, in inverno, dopo una giornata a raccogliere funghi nelle pinete o plastica in spiaggia, non faccio più il mio piccolo rituale di ordinare i miei churros al mercante, poi di andare al bancomat, accanto all’ultimo parrucchiere prima l’America, ritirare un po’ di denaro per pagare il mio caffè e il mio piccolo piacere come diceva la vecchia signora. Non mi metto più al riparo sotto la vecchia pensilina tutta arrugginita i giorni di pioggia o di gelo, non mi siedo più in cima alla duna per mangiare i miei churros colore sole invernale. No, resto sul molo sperando di vedere il mercante di churros che ha passato la sua vita a contemplare l’Oceano dietro un banco di quattro metri quadri. Forse lui è andato in pensione oppure ha deciso di dedicarsi alla caccia o di andare a vedere cosa c’era a Ovest. Non lo so. Comunque resto sul molo come un cretino fino al tramonto. So che lo rivedrò un giorno o l’altro. Il Médoc è un’isola.

Un anno nel mio Médoc: Dicembre.

 

Quattro cormorani surfisti in mare.

Quattro gabbiani umani sulla spiaggia a raccogliere plastica.

Quattro cacciatori a cercare finferli nelle pinete

Quattro vecchie streghe a fare mazzi di immortali nelle dune.

E tanti gatti oceanici nei paeselli disertati.

Dicembre nel mio Médoc.

 

 

 

 

Un anno nel mio Médoc: Luglio.

Il caldo dei pini è il profumo della luce; lo scricchiolo dei miei passi sulla garbai* è il rumore della luce; il malva della fioritura delle brughiere sotto i pini è il colore della luce. Dopo ore, finalmente la foresta è dietro di me e, ora, mi arrampico sulla montagna di Faraone. All’inizio non è troppo difficile e cammino normalmente. Quando arrivo tra le immortali, il vento soffia e, per evitare di mangiare sabbia, devo camminare come i gamberi. Le gambe mi fanno male e ho difficoltà a respirare. L’ultima parte è ancora più difficile tanto il vento soffia forte. I miei polmoni mi bruciano e ho un gusto di sangue in bocca. Devo camminare gattoni sulla sabbia incandescente per raggiungere la cima. Sono vinto dalla montagna di Faraone. Mi sdraio tra i gourbet* per riposarmi osservando i gabbiani volando verso Nord. Non sono andato sulla montagna di Faraone da almeno due anni e, quando scendo verso l’Oceano, sono sorpreso di vedere delle strane vestigia a forma di spirale, come se i venti delle tempeste invernali avessero disincagliato dalla sabbia i resti di un’antica civiltà dimenticata. Mi sistemo presso un vecchio pino pietrificato che giace sulla spiaggia. Dalla mia posizione, le vestigia a forma di spirale, sul fianco del Faraone, assomigliano ai resti fossili di qualche mostruosa conchiglia antidiluviana. Non è un enigma per me, grido alla montagna di Faraone. So esattamente di cosa si tratta e questa volta ho vinto io. Mi metto a ridere correndo spensierato verso le onde…

* Garbai: In guascone, la garbaye è il fitto tappeto di aghi di pini marittimi che ricopre il suolo delle pinete.

*Gourbet: Sparto pungente.

Oceano: Primo bagno dell’anno!

Médoc. Lacanau. 21 aprile. 28 gradi. Acqua 14 gradi. Primo bagno vivificante, primi colpi di sole, prime donne tedesche in bikini leopardo, primo gelato, primi canadair in addestramento sopra il lago, primo picnic al Moutchic e prime code per tornare a casa. Insomma il solito primo weekend d’estate a Bordeaux.

Parigi: In cui l’autore si perde nelle nuvole di Claude Monet!

A Giverny, nel giardino di Claude Monet, era troppo presto nella stagione per osservare la fioritura delle ninfee del giardino d’acqua, allora lei ha proposto, l’indomani mattina, di andare a vedere le ninfee al museo dell’Orangerie. Non oso dirle che mi danno sui nervi i grandi musei parigini, che mi generano una frustrazione che lei non può nemmeno immaginare, che non riesco mai a concentrarmi abbastanza per godere delle opere esposte, che c’è sempre qualcuno a spintonarmi quando guardo qualcosa, che il chiacchiericcio senza fine della gente o quello delle scolaresche mi è insopportabile, che mi viene la voglia di assassinare ogni persona che vedo con una macchina fotografica; che se non fosse per farle piacere, non ci entrerei mai al museo dell’Orangerie, io. Arriviamo i primi e mi siedo sul banco centrale della seconda sale delle Ninfee e mi metto a contemplare Le Nuvole. Mi dico che, nel Médoc, le ninfee devono essere già fiorite sul lago di Lacanau e che probabilmente se avessi un giorno di riposo come quello di oggi, sarei sul lago. Chiudo gli occhi. C’è un’insenatura sul lago che si chiama la baia delle Ninfee e dove si rifugiano i cigni in estate perché è la sponda più selvaggia del lago. Nella foresta che costeggia questa baia, talvolta, ci si incontrate un pazzo che si vanta di averci sistemato un giardino dell’Eden. Ed è vero! perché lui ha costruito, con quattro assi, un pontile sul lago da cui avete una vista paradisiaca sulle zattere di ninfee che danno il nome alla baia. Una cosa che mi fa sempre sorridere quando ci passo, è che lui ha affissato su un pino, un cartello con il suo numero di telefono. Il cartello dice che se non siete d’accordo con lui, che trovate che il posto non è paradisiaco come lui pretende e che lui non è al suo posto abituale ad ammirare il lago, potete fargli una chiamate per dirglielo. Il cartello dice anche che se telefonate, dovete avere argomenti seri per sostenere il vostro punto di vista. Sono seduto nella barca in mezzo alla baia delle Ninfee e sto ammirando i fiori di colore malva delle ninfee. Nelle zattere galleggianti a forma di cerchio delle ninfee, le gallinelle d’acqua ci fanno i loro nidi ed è sempre uno spettacolo incantevole in questa stagione di vedere i loro pulcini neri e tutti pelosi, nuotare tra i fiori. Io ci vorrei restare un’eternità in questa barca a osservare le ninfee e le damigelle blu che ci danzano sopra e che sembrano diamanti quando il sole le attraversa. Una volta, mi ricordo che stavo leggendo e che mi sono addormentato nella barca. Poi, ho avuto l’impressione che qualcuno mi guardava. E c’era un cormorano nella barca. Sapete come aprono le ali per asciugarle. Cristici. Forse lui ha sentito che mi ero svegliato, che il mio modo di respirare era diverso, che lo guardavo con gli occhi socchiusi. L’uccello si è tuffato nell’acqua prima che possa salutarlo. Un’altra volta, ma era in aprile quando le acque del lago sono tutte ingiallite dal polline di milioni di pini, ho vogato fino all’isola agli uccelli in mezzo al lago. C’era un cervo che aveva probabilmente nuotato fino all’isola per sfuggire all’ultima battuta di caccia dell’anno. Ci siamo guardati. Paralizzati. Io dall’emozione, lui dalla paura. Fino alla primavera, dobbiamo vestirsi con abiti ridicoli quando andiamo in foresta perché c’è sempre il rischio di essere preso per un cervo da un cacciatore. Il cervo si è rassicurato di vedermi vestito come un Arlecchino e si è disinteressato di me. Lui da una parte dell’isola a pascolare, io dall’altra ad approfittare del sole e a nuotare tra le erbe acquatiche che fanno paura ai bambini di mio fratello perché ci si vivono miriadi di gamberi di fiume. In fine pomeriggio non ho più visto il cervo e ho pensato che lui era tornato a casa, lontano a nord, nelle paludi di Carcans. Nella barca sento il sospiro del vento nei pini e le querce, i vocalizzi delle rane e quelli delle anatre nelle vecchie lagune al sud. Seguo con gli occhi le nuvole bianche che solcano i cieli blu sopra Lacanau. Sento anche il tamburellare di un picchio nel fondo della foresta….Quasi mi sta parlando questo picchio! Ma cosa fai? Stai sonnecchiando che fa due ore che guardi questa tela? Ma no, protesto completamente disorientato di ritrovarmi all’Orangerie, stavo studiando Le Nuvole di Monet! D’altronde mi ricordo che lui ha concepito queste sale come dei luoghi di riposo, per sfuggire al bordello della città in qualche modo…Lei ride e vuole assolutamente mi fare confessare che non ho provato un’emozione artistica, ma che ho dormito tutto il tempo che ho passato in questa sala. Va bene, lei dice, adesso dobbiamo andare a trovare qualche brasserie per pranzare, poi mi dovrai abbandonare a Orsay per ritrovare la tua amica di Parigi…

 

 

Oceano: Sta glaglattando in aprile in riva al più grande lago di Francia!

 

A glagla! è l’onomatopea francese per dire che fa freddo. Il francese che crepa dal freddo fa “à glagla!”. Da questo glagla deriva il verbo onomatopeico “glaglater” che ho italianizzato in “glaglattare” e che è abbastanza flessibile. Potete dire “sto glaglattando” (je tremble de froid), “sta glaglattando fuori” (il fait froid dehors), “mi sto glaglattando” (je me gèle). Potete anche aggiungere dei glagla secondo l’intensità del freddo e se vi dico “glaglaglaglatto” è ovvio che ho più freddo che si mi accontento di glaglattare! Sapete cosa c’è di bene per le vacanze di Pasqua? I turisti tedeschi e olandesi tornano a frequentare le spiagge oceaniche del Médoc e le gelaterie riaprono e io posso ricominciare a mangiare dei gelati dopo sette mesi di astinenza. C’è aria d’estate nel Médoc. Un altro segno che l’estate sta arrivando è che, dall’alto della duna, non vedo più soltanto i surfisti in acqua, ma anche quelli che nel Médoc chiamiamo i “culs-nus” cioè i nudisti. Non dico che restano ore nelle onde, ma un bagno di una decina di minuti lo fanno già. Nonostante il caldo quasi estivo, mi dico che sta glaglattando in acqua visto che, magia del Golfo di Biscaglia, i nudisti maschi entrano in acqua con un pene e ne escono con un clitoride! Li trovo coraggiosi. Ora, siamo domenica scorsa e fa tanto caldo che mi dico che sarebbe un’idea di fare anch’io  il mio primo bagno dell’anno. Rassicuratevi, non sono incosciente e ho una vecchia muta da surf nel baule dell’auto. Perché no? Prima vado a misurare la temperatura dell’acqua con due dita di piede. Glaglaglagla! Non è possibile, mi dico. Non potrei mai entrare in questa acqua anche con la muta da surf. Devo rinunciare. Poi mi dico che dovrei forse tentare al lago di Hourtin a ridosso del posto dove mi trovo. Prendo il mio zaino ed eccomi partito attraverso la foresta per raggiungere le rive del più grande lago di Francia come dicono i dépliant turistici; nel Médoc si dice semplicemente lo stagno di Hourtin. Seguo un tempo il cammino dei Fari e incontro una coppia in bici che mi ferma, il sorriso stampato in faccia, per dirmi che hanno appena visto una cerva al margine della foresta. Loro probabilmente non lo sanno ma i cervi pullulano addirittura in queste dune boschive che separano i laghi di Lacanau e di Hourtin e l’oceano. Tanto che l’inverno devo vestirmi in bianco se voglio camminare nella foresta altrimenti rischierei di prendere un colpo di fucile da un indigeno del Médoc tutto alla sua passione per la caccia. Sono delle cose che si sono già viste nel Paese. Siete fortunati, rispondo, sorridendo. Poi, lascio la pista ciclabile per ritrovarmi a camminare in mezzo alla foresta. Il paradiso. Colpisce il silenzio. In estate ci sarebbe il chiasso incessante delle cicale, ma in aprile, quasi a sentire il battimento delle ali dei falchi pescatori che mi immagino sorvolare la foresta verso il lago. Dopo quattro o cinque chilometri, arrivo sulla riva orientale dello stagno. Sono solo al Mondo. Noto che l’acqua del lago è più calda di quella dell’oceano. Ma comunque sta glaglattando troppo e non mi sento di fare il bagno! Forse la settimana prossima glaglatterà meno in paradiso.

Oceano: Le dame grigie ballano divinamente, ma non chiedete loro di parlare!

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La Gru. disegno del 1953 di Pablo Picasso. Museo Picasso, Parigi.

Non c’è niente di più adorabile di una gru cenerina. In inverno, appena ho del tempo libero, vado ammirarle in fine pomeriggio nelle paludi del Médoc. La Dama grigia come la chiamiamo da noi. La Dama grigia è vanitosa ed è sempre vestita elegantemente in tutte le circostanze di uno stupendo mantello grigio che si abbina perfettamente con il suo piccolo cappello rosso. La sua andatura è immodesta e compassata. La Dama grigia si dà delle arie grazie al suo collo interminabile che le permette un portamento di testa di regina. La Dama grigia è così aristocratica che, accanto a lei, il cigno sembra un’anatra. Tutto vero. Ma se fate il piede di gru* a lungo nel cuore della palude, allora la Dama grigia vi ricompensa mettendosi a ballare e le perdonate tutto. La Dama grigia è nata per ballare; è addirittura la Danza. Le sue zampe sono fatte per l’entrechat. Quando la Dama grigia ha iniziato a danzare è una meraviglia di vederla girare, fare delle arabesche, sfarfallare, pirouettare senza fine sopra le acque morte della palude. La Dama grigia potrebbe essere Primadonna nei più prestigiosi corpi di balletti, ma lei preferisce danzare solo per voi che la state osservando nel cuore della palude. In febbraio, le Dame grigie lasciano le nostre paludi per andare a ballare in Siberia o in Scandinavia. Allora, sopra la mia casa, la notte, passano stormi e stormi di dame grigie e il loro vociare mi impedisce di dormire. È questo il difetto della Dama grigia che dimentichate quando la vedete danzare: La Dama grigia parla! Ma non parla come essa danza. Parla in modo volgare, chiassoso. Il modo di parlare rozzo che associamo volentieri in Francia alle pescivendole e fruttivendole sui mercati, al modo di parlare delle portinaie e soprattutto a quello delle prostitute**quando interpellano il cliente. Poi  la Dama grigia ha una voce rauca orrenda come se avesse dieci gatti*** in gola quello che non le impedisce di chiacchierare. Insomma, ho l’impressione, la notte, che mi passano sopra la casa delle cantanti francesi di una volta, tipo Piaf, di quelle che cantavano con se avessero una grattugia da formaggio in gola. Ma anche questo lo perdonate alla Dama grigia perché il suo orrendo vociare significa che l’estate sta arrivando.

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*Fare il piede di gru significa in francese annoiarsi ad aspettare qualcuno.

**Gru non designa solo l’uccello, ma in gergo francese anche una ragazza volgare o una prostituta.

*** Aver un gatto in gola significa in francese essere rauco.

 

Oceano: Giardino d’inverno.

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21 gennaio, la fioritura delle mimose nel giardino di mia madre.

Ci sono due segni che indicano che siamo in inverno: la polmonite che mi ha inchiodato al letto per tre settimane e la fioritura delle mimose nelle dune del Paese Mezzo Morto. La fioritura delle mimose, è la prima cosa che noto arrivando alla casa della strega. La strega apre la porta e mi dice che lei mi aspettava. Forse, mamma, perché quando ti telefono, il mio numero compare sullo schermo del tuo telefono, no? Ma perché non rispondi mai? La strega alza le spalle senza rispondere. Le racconto della polmonite, che sono guarito, ma che mi viene una forte febbre ogni sera, che non riesco più a dormire. Lei, crudele, mi prende in giro per aver preso una polmonite in questo Paese dove, secondo lei, il clima è sempre mite. Andiamo a fare un giro con questo bel sole, lei dice. Attraversiamo l’immensità della foresta e la strega mi fa annusare i tronchi dei pini marittimi. Mamma, se devo fiutare tutti i pini marittimi di Guascogna, ne ho per dieci mille anni! Non tutti, risponde la strega, solo quelli che ti indico io. Poi, ci arrampichiamo in cima alle dune piantate dagli antenati e ci mettiamo a contemplare l’Oceano. Il vento gelido che soffia dal Golfo di Biscaglia mi trafigge le ossa. Mamma, sai che mi stai ammazzando? La strega mi sorride e non risponde. Dopo un tempo che mi sembra infinito, la strega si decide a scendere e raggiungiamo una piega tra due dune dove, curiosamente per la stagione, fioriscono delle immortali. Ne raccogliamo dei piccoli mazzi che dovrò sospendere, fino alla primavera, in tutte le stanze della mia casa. Così avrai il profumo delle dune e dell’oceano a casa, mi spiega la strega. D’accordo mamma, lo farò. torniamo a casa e la strega mi prepara una bibita calda. Mi vuoi ubriacare, mamma? Ma cosa hai messo nella tazza che ho la gola in fuoco? Niente un po’ di Armagnac e qualche erba, si difende la strega. Chiacchieriamo fino alla notte. Poi, è tempo per me di ringraziare mia madre per la giornata e di tornare a Bordeaux…

Oceano: Pugnalato da un bambino di otto anni il giorno di Halloween!

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Foto scattata questo pomeriggio a Lacanau.

Solo i bambini sono capaci di fare il bagno un 31 ottobre nell’Oceano in un acqua ad appena 16 gradi. Anche a me, quando ero bambino, non mi fregava niente la temperatura dell’acqua. Ora non è più la stessa storia. Ho invecchiato. Li odio questi bambini del 31 ottobre, sono uccelli del malaugurio che ti ricordano che avanzi verso la morte.

Vacanze scolastiche di Ognissanti: dialogo tra un bambino di 8 anni e l’autore di questo blog.

Il bambino: Dai zio! Ma cosa fai! Non vieni a fare il bagno?

Lo zio: No, l’acqua è davvero troppo fredda per me!

Il bambino: Ma no! Ma cosa dici! Vieni a giocare nelle onde. Dai zio! Ti prego!

Lo zio: Non hai bisogno di qualcuno per giocare. Lasciami in pace che voglio approfittare del sole e leggere qualche pagina dal libro che mi sono portato.

Il bambino: Ma quanto sei vecchio, zio! Peggio del nonno M…