Botanica: Arbusto delle innamorate e vite del Diavolo.

 

Paesaggio tipico del Médoc e delle lande di Guascogna in primavera con i suoi ginestroni che fioriscono a milioni e che rompono la monotonia delle pinete industriali. In francese, il ginestrone si dice ajonc (la lettera c non si pronuncia) e nel Médoc lo chiamiamo jaugue (si pronuncia jog con un o apertissimo). Forse sapete che il ginestrone fiorisce in tutte le stagioni e quindi potete venire da noi in pieno inverno e vedrete comunque dei ginestroni fioriti. Una volta, questa particolarità del ginestrone aveva dato un bellissimo detto sulla riva destra della Gironda sotto la forma di un indovinello. E alla domanda rituale: In quale stagione il ginestrone non è in fiore? La gente rispondeva: Quando le donne non sono innamorate! Che è un modo di dire che il ginestrone fiorisce tutto l’anno. Nello stesso ordine di idee, gli innamorati giuravano di amarsi finché i ginestroni fioriranno cioè per sempre. Il ginestrone è endemico in tutto l’ovest della Francia e, in Bretagna, hanno una leggenda divertente a proposito delle fioritura perpetuale del ginestrone. Forse sapete come questi fottuti bretoni sono credenti e non sono affatto pagani come noi altri abitanti del Sud-Ovest della Francia. E dunque immaginate le difficoltà del Diavolo durante le sue campagne di reclutamento. Il povero viveva proprio un calvario. Tutti i bretoni morivano in Grazia di Dio e andavano direttamente in Paradiso e lui, il Diavolo, non ne poteva proprio più di questi fottuti baciapile di bretoni. Tanto disperato dalla situazione il Diavolo che, alla fine, lui si reca alla porta del Paradiso per lamentarsi presso Dio. Dunque Dio ha pietà del collega e fa un patto con lui e gli accorda le anime di tutti i bretoni che morirebbero quando la landa non sarebbe in fiore. Il Diavolo, che, come al solito, non si rende conto che l’altro l’ha preso in giro, ridiscende su terra sfregandosi le mani di contentezza: eravamo in dicembre e il tizio pensava che il ginestrone avrebbe smesso presto di fiorire. E invece niente. I mesi passavano e c’era sempre un angolo della landa dove i ginestroni erano coperti di fiori d’oro. Ma non è detto che il Diavolo si lascia abbindolare così da un vecchio barbuto. Il Diavolo fa qualcosa di davvero simpatico a tutti gli abitanti del Sud-Ovest della Francia. Il tizio si mette a fare il viticoltore e a coltivare la vite tutto intorno alla Bretagna. E come lui la curava in modo attento e che il calore del suo corpo faceva maturare meravigliosamente bene l’uva, la vendemmia fu tanto abbondante che, per venderla, il Diavolo fu “costretto” ad aprire cabaret; e ne aprì anche sul cammino del Paradiso. I bretoni che continuavano ad andarci perché la loro fottuta landa era tutto l’anno fiorita, non resistevano e si fermavano per farsi un bicchiere di vino. Per alzare il gomito, i bretoni non sono gli ultimi e noi altri del Sud-Ovest della Francia passiamo addirittura per astemi nei loro confronti. Dunque il Diavolo afferrava i bretoni che uscivano ubriachi fradici dai suoi cabaret e li portava in inferno…Che meraviglia il nostro arbusto delle innamorate che ha dato il gusto del vino a questi fottuti bevitori di paglia che sono i bretoni e ha permesso loro di vivere in Paradiso. 😉

Oceano: Veronica della fine delle Terre.

Medoc. Soulac. Notre-Dame della fine delle Terre. Tutte le foto del post sono state scattate qualche anno dopo il dissabbiamento della basilica.

Oggi, vorrei raccontarvi la storia di Veronica, profuga palestinese giunta nel Médoc, alla fine delle Terre, con la sua strana religione orientale per sfuggire alla guerra che dilaniava il suo Paese. La prima traccia della nostra Veronica la troviamo nel Vangelo secondo Marco dove ci si racconta la storia di una donna che da dodici anni era affetta da emorragia. Avendo udito che Gesù faceva miracoli, lei venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Subito l’emorragia si fermò e lei sentì nel suo corpo che era guarita. Sappiamo il suo nome perché negli atti di Pilato, la miracolata tenta di testimoniare al processo di Gesù e dice di chiamarsi Berenice cioè Veronica in latino. In un altro testo, ci si racconta l’episodio famoso della sesta stazione della via crucis dove una donna pia in un gesto di compassione avrebbe asciugato il volto tumefatto di Gesù con un velo che avrebbe impresso la sua traccia. La nostra prima fotografa della storia sarebbe Veronica. Già a Cesarea di cui Veronica era originaria, antistante alla sua casa, c’era una statua che raffigurava Gesù e l’episodio della sua guarigione miracolosa. E un padre della chiesa, Eusebio, ci dice come le prime comunità cristiane hanno questa preoccupazione costante di possedere un’immagine di Gesù. La pratica della raffigurazione del volto di Gesù è confermato da alcuni testi apocrifi della passione riuniti sotto il nome di atti di Pilato. In un’altra storia viene evocata una Veronica in possesso dell’immagine di Gesù. Un ufficiale romano, Volusiano, gliela ruba e la porta all’imperatore Tiberio che soffre della lebbra. Il tizio cade in adorazione davanti all’effigie e guarisce subito. Poi c’è la storia ancora più incredibile della grotta del Latte. Figuratevi che a Betlemme in Palestina esiste una grotta chiamata grotta del Latte dove, secondo una credenza locale, la vergine Maria veniva allattare il bambino Gesù. Un giorno, una goccia di latte cade sulla roccia e le dà il colore bianco con il potere di rendere il latte alle balie che non ne avevano più. La roccia essendo friabile, Veronica ne prende un grosso pezzo. Siamo nel 70 al momento della distruzione di Gerusalemme e Veronica già vecchietta si imbarca da Cesarea con il marito, Zaccheo chiamato anche Amadoro secondo i racconti, per raggiungere la Gallia.

Dunque la nave lascia la Palestina e solca verso la penisola iberica, varca lo stretto di Gibilterra e risale l’oceano costeggiando le coste del golfo di Biscaglia fino ad arrivare nel Médoc, nel paese dei Meduli. I nostri due primi cristiani sbarcano al “Pas de Grave” cioè letteralmente alla fine delle Terre. E anche  se la geografia odierna del Médoc non assomiglia per niente a quella antica, il luogo dello sbarco doveva essere situato per forza da qualche parte su un tratto di terra tra la bocca della Gironda e l’oceano. Quindi l’idea è che Veronica e il marito avrebbe sbarcato a Soulac e d’altronde fino al secolo scorso si pensava che l’etimologia di Soulac veniva da solum lac in riferimento alla pietra di latte della vergine portata dalla Palestina da Veronica, oggi si pensa piuttosto che la radice soul significava semplicemente casa di paglia per i meduli. E dunque Soulac avrebbe designato una frazione di una città portuale romana diventata mitologica oggi nel Médoc: la famosa Noviomagus, l’Atlantide del Médoc. Non tanta mitologica d’altronde perché abbiamo visitato i suoi vestigi in un altro post. Noviomagus è inabissata verso il VI secolo nell’oceano tranne il quartiere di Soulac che sarebbe stato costruito su un’altura. Dunque i nostri due profughi palestinesi sbarcano a Noviomagus e, dopo qualche tempo, sono raggiunti da un certo Marziale di Limoges che è stato inviato da Roma per evangelizzare i diversi popoli dell’Aquitania.

Un oratorio, che è probabilmente il primo edificio cristiano dell’Aquitania, è costruito da Veronica con l’aiuto di Marziale nel quartiere di Soulac. La prima chiesa del Paese, Notre-Dame della fine delle Terre, era nata. Poi, la Nostra Veronica ci fece scaturire una fonte d’acqua dolce in un Paese intrappolato tra estuario e Oceano cioè dove la gente era condannata a bere solo acque salmastre. La reliquia cioè la pietra miracolosa della grotta del Latte è sistemata al posto d’onore della chiesa. Poi, Veronica si mette a evangelizzare il Médoc e non è troppo difficile per la Sheherazade palestinese con le sue storie degne delle mille e una notti, il suo potere di trovare acqua o di guarire la gente grazie alla misteriosa pietra della grotta del Latte. A sua morte, Veronica è seppellita nella chiesa primitiva di Notre-Dame della fine delle Terre. Poi, al momento delle invasioni vichinghi, il reliquiario che contiene le sue ossa è messo al riparo nella basilica di Saint-Seurin di Bordeaux dove si trova ancora oggi. Verso il XI secolo, al posto dell’oratorio è edificato la basilica di Notre-Dame della fine delle Terre e durante secoli i pellegrini di Compostela ci si fermava per venerare Santa Veronica fino al XVIII secolo dove la chiesa si ritrova completamente insabbiata sotto una duna.

Una volta, le dune non erano fissate dagli uomini come oggi, ma mobili. E talvolta la gente partiva la mattina al lavoro e quando tornava la sera non c’era più il Paese, ma solo una distesa di sabbia.  Qui alla fine delle Terre, la sabbia, le maree e l’oceano si mangiano tutto. Nel 1865, il cardinale di Bordeaux decide di fare dissabbiare la chiesa e dopo lavori faraonici, Notre-Dame della fine delle Terre, la bella addormentata sotto la duna, riappare al sole, intatta dopo due secoli di sonno. E durante gli scavi è ritrovato un reliquario con un’iscrizione che dice: Lac B Virginis e dentro la famosa pietra di latte portata a Soulac da Veronica…Per dirvi come la presenza di Veronica a Soulac non è una leggenda! 😉


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I meduli: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Meduli

Soulac: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Soulac-sur-Mer

Il post di Bordeaux e dintorni su Noviomagus: https://alexdebordeauxii.wordpress.com/2014/07/29/meglio-di-atlantide-la-leggendaria-citta-romana-di-noviomagus-a-nord-di-bordeaux/

Notre-Dame della fine delle Terre: https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Basilique_Notre-Dame-de-la-fin-des-Terres

Dove si trova esattamente la fine delle Terre per l’autore di questo blog: https://alexdebordeauxii.wordpress.com/tag/faro-di-cordouan/

Bordeaux: Canicola, Rosso di Bordeaux e stregoni della pioggia.

Una casa tipica di Bordeaux con un fico che sta crescendo sul marciapiede.

Il nome Rosso di Bordeaux può ingannare perché non si riferisce alla vigna, ma a una varietà di fico tipicamente bordolese, esiste anche un’altra varietà di fico proprio alla regione bordolese che si chiama Ronde di Bordeaux. Diciamo che il fico è una pianta endemica a Bordeaux e non è raro in primavera di vedere dei fichi forare i marciapiedi nei quartieri che non hanno un particolare interesse turistico e che sono quindi un po’ trascurati dal comune. Se Bordeaux fosse abbandonata dai suoi abitanti dopo una catastrofe climatica o nucleare, siate sicuri che non sarebbe la vigna a conquistare la città, ma i fichi. Una volta, in tutti i giardini bordolesi, anche i più piccoli, c’era un albero da fico e io, non l’ho conosciuto, ma ho sempre sentito parlare del mitico fico che avevano i miei nonni in centro città e che crollava sotto i frutti più buoni del mondo. Credo sia la ragione per cui ho assolutamente voluto un fico bordolese nel mio giardino, per mantenere questa tradizione familiare in qualche modo (e anche per la gola!).

Il fico nel mio giardino ei primi fichi della stagione.

Non lontano da dove c’era l’albero da fico dei miei nonni c’è, via Laroche, al numero 75, dietro il Giardino Pubblico e il liceo Montesquieu, la fontana Figueyreau cioè la fontana del fico (Figueyreau dal guascone higuèr che significa fico). E’ tra le fontane più vecchie di Bordeaux ed era già famosa nell’antichità perché è legata a un culto magico che ci si è svoltato fino al XVIII secolo e che permetteva di fare cadere la pioggia su Bordeaux in periodo di canicola come quella di quest’anno; non pensate che le estati africane siano rare a Bordeaux perché è qualcosa di molto frequente. Quando i bordolesi avevano bisogno di pioggia per le loro vigne, andavano a Figueyreau…Non vedete la fontana? E’ questo strano edificio che assomiglia ad un tempio neoclassico. La prima fontana edificata nel XVII secolo assomigliava ad una piramide, quella è più recente e risale all’inizio del XIX secolo. Adesso chiudete gli occhi e immaginate che non siate più in centro città, ma in campagna; che non ci sono più i palazzi, ma un bellissimo giardino piantato da fichi dove in mezzo scorre un fiume di acqua pura; che i rumori della città e del traffico automobilistico sono stati sostituiti dal dolce parlare guascone delle lavandaie e dei portatori d’acqua che sono venuti dalla città assetata e che adesso si riposano, in riva al fiume, all’ombra dei fichi. Ci siete? Curiosamente in periodo di canicola e quando tutti i fiumi bordolesi erano secchi, il fiume del fico continuava a fornire, indifferente, la sua acqua pura agli abitanti di Bordeaux quindi era già un luogo magico per i bordolesi. Ma qual è veramente il culto magico che permette alla fonte di Figueyreau di fare cadere la pioggia su Bordeaux e di salvare le vigne? Per questo, i fichi e l’acqua pura non bastano e abbiamo bisogno di uno stregone, ma soprattutto del suo bastone magico perché senza il bastone, lo stregone non serve proprio a niente. Il primo stregone fu un certo Marziale di Limoges che fu inviato da Roma nel III secolo per evangelizzarci, noi che credevamo ad una moltitudine di dei. Questo stregone aveva un bastone magico che in italiano si chiama pastorale (credo anche in francese) e che gli aveva dato un suo cugino, un certo Pietro.

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Avignone, Palazzo dei Papi. Il bastone magico ricevuto da San Maziale dai mani di San Pietro e che è stato utilizzato da secoli dai bordolesi nei periodi di canicola prima di essere perso durante la Rivoluzione Francese.

Quando lo stregone arrivò a Bordeaux, c’era la guerra e un incendio stava distruggendo la città, allora, lo stregone, davanti agli abitanti esterrefatti fece qualche movimento con il bastone pronunciando qualche parola di tipo abracadabra in latino e una pioggia dirotta si mise a cadere e la città fu salvata. Pensate un po’, pragmatici come sono i bordolesi, che si sono convertiti subito e che, quando lo stregone è morto, hanno rispedito il corpo a Limoges, conservando il suo bastone magico al riparo nella basilica di Saint-Seurin. Ogni 30 giugno, la gente andava a Saint-Seurin per ricordare lo stregone e verificare che il bastone era sempre li, un po’ come fanno gli italiani con la sindone di Torino, se volete. Comunque vi ho detto che i bordolesi sono un popolo molto pragmatico quindi in periodo di siccità o di canicola, quando la vigna cominciava a seccare, la gente andava in processione a cercare il bastone, poi si recava alla fontana di Figueyreau per fare cadere la pioggia. Il cerimoniale era molto codificato, lo stregone, successore del primo stregone, doveva recitare delle formule magiche, disporre il bastone su una lenzuola tesa sopra la fontana, tra i fichi. Poi, abbassare la lenzuola fino a fare toccare delicatamente l’acqua di Figueyreau al bastone. Perché il bastone non doveva essere immerso nell’acqua della fonte, ma ricevere solo qualche goccia; altrimenti avrebbe provocato delle inondazioni o un diluvio. Insomma il bastone magico si manipolava un po’ come la dinamite nei film di Sergio Leone. Il bastone magico di San Marziale ha funzionato senza mai fallire dall’antichità fino al periodo dei Lumi. Nel 1716, lo stregone che doveva fare cadere la pioggia ha troppo bagnato il bastone e la processione ha mancato essere travolta da un diluvio. Poi, alla Rivoluzione Francese, il bastone magico di San Marziale si è perso e nessuno l’ha mai ritrovato e io mi sto dicendo, con le temperature che abbiamo, che avremmo bene bisogno di questo fottuto bastone a fare piovere in questo momento 😉

La ragazza di Guascogna che salvò il suo paese grazie ai suoi gatti!

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Gers. La Romieu, Collegiata San Pietro.

In un altro post, vi ho raccontato la storia di Fleurette, una ragazza di Guascogna che flirtò tragicamente con un Re di Francia. Oggi, vorrei vi raccontare un’altra storia di una ragazza di Guascogna, quella di Angéline che salvò il suo paese grazie ai suoi gatti! Notate che non sono fiabe o leggende, ma storie vere che sono accadute nel bel paese di Guascogna! E se visitate un giorno la stupenda cittadina di La Romieu e la sua bellissima collegiata classificata al patrimonio mondiale dell’Unesco, non siate sorpresi di tutte queste sculture di gatti che vedrete intorno alla piazza del paese. Sono opere di Maurice Serreau e ricordano la storia di Angéline e dei suoi gatti.

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Nell’anno di grazia 1338,  in un piccolo paese di Gascogna chiamato La Romieu, famoso per la sua bellissima collegiata edificata venti anni prima, vivevano felici Vincent e Marinette. Lui faceva il boscaiolo e lei lo accompagnava nella foresta e raccoglieva frasche per fare dei fastelli. Lavoravano duro duro, ma con qualche gallina, il maiale, la verdura e la frutta del giardino, c’era sempre qualcosa da mettere sulla tavola. Erano sposati da tre anni, quando Marinette diede alla luce una bambina che chiamarono Angéline. Ahimè, Vincent fu schiacciato da un albero che stava abbattendo. Marinette, inconsolabile, si lasciò deperire e due mesi più tardi, fu ritrovata morta stingendo tra le braccia la piccola Angéline. La bambina fu adottata da una vicina e crebbe con i suoi figli come se fosse la loro sorella. Angéline manifestava un’attrazione misteriosa per i gatti. A tal punto che c’erano sempre due o tre gatti intorno a lei e che dormivano anche nel suo letto; e la bambina condivideva anche la sua scodella con i suoi gatti.

Angéline, con il passare del tempo, diventava una bella ragazza che aiutava i suoi genitori adottivi ai lavori dei campi, sempre accompagnata dai suoi gatti. L’anno 1342 e i due anni successivi, l’inverno fu aspro, e la primavera e l’estate tanto piovosa che non fu possibile di seminare nei campi. Seguì una grande carestia e nonostante la distribuzione dal signore Arnaud delle riserve della collegiata, gli abitanti di La Romieu non ebbero più niente a mettere sotto i denti. Pensarono allora ai gatti, tanti numerosi nel paese, e ne fecero della fricassea.

I genitori di Angéline, sapendo quanto lei amava i suoi gatti, accettarono che lei tiene un gatto e una gatta a condizione di nasconderli bene perché sarebbero finiti in padella con tutti questi vicini che crepavano di fame. Angéline chiudeva il giorno i due gatti in soffitta, e la notte li lasciava uscire per cacciare qualche preda. Ma la carestia si accentuava e molta gente moriva. Angéline e i genitori sopravvivevano mangiando delle radici e dei funghi trovati nei boschi e così poterono sormontare questo triste periodo e dei tempi più clementi consentirono di nuovo di raccogliere di che vivere.

Ma a La Romieu, dove ormai non c’erano più gatti, gli abitanti erano confrontati a un altro pericolo: i ratti che avevano proliferato e che minacciavano le raccolte. Gli abitanti di la Romieu si lamentavano e non sapevano come fronteggiare questa nuova calamità. Non solo i ratti avevano proliferato, ma anche i gatti di Angéline che si ritrovava con una ventina di gattini in soffitta e questo gli abitanti del paese non lo sapevano. Angéline, che aveva perdonato agli abitanti di la Romieu il loro gusto per la fricassea di gatto, annunciò la sua intenzione di lasciare i suoi gatti nelle vie di La Romieu e che gli abitanti del paese potrebbero adottarli. I gatti fecero un festino di tutti i ratti di La Romieu e così Angéline salvò la cittadina di una nuova calamità. Ma la storia non finisce qui perché si dice ancora che con il passare del tempo, Angéline assomigliava di più in più ad un gatta fino a prendere addirittura la sembianza di una gatta…