Viaggio nelle isole del mare degli stretti, di là della fine delle Terre! Sesta parte.

Immagini della chiesa San Nicola sull’isola d’Oléron e della chiesa San Martino sull’isola d’Aix.

Di là della fine delle Terre, le chiese non sono diverse delle nostre. Ci sono navi ex voto che furono fatte da marinai che, miracolosamente grazie all’intercessione di Nostra Signora del Mare, riuscirono a sopravvivere ai colpi di coda della balena, alla melopea delle sirene, a Nettuno che cercava di  trascinare loro nel suo castello nel fondo dell’Oceano, agli attacchi dei pirati; insomma a sopravvivere ai naufragi che minacciavano le loro navi a ogni istante. E sono anche strapiene di piccole croce nere sui pareti e di cenotafi nei cimiteri per ricordarci tutti quelli che non ce l’hanno fatta e che dormono tra le braccia dell’Oceano. Una volta, le navi ex voto non erano monumenti storici protetti da vetri come oggi. Erano strumenti a vento e ne trovate ancora nelle nostre chiese sistemati nel modo giusto per essere messi in moto come una volta. Dovete immaginare le navi ex voto sospese a fili sottili che scendevano dal soffitto. Una flotta. Dovete immaginare i marinai e le loro famiglie che assistevano alla messa prima l’imbarco con le navi ex voto sopra le loro teste. Il prete sceglieva un giorno ventoso per la celebrazione. Dovete immaginare il vento che soffiava dentro la chiesa da ogni fessura e dalle finestre lasciate aperte. E le navi ex voto che si mettevano allora a sfarfallare, a girare a destra e a sinistra come quando la tempesta si avvicina e che il mare comincia a essere mosso. Allora, lo scaccino spalancava le porte della chiesa per invitare il vento a entrare e scatenarsi completamente. Il legno delle navi ex voto scricchiolava lugubremente, le navi ex voto, in una danza macabra, cavalcavano il vento come se fossero onde giganti. Immaginate il terrore provocato da quegli acchiappa-incubi. Immagini di un passato rivissuto per i marinai che avevano scappato a un naufragio e che si ricordavano i compagni morti e visioni di un futuro probabile per i marinai che si apprestavano a imbarcare. Allora, il prete per rassicurare i marinai e le loro famiglie, mostrava da un gesto della mano la statua di Nostra Signora del Mare, lei era immobile, sorridente, insensibile alla furia del vento e pronta ad aiutare e proteggere loro dai colpi di coda della balena, dalla melopea delle sirene, da Nettuno che cercava di trascinare loro nel suo castello nel fondo dell’Oceano, dagli attacchi dei pirati. Allora, lo scaccino chiudeva le finestre e le porte per cacciare il vento e gli uomini potevano imbarcare. 

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Quarta parte.

Lanterna dei morti di Saint-Pierre d’Oléron.

Dal X secolo fino al secolo dei Lumi. Le lanterne dei trapassati hanno mantenuto il fuoco sacro nei camposanti francesi. Sono tante diverse tra esse queste lanterne dei trapassati che la gente ci vedeva antichi monumenti druidici (anche se i galli non costruivano in pietra), romani, oppure mauri; apparecchi di segnalazione, fari per guidare le navi sul mare oppure i viaggiatori smarriti nelle campagne. E no. Le lanterne dei trapassati hanno tutte come punto in comune di vedersi da lontano, ma non sono tutte queste cose. Erano edifici di fede cristiana. Il fanale acceso in cima aveva uno scopo ovviamente – che è stato descritto da sant’Agostino da qualche parte, credo – quello di ammonire i vivi, di pregare per i morti e permettere ai morti che erano seppelliti ai piedi della lanterna e nei dintorni di ricevere il più grande numero possibile di preghiere. Bambino, mia nonna mi diceva che una volta morta, lei verrebbe mi “solleticare i piedi” se non fossi onesto e forse lo sta facendo visto che ho un piede….Va bene, non vado a raccontarvi la mia vita. Suppongo sia stata la stessa cosa per sant’Agostino e che lui aveva paura che la nonna tornasse per sistemarlo, di cui questo rispetto che dobbiamo ai trapassati. Dunque era il ruolo di quelle lanterne dei trapassati: onorare i morti per calmare la loro rabbia di essere morti, ricordarli alle preghiere dei vivi, affermare l’immortalità dell’anima, addormentare il terrore che la gente aveva dei fantasmi e allontanarli. Era tanto presente questa paura dei fantasmi nel Medioevo che, nelle città, c’erano persone che facevano il mestiere di “clocheteur” cioè che percorrevano le strade di notte agitando un piccolo campanile per risvegliare la gente: “svegliatevi, voi che dormite, Pregate Dio per i trapassati….” I “clocheteur” avevano la stessa funzione delle lanterne dei trapassati. I fanali di quei templi di pietra erano accesi tutte le notti e spesso anche notte e giorno. Ogni due novembre, tutto il paese si ammucchiava nella nebbia o sotto la pioggia intorno alla sua lanterna dei trapassati per sentire una messa funebre. Quando c’era un morto, la lanterna doveva rimanere accesa fino alla sua messa in terra. Le lanterne dei trapassati ci raccontano riti di un vecchio mondo ormai dimenticato. Sono abbandonate o diventate semplici croci nei camposanti o croci perse nei campi. Le parti che ospitavano i fanali sono crollate. Vecchie cose del Medioevo. Le lanterne dei trapassati sono trapassate. Ne resta soltanto una in Francia, una discendente laica, di cui la luce è accesa in modo perenne: è l’Arco di Trionfo a Parigi con sotto la Tomba del Milite ignoto…. La campanella della scuola costruita sopra l’antico camposanto, a due passi dalla lanterna dei trapassati, si mette a suonare. Uno stormo di alunni ne esce urlando. In un attimo, i gridi si disperdono nelle antiche vie della città. Il silenzio torna sotto i platani….

Oceano: Veronica della fine delle Terre.

Medoc. Soulac. Notre-Dame della fine delle Terre. Tutte le foto del post sono state scattate qualche anno dopo il dissabbiamento della basilica.

Oggi, vorrei raccontarvi la storia di Veronica, profuga palestinese giunta nel Médoc, alla fine delle Terre, con la sua strana religione orientale per sfuggire alla guerra che dilaniava il suo Paese. La prima traccia della nostra Veronica la troviamo nel Vangelo secondo Marco dove ci si racconta la storia di una donna che da dodici anni era affetta da emorragia. Avendo udito che Gesù faceva miracoli, lei venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Subito l’emorragia si fermò e lei sentì nel suo corpo che era guarita. Sappiamo il suo nome perché negli atti di Pilato, la miracolata tenta di testimoniare al processo di Gesù e dice di chiamarsi Berenice cioè Veronica in latino. In un altro testo, ci si racconta l’episodio famoso della sesta stazione della via crucis dove una donna pia in un gesto di compassione avrebbe asciugato il volto tumefatto di Gesù con un velo che avrebbe impresso la sua traccia. La nostra prima fotografa della storia sarebbe Veronica. Già a Cesarea di cui Veronica era originaria, antistante alla sua casa, c’era una statua che raffigurava Gesù e l’episodio della sua guarigione miracolosa. E un padre della chiesa, Eusebio, ci dice come le prime comunità cristiane hanno questa preoccupazione costante di possedere un’immagine di Gesù. La pratica della raffigurazione del volto di Gesù è confermato da alcuni testi apocrifi della passione riuniti sotto il nome di atti di Pilato. In un’altra storia viene evocata una Veronica in possesso dell’immagine di Gesù. Un ufficiale romano, Volusiano, gliela ruba e la porta all’imperatore Tiberio che soffre della lebbra. Il tizio cade in adorazione davanti all’effigie e guarisce subito. Poi c’è la storia ancora più incredibile della grotta del Latte. Figuratevi che a Betlemme in Palestina esiste una grotta chiamata grotta del Latte dove, secondo una credenza locale, la vergine Maria veniva allattare il bambino Gesù. Un giorno, una goccia di latte cade sulla roccia e le dà il colore bianco con il potere di rendere il latte alle balie che non ne avevano più. La roccia essendo friabile, Veronica ne prende un grosso pezzo. Siamo nel 70 al momento della distruzione di Gerusalemme e Veronica già vecchietta si imbarca da Cesarea con il marito, Zaccheo chiamato anche Amadoro secondo i racconti, per raggiungere la Gallia.

Dunque la nave lascia la Palestina e solca verso la penisola iberica, varca lo stretto di Gibilterra e risale l’oceano costeggiando le coste del golfo di Biscaglia fino ad arrivare nel Médoc, nel paese dei Meduli. I nostri due primi cristiani sbarcano al “Pas de Grave” cioè letteralmente alla fine delle Terre. E anche  se la geografia odierna del Médoc non assomiglia per niente a quella antica, il luogo dello sbarco doveva essere situato per forza da qualche parte su un tratto di terra tra la bocca della Gironda e l’oceano. Quindi l’idea è che Veronica e il marito avrebbe sbarcato a Soulac e d’altronde fino al secolo scorso si pensava che l’etimologia di Soulac veniva da solum lac in riferimento alla pietra di latte della vergine portata dalla Palestina da Veronica, oggi si pensa piuttosto che la radice soul significava semplicemente casa di paglia per i meduli. E dunque Soulac avrebbe designato una frazione di una città portuale romana diventata mitologica oggi nel Médoc: la famosa Noviomagus, l’Atlantide del Médoc. Non tanta mitologica d’altronde perché abbiamo visitato i suoi vestigi in un altro post. Noviomagus è inabissata verso il VI secolo nell’oceano tranne il quartiere di Soulac che sarebbe stato costruito su un’altura. Dunque i nostri due profughi palestinesi sbarcano a Noviomagus e, dopo qualche tempo, sono raggiunti da un certo Marziale di Limoges che è stato inviato da Roma per evangelizzare i diversi popoli dell’Aquitania.

Un oratorio, che è probabilmente il primo edificio cristiano dell’Aquitania, è costruito da Veronica con l’aiuto di Marziale nel quartiere di Soulac. La prima chiesa del Paese, Notre-Dame della fine delle Terre, era nata. Poi, la Nostra Veronica ci fece scaturire una fonte d’acqua dolce in un Paese intrappolato tra estuario e Oceano cioè dove la gente era condannata a bere solo acque salmastre. La reliquia cioè la pietra miracolosa della grotta del Latte è sistemata al posto d’onore della chiesa. Poi, Veronica si mette a evangelizzare il Médoc e non è troppo difficile per la Sheherazade palestinese con le sue storie degne delle mille e una notti, il suo potere di trovare acqua o di guarire la gente grazie alla misteriosa pietra della grotta del Latte. A sua morte, Veronica è seppellita nella chiesa primitiva di Notre-Dame della fine delle Terre. Poi, al momento delle invasioni vichinghi, il reliquiario che contiene le sue ossa è messo al riparo nella basilica di Saint-Seurin di Bordeaux dove si trova ancora oggi. Verso il XI secolo, al posto dell’oratorio è edificato la basilica di Notre-Dame della fine delle Terre e durante secoli i pellegrini di Compostela ci si fermava per venerare Santa Veronica fino al XVIII secolo dove la chiesa si ritrova completamente insabbiata sotto una duna.

Una volta, le dune non erano fissate dagli uomini come oggi, ma mobili. E talvolta la gente partiva la mattina al lavoro e quando tornava la sera non c’era più il Paese, ma solo una distesa di sabbia.  Qui alla fine delle Terre, la sabbia, le maree e l’oceano si mangiano tutto. Nel 1865, il cardinale di Bordeaux decide di fare dissabbiare la chiesa e dopo lavori faraonici, Notre-Dame della fine delle Terre, la bella addormentata sotto la duna, riappare al sole, intatta dopo due secoli di sonno. E durante gli scavi è ritrovato un reliquario con un’iscrizione che dice: Lac B Virginis e dentro la famosa pietra di latte portata a Soulac da Veronica…Per dirvi come la presenza di Veronica a Soulac non è una leggenda! 😉


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I meduli: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Meduli

Soulac: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Soulac-sur-Mer

Il post di Bordeaux e dintorni su Noviomagus: https://alexdebordeauxii.wordpress.com/2014/07/29/meglio-di-atlantide-la-leggendaria-citta-romana-di-noviomagus-a-nord-di-bordeaux/

Notre-Dame della fine delle Terre: https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Basilique_Notre-Dame-de-la-fin-des-Terres

Dove si trova esattamente la fine delle Terre per l’autore di questo blog: https://alexdebordeauxii.wordpress.com/tag/faro-di-cordouan/

Aquitania: Le Sirene della Garonne.

Io questo racconto delle sirene della Garonna, l’ho sentito più volte e ho deciso di condividerlo con voi, lettori e lettrici. Nella versione sotto, il racconto si svolge lungo il fiume Gers che è un affluente della Garonna, ma è sempre la stessa storia che sentirete che siate in riva alla Garonna o lungo uno dei suoi affluenti, quella di quei disgraziati..

Ci sono sirene nel mare. Ce ne anche nei fiumi. In un momento, avrete la prova che qualcuno ne ha visto nel fiume Gers. Le sirene hanno i capelli lunghi e fini come la seta, e si pettinano con pettini d’oro. Dalla testa alla cintura rassomigliano a delle belle ragazze diciottenni. Il resto del corpo è simile al ventre e alla coda dei pesci. Quelle bestiole hanno la loro propria lingua per spiegarsi tra esse. Se devono parlare con dei cristiani, parlano sia in guascone sia in francese.  Si dice che le sirene vivranno fino al giorno del Giudizio Universale. Certi credono che queste creature non abbiano di anima. Però molti pensano che abbiano dentro il corpo le anime delle persone annegate in stato di peccato mortale. Io su questo non saprei decidere chi ha ragione tra gli uni e gli altri. Durante il giorno, le sirene sono condannate a vivere sotto l’acqua. Non si è mai saputo cosa ci fanno. La notte, risalgono per greggi, e folleggiano, nuotando, al chiaro di luna, fino al primo suono dell’angelus della mattina. Succede che si battono. Allora si graffiano e si mordono, per succhiarsi il sangue. Al primo suono dell’angelus, sono costrette a tornare sotto l’acqua.

Molti marinai, viaggiando sul mare hanno visto greggi di sirene  nuotare intorno alle navi. Molti barcaioli ne hanno visto anche loro nella Garonna. Cantavano, nuotando, canzone tante belle, così belle, che ne avete mai sentito né sentirete mai delle simili. Per fortuna, i padroni  delle navi e delle barche non si fidano, e sanno ciò che ci vuole pensare di queste cantanti. Impugnano un bastone, e si mettono a picchiare i giovani marinai pronti a tuffarsi per raggiungere le sirene. Però i padroni non possono sempre aver l’occhio dappertutto. Allora, le sirene cascano sui tuffatori. Succhiano loro il cervello e il sangue; mangiano il loro fegato, il cuore e la trippa. I corpi dei poveri annegati diventano delle sirene, fino al giorno del Giudizio.

E ora, ecco la prova che ci sono sirene nel fiume Gers. C’era una volta, in una frazione della città di Lectoure chiamata La Côte, un giovane tessitore tanto appassionato, ma tanto appassionato di pesca che la gente gli aveva dato il soprannome di Bernardo-Pescatore (che significa airone in guascone). Ogni sera, al tramonto, se ne andava a tendere le sue reti da pesca e le sue linee di fondo nel fiume Gers. Poi tornava l’indomani  mattina, prima l’alba, per alzarle. Una sera, ai tempi della mietitura, Bernardo-Pescatore, era andato a sistemare le sue reti e le sue linee di fondo alla cascina di Talayzac, nel comune del Castéra-Lectourois. Fatto questo, si dice per se stesso:
– La mia casa è lontano, la cascina di Talayzac è a due passi. Conosco il padrone. Mi alloggerà per la notte. Domami, gli farò regalo di una carpa. Il contadino fece cenare Bernardo -Pescatore, e lo mandò a dormire in un buon letto. Dopo il suo primo sonno, Bernardo-Pescatore saltò a terra, si vestì nell’oscurità, aprì la finestra, guardò la luna e le stelle, e pensò:
– Sono quasi le tre. É tempo di andare ad alzare le reti e le linee di fondo.
Subito, Bernardo-Pescatore scese verso il fiume. A cento passi dal Gers, sentì gridi e risate di ragazze. – Diavolo! Egli pensò. Le ragazze del Castéra sono venute a fare il bagno qui. Avranno spaventato i pesci. Non avrò bisogno di prendere in prestito la giumenta del contadino di Talayzac per portare la mia pesca a casa.
Bernardo-Pescatore si avvicinò lentamente lentamente del fiume, nascondendosi dietro i cespugli, i frassini e i salici per vedere bene le ragazze senza farsi notare. Le ragazze pettinavano con dei pettini d’oro i loro capelli fini come la seta. Nuotavano e folleggiavano al chiaro di luna. Bernardo-Pescatore sentiva i loro gridi e le loro risate.
– Il diavolo mi porta via, egli pensò, se conosco una di queste ragazze e se capisco una parola di loro gergo.
Lo spuntare dell’alba era vicino, e Bernardo-Pescatore era ancora a guardare. Alla fine, una delle ragazze lo accorse e gridò:
– Un uomo! Un uomo!

Subitamente, tutte le ragazze si voltarono verso Bernardo-Pescatore:
– Bernardo-Pescatore, amico mio, vieni, vieni a nuotare con noi.
– Madre di Dio! Sono in mezzo a un gregge di sirene.
– Bernardo-Pescatore, amico mio, vieni, vieni a nuotare con noi.
Allora, le sirene cominciarono una canzone così bella, così bella, che ne avete mai sentito e ne sentirete mai una simile.
Per la virtù di questa canzone, Bernardo-Pescatore era forzato ad avvicinarsi all’acqua.
Le sirene cantavano senza mai smettere.
Madre di Dio! pensava il tessitore, sono in mezzo a un gregge di sirene.
E le sirene cantavano. Bernardo-Pescatore era in riva al fiume. Pronto a tuffarsi nell’acqua senza volerlo, quando le campane della chiesa del Castéra suonarono le prime note dell’angelus. Subito, le sirene smisero di cantare e si nascosero sotto l’acqua.
Bernardo-Pescatore tremava come la foglia del trifoglio selvatico. Era pallido come un morto. Alzò le sue reti e le sue linee di fondo. Mai il tessitore aveva preso  tanti bei pesci. Ma non conservò niente per lui e diede tutta la sua pesca al contadino  di Talayzac. Fatto questo, tornò a casa a La Côte, e restò sette giorni senza uscirne. L’ottavo giorno, partì all’alba per Notre-Dame-de-Bétharram che è un luogo di devozione rinominato nel Béarn. Lì, Bernardo-Pescatore trascorse tutto  un mese a fare bruciare delle candele, e a sentire delle messe, dall’alba fino a mezzogiorno. La sera diceva il suo rosario fino all’ora di andare a letto. Tornando a La Côte, Bernardo-Pescatore bruciò le sue reti e le sue linee di fondo. Non pescò mai più e consigliò ai suoi amici di fare come lui. La notte, non si avvicinava del fiume Gers perché aveva paura di incontrare di nuovo un gregge di sirene.

 

 

 

In cucina con Alex: In cui l’autore di questo blog prosegue la sua ricerca della torta di mele perfetta facendo un bavarese!

Una gentile coppia senza storia campavano in una beatitudine bovina in mezzo ad un giardino di periferia. Il diavolo decide di cogliere l’opportunità. Si avvicina – lei prima – offrendole una mele. Lei morde la mela e offre la mela ad Adamo che morde a sua volta.

“Il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Genesi 3: 4-5).

Certo, dopo erano più tristi, ma talmente più astuti…

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Gli ingredienti:

Per la dacquoise:

  • 100 g di nocciole in polvere
  • 100 g di zucchero a velo
  • 4 bianchi d’uovo (i tuorli serviranno per il bavarese)
  • 30 g di zucchero

Per le mele in gelatina:

  • 4 belle mele tipo renette
  • 10cl di succo di mele
  • 3 g di gelatina alimentare

Per il bavarese al cioccolato:

  • 4 tuorli d’uovo
  • 240 g di cioccolato (ho utilizzato un cioccolato al caramello
  • 33 cl di latte
  • 50 g di zucchera a velo
  • 8 g di gelatina alimentare
  • 20 cl di panna liquida intera

Indispensabile un cerchio di pasticceria.

Prima tappa: le mele in gelée.

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Sbucciate e tagliate a dadini le mele. In una ciotola di acqua fredda, mettete i fogli di gelatina a reidratare

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In una casseruola oppure una padella, fate cuocere le mele e il succo di mele. Le mele devono essere cotte e rimanere ferme. Lo scopo non è di ottenere una purea quindi dovete ancora vedere i dadini di mele. Scolate la gelatina e aggiungetela alle mele. Mescolate bene.

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Ponete il cerchio (potete scegliere anche un quadro oppure rettangolo) su una placca ricoperta di carta da forno e  posizionate la gelée di mele all’interno del cerchio. Calcate bene. Potete realizzare questa tappa il giorno prima e dimenticare la gelée in frigorifero oppure il giorno stesso e passare la gelée una mezz’ora in freezer. Io non ho di freezer quindi non ho la scelta e devo fare la gelée in anticipo.

Seconda tappa: la nostra dacquoise.

Ho già preparato la dacquoise più volte nella rubrica: In cucina con Alex. La dacquoise è il biscotto meringato tradizionale del Sud-Ovest della Francia e che serve anche di base ad un numero allucinante di entremets in Francia; è qualcosa davvero di immancabile.

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Preriscaldate il forno a 180 gradi. Togliere il cerchio che ha servito per le mele in gelée, ma conservate le mele in frigorifero (Io non ho di freezer e possiedo un unico cerchio da pasticceria!). In una ciotola, mescolate le nocciole in polvere e lo zucchero a velo.

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Montate i bianchi a neve. Quando cominciano ad essere spumosi e fermi, aggiungete lo zucchero continuando a sbattere. Poi, con una spatola, incorporate il composto nocciole in polvere e zucchero a velo ai bianchi montati.

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Ponete il cerchio su una placca coperta di carta da forno, versate la preparazione e stendetela  con la spatola. Cuocete per circa 20 minuti a 180 gradi (io non ho utilizzato il cerchio perché la dacquoise è abbastanza  facile a lavorare).

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Invece adesso ho bisogno del cerchio. Lasciate raffreddare bene la dacquoise e ponete delicatamente sopra le mele in gelée.

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Riservate in frigorifero.

Terza tappa: la crema inglese.

Mettete la gelatina a reidratare in una ciotola di acqua fredda. Preparate la crema inglese.

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Sbattete i tuorli d’uova con lo zucchero.

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Fatte bollire il latte…

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Versate latte sui tuorli battuti con lo zucchero senza smettere di sbattere.

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rimettete la preparazione sul fuoco e cuocete la crema inglese a fuoco dolce senza mai smettere di mescolare. La crema inglese sarà cotta quando la crema non velerà più il vostro cucchiaio, secondo il vecchio metodo del cucchiaio e del dito passato sul dorso del cucchiaio che deve lasciare una traccia ben visibile.

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In una ciotola, tagliate il cioccolato in pezzi.

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Versate la crema inglese ben calda, coprire e pazientare qualche minuto. Poi, con una frusta, mescolate bene per ottenere una crema omogena in cui il cioccolato sarà perfettamente sciolto.

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Il risultato.Aggiungete la gelatina scolata e mescolate bene. Lasciateraffreddare.

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Ottenere una Chantilly? In Francia non è complicato come in Italia! Montate la panna liquida con due cucchiai di zucchero a velo e avrete la vostra Chantilly. Se la panna è di qualità non c’è nemmeno bisogno di mettere le fruste del frullatore in congelatore e meno male perché non ho né congelatore, né frullatore!

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Aggiungete delicatamente la Chantilly alla crema inglese al cioccolato raffreddata.

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Poi, versate la crema inglese nel cerchio sulle mele e la dacquoise. Riservate in frigorifero una dozzina di ore.

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Bon app’ !