Perché non serve assolutamente a niente di leggere l’etichetta di una bottiglia di vino?

Mio povero Sileno, Dio della vinificazione e del ferrocianuro di potassio!

Perché l’etichetta non indica assolutamente niente dell’intruglio contenuto nella bottiglia che avete comprato (tranne ovviamente a comprare alcuni vini naturali fatti da vignaioli sempre più numerosi). Niente di più falso del proverbio latino: in vino veritas. Di recente, la Commissione Europea ha avuto la pazza idea, non di controllare il diametro delle zucchine di mare, care alla Meloni, ma di informare, semplicemente di informare – pensate informare che verbo sporco – il consumatore sulla composizione del vino che lui compra. Forse non sapete di questa cosa allucinante, ma i produttori di vino, di birra e di alcol non hanno l’obbligo di indicare gli ingredienti che loro mettono nelle loro bevande, né le calorie d’altronde. Pensateci bene a questa cosa: I venditori d’acqua devono dettagliare tutto sulle loro etichette, i produttori di vino: niente. La ragione di questa stranezza è che le bevande che indicano più di 1,2% di alcol non sono considerate come derrate alimentari! E dunque per rimediare a questa assurda anomalia, la Commissione Europea ha lanciato in marzo 2017, l’idea sacrilega di un’etichettatura più trasparente simile a quella che si pratica per l’industria dell’acqua. Il Parlamento europeo ha deciso di occuparsi della questione e di votare un emendamento…è niente. La lobby dei viticoltori è così possente che la discussione è completamente impantanata, il vino è business come ha detto, l’altro giorno, Salvini. Il vino non si tocca punto, dicono i parlamentari francesi. E pensate un po’ se i consumatori sapessero cosa c’è in un litro di vino, loro sfuggirebbero e addio alla montagna di soldi che genera questo business. L’uva è solo una parte degli ingredienti necessari per fare un vino, oggi; quindi iscrivere sull’etichetta il tipo di vitigno oppure mostrare la faccia di un vignaiolo o di raccontare storiette non vi informa per niente sul vino. No, perché non andate a pensare che ci sia solo del vino nel vino. Per esempio, c’è un coso che si chiama l’omogeneizzazione e dunque per omogeneizzare il vino è rendere tutta la produzione uguale, i viticoltori hanno diritto di usare trecento tipi di lieviti, in particolare per chiarificare e conservare, del bisolfito di ammonio che favorisce lo sviluppo dei lieviti, dell’ureasi per diminuire il tasso d’urea, della gelatina alimentare oppure della colla di pesce che disacidificano, del solfato di rame, che elimina i difetti di gusto e di odori, dello zolfo, dei frammenti di legno  per dare dell’aroma al vino. Non dimentichiamo il ferrocianuro di potassio che è una polvere gialla usata per “sferrare” il vino cioè ridurne la quantità di ferro e di rame. In toto, per la vinificazione viene autorizzata sessanta additivi e settanta ausiliari tecnologici che servono a impedire i residui nella bottiglia. La cosa bella è che i produttori di vino sono sempre più numerosi a fare vini senza additivi, a rinunciare a fare gli chimici e a voler proporre un vino meno artificiale. E dunque quegli ultimi sono in favore della trasparenza totale sull’etichetta, la desiderano. Tranne che questo fottuto emendamento promesso dai deputati europei non viene mai alla luce. Insabbiato grazie alla lobby degli industriali del vino. Ora ci vorrà aspettare che l’emendamento sia votato eventualmente dal prossimo Parlamento europeo e approvato in consiglio dei ministri dagli Stati membri. Ahi, temo che non sia per domani che i vignaioli che fanno vini naturali potranno togliersi dal culo le carasson* che hanno messo loro la mafia del vino.

* carassons, pali di vite in bordolese.

 

La spedizione dell’Alexander von Humboldt a Bordeaux!

Strizzo gli occhi nel riverbero e vedo due tizi barcollare verso l’Alexander von Humboldt attraccata lungo i moli di Bordeaux. Ora che loro si avvicinano, li vedo meglio. Due giganti tedeschi che faticano a trascinare un’enorme cassa in legno. Ripenso alle spedizioni di von Humboldt e Bonpland e comincio a vaneggiare completamente. Leggo troppo. Mi immagino che i due marinai dell’Alexander von Humboldt abbiano scovato nella jungle bordolese qualche specie di coccodrillo locale o una specie di scimmia urlatrice di Saint-Michel ancora completamente sconosciuta. Forse la cassa è riempita di campioni di piante esotiche dei marciapiedi bordolesi oppure di uccelli esotici che nidificano sulla torre Pey-Berland. Spero comunque che non abbiano catturato qualche indigeno del Médoc per esporlo in un museo di Berlino! I marinai passano davanti a me e scopro, esterrefatto, qual era lo scopo di questa spedizione: un’enorme cassa di vino. Caspita, non tutti i tedeschi sono bevitori di paglia, quelli dell’Alexander von Humboldt carburano al vino di Bordeaux! 🙂 🙂 🙂

In cui l’autore vi racconta la storia di una parola bordolese mettendo due “gueille” nella valigia per Milano!

I diversi modi di dire mocio in Francia metropolitana secondo le regioni. Notate che il termine comune per dire mocio in francese è serpillère.

Gueille (si pronuncia gheiiii in italiano) è un parola usatissima nella mia famiglia. All’origine, gueille viene dal guascone ghèlha (si pronuncia allo stesso modo di gueille) e designava un cencio, uno straccio, un vestito logoro. Gueille in bordolese apparteneva anche al mondo della viticoltura e la gueille era un pezzo di stoffa che si metteva tra il tappo e la botte per renderla stagna e nello stesso tempo la gueille faceva respirare il vino. La gueille era sempre bagnata di vino. Oggi ci sono i tappi di silicone, una volta c’erano soltanto le gueille. Dunque gueille ha un doppio senso in bordolese come lo scoprirete sotto. Nella mia famiglia, la gueille è semplicemente un indumento e non importa che indossate un vestito usato o nuovo, che viene da Chanel o da un negozio di cianfrusaglie, che l’avete pagato una cifra astronomica oppure tre franchi sei soldi  perché, per i membri di mia famiglia, sarà comunque una gueille. Oh no, non ho più una gueille da indossare! Sono i saldi, andiamo a comprare qualche gueille! E dunque, per noi, gueille non è una parola pregevole o spregevole, è una parola neutra, ma è un’evoluzione propria. In bordolese, la parola ha un senso solo negativo: Oh questo vestito è una gueille! (di pessima qualità), non vai comunque a indossare questa gueille, no? Guarda questa donna come è vestita da gueille!…ecc. È che la gueille in bordolese è non solo il vestito, ma anche lo strofinaccio, il panno che usate per asciugare le stoviglie, il mocio per lavare la casa. Dunque questo è il primo senso della parola gueille nel senso di vestito o di straccio.

Poi c’è un secondo senso di gueille, un senso figurato che riguarda il fatto che la gueille in viticoltura era questo straccio sempre bagnato di vino tra il tappo e la botte. Dunque una gueille è una persona debole, che non regge sulle sue gambe come qualcuno che è ubriaco. Braccia da gueille, gambe da gueille. Quel calciatore è una vera gueille, sta cadendo appena un avversario lo tocca. Una gueille è una persona che ha una costituzione debole, che cade a ogni soffio di vento,  che si ammala subito per qualsiasi cosa; che non sopporta di bere più di un bicchiere di vino. Una gueille è anche qualcuno che ama ubriacarsi, un alcolizzato. Si dice aver le gambe da gueille oppure aver il naso da gueille per designare un ubriacone. Gueille riguarda anche l’acqua. Per esempio, se rientrate a casa, completamente bagnato  perché avete dimenticato l’ombrello, ci sarà sempre qualcuno per dirvi che siete una gueille oppure un gueillous che è anche peggio con questo suffisso in “ous” per precisare che siete bagnato fradicio….Caspita, ma perché non entrano nella valigia queste due “gueille?” Ma sono una vera “gueille” che ora non riesco più a chiuderla! 🙂

 

Viaggio da La Rochelle fino alla baia delle balene: Seconda parte.

Ci sono tantissimi gusti di gelato da Ernest che ho provocato un ingorgo pedonale nella vecchia via medievale che scende verso il porto. La commessa mi sorride perché dal gelataio Ernest sono fieri di mandare in confusione i clienti davanti alla loro scelta di gusti. Sento la gente protestare nella coda e la signora dietro di me mi tira addirittura dei pugni alla schiena e alle costole per aiutarmi a decidermi. Per favore, due minuti, signora! Non so cosa scegliere! Caspita, ne fanno anche al canelė con dei pezzi di canelé dentro! Sto esitando, signora. Forse lei non lo sa, ma i canelé sono quasi un’invenzione di mia nonna. Sono di Bordeaux e dunque…Va bene, lei mi interrompe, “egli” ci racconterà la sua vita più tardi e ora “egli” si decide che fa un’ora che “egli” sbadiglia alle cornacchie davanti alle vaschette. “Egli” non è la sola persona in vacanza a La Rochelle!….

Qualcuno che ha saputo del mio weekend a La Rochelle mi ha ordinato dei pavė (sampietrini) che sono una delle specialità del cioccolatiere della maison Criollos quindi, dopo la pausa gelato, mi reco rue Chef-de-Ville alla ricerca della minuscola fabbrica di cioccolato che sembra più una gioielleria che la bottega di un cioccolatiere e mi chiedo come fa l’artigiano per produrre qui la tonnellata di sampietrini che lui vende ogni anno a Natale. Comunque mi compro due scrigni con dentro i preziosi sampietrini, Lo scrigno ordinato e l’altro per me. Cosa volete non so resistere alla tentazione…

Non importa il luogo. Se mi trovo in un posto dove vedo l’Oceano Atlantico, mi sento subito a casa. Gli abitanti delle Charentes non sono diversi di noi come pensava una volta la gente di Bordeaux sentendo il loro accento incomprensibile quando loro attraversavano il nostro fiume. La televisione ha cancellato gli accenti e la gente è meno misteriosa di una volta. Anche loro sono mangiatori di ostriche e bevitori di vino. Noto comunque il numero stupefacente di crêperie nelle vie del centro storico di La Rochelle. Tanto che ho l’impressione di essere in Bretagna e non a meno di duecento chilometri da casa mia. Un supplizio per un tizio come me che mangia crêpe solo per la Candelora. Un’altra cosa che mi intriga a La Rochelle e che tutta la gente si veste in marinière e ci sono interi negozi che vendono solo marinière. Altrove la cosa sarebbe davvero ridicola, ma a La Rochelle sembra la regola di indossare la divisa dei marinai per passeggiare in città e sul porto. Ho l’impressione di essere un figurante in una vecchia  commedia musicale di Jacques Demy e non sarei sorpreso se qualcuno mi chiedesse di indossare velocemente una marinière perché si aspetta solo me per la ripresa. Ovviamente, scopro che solo i turisti giocano ai marinai d’acqua dolce perché gli abitanti di La Rochelle preferiscono vestirsi in giallo e nero che sono i colori della squadra di rugby locale….

Entro nella chiesa Saint-Sauveur del XVII secolo con il suo vecchio campanile del XV secolo. E posso immaginare la vostra stupefazione leggendo la cosa e sperando forse che qualcuno abbia cacciato via a pedate nel sedere il miscredente che sono. E invece c’è qualcosa che dovete sapere su di me: adoro andare nelle chiese per guardare gli ex voto. Non tutti gli ex voto però, le navi ex voto e le marine ex voto sono una mia passione. Anche per questo, la gente di La Rochelle ci assomiglia e dentro le loro chiese potete ammirare dei modellini stupendi di navi attaccati ai piloni delle navate come potete farlo da noi e immaginarvi le storie di fortune di mare che si nascondono dietro queste offerte. Sono in paradiso. Poi, corro alla cattedrale per vedere se ci sono altre navi ex voto. Ne vedo due in una cappella laterale con una collezione di quadri di marine ex voto, ma è nel buio completo. che delusione! Il sagrestano ha dovuto accorgersi della mia frustrazione e lui si avvicina ridendo. Buongiorno! Lei dovrebbe accostarsi alla grata e forse succederà qualcosa. Faccio come lui dice e quando sono quasi a toccare la grata della cappella, la luce si accende  rivelando il tesoro della cattedrale. E la luce fu! esclama sempre ridendo il sagrestano. Quasi mi viene la fede. Cos’è un miracolo? chiedo. Quasi, lui risponde, un miracolo tecnologico, c’è un sensore di movimento che attiva il sistema illuminazione della cappella. Mi sento cretino….

 

 

 

 

Vino e umorismo: Ageusia!

Io sono il francese medio tipico e se mi passano per la millesima volta in televisione il film L’ala o la coscia? con Louis de Funès, lo guardo comunque. Solo per questa scena che mi fa scoppiare dal ridere ogni volta e dove il famoso critico gastronomico Charles Duchemin (Louis de Funès) soffre di ageusia ciò che non lo impedisce di riconoscere un vino di Saint-Julien. Mitico.

Bel colore vermiglio, un po’ violetta, bella lucentezza. È un Bordeaux, un grande Bordeaux. Un po’ di muffa nobile in sospensione, le particelle scendono lentamente, questo vino ha 23 anni, è un 53, una grande annata. Il vino, è la terra. Quella è leggermente ciottolosa, è un Médoc. Il vino, è anche il sole. Questo vino ha approfittato di una bella esposizione Sud-ouest su una collina di buona pendenza. È un Saint-Julien, Château Léoville Las Cases 1953!

Vino: 2017 un millesimo di merda per i vini di Bordeaux.

In maggio, i vignaioli guardano il cielo e pregano. Pregano perché vorrebbero che i santi di ghiaccio, quei tre bastardi dell’apocalisse che sono Mamerto (11 maggio), Pancrazio (12 maggio) e Servazio (13 maggio) si tengano alla larga dei loro vigneti. Dopo Servazio si dice che non c’è più rischio di gelo per le piante e che i giardinieri possono ricominciare a respirare. Ma i vignaioli non ci credono a queste sciocchezze e continuano a pregare, a tremare  e a incrociare le dita fino al 25 maggio perché come dice il proverbio, solo quando sant’Urbano è passato, il vignaiolo è rassicurato. Siamo il 29 aprile e non c’è più da tremare o pregare tutti i santi dell’universo per evitare un’eventuale gelata tardiva nei vigneti in maggio perché il gelo l’abbiamo avuto nella notte di giovedì. Non succedeva da più di 25 anni una cosa del genere. Quasi due mesi d’estate e una notte di freddo ha distrutto tutto. Lo château vicino a casa mia ha perso tutta la raccolta 2017 e sono numerosi a essere in questo caso che sia nel Médoc, a Saint-Emilion, Nelle Graves, a Sauternes…Ti strappa il cuore di vedere tutti questi vigneti bruciati lungo le strade. E ti strappa ancora più il cuore di sentire stamane sul mercato la gente che ha perso il guadagnapane.

Il mio pellegrinaggio alla grotta di Lourdes!

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Oggi, facciamo un viaggio fino alla grotta di Lourdes, non quella che visitano milioni di pellegrini, ogni anno, nei Pirenei, ma quella che si trova nella penisola del Médoc, a nord da Bordeaux, e che è situata ad Artigues che è una frazione della cittadina di Pauillac; credeteci o no, c’è una grotta di Lourdes in mezzo al più famoso vigneto del Mondo a due passi da casa mia. Non è frequentata come l’altra, ma comunque ci sono due donne che stanno pregando in un angolo della grotta e, come non voglio disturbarle, non vedrete tutto l’interno negli scatti. La nostra grotta di Lourdes è stata edificata nel 1897 da una viticoltrice bordolese e ne è una replica fedele. Ovviamente, c’è un perché che spiega la presenza singolare di questa grotta di Lourdes nel cuore del Médoc, qualcosa che riguarda la vigna e il vino e che voglio raccontarvi non senza qualche digressione. Dunque siamo negli anni 1860 e la signorina Anne-Françoise Averous, figlia di un famoso produttore di vino della zona, ha ereditato di una grande e bellissima azienda vitivinicola che costeggia la palude di Pibran nei dintorni di Pauillac. A cosa assomigliava la signorina Anne-Françoise? Diciamo che lei non era una bellezza per usare un eufemismo e forse avete sentito parlare della Santa Caterina in Francia dove si festeggia le ragazze di 25 anni che sono ancora single e che devono portare un cappello verde per tutta la giornata. Ai tempi di Anne-Françoise, non si festeggiava niente. Un giorno orrendo questo 25 novembre che tornava ogni anno. Le ragazze di allora, in un certo ceto sociale, avevano una data di scadenza come il cibo in scatola. Una ragazza non sposata a 25 anni, non trovava più di marito ed era quasi condannata a finire zitella. Quindi Anne-Françoise era in questa situazione tranne che lei se ne fregava alla grande di non essere bella e, nel fondo, era soddisfatta di non essere sposata e di non aver un tizio sulla schiena tutta la santa giornata, così lei poteva dedicarsi tranquillamente alla coltivazione delle sue vigne. Non significa però  che la tizia non aveva una grande passione, un amore divorante nella vita. Eravamo solo qualche anno dopo le apparizioni della Signora a Bernadette Soubirous nella grotta di Massabielle e, Anne-Françoise consacrava un vero e proprio culto all’immacolata concezione nella persona della Signora di Lourdes nonché un’ammirazione senza limite per la piccola mistica guascone, Bernadette Soubirous, di cui il cognome rimava con il suo. Ora, siamo nel 1875 e la moda è di fare costruire delle torri nei vigneti per permettere ai proprietari degli château di sorvegliare i loro lavoratori. Queste torri le vedrete ovunque nei vigneti del Médoc. A due passi dalla nostra grotta di Lourdes, sulla strada provinciale tra Pauillac e Saint-Laurent de Médoc, nel vigneto dello Château Haut-Batailley, c’è una torre di questo tipo che è conosciuta per essere la più bella della zona e che i turisti scattano senza sapere di cosa si tratta. Il monumento si chiama la “Tour de l’Aspic” (la Torre dell’aspide) e fu edificata dalla nostra pia Anne-Françoise. Non è solo una torre d’osservazione perché il duomo che culmina a 15 metri è sormontato da una statua della Vergine che, invece di pigiare l’uva che permette alla povera gente del paese di sopravvivere, calpesta una vipera (di cui il nome. Nel Médoc: vipera si dice aspide) che, da sempre, simboleggia  il male. Ma cos’è il male per Anne-Françoise nella sua Francia del 1875? Il male è la Repubblica francese e tutta questa genia che lotta all’ultimo sangue contro il clericalismo e che deride tutta quest’altra Francia cattolica che crede ancora alle superstizioni e alle apparizioni della Vergine a Lourdes all’alba del XX secolo; è questa la vipera calpestata dalla Signora in cima alla torre. La Francia di allora è un Paese in guerra tra clericalismo e anticlericalismo e lo sarà ancora per un lungo tempo. Va bene. Passano venti anni e arriviamo all’edificazione della nostra grotta di Lourdes nel 1897. La vipera repubblicana non è stata schiacciata. E ora, Anne-Françoise deve entrare in guerra contro una seconda vipera che rende addirittura la prima simpatica, un’americana, un flagello di Dio che devasta e distrugge tutte le vigne del Paese: la filossera del diavolo. I bordolesi sono disperati e non sanno cosa fare per lottare contro il maledetto insetto. La nostra viticoltrice Anne-Françoise, sempre più pia e mistica, ha la sua idea per vincere la filossera e, come i soldi non le mancano, si fa costruire la sua grotta di Lourdes che vedete sopra. L’idea di Anne-Françoise, non è soltanto di aver una grotta per pregare la Signora e aspettare un eventuale miracolo. No. La sua idea è di tipo pratica perché lei ci crede veramente al potere miracoloso e di guarigione dell’acqua di Lourdes; la sua idea è di spruzzare dell’acqua benedetta di Lourdes sulle sue vigne per immunizzarle contro l’insetto maledetto. Forse avete un’obiezione tipo non è perché lei ha fatto  una grotta di Lourdes che l’acqua santa ci scaturirà. Giusto. Quindi semplicemente l’acqua benedetta verrà portata alla grotta di Anne-Françoise dalla grotta di Lourdes originale. Anne-Françoise conclude un patto, non con il diavolo, ma con il cappellano della grotta di Lourdes. Ad ogni piena botte del suo  miglior vino che Anne-Françoise gli manda, il cappello deve rinviare la botte, a sue spese, lavata e riempita di acqua benedetta. E posso dirvi che con questo patto, l’acqua scorreva a fiumi nella nostra replica della grotta di Lourdes! Il miracolo è avvenuto? la filossera è stata vinta da questo trattamento all’acqua benedetta? No. Il vigneto di Anne-Françoise è stato distrutto con tutti gli altri che erano situati nei dintorni. Però, secondo Anne-Françoise che non voleva arrendersi all’evidenza, era tutta colpa dei suoi lavoratori pigri e miscredenti, che invece di fare tutto il tragitto fino alla grotta e risalire con delle bacinelle piene di acqua benedetta per andare ad annaffiare le vigne, preferivano attingere l’acqua alla fonte Batailley che era più vicina. E lei li vedeva fare questi serpenti dall’alto della sua torre…   

Bordeaux: I bevitori di paglia hanno sbarcato a Bordeaux!

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Forse qualcosa che non sapete sulla regione di Bordeaux? Non ci si produce solo vino, Cognac e Armagnac, ma  anche la migliore Vodka al Mondo è fatta nella nostra bella regione Aquitania, la Grey Goose che è prodotta sulla riva destra dell’estuario della Gironda, nella zona di Cognac. D’altronde lo sanno benissimo i marinai russi della fregata Shtandart che ha attraccato stamane al molo degli Chartrons. E noi, già preoccupati, a chiedersi se questi fottuti bevitori di paglia, per uscire dal porto della Luna martedi, riusciranno a rifare passare la nave tra le pile del ponte sollevabile dopo sei giorni nel Paradiso della Vodka. Le scommesse sono aperte! 😉

Vino: In cui si cercherà a capire perché San Vincenzo è diventato il patrono dei vignaioli!

San Bixente, Saint Vincent

San Bixente in basco, saint Vincent in francese, San Vincenzo in italiano. Diacono martirizzato nel IV secolo e patrono dei vignaioli francesi dal XVI secolo. Statua del XVIII secolo proveniente dall’antica chiesa di Irouléguy è esposta al museo di Bayonne.

Di solito, i bordolesi si interessano soltanto a Saint-Estèphe e Saint-Emilion, ma ho deciso di parlarvi di questo tizio spagnolo, Vicente (Vincent in francese), che è diventato il santo patrono dei vignaioli. Dimenticate il proverbio italiano che dice che non ci vuole scherzare con i santi perché la scelta in Francia di San Vincenzo come patrono dei vignaioli sarebbe nata da un calembour. Notate che anche alla Chiesa piacciono i calembour e non dimenticate il famoso: Tu sei Pietro e su questa pietra…ecc. È la stessa cosa per Vincent e il tizio  sarebbe stato scelto da alcuni vignaioli ubriachi perché era l’ultimo saint Vincent disponibile e ci voleva assolutamente un Vincent perché il nome permette un calembour che vale bene quello su san Pietro. La prima sillaba di vincent è vin (vino) e la seconda (cent) è omofona di sang (sangue). Vincent cioè Vin-Sang (vino-sangue) e per un tizio che era in più diacono cioè la persona in carica di versare il vino nel calice durante la messa e non mi dite che non trovate l’aneddoto un po’ divertente, altrimenti vi chiedo di ripensarci un po’ dopo due o tre bicchieri! Nelle altre lingue, non funziona affatto il gioco di parole quindi trovo un po’ ridicolo un san Vincenzo italiano o un san Vicente spagnolo, patrono dei vignaioli.

Non siete convinti da questa spiegazione? Per dire la verità, anch’io la trovo un po’ fantasiosa quindi proseguiamo la ricerca e tentiamo di capire perché un santo spagnolo del IV secolo, che non ha mai avuto niente a che vedere con il vino, è diventato il patrono dei vignaioli (e di tutti quelli che lavorano nel campo viticolo) nel XVI secolo in Francia. Un’altra ipotesi dice che non sarebbe il nome Vincenzo che conta, ma il modo in cui san Vincenzo è stato giustiziato e che gli ha dato l’onore di diventare il patrono dei vignaioli. Non si scherzava all’epoca e san Vincenzo fu condannato da Daciano, l’uomo di fiducia dell’imperatore Diocleziano, ad aver il corpo pestato, schiacciato in tale modo di fare schizzare il suo sangue come il succo d’uva che gronda sotto la violenza del torchio e si dice anche che san Vincenzo fu messo addirittura in un torchio e che l’hanno spremuto! Io non ci credo ancora meno a questa ipotesi che spiegherebbe la scelta di san Vincenzo, patrono dei vignaioli, perché la metafora è davvero orrenda per dei vignaioli che sono piuttosto persone gioiose. Ma ti piomba una serata intorno al vino di raccontare il supplizio di san Vincenzo! A me il supplizio evoca l’anatra al sangue se avete già sentito parlare di questo famoso piatto della tradizione francese, forse san Vincenzo non sarebbe stato male come patrono dei macellai! Ma non finisce qui il martirio di san Vincenzo, una volta morto, il corpo è cucito in una pelle di bue e buttato in mare al largo di Valencia e miracolo! Quando i marinai, una volta il lavoro fatto, tornano al porto, cosa vedono? la salma che li aspettava tranquillamente sulla riva! E nessuno ha pensato a fare di San Vincenzo il patrono dei marinai, dei naufraghi e dell’acqua invece del patrono dei vignaioli?

Adesso lasciamo la Spagna e trasportiamo in Francia, a Parigi, sulla riva sinistra della Senna, ai tempi del re Childeberto I che ci fa edificare un’abbazia chiamata Santa Croce-San Vincenzo e dove arrivano due reliquie del santo: una stola e un braccio. E cosa succede secondo voi in questa abbazia che possedeva dei vigneti in tutta la regione parigina? I monaci vignaioli fanno di san Vincenzo, il loro protettore contro il gelo e la grandine. Poi , il culto di san Vincenzo si diffonde ad altri vigneti e contamina tutto il territorio (non Bordeaux perché non ci crediamo noi ai poteri dei santi, ma in Borgogna ci credono a san Vincenzo, eccome che ci credono!). Forse non vi dice niente Santa Croce-San Vincenzo eppure è una delle chiese più conosciute di Parigi, ma oggi si chiama abbazia di Saint-Germain-des-Près perché, tre secoli dopo le reliquie di san Vincenzo, la chiesa ha ricevuto le reliquie di sain Germain di cui il culto ha soppiantato quello di san Vincenzo. Se andate al café de Flore, non potete mancare l’abbazia…Devo dire che questa ipotesi per san Vincenzo patrono dei vignaioli mi sembra più verosimile.

Ci sono anche altre ipotesi. Per esempio sempre con questa storia di calembour perché il nome Vincent è una rima facile da utilizzare in mille proverbi che riguardano la vigna. Un’altra ipotesi sarebbe che l’asino di san Vincenzo avrebbe brucato un vigneto e quindi inventato la potatura tranne che non è l’asino di san Vincenzo ma l’asino di san Martino ad avere commesso il delitto. Poi si dice ancora che san Vincenzo si festeggia il 22 gennaio quindi più o meno al momento del risveglio della vigna e dunque sarebbe la ragione per cui san Vincenzo sarebbe il patrono dei vignaioli..

Notate che questo san Vincenzo tiene duro in un paese  scristianizzato come la Francia e il suo culto è molto vivace, soprattutto dai selvaggi della Borgogna dove il santo si festeggia con tante messe, prediche, benedizioni, processioni…ma in mattinata perché il pomeriggio è dedicato solo a Bacco. ..Una volta, non c’era solo san Vincenzo, l’ultimo scampato, ma una quantità inverosimile di santi che proteggevano i vigneti: San Vernerio, san Martino, sant’Urbano, San Marcellino…ecc…ecc. La buona sorte di san Vincenzo è che è stato tra i più tardivi e che non ha avuto a subire la rabbia dei vignaioli quando loro si accorgevano che tutti i santi e sante non potevano niente contro il brutto tempo. A questo proposito, c’è un aneddoto divertente che riguarda Sant’Urbano, un predecessore di San Vincenzo. Siamo il 25 maggio 1682, giorno della Sant’Urbano a Rouffach in Alsazia quando eccezionalmente nella notte si mette a gelare. Cosa fanno allora i vignaioli del paese che vedono i loro vigneti distrutti? Vanno in chiesa, prendono la statua di Sant’Urbano e la buttano in un fontana gridando al santo: “Non vuoi darci del vino, allora bevi anche tu dell’acqua!” 😉