Storia vera letta sul giornale: Un confinato, che vive in una cittadina alla campagna, ha chiamato i carabinieri per chiedere loro di intervenire presso le sue vicine perché il tizio non poteva più sopportare il chiasso che loro facevano la sera. Era tanto esasperato dal rumore che se i carabinieri non facessero qualcosa per farle smettere, lui prenderebbe il suo fucile per fare una carneficina e mettere fine definitivamente al problema. Dunque i carabinieri si recano nel paesello e bussano alla porta delle vicine per chiedere loro di abbassare il volume delle loro conversazioni oppure della loro musica. Mentre parlano con le vicine, sentono un chiasso che viene da un prato vicino dove c’è una pozza d’acqua comunale. Figuratevi che tutti quegli schiamazzi erano il rumore degli amori dei rospi e altre rane. Immaginate un po’ come l’irascibile si è sentito cretino quando i carabinieri sono tornati a bussare alla sua porta per dirgli che erano i rospi della pozza d’acqua e che lui dovrà aspettare la fine della stagione degli amori di tutte queste bestiole. Forse l’hanno anche ringraziato per li aver chiamati prima di uccidere le sue vicine per quattro rospi che abitano nei dintorni. A me piace tanto sentire il canto dei rospi e delle rane, le sere di primavera, mi metto addirittura una sedia fuori per sentirle meglio. Mi ricorda quando ero bambino e che andavo a catturare i girini con un vaso da confettura per portarli ai nonni che avevano una pozza d’acqua non lontano dalla casa oppure quando andavo in colonia estiva e che si cantava la canzone dei rospi. 😉
Il Concerto di vari uccelli è una delle due arie che ci sono pervenute dal balletto del mondo rovesciato, danzato forse in 1624 e composto da Etienne Moulinié (1599-1676). Il compositore ci dice di non fidarsi dei cantanti che cantano delle belle canzoni, che dietro le voci incantevoli di quegli uccelli si nascondono delle preoccupazioni più triviali … Molto attuale questo brano del Seicento….
Il sort de nos corps emplumés
Des voix plus divines qu’humaines,
Qui tiennent les soucis charmés,
Et font dormir les peines.
Nous vous appellons à tesmoins,
Que si nos voix font des merveilles,
Nos Luths ne penetrent pas moinsLes coeurs, que les oreilles.
Gardez de vous abuser tous,
Ce seroyent choses estranges,
Si les Corbeaux, & les Hibous
Chantoyent comme des Anges.
Nous sommes des Dieux deguisez
Qu’en ce lieu ces beautez attirent,
Et c’est pour nos coeurs embrasez
Que nos bouches soupirent.
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Esce dai nostri corpi pennuti
Voci più divine che umane
Che esorcizzano i pensieri
E addormentano le pene
Vi chiamiamo a testimoni
Che se le nostre voci fanno meraviglie
I nostri liuti non penetrano meno i cuori delle orecchie
Stamane al supermarcato, cliccate le orecchiette per ascoltare une bellissima canzone francese!
Grazie nonna, grazie mamma, di avermi fatto crescere con la buona cucina tradizionale del Sudovest della Francia a base di confit di anatra e di patate alla sarladaise. Francamente, mi avreste visto stamane al supermercato passare, pieno di superbia, indifferente, come se fossi l’ultimo Duca d’Aquitania, tra due donne completamente nouille* che si litigavano l’ultima confezione di orecchiette che giaceva sullo scaffalo del reparto pasta, e dirigermi verso i confit, ma sono sicuro che ne avreste pianto di orgoglio. 😉
*Nouille ha un doppio senso in francese. La parola designa in modo spregiativo la pasta, ma anche una persona imbranata o cretina.
Invitation, una canzone del gruppo Les Ogres de Barback(tratta dall’album Pitt Ocha au pays des mille collines) interpretata insieme alla fanfara Eyo’Nlé.
“Quattro parole scritte per te
In francese, mandingo o bambara
Una canzone che ci porta a mille miglia dall’odio…..”
Sarà perché mi sento un avventuriero dopo il mio viaggio nelle isole del mare degli Stretti (di cui vi parlerò presto), oppure, più probabilmente, perché ti passano una vecchia canzone di Dutronc 25 volte al giorno per una pubblicità per non so qual coso, ma non riesco più a togliermi questa fottuta canzone dalla testa da una settimana. E quindi non c’è ragione che sia il solo a soffrire. 😉 Tutta la canzone è basata su legami, rime e giochi di parole tra nomi di città e quello che ci fa l’avventuriero.
Je suis un aventurier Et j’ai beaucoup bourlingué. (bourlinguer: girare il mondo, navigare, vagabondare, lavorare penosamente….ecc) J’ai fait la vie à Varsovie.
J’ai fait le mort à Baltimore. J’ai fait le rat à Canberra. (rat: topo, tirchio) J’ai joué aux dés à Yaoundé. J’ai joué aux dames à Amsterdam. (doppio senso)
J’ai fait des games à Birmingham. (doppio senso) Je suis un aventurier Avec lequel il faut compter.
Je suis un aventurier Avec lequel il faut compter.
J’ai été borné à Bornéo. (borné: meschino, gretto, limitato…) J’ai été pompette à Papeete. (pompette: ubriaco) J’ai bu de l’eau à Bordeaux. J’ai dit tant pis à Tampico. J’ai été soldat à Bogota Et des calculs à Calcutta.
A moi, faut pas m’en raconter, Parce que, vraiment, j’en ai bavé. (En baver: soffrire, aver una vita difficile)
A moi, faut pas m’en raconter, Parce que, vraiment, j’en ai bavé.
J’ai été errant à Téhéran Et au sauna à Saana. J’ai fait l’chasseur à Kinshassa Et la nounou à Cotonou. (nounou: tata) J’ai fait de la tôle à Dôle. (tôle: carcere) J’ai été lourdé à Lourdes. (lourder: essere lasciat(a)o da un ragazz(a)o; licenziato)
Je suis un aventurier. J’en ai vrairnent beaucoup bavé. Je suis un aventurier. J’en ai vrairnent beaucoup bavé.
J’ai été crétin à Créteil. J’ai eu la berlue à berlin. (berlue, avoir la berlue: vedere qualcosa che non esiste, stralunare, essere bieco)
J’ai été gentil à Port-Gentil Et malpoli à Tripoli. J’ai fait la vie à Varsovie Et le mort à Baltimore.
J’étais un aventurier. Maintenant, c’est terminé. J’étais un aventurier. Maintenant, c’est terminé.
Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Voilà le Nouvel An tout neuf
Solide comme le Pont-Neuf
Il va réaliser
Tout ce dont vous pouvez rêver
Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Si ces mots-là vous viennent du cœur
Ils porteront bonheur
C’est pourquoi faut toujours
Les dire avec un peu d’amour
J’connais des Jules et leurs rombières
Qui jouent les ducs et les barons
Et qui se coiffent à coups d’soupière
Dès qu’ils discutent à la maison
Il faut entendre l’vocabulaire
« Crevard, pouilleux, fesse de merlan ! »
Ils gueulent comme ça l’année entière
Mais ils s’murmurent au jour de l’an
Bonne année, bonne santé, chère âme
Ma coccinelle, mon gros poupou
Mon minet, mon loulou
Jure-moi qu’sans mon amour
Tu ne pourrais pas vivre un jour
Bonne année, bonne santé, mais l’drame
C’est qu’pendant tous les jours suivants
Jusqu’à l’autre jour de l’an ils s’redisent tendrement
« Tordu, punaise et peau d’ hareng »
Dans tous les coins de la planète
Y a toujours la joie des parents
Qu’les gosses pieds nus et en liquette
Viennent embrasser au jour de l’an
Et si la vie a peu de sourires
On la supporte allègrement
Tant que l’on peut s’entendre dire
« Bonne année, papa, maman »
Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Voilà le Nouvel An tout neuf
Solide comme le Pont-Neuf
Il va réaliser
Tout ce dont vous pouvez rêver (Bonne année)
Bonne année, bonne santé, M’sieurs Dames
Et souhaitons que dans cent ans
On puisse comme à présent
Se redire de tout cœur
Tous nos meilleurs vœux de bonheur (Bonne année)
Farai un vers, pos mi sonelh, e’m vauc e m’estauc al solelh; donnas i a de mal conselh, e sai dir cals: cellas c’amor de chevaler tornon a mals.
Farò un canto, poiché sonnecchio e cammino e sosto al sole; ci sono donne sconsiderate ed io so dire quali: quelle che amor di cavaliere tengono a male.
Donna non fai pechat mortatau que ama chevaler leau; mas s’ama monge o clergau non a raizo: per dreg la deuria hom cremar ab un tezo.
Donna non fa peccato mortale se ama cavalier leale; ma se ama monaco o chierico senza ragione la si dovrebbe bruciare con un tizzone.
En Alvernhe, part Lemozi, m’en aniei totz sols a tapi: trobei la moiller d’En Guari e d’En Bernart; saluderon mi sinplamentz, per Saint Launart.
In Alvergna, oltre il Limosino, me ne andavo da solo, pellegrino, trovai la moglie di Don Guarino e Don Bernardo mi salutarono con modestia, per san Leonardo!
La una’m diz en son lati: »0, Deus vos salf, don peleri! Mout mi senblatz de bel aizi, mon escient; mas trop vezem anar pel mon de folla gent.«
Una mi dice nel suo linguaggio: “Dio vi aiuti, signor viandante! Mi sembrate molto per bene a prima vista, ma assai ne vediamo andare per il mondo di folle gente.”
Ar auziretz qu’ai respondut: anc no li diz ni bat ni but, ni fer ni fust no ai mentagut, mas sol aitan: »Babariol, babariol, babarian.«
Ora sentite cosa ho risposto: non le dissi né ai né bai, ferro o bastone non menzionai, ma solo questo: “Babariol, babariol, babarian”
»Sor«, diz N’Agnes a N’Ermessen, »trobat avem que’anam queren! Sor, per amor Deu l’alberguem, que ben es mutz, e ja per lui nostre conselh non er saubutz.«
“Sorella” disse Agnese ad Ermessenda “abbiam trovato quel che cercavamo!” “Sorella, per amor di Dio, ospitiamolo che è proprio muto, da lui i nostri propositi non saran rivelati”.
La una’m près sotz son mantel et mes m’en sa cambra, el fornel; sapchatz qu’a mi fo bon e bel, e’l focs fo bos, et eu calfei me volenter als gros carbos.
Una mi prese sotto il mantello, e mi condusse in camera, al fornello; sappiate che fu buono e bello e il fuoco giusto; ai gran carboni io mi scaldai di gusto.
A manjar mi deron capos, e sapchatz aig i mais de dos; et no’i ac cog ni cogastros, mas sol nos tres; e’I pans fo blancs e’I vins fo bos e’I pebr’espes.
Da mangiare mi diedero capponi sappiate che erano un bel po’ non c’erano né sguattero né cuoco, solo noi tre; il pane era bianco, il vino buono, il pepe spesso.
»Sor, s’aquest hom es enginhos e laissa lo parlar per nos, nos aportem nostre gat ros de mantenent, quel farà parlar az estros, si de re’nz ment.«
“Sorella, quest’uomo è un gran furbone ha smesso di parlar per causa nostra portiamo il nostro gatto rosso mantinente lo farà parlare espresso se lui mente.
N’Agnes anet per l’enoios: et fo granz et ac loncz guinhos; et eu, can lo vi entre nos, aig n’espavent, qu’a pauc no’n perdei la valor e l’ardiment.
Agnese va a prendere il gattone: era grosso e con lunghi baffoni: io, quando fu fra noi, n’ebbi spavento, per poco non persi i sensi e l’ardimento.
Quant aguem begut e manjat, e’m despoillei per lor grat; detras m’aporteron lo chat mal e félon: la una’l tira del costat tro al talon.
Quando avemmo bevuto e mangiato mi spogliai come a lor piacque, sulla schiena mi mettono il gatto cattivo e fellone; una lo tira dal costato fino al tallone.
Per la coa de mantenen tir’el chat, el escoisen; plajas mi feron mais de cen aquella ves; mas eu no’m mogra ges enguers qui m’aucizes.
Per la coda, tutto a un tratto tira il gatto e quello graffia ne ebbi più di cento piaghe quella volta; ma non mi sarei mosso neanche morto.
»Sor« diz N’Agnes a N’Ermessen, »mutz es, que ben es conoissen.« »Sor, del bainh nos apaireillem e del sojorn.« Ueit jorn ez ancar mais estei az aquel torn.
“Sorella, disse Agnese ad Ermessenda, è proprio muto, mi pare evidente” “Sorella al bagno prepariamoci e al soggiorno!”Otto giorni e ancor di più restai in quei dintorni.
Tant las fotei com auziretz: cent et quatre-vinz et ueit vetz, que a pauc no i rompei mos corretz e mos arnes; e no’us puesc dir los malavegz, tan gran m’en près.
Tanto io le scopai come udirete: centoottantotto volte, per poco non mi ruppi la correggia e anche l’arnese; non vi posso dire il male che mi prese.
Monet, tu m’iras al mati, mo vers portares el borssi, dreg al la molher d’En Guari e d’En Bernât: e diguas lor que per m’amor aucizo’l cat.
Monet, tu andrai al mattino coi miei versi e un borsellino; dì alla moglie di Guarino e di Bernardo che uccidano il gatto per mio riguardo.
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Guglielmo IX d’Aquitania(1071-1137), Farai un vers, pos mi sonelh (traduzione italiana di Paolo Canettieri)
Qualche anno fa, ho cambiato le finestre di casa per fare qualche risparmio sulla bolletta del gas. L’IVA era regalato dal governo e dunque, in buona fede, ho pensato che fosse anche sul montaggio delle finestre. Ma no, era solo sul prezzo delle finestre. Ho sbagliato nella dichiarazione di reddito di qualche centinaia di euro. E bene, una settimana dopo aver inviato la dichiarazione di reddito, ho ricevuto una lettera di minaccia dall’agenzia delle Entrate che se non pagassi la somma dovuta, la polizia busserebbe alla mia porta sotto quindici giorni. Allora mi fa davvero male al culo di sentire quando accendo la televisione, discorsi tipo: “Poverino. Ci vuole capire il suo gesto a questo poverino di Carlos Ghosn. Lui ha evaso qualche milione di euro. E allora? Lui non prendeva abbastanza con i suoi miserabili quindici milioni di stipendio ogni anno. Il poverino è stato costretto a fare un po’ di evasione fiscale. Ma cosa possiamo capire noi poveracci che abbiamo solo qualche tassa da pagare? Caspita, se dovessimo mantenere palazzi, collezioni di auto, gestire tutto questo denaro, ridurre gli stipendi e il numero degli operai, come faremmo noi poveracci che non ci capiamo niente a tutte queste cose…”