Oceano: Dove il lettore verrà a sapere che Gatto Silvestro non è per forza un gatto in Francia!

 

Questa pianta erbacea (Lagurus Ovatus) che non serve proprio a niente e che cresce nelle nostre dune tra i cisti, i corbezzoli, le brughiere e le ginestre, si chiama in italiano: piumino oppure coda di lepre. Invece in francese, la pianta è conosciuta sotto il nome di gros-minet che è il nome che il Titi francese (con solo due t) dà a Gatto Silvestro. Titi, il canarino, non dice come Titti, il suo omologo italiano:  Oh, oh, Mi è semblato di vedele un gatto! Già perché, da noi, il nostro Titi non ha problema con la lettera R e soffre solo di una pronuncia blesa, ma soprattutto perché lui non vede un semplice gatto, ma un grosso micio cioè letteralmente in francese un gros minet: Z’ai cru voir un ‘rominet ! dice il nostro canarino francesizzato. A volte, incontrate, chissà perché, persone che raccolgono quei gatti silvestri  per farne dei mazzi di fiori secchi. Gli spighi bianchi dei gatti silvestri sono più serici dei peli miseri di Gatto Silvestro quando li accarezzate, ma possono anche farvi starnutare se li avvicinate al vostro naso. Come un micio, vi dico! Tranne ovviamente che il gatto silvestro delle dune non scoccia gli uccelli oppure il suo prossimo come Gatto Silvestro e non fa le fusa come un gros minet! 😉

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oceano: la gente covidiciannovizzata che ci governa in Francia!

la gente covidiciannovizzata che ci governa da Parigi ha inventato la spiaggia dinamica, quella che ci proibisce, noi abitanti dell’Aquitania che abbiamo 720 km di litorale, di essere statico sulla sabbia, di sedersi, di sdraiarsi. Questa gente di Parigi non è capace di capire che la Natura possa essere altra cosa che una specie di struttura da sfruttare, un parco di divertimento, una palestra, un supermercato…. No, per me, cari covidiciannovizzati del governo, vi sembrerà strano, ma la Natura è una necessità vitale come respirare o mangiare. Quindi non farò tutte queste coglionaggini che mi prescrivete. Non andrò in spiaggia per correre, camminare, nuotare, surfare….senza mai smettere di muovermi. No, andrò in spiaggia per fare tutto quello che voglio e anche il resto. Ci andrò per provare la stessa emozione di sempre quando varco l’ultima duna, varcata un milione di volte, e che scopro l’Oceano. Ci andrò per ammirare la sua bellezza quando il sole verdeggia le onde o le tinge di blu al punto che i suoi colori fanno pensare a delle pietre preziose. Ci andrò quando soffia il vento del Nord e che l’Oceano diventa tutto spumoso. Ci andrò per sentire il suo murmuro in estate e i suoi urli in inverno. Ci andrò per sdraiarmi in alto delle dune piantate dai miei antenati e guardare le nuvole. Ci andrò per divertirmi dei voltapietre che corrono sulla spiaggia e per invidiare i nibbi che volano alto nel cielo. Ci andrò per sedermi, in cima alla duna, e leggere tutta una giornata in mezzo alle immortali. Ci andrò per sognare. Ci andrò per respirare l’odore delle alghe o seguire dallo sguardo una barca da pesca, lontano a Ovest, en route verso Arcachon. Ci andrò quando i pini profumano oppure quando gli alberi cadono dopo le tempeste invernali. Ci andrò per non fare un cazzo dall’alba al tramonto. Ci andrò quando le cicale mi rendono pazzo oppure quando sento, in tutta una giornata d’autunno, solo il rumore della campane di un cane da caccia nel lontano. Ci andrò quando il sole brucia e quando ho l’impressione che le mie orecchie stanno per cadere a causa del freddo. Ci andrò per raccogliere funghi e corbezzoli per la marmellata. Ci andrò fino al mio ultimo soffio, solo perché ho bisogno di sedermi e sdraiarmi nelle vecchie dune del Médoc. Quindi potete inviare i droni, l’esercito e gli elicotteri perché non mi muovo! 😉

Oceano: Pòdetz virar lo cuu au vèn!

Mappa del litorale del Médoc e delle Lande di Guascogna.

Dunque, secondo il piano di deconfinamento di quel pisciafreddo di Édouard Philippe, i parigini, dal 11 maggio, potranno tornare a stiparsi al ritmo di 26 000 persone all’ora sulla linea 13 della loro metropolitana puzzolente, mentre io, dovrò voltare il culo al vento e continuare a rinunciare a passeggiare sulla spiaggia deserta dell’Alexandre dietro casa mia! Da un lato, proseguimento della strage dei parigini che vivono nella zona più contaminata di Francia; dall’altro, una misura vessatoria in una zona sotto controllo dove meno di 1% della popolazione è stata in contatto con il virus!  😠😠😠

 

Médoc: Parabrezza vernali.

Ovunque il vento oceanico trascina un profumo penetrante e inebriante di resina e di miele, galleggiando con le nuvole colore zolfo, che toglie ai milioni di pini in fiore delle foreste. Piogge e tempeste di polvere d’oro che si abbattono per due settimane sui cammini, sulle dune, sulle distese di brughiere e di ginestre, sui fiumi e le pozzanghere, sulle acque morte degli stagni, sui tetti delle case dei paeselli del Médoc e…sul parabrezza della mia auto abbandonata. 😉

Médoc: Foche nel Mare Oceano del Golfo di Biscaglia!

Carta del comportamento da adottare in caso di incontro con una foca affissa su una spiaggia medocchina.

Non è mai banale anche per qualcuno come me che passa molto tempo a solcare il litorale del Médoc, ma può succedere talvolta di incontrare qualche foca sulle nostre spiagge in inverno. Sono foche grigie bretoni o ch’ti che vengono in villeggiatura per imparare ai loro cuccioli a pescare prima di lasciarli vivere la loro propria vita. Qualche anno fa, ho osservato una piccola colonia di quei vacanzieri, un giorno dall’alto di una duna tutto al Nord del Médoc. La sabbia della duna era dura come del cemento. Soffiava un vento gelido, tanto che non sentivo più le mie estremità e che avevo l’impressione che il mio naso, le mie orecchie e i miei denti stavano sul punto di cadere. E le foche se la godevano sulla spiaggia a prendere il sole livido di febbraio come se fossero in qualche paese tropicale…

Settembre 1917: Una foca di 1 metro e venti è stata uccisa sulla spiaggia di Vieux-Boucau nelle Landes dal doganiere G… che l’ha trovata, sdraiata sulla spiaggia durante il suo giro di ispezione. Spaventato dai gridi dell’animale da lui completamente sconosciuto, quel doganiere l’ha stordito dopo l’aver ferito a morte da un colpo di fucile quando l’animale ha cercato di riguadagnare il mare. La spoglia è stata inviata al museo del Mare di Biarritz….

Agosto 1920: Un altra foca è stata presa da pescatori girondini verso il Cap-Ferret. Pesava 49 chili e misurava un metro e quaranta. Il corpo era coperto di un pelo ruvido e corto di colore grigio cenere. Quella foca stordita a colpi di bastone come succede, purtroppo, quasi sempre quando marinai e cacciatori si trovano in presenza di animali che non conoscono, ha sopravvissuto solo 48 ore alle sue ferite. Durante quel breve intervallo, si è potuto osservare la sua dolcezza e la sua intelligenza. Si lasciava accarezzare e rispondeva dallo sguardo alle richieste che le facevamo….

Dunque sono in cima alla duna, molto lontano dalla piccola colonia, nascosto e tutto commosso in mezzo alle ammofile. Non faccio niente, mi accontento di fare il guardone. Non faccio rumore. Non scendo sulla spiaggia perché le foche che ricuperano sdraiate sul banco di sabbia dopo la pesca, rischierebbero di spaventarsi, di scappare verso il mare, di esaurirsi….Allora, sarei responsabile della loro morte e varrei ancora meno dei miei ignoranti antenati cacciatori occasionali di foche. Tornando a casa, telefono alla lega di protezione degli uccelli sul Bacino di Arcachon che si occupa anche della protezione delle foche. Do le coordinate GPS della spiaggia dove ho visto le foche, il responsabile brontola un po’ perché il posto è alla fine del mondo. Non ci penso più e qualche giorno dopo, il responsabile mi richiama per  dirmi che le foche sono in piena salute. Da allora, ogni tanto, ritorno su questa spiaggia in inverno con la segreta speranza di vederci di nuovo una piccola famiglia di foche….

 

Oceano: Passeggiata lungo la craste della Berle!

Lacanau in gennaio: lungo la craste della Berle*

Felci giganti, carici centenarie e foreste di betulle costituiscono il mondo delle berle. Nei confronti degli altri alberi delle nostre foreste, le betulle sembrano ragazze con le loro silhouette snelle e alte, splendenti  nei loro abiti di sposa. Ma non vi fidate. L’universo delle berle è quello dell’umidità, della decomposizione, dei funghi, della muffa e degli insetti che divorano tutto. Avvicinatevi, avete visto queste macchie che costellano gli abiti delle betulle e queste sbavature che colano come lacrime di fuliggine? Ora, guardate al suolo le mani delle ragazze! Hanno i dorsi delle mani tutte piene di artrite e di reumatismo come le vecchiette che hanno lavorato la vite durante sessant’anni. Le dita giovani, già logorata, sono spesse e nodose e non hanno abbastanza di forza per ancorarsi profondamente nel suolo della berle, le vecchie mani sono come posate sulla superficie spugnosa della palude. Le mani delle ragazze causano la loro morte. In inverno, quando le craste straripano e inondano per mesi le berle, quando piove troppo, che soffia il vento dall’Ovest e che le ragazze hanno preso un po’ di età, le vecchie mani delle ragazze non riescono più a graffiare abbastanza il suolo per mantenersi dritte, ed è la morte. Le betulle non invecchiano mai nelle berle.               

*Nella lingua guascone del Médoc, le craste sono canali che permettono lo scorrimento delle acque da una palude verso uno stagno, lo stagno di Lacanau in questo caso. Stagno significa lago. Per quanto riguarda berle, la parola designa un prato paludoso in riva a uno stagno.

 

Oceano: Giallo a Lacanau!

Sotto 9 scatti che raccontano un pomeriggio di dicembre in giallo nel Médoc e un racconto dello scatto in giallo mancante.

Qualche metro quadro. Una piccola stanza per fare la cucina scavata nel muro lebbroso della vecchia discoteca e, fuori, raggomitolati davanti all’apertura fatta nel muro stesso, il banco e due tavoli sbilenchi sotto una pensilina divorata dal sale oceanico. Il locale del mercante di churros è aperto tutto l’anno anche per Natale o per il primo gennaio e ti fa, in inverno, come un faro di vederlo rischiarato sul molo deserto. L’uomo dietro il banco se ne frega di mangiare il suo guadagno estivo aprendo in inverno perché quello che gli piace il più al mondo è di stare là a contemplare l’oceano. Un eremita. Giorni, mesi, anni, mezzo secolo a fare friggere churros lo sguardo perso lontano verso Ovest. Sotto il banco, ai piedi del mercante di churros, due cagnoline di caccia senza età, sempre fiatate e moribonde, in guerra eterna con i cani randagi che invadono la cittadina in inverno. L’uomo, fatalista, ha smesso di lamentarsi dei cani erranti presso il municipio, tanto pisciare nell’oceano, lui dice. Il mercante di churros è lunatico e per niente commerciante. Talvolta l’uomo fa finta di non conoscerti anche se lo frequenti da anni; in quei giorni, gli dai tanto fastidio che sembra ti fare quasi un favore di scaldare l’olio per i churros. Talvolta il mercante dimentica l’oceano per un momento, è diventa addirittura prolisso. Un narratore nato. Ti racconta storie di caccia inverosimili, di nuvole di tordi che offuscano il sole sopra le pinete, di stormi di migliaia di anatre sopra lo stagno. Sono storie che si trasmettono nella sua famiglia di generazione in generazione. Lui racconta le sue storie, lanciando briciole di churros ai passeri, come se ne fosse stato protagonista. Fai finta di crederci anche se sai che lui è perpetuamente dietro il suo banco. Una volta, ci sono andato una sera per comprare churros e c’era anche questa vecchia coppia davanti a me. Ho chiacchierato un po’ con la signora che mi ha raccontato di venire ogni mercoledì sera per regalarsi questo piccolo piacere dei churros. Ma che questo mercoledì era speciale perché il marito aveva subito un intervento cardiaco e la prima cosa che lui voleva fare uscendo dall’ospedale, era di andare all’Oceano e di mangiare dei churros. Il mercante non ha detto una parola, ma era commosso. Che cretino! ha esclamato ridendo la vecchia signora. Poi ci siamo accorti parlando che eravamo quasi vicini. Il Médoc è un’isola. Dopo l’estate di due anni fa, ho visto le attrezzature del mercante di churros in strada, poi che c’erano lavori di ristrutturazione, mi sono detto che il tizio aveva finalmente deciso di ammodernare il locale e di lasciare gli anni 1970 per gli anni 2020. I mesi sono passati e niente. Poi, alla fine di quest’estate, ho visto che al posto del banco di churros aveva spuntato une specie di bar a ostriche come si vede ad Arcachon. Ora, in inverno, dopo una giornata a raccogliere funghi nelle pinete o plastica in spiaggia, non faccio più il mio piccolo rituale di ordinare i miei churros al mercante, poi di andare al bancomat, accanto all’ultimo parrucchiere prima l’America, ritirare un po’ di denaro per pagare il mio caffè e il mio piccolo piacere come diceva la vecchia signora. Non mi metto più al riparo sotto la vecchia pensilina tutta arrugginita i giorni di pioggia o di gelo, non mi siedo più in cima alla duna per mangiare i miei churros colore sole invernale. No, resto sul molo sperando di vedere il mercante di churros che ha passato la sua vita a contemplare l’Oceano dietro un banco di quattro metri quadri. Forse lui è andato in pensione oppure ha deciso di dedicarsi alla caccia o di andare a vedere cosa c’era a Ovest. Non lo so. Comunque resto sul molo come un cretino fino al tramonto. So che lo rivedrò un giorno o l’altro. Il Médoc è un’isola.

Oceano: I cani bianchi muoiono in ottobre!

26 ottobre. Un sabato pomeriggio nel Médoc.

Esistono solo due stagioni e sono proprie a ognuno di noi. Una è quella del cane bianco che inizia quando ti senti di fare il tuo primo bagno dell’anno nell’Atlantico. L’altra è quella del cane nero che inizia dopo il tuo ultimo bagno dell’anno nell’Atlantico. Per dare alla luce al tuo cane bianco devi uccidere il tuo cane nero e viceversa. Ieri ho ucciso il mio cane bianco e lo farò resuscitare uccidendo il mio cane nero da qualche parte, l’anno prossimo, spero tra aprile e maggio. 😉