Oceano: Dove il lettore verrà a sapere che Gatto Silvestro non è per forza un gatto in Francia!

 

Questa pianta erbacea (Lagurus Ovatus) che non serve proprio a niente e che cresce nelle nostre dune tra i cisti, i corbezzoli, le brughiere e le ginestre, si chiama in italiano: piumino oppure coda di lepre. Invece in francese, la pianta è conosciuta sotto il nome di gros-minet che è il nome che il Titi francese (con solo due t) dà a Gatto Silvestro. Titi, il canarino, non dice come Titti, il suo omologo italiano:  Oh, oh, Mi è semblato di vedele un gatto! Già perché, da noi, il nostro Titi non ha problema con la lettera R e soffre solo di una pronuncia blesa, ma soprattutto perché lui non vede un semplice gatto, ma un grosso micio cioè letteralmente in francese un gros minet: Z’ai cru voir un ‘rominet ! dice il nostro canarino francesizzato. A volte, incontrate, chissà perché, persone che raccolgono quei gatti silvestri  per farne dei mazzi di fiori secchi. Gli spighi bianchi dei gatti silvestri sono più serici dei peli miseri di Gatto Silvestro quando li accarezzate, ma possono anche farvi starnutare se li avvicinate al vostro naso. Come un micio, vi dico! Tranne ovviamente che il gatto silvestro delle dune non scoccia gli uccelli oppure il suo prossimo come Gatto Silvestro e non fa le fusa come un gros minet! 😉

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Botanica: La Santa Trinità dell’autore di questo blog!

In primavera, prima della piena stagione delle zanzare, ci sono tre pellegrinaggi botanici rituali da fare per un indigeno del Médoc. Purtroppo quest’anno, a causa di questo fottuto covid-19, sono riuscito a fare solo il terzo. Il primo si svolge all’inizio di aprile per ammirare i milioni di campanellini che fioriscono nella palude di Labarde e lungo le rive della Gironda. Il secondo si svolge ai primi giorni di maggio quando fioriscono gli asfodeli nei boschi di querce dell’estuario, l’asfodelo è il fior emblematico del sud della penisola del Médoc. Il terzo si svolge quando fioriscono i rododendri giganti delle lande perse di Saint-Queyran (tra la seconda settimana di maggio fino alla fine di maggio). È un pellegrinaggio particolare. Ci si vuole camminare in silenzio, non toccare niente. La vecchia gente dice che, una volta in quel posto, c’era il Paese di Saint-Queyran e che sono i suoi abitanti, massacrati 567 anni fa, che li coltivano. Vero, falso? Comunque una cosa è certa, come loro prima, io non sarò mai dalla parte del giglio…. 

Botanica: Le ortensie che fioriscono in autunno!

Se aveste l’occasione, un giorno piovoso di novembre, di passeggiare in una foresta di castagni del Médoc, potreste ammirare la fioritura di quegli strani fiori giganti  che assomigliano ai fiori delle ortensie e che crescono sui ceppi dei vecchi castagni abbattuti. Ho letto da qualche parte che quei fiori sono mangiati in certi Paesi di Francia. Nel Médoc, no; oppure, più semplicemente, non ho mai sentito parlare di un indigeno che l’avrebbe fatto. Questo bellissimo fungo, che  può pesare fino a dieci chilo, è una clavaria e più precisamente una Sparassis laminosa. 😉   

Médoc: La vigna di Terrarossa.

Una volta, la raschiatura era il vino che i grossi proprietari del  Médoc, magnanimamente, regalavano alla gente del Médoc marittimo, venuta a farsi una paga da loro alla stagione della potatura o della vendemmia. La prima pigiatura per i signori del vino, la seconda pigiatura anche per loro. La terza quando non si otteneva quasi più niente dai raspi, era quella regalata ai braccianti: la raschiatura, che veniva allungata con acqua dai proprietari per renderla bevibile. Paghe di miseria e raschiatura. I tempi non sono assolutamente cambiati per i lavoratori della vigna nel Médoc. D’accordo, la raschiatura non si beve più oggi e siamo passati al tavernello, ma questo lo dobbiamo ancora alla magnanimità dei grossi proprietari che non volevano rischiare di fare crepare una manodopera qualificata quando hanno iniziato a usare tutta questa chimica per fare il loro vino tra le due guerre, ma per il resto… Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo. Distese di eriche che fioriscono a milioni in agosto, monotonia degli allineamenti di pinete, savane di erba blu, corbezzoli, felci, ginestroni, cisti …e credo sia tutto, avete fatto il giro delle piante del Reame del Ladèrt da qualche parte sul confine tra il Médoc del vino e quello dell’oceano. Ah no, non è tutto! Ci si cresce della vigna! una vigna selvatica come all’inizio del Mondo. Una vigna immortale, impossibile da estirpare. Ogni quattro o cinque anni, i selvicoltori vengono pulire, arare e mettere sottosopra il Reame del Ladèrt. Anche se non serve proprio a niente visto che, L’anno seguente, tutto è tornato come prima tranne la vigna che sembra essere stata vinta. Però, l’anno seguente, la vigna, la nostra fottuta vecchia padrona, ricomincia a spuntare. Si potrebbe credere che sia la vigna originaria, la madre di tutte le vigne quella che fu addomesticata dagli antichi bordolesi. Ma no, non è il caso ed è addirittura il contrario: è una vigna che fu una volta introdotta e coltivata e che è tornata allo stato selvaggio. Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo, ma centocinquanta anni fa, il Reame del Ladèrt non esisteva, al posto ci si sorgeva Terrarossa, un’azienda vitivinicola, con la sua certosa orgogliosa circondata da un mare di vigneti dove ci si faceva un onesto vino rosso per i clienti dei bordelli parigini. Poi, alla fine dell’ottocento, è sbarcata dal nuovo mondo, una ragazza chiamata Fillossera che, in qualche anno, ha ridotto in cenere Terrarossa e l’ha resa al Médoc dell’Oceano. I grossi proprietari di Terrarossa sono andati a spendere i loro soldi nei bordelli bordolesi e parigini mentre gli abitanti del Médoc marittimo – che si facevano una piccola paga in più con il lavoro della vigna – sono tornati ai loro mestieri di contadini, resinai, pescatori, scaricatori sul porto di Bordeaux….Nel Reame del Ladèrt, le cose sembrano come all’inizio del Mondo, ma la vigna di Terrarossa, la nostra fottuta vecchia padrona, non ha rinunciato e pazienta ed è come una minaccia, solo quattro piante che sono un segnale che ci avverte che i tempi dei signori del vino e della raschiatura potrebbero tornare….

 

Botanica: Le felci di Thor!

L’Osmunda regalis è una felce grande quanto un uomo (e di più) tipica delle foreste del Médoc e che fiorisce in maggio. Se avete il coraggio di alzarvi presto e soprattutto prima le zanzare, le zecche e le vipere e di fare un giro in riva agli stagni, lagune, fiumi e pantani del Médoc, la troverete fiorita ovunque in quel periodo. Di più l’Osmunda regalis è tanto endemica e spettacolare ne Médoc che non avrete l’impressione di essere nei dintorni di Bordeaux, ma in qualche foresta tropicale dell’Honduras e non solo per i 35 gradi di oggi, ma anche per certe felci che raggiungono facilmente i tre metri di altezza. Osmunda viene da Osmunder o Asmunder che è un altro nome del Dio Thor che veniva chiamato Taranis in Gallia. Non credete a tutti i fumetti che leggete e a tutte le cretinate del cinema americano perché Thor non è il Dio che ci è descritto. Thor è un Dio rachitico che passa le sua vita a bere  tisane e decotti di radice di Osmunda regalis di cui il nome Osmunda dato alla felce. Piccolo, i genitori gli fodevarano il materasso e il guanciale con foglie di Osmunda regalis perché i vichinghi dicevano che l’Osmunda aveva il potere di ridurre la deformazione del Torace provocata da questa malattia. Pensate che quando i vichinghi hanno sbarcato a Bordeaux, i poveretti erano tutti affetti di rachitismo ed è la prima cosa che hanno esclamato ai giganti bordolesi: Non ci dite che l’Osmunda regalis non esiste da voi che sembrate tutti scoppiare di salute, altrimenti torniamo subito a Bergen! Una volta, la radice dell’Osmunda veniva anche usata per fare decotti per curare problemi urinari, lo scorbuto….e anche le ernie. Tutte malattie di cui soffriva il Dio del Tuono. Pensate a questo povero Thor: rachitico, scorbutico, con problemi di prostata e di ernie. Pensate un po’ se il poveretto con le sue ernie discali potesse sollevare un martello come si vede nei film americani! Secondo me, il solo coso che avrebbe potuto sollevare il tizio, è un martello da tappezziere e ancora! ….

 

Botanica: Legno di maggio.

Prima dell’invenzione del parafulmine dall’americano Benjamin Franklin, era il biancospino oppure il legno di maggio come dicono le streghe che serviva di parafulmine. Era comune di vedere le persone riempire le case di rami di biancospino per evitarne la distruzione. Oppure di  passeggiare sempre con un ramo di biancospino in tasca in caso che ci fu un temporale. Ci voleva allora brandire il ramo di biancospino e urlare al cielo un’incantazione che posso riassumere così: Biancospino proteggimi o servimi di sacramento (è il lato coltellino svizzero di un ramo di biancospino). Quando si iniziava a sentire, nel lontano, il tuono, i pastori, i resinai e tutti che lavoravano fuori cercavano già un biancospino per mettersi al riparo sotto il suo fogliame perché la gente sapeva bene che i fulmini non cadono mai su un biancospino. Credo sia una credenza antichissima del nostro paese di fate e di selvaggi e che i cattolici hanno tentato di appropriarsi. Loro raccontano che sarebbe perché la Vergine Maria avrebbe messo i pannolini del rampollo ad asciugare su un biancospino e avrebbe dimenticato di uscirli prima l’arrivo di un temporale. E miracolo! I pannolini non furono rovinati dalla tempesta e la ragazza non ebbe bisogno di fare un nuovo bucato (il vantaggio di essere la madre di un Dio). Ma non è tutto perché sarebbe per questa ragione per certi abitanti del paese che il biancospino profuma di rosa. Anche se per altri, la maggioranza, i miscredenti come l’autore di questo blog, al massimo sarebbe la ragione per cui il biancospino profuma di piscia. Non solo i fulmini, ma si diceva ancora che il ramo di un biancospino sistemato in una cantina, una soffitta, una stalla, un fenile, un pollaio…proteggeva il posto dai serpenti, dai topi, dalle volpe e dalle streghe. Gli stessi che riempivano le loro case di biancospino per allontanare le streghe, raccontavano che le streghe amavano tanto il biancospino, che sceglievano sempre un prato pieno di biancospini e, durante il Sabba, danzavano, cambiate in gatti, conigli, gufi e volpe, sotto le ombre fantasmagoriche che designano i biancospini le sere di luna piena (è il lato logico di quelli che credono al potere magico del biancospino). Mentre cammino nella foresta dietro casa mia, piena di biancospini in fiore, mi metto a pensare che i rami del biancospino sono anche temibili contro i vampiri. Se non avete né fucile né pallottola d’argento, un ramo di biancospino conficcato nel cuore di un succhiatore di sangue, è forse meno spettacolare, ma altrettanto efficace per fare fuori i vampiri. Sono preparato, mi manca solo a scovare un vampiro e non sarà tanto facile nel Médoc che loro preferiscono spassarsela nel Paese di Benjamin Franklin!

Médoc: In cui l’autore raccoglie e trapianta qualche testicolo di prete!

Il primo testicolo di prete del mio giardino.

 In aprile, i prati, i fossi, i margini dei boschi si macchiano di porporino. Ovunque nel Médoc, fioriscono i bellissimi orchis mascula che sono le orchidee più precoci in primavera. Orchis se dovessi usare un eufemismo è un’allusione alla forma ovoide dei tuberi. Mascula significa che la pianta è assai “rigogliosa”. Una volta, in francese, la lingua era più schietta è Orchis mascula si chiamava addirittura cogli….Va bene, uso di un nuovo eufemismo: testicolo di prete. E non ci vuole troppo di immaginazione per capire il perché. Dietro casa mia, in un prato dove pullulano gli orchis mascula, stanno costruendo una casa e, l’anno scorso, in aprile, sono andato a prelevare qualche orchis per tentare di salvare qualche pianta prima l’inizio del cantiere. Non ci credevo molto perché si dice che è una cosa quasi impossibile di trapiantare delle orchidee selvatiche. E invece, qualche giorno fa, mi è fiorita la mia prima orchidea in giardino. Non vi dico la soddisfazione. Ne sono ancora tutto commosso anche se il mio testicolo di prete puzza di piscia di gatto! 🙂 🙂 🙂

Dove l’autore vi racconta la storia della parola più antica della lingua francese!

Non spendo quasi niente. La foresta mi fornisce tutto. Vischio e rami di agrifoglio per addobbare la casa a Natale. Anche se l’agrifoglio pullula nei boschi del Médoc non è tanto facile di procurarsi bei rami perché la stagione delle bacche rosse è già passata. Ci vuole veramente camminare tanto per scovarne. Mi lascia il tempo di raccontarvi la storia della parola più antica della lingua francese. La storia è stra-conosciuta nella mia famiglia. Una coppia. Il tizio si chiama Adamo e la tizia Eva. La coppia vive in un giardino un’esistenza che assomiglia a quella delle mucche che occupano la palude dietro casa mia. Povera gente. Un serpente che vuole tanto bene alla coppia propone alla tizia, che sembra molto più svegliata del tizio, per cambiare dieta alimentare: una mela. Incuriosita, la tizia smette di pascolare l’erba per assaggiare la mela. Il proprietario del terreno si arrabbia a morte perché il melo è suo e scaccia via i suoi inquilini. Notate che una storia del genere mi è successa una volta. Quando ero ragazzino, la mia famiglia aveva affittato una casa di vacanza nei Pirenei e nel giardino c’era uno stagno. E bene, figuratevi che sono stato accusato di aver pescato e mangiato una trota dal proprietario! Dunque la coppia è stata scacciata via per una mela e noi per una trota. Va bene, è un’altra storia. Dunque la coppia si ritrova fuori dal giardino senza niente. Il proprietario irascibile lascia nemmeno alla coppia il tempo di indossare mutande e se la tizia, che decisamente era più intelligente del tizio, non avesse rubato, uscendo dal giardino, due o tre foglie di fico per coprirsi la cipolla. Loro si sarebbero ritrovati “culi nudi” come dicono gli abitanti del Médoc per designare i nudisti che frequentano le loro spiagge in estate. Il tizio piange, è una pappa molle. La tizia no, è una ragazza coraggiosa. Lei decide di attraversare la foresta per trovare riparo. E non è facile quasi nuda e trascinandosi un codardo come questo fottuto tizio. Dopo qualche chilometro, lei non ne può propro più delle sue lagnanze e lo spinge verso un boschetto dove il tizio si punge il culo con delle foglie spinose. Il tizio si mette a gridare e piangere di dolore: Houx! Houx! Houx! (Houx! si pronuncia come la vocale italiana U!). Ecco. Ora, sapete perché il nome dell’agrifoglio è houx in francese e perché è la più antica parola della nostra lingua 😉

La preghiera esaudita!

Il mio primo porcino dell’anno! Grazie Peychot*, piccolo ciucheir* delle Lande di Guascogna, di aver esaudito la mia preghiera! Troverete la cosa giusta o ingiusta, ma se vivete nella penisola del Médoc, non importa che siate milionario o che tirate il diavolo per la coda, che abbiate fatto degli studi o che siate senza istruzione, che siate presidente della Repubblica o che siate un niente. Perché, nella penisola del Médoc, il rispetto e la considerazione che ottenerete, nell’anno, dalla gente, dipenderà dai chili di porcini che raccoglierete durante l’autunno. 🙂

*Peychot: Pierino

*Ciucheir: pronuncia di choquèir (pastore)