Covid-19: Il confinato che non poteva più ingoiare i rospi!

Storia vera letta sul giornale: Un confinato, che vive in una cittadina alla campagna, ha chiamato i carabinieri per chiedere loro di intervenire presso le sue vicine perché il tizio non poteva più sopportare il chiasso che loro facevano la sera. Era tanto esasperato dal rumore che se i carabinieri non facessero qualcosa per farle smettere, lui prenderebbe il suo fucile per fare una carneficina e mettere fine definitivamente al problema. Dunque i carabinieri si recano nel paesello e bussano alla porta delle vicine per chiedere loro di abbassare il volume delle loro conversazioni oppure della loro musica. Mentre parlano con le vicine, sentono un chiasso che viene da un prato vicino dove c’è una pozza d’acqua comunale. Figuratevi che tutti quegli schiamazzi erano il rumore degli amori dei rospi e altre rane. Immaginate un po’ come l’irascibile si è sentito cretino quando i carabinieri sono tornati a bussare alla sua porta per dirgli che erano i rospi della pozza d’acqua e che lui dovrà aspettare la fine della stagione degli amori di tutte queste bestiole. Forse l’hanno anche ringraziato per li aver chiamati prima di uccidere le sue vicine per quattro rospi che abitano nei dintorni. A me piace tanto sentire il canto dei rospi e delle rane, le sere di primavera, mi metto addirittura una sedia fuori per sentirle meglio. Mi ricorda quando ero bambino e che andavo a catturare i girini con un vaso da confettura per portarli ai nonni che avevano una pozza d’acqua non lontano dalla casa oppure quando andavo in colonia estiva e che si cantava la canzone dei rospi. 😉

 

Animali: Il wombat!

Alcuni mesi fa, non avevo mai sentito parlare dei wombat, poi c’è ne uno che è venuto, dall’Australia pensate, frugare su Bordeaux e dintorni. L’altro giorno, chiudevano la biblioteca comunale per causa di coronavirus e ci sono andato, poco prima la chiusura, per fare scorta di libri e fronteggiare il Grande Confinamento. E cosa vedo sull’espositore della scelta dei bibliotecari? Un libro di un certo Will Cuppy intitolato: Come attirare il wombat. Inutile dirvi che ci sono piombato sopra – tipo il francese medio, in piena epidemia di covid-19, nel reparto carta igienica di un supermercato – per leggere in fretta, prima di essere cacciato via, il capitolo dedicato al famoso wombat….

Se non conoscete proprio niente al wombat, dovete leggere questo capitolo. Può rivelarsi assai utile un giorno o l’altro. Potreste piombare per caso su una di queste persone, che in ogni occasione, fanno domande sui wombat. “perché i wombat si trovano solo in Australia e in Tasmania?’ è una delle loro domande preferite. Risposta: perché è il modo di cui le cose sono organizzate. Chiedono ancora:”perché i wombat?” I wombat direbbero che questa domanda è cretina. Hanno l’impressione che se qualcosa si dovesse di esistere, sono proprio i wombat. Fanno grande caso del fatto di essere i soli animali su terra a essere dei wombat. Non vorrebbero per niente al mondo essere altra cosa, e certamente non noi. L’idea che, sulla scala degli esseri viventi, un marsupiale si situa quasi altrettanto basso di un monotremata mentre noi apparteniamo ai primati – un ordine di mammiferi che comprende le grandi scimmie, gli uistiti e i maki – non ha mai sfiorato la mente di un wombat. Abbiamo anche un nome di famiglia, Hominidae, per distinguersi, sul piano tecnico, dei gibboni, delle scimpanzé, degli oranghi e delle gorille. Il wombat è un animale al fisico tarchiato, con delle zampe corte e un andamento rozzo e trascurato. Alcuni trovano che assomiglia a una grossa marmotta, La verità è che non assomiglia a granché. Il wombat misura meno di un metro, dall’estremità del muso  fino all’estremità della sua coda vestigiale. Però, il wombat gigante del pleistocene era massiccio quanto un rinoceronte. Era, di tutta evidenza, troppo di wombat, così fu abbandonato. Il wombat comune d’Australia del sud-est è il più grande e il più interessante dei wombat viventi. I wombat di Tasmania hanno una pelle spessa, il pelo ispido e ruvido. Menano un’esistenza estremamente barbosa. Poi, finiscono in tappeto o in zerbino. E pensiate aver problemi! Addomesticati, i wombat possono manifestare all’occasione certi segni di affetto, se ne avete bisogno a quel punto. Di tempo in tempo vi mordono in modo apatico e senza nessuna ragione apparente per un non-wombat. Mai dimenticare che i wombat sono animali scavatori e notturni. Se li tenete dentro, vi terranno svegliati tutta la notte, provando di scavare attraverso il plancher. Se li lasciate uscire, mineranno le fondamenta delle case. Questa deplorevole abitudine ha provocato incidenti spiacevoli. Ormai ne sapete più lungo sui wombat di prima. Oh che sì! 

(Will Cuppy)

Médoc: L’uccello down under!

Scritto osservando una Sittelle Torchepot (picchio muratore in italiano) arrampicarsi sulla magnolia del mio giardino.

La Sittelle Torchepot è un passerotto molto comune ovunque in Europa ma che ha un superpotere unico da fare impallidire di gelosia qualsiasi supereroe americano della Marvel. È il solo uccello capace di scendere il tronco di un albero a testa in giù. Lo state osservando arrampicarsi verso la cima di un albero come un volgare picchio e vi dite che quell’uccello un po’ panciuto, corto, quasi senza coda, che con il suo abito blu cenere e il suo tratto di eye-liner alla Cleopatra, non è un granché. Ma cambiate idea, due minuti dopo, quando lo vedete scendere a rotta di collo, la testa in giù, il tronco dell’albero; un exploit che nessun altro uccello è capace di realizzare. La Sittelle Torchepot ha un nome banalissimo in italiano: picchio muratore. In francese, il nome è più bello. Sittelle deriva dal greco sitta che era il fischio usato dai pastori per raggruppare le loro pecore sparpagliate sui fianchi delle montagne e credetemi che la Sittelle fischia, ma fischia, fischia, fischia di gelosia quando la sua compagna si allontana troppo dal nido. Un fischio che sembra quello del passare di una lima su un pezzo di metallo, da chiedersi se la compagna non è masochista per tornare presso il suo fischiatore di compagno. Dunque Sittelle viene dal fischio dei pastori greci. Torchepot è un’antica parola francese. Il verbo “torcher” significa costruire in malta e “pot” ha il senso di vaso. Diciamo che la Sittelle è più un uccello vasaio che muratore. Quando la Sittelle vuole nidificare, essa si sistema nel vecchio buco di un albero che è stato usato e abbandonato da un picchio o una cincia. Quando il buco è troppo grande e per proteggere la sua prole, la Sittelle si mette a ridurre l’ingresso costruendo intorno uno charmant vaso in argilla degno dei più grandi artisti. Questo vaso ha una seconda funzione, quella di dissuadere i rivali e gli altri uccelli di avvicinarsi troppo alla compagna. La Sittelle è di una gelosia morbosa e se la compagna si assenta troppo, essa si mette a fischiare, ma a fischiare, fischiare, fischiare; a fare un bacano del diavolo. Certi dicono anche che la Sittelle prende a botte la compagna se essa è andata a fare la spesa ed è tornata un po’ in ritardo, che la masochista è picchiata di santa ragione, ma non voglio crederci. Secondo me, sono solo pettegolezzi di pettirossi. Da noi, la Sittelle ha piuttosto una dieta a base di insetti, ma la Sittelle ha una passione  per le nocciole di cui il suo nome in inglese di Nuthatch. La Sittelle ha una destrezza notevole quando si tratta di nocciole. Lei si impadronisce di una nocciola, sceglie accuratamente due rami che permettono di incastrare la nocciola e “bang” il frutto è spezzato a colpi di becco. L’incubo degli apassionnati della Nutella!….   

Médoc: Foche nel Mare Oceano del Golfo di Biscaglia!

Carta del comportamento da adottare in caso di incontro con una foca affissa su una spiaggia medocchina.

Non è mai banale anche per qualcuno come me che passa molto tempo a solcare il litorale del Médoc, ma può succedere talvolta di incontrare qualche foca sulle nostre spiagge in inverno. Sono foche grigie bretoni o ch’ti che vengono in villeggiatura per imparare ai loro cuccioli a pescare prima di lasciarli vivere la loro propria vita. Qualche anno fa, ho osservato una piccola colonia di quei vacanzieri, un giorno dall’alto di una duna tutto al Nord del Médoc. La sabbia della duna era dura come del cemento. Soffiava un vento gelido, tanto che non sentivo più le mie estremità e che avevo l’impressione che il mio naso, le mie orecchie e i miei denti stavano sul punto di cadere. E le foche se la godevano sulla spiaggia a prendere il sole livido di febbraio come se fossero in qualche paese tropicale…

Settembre 1917: Una foca di 1 metro e venti è stata uccisa sulla spiaggia di Vieux-Boucau nelle Landes dal doganiere G… che l’ha trovata, sdraiata sulla spiaggia durante il suo giro di ispezione. Spaventato dai gridi dell’animale da lui completamente sconosciuto, quel doganiere l’ha stordito dopo l’aver ferito a morte da un colpo di fucile quando l’animale ha cercato di riguadagnare il mare. La spoglia è stata inviata al museo del Mare di Biarritz….

Agosto 1920: Un altra foca è stata presa da pescatori girondini verso il Cap-Ferret. Pesava 49 chili e misurava un metro e quaranta. Il corpo era coperto di un pelo ruvido e corto di colore grigio cenere. Quella foca stordita a colpi di bastone come succede, purtroppo, quasi sempre quando marinai e cacciatori si trovano in presenza di animali che non conoscono, ha sopravvissuto solo 48 ore alle sue ferite. Durante quel breve intervallo, si è potuto osservare la sua dolcezza e la sua intelligenza. Si lasciava accarezzare e rispondeva dallo sguardo alle richieste che le facevamo….

Dunque sono in cima alla duna, molto lontano dalla piccola colonia, nascosto e tutto commosso in mezzo alle ammofile. Non faccio niente, mi accontento di fare il guardone. Non faccio rumore. Non scendo sulla spiaggia perché le foche che ricuperano sdraiate sul banco di sabbia dopo la pesca, rischierebbero di spaventarsi, di scappare verso il mare, di esaurirsi….Allora, sarei responsabile della loro morte e varrei ancora meno dei miei ignoranti antenati cacciatori occasionali di foche. Tornando a casa, telefono alla lega di protezione degli uccelli sul Bacino di Arcachon che si occupa anche della protezione delle foche. Do le coordinate GPS della spiaggia dove ho visto le foche, il responsabile brontola un po’ perché il posto è alla fine del mondo. Non ci penso più e qualche giorno dopo, il responsabile mi richiama per  dirmi che le foche sono in piena salute. Da allora, ogni tanto, ritorno su questa spiaggia in inverno con la segreta speranza di vederci di nuovo una piccola famiglia di foche….

 

48 anni dopo la fine del massacro…….

Passerelle nel Médoc che permettono alle lontre di varcare le chiuse e i ponti sensa rischiare di morire sotto le ruote delle macchine che circolano sopra.

All’odore fetido, agli avanzi di pesci,

Alcuni cacciatori avevano riconosciuto il ritiro

Di una lontra; e all’improvviso impediti dai cespugli,

Spiano il suo ritorno, preparando la sua disfatta.

Presto confermando i loro sospetti,

Quasi a fior d’acqua, costeggiando la sponda,

La lontra verso la sua tana si avvicina;

Appena essa mostra il naso

Che dei colpi di fucile che le sono destinate,

la spaventano, ma senza colpirla :

Il suo gusto non essendo di fronteggiare il pericolo,

Così sotto l’acqua essa si mette a nuotare.

La mancanza d’onore spinge il codardo a fingere,

Ma dagli animali si agisce differentemente.

Gambero di fiume, la leccornia preferita delle lontre.

Essa ha varcato l’umida spiaggia,

E senza allontanarsi dalla riva,

Respira al suo agio un momento.

Sempre diffidente e spaurita,

A tutto quello che si svolge intorno a essa attenta,

Scorge l’uno dei cacciatori

Di cui l’approccio, a buon diritto, risveglia i suoi terrori.

Ne è tempo, sfuggiamo al più presto,

Essa dice; e tuffandosi di nuovo,

Fa una deviazione e rompe il filo dell’acqua,

Per raggiungere una stanza certa,

Che potrà garantire la sua pelle.

Ci riesce, è ricevuta

In una grotta inosservata,

Ricoperta da ogni parte,

Di un’erba bene spessa; sotto un tale bastione,

Teme poco, senza cani che qualcuno la stana,

Ancora meno che la si possa forzare,

Un vecchio mulino nel Médoc.

A questa speranza mentre il suo cuore si apre,

Sentendo i cacciatori passare,

La chiacchierona non può impedire alla sua voglia,

Di fare loro così la lezione:

Senza tregua perché minacciate la mia vita?

Tacete? Vado a dirlo schietto :

Ma cosa c’è bisogno di dirlo dopo tutto?

Di pesci soli faccio quasi tutti i miei pasti!

Quale delitto? E voi, non ne mangiate forse?

La vostra presunzione tiene del delirio,

Ci vorrebbe lasciarveli tutti friggere?

Dai suoi clamori presso di essa si è guidato,

A colpo di bastone si sonda il suo riparo,

Di lasciarlo finalmente costretta,

Ed è morendo che essa smette di gridare,

Del suo discorso ecco il risultato,

Parla essa così male? È l’oggetto di un dubbio,

Ma comunque la rimproverata era fuori stagione,

Si farebbe bene, qualsiasi il prezzo,

Di non troppo urtare il forte che ci paventa;

Il debole ha sempre torto di aver ragione.

(favola francese del XVIII secolo tradotta da me)

Uno dei numerosi territori della lontra nel Médoc.

Esiste un animale molto, ma molto presente nel Sud-Ovest della Francia eppure non l’ho mai visto né cercato a incontrarlo d’altronde. Questo animale è la lontra. La lontra che, per sopravvivere a secoli e secoli di massacri sistematici da parte degli uomini, è dovuta diventare notturna. La lontra che ha evitato l’estinzione solo per un pelo (di mantello) – pensate che ne restavano meno di mille in Francia all’inizio del ventesimo secolo – e che è protetta dalla legge solo da meno di una cinquantina d’anni. La lontra che vuole semplicemente fare i cazzi suoi e che non vuole più nulla ad aver a che fare con gli uomini. A volte, passeggiate sulla riva di uno stagno nel  Médoc o lungo un fiume nelle lande oppure semplicemente sulla via fangosa del mulino dietro casa vostra e vedete gli avanzi di un banchetto a base di gamberi di fiume, allora questo vi fa come un arcobaleno nel cuore. Tornate indietro, non per cercare un fucile come i vostri padri, ma per trovare una deviazione e, se non è possibile, camminate il più discretamente possibile per non disturbare nella sua tana il sonno della lontra; la lontra che generazioni e generazioni dei vostri antenati hanno cercato a sterminare ha riconquistato il suo Reame….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Strega, Croc e Cassi nel Paese degli Stronzi.

Oceano. Strega conduce una vita più o meno solitaria in una casetta ai piedi delle dune. Strega condivide la casetta con Croc (Corvo) che è un cane nero. L’incrocio improbabile tra un cane di razza Labrit e qualche bestiola sconosciuta. Croc è un cane da tuttofare: ottimo per la caccia alla becaccia, ottimo se dovesse fare il pastore al culo delle pecore, ottimo per tenere compagnia a Strega. Croc è il cane ideale. Strega non possiede di auto, ma solo una vecchia bici arrugginita con il suo cestino posteriore fai da te che regge con pezzi di reti da pesca raccolti sulla spiaggia. Ogni mattina, Strega, solo per andare a comprare il pane, fare la spesa e tornare a casa, deve percorrere più di una decina di chilometri. Il pane è diviso in tre. Un terzo per il pranzo, un terzo per il “quattro-ore” (la merenda), un terzo per la cena. Un giorno di settembre quando la maggiore parte dei turisti hanno “fottuto il loro campo” (sono andati via), Strega si accorge, preparando la cena, che le manca il terzo pezzo di pane. Lei cena senza pane pensando di essere stata golosa e di aver mangiato, senza essersene resa conto, per la merenda, il boccone della sera. I primi segni di demenza lei scherza. L’indomani, Strega si compra una cotoletta dal macellaio e le crocchette per Croc ovviamente al piccolo supermercato del paese. Al ritorno, nemmeno il tempo di sistemare la spesa nella mensa, che la cotoletta lasciata sulla tavola della cucina non si trova più nonché Croc che è scappato. Ho un ladro in casa, si dice Strega. Non è un croc, ma un’agassa! (gazza). Comunque Strega è preoccupata perché Croc non ha mai avuto quel genere di atteggiamento strano ed è la bestiola più onesta del paese. Strega non rimprova niente a questo vagabondo di Croc quando lui torna alla notte facendo finta di niente. L’indomani mattina, prima di andare a comprare il pane, Strega mette il collare a Croc, quello con la campanella per la caccia alla becaccia. Il pane è stato lasciato negligentemente sulla tavola. Croc entra nella cucina, ruba il pane, porta fuori il suo furto e “fotte il suo campo” ( se ne va) nella pineta. Strega che ha spiato Croc si mette a seguirlo. A volte, il rumore della campanella è vicino a volte sembra lontanissimo. Una duna è varcata, un’altra. Croc e Strega ora sono nella leda (la foresta umida). Ma dove mi porta Croc che lui non avrebbe difficoltà a seminarmi? si chiede Strega. Alla leda succede la palude dove crescono le “sigorre” (tipo di carex gigante di cui le foglie sono affilate come lame di rasoio). Strega sente uno strano rumore nella palude, a volte sembra il miagolare di un cucciolo di capriolo, a volte sembra il sussurro di qualche bestiola ferita. Al centro della palude, c’è una specie di poggio, un isolotto. le caviglie affondate in un meandro del fiume, Strega osserva, dietro un cespuglio di sigorre, Croc che si è fermato presso una vecchia quercia. Strega ha le lacrime agli occhi. Una strana bestiola, un cane probabilmente, uno di quei cani piccoli che si vedono solo a Bordeaux o in televisione, è attaccato alla quercia con una corda, le zampe attorcigliate in un filo spinato. Croc è riuscito, i giorni precedenti, più o meno con le sue zanne a liberare la bestiola dalla corda che manteneva la sua testa quasi incollata al tronco. La bestiola divora il pezzo di pane mentre Croc le lecca le ferite. Croc guarda verso il cespuglio dove è nascosta Strega che sta maledicendo gli stronzi che hanno abbandonato e torturato l’animaletto. Mentre Croc resta con la bestiola, Strega si sbriga di ripartire verso la casa. In un’altra vita, Strega è stata infermiera in una città del dipartimento. Quando lei raggiunge di nuovo Croc, il suo zaino è pieno di tutto il materiale necessario: tenaglie, cesoia, filo, aghi, disinfettante, panni, bende…e anche pozioni di streghe per calmare la bestiola. Sarà che la bestiola era esausta dopo giorni passati attaccata alla quercia; sarà la presenza rassicurante di Croc; sarà che essa sentiva che Strega le voleva del bene; sarà per una ragione o un’altra, ma la bestiola si lascia toccare. Strega riesce a tagliare la corda, a ritirare il filo spinato, a curare e bendare le ferite, a suturare con il filo e l’ago il ventre dilaniato dal filo spinato. Ora, Strega fa respirare una pozione a Cassi (il nome dato da Strega alla bestiola cioè Quercia) per addormentarla. Cassi è avvolto in un panno dentro lo zaino e Strega e Croc possono tornare a casa. Sono passate ore. Si telefona alla gendarmeria che non è interessata e che non vuole muoversi per una storia di cane, al veterinario del paese che viene a cercare Cassi e che si meraviglia dal lavoro fatto da Strega nella palude. Passano i giorni e, finalmente, il veterinario telefona per dire che Cassi è completamente guarita e per chiedere cosa Strega vuole fare del cane. Lei me lo porta a casa e non si preoccupa più di niente, pago la fattura. Strega, Croc e Cassi corrono le dune, le pinete e vivono felici nella casetta ai piedi delle dune. Un giorno, tornando dal panettiere, il tubo trasversale del telaio della bici tutta arrugginita di Strega si spacca in due. Strega deve tornare a casa a piedi e abbandonare la bici sulla vecchia strada del paese. Strega non fa attento ai due cani che di solito seguono e che comunque sia hanno l’abitudine di fare la loro vita. Croc la sta accogliendo a casa, ma Cassi non si fa vedere. L’indomani mattina, Cassi è ancora assente e Strega comincia a preoccuparsi. La mattina sta passando e Strega telefona al meccanico del paese per chiedergli se lui potesse andare a ricuperare la bici e fabbricare un tubo in acciaio per ripararla. Lui non è troppo d’accordo perché la riparazione costerebbe più di una bici nuova. Strega insiste. Cinque minuti dopo, il meccanico telefona per dire che lui  viene subito a cercare Strega perché c’è il suo fottuto maledetto piccolo cane che monta la guardia davanti alla bici e non lascia avvicinare nessuno. Brava piccola Cassi mormora Strega sorridendo…

Sembra una favola, ma è una storia vera di cui ho conosciuto i tre protagonisti tanti anni fa.  In questo momento, alla televisione francese, stanno passando uno spot contro l’abbandono degli animali. I proprietari lasciano i loro animali domestici ai bordi delle strade, nei campi….cantando la canzone di Queens, We are the Champions. Perché, noi francesi, abbiamo il record mondiale degli abbandoni di animali domestici. Ogni volta che vedo lo spot, ripenso alla storia di Strega, Croc e Cassi e mi dico che, in realtà, siamo i campioni del Mondo degli stronzi che pensano che comprare un animale sia la stessa cosa di comprare un videogioco e che, quando l’animale non diverte più, sia possibile di sbarazzarsene per un nuovo, esattamente come loro fanno per i videogiochi…

Fa tanto caldo che i gatti stanno gattando!

Cane in guascone si dice can e gatto si dice gat. In gergo bordolese, c’è il verbo caner che deriva dal guascone (s’) escanar (strozzar(si)) e che significa morire, uccidere e non solo: je l’ai cané ! (l’ho ucciso!), je suis en train de caner ! (sto morendo!), il a cané ! (è morto!), le lave-vaisselle est cané (la lavastoviglie è morta), ce type me cane (quel tizio mi scoccia a morte), Je suis cané avec cette canicule (sono stanco morto con quel caldo), ce travail me cane ! (quel lavoro mi esaurisce!)…ecc. Dunque quando sono tornato a casa, ieri sera, mio gatto era “canato” sotto la tavola da giardino e pensate che faceva solo 35 gradi! Stamane, non l’ho trovato e forse quando torno a casa stasera, il gatto sarà “gattato” perché che verbo dobbiamo usare quando annunciano delle temperature di 45 gradi oggi a Bordeaux? Comunque ho lasciato le porte finestre aperte affinché la bestiola possa mettersi un po’ al riparo e bere (che dentro la casa fa un piacevole 32 gradi di pomeriggio). Spero che i ladri siano “canati” anche loro con quel caldo che non mi piacerebbe trovare stasera un gatto “gattato” e una casa “canata”! 😉

Ma c’è il mare in Italia?

E no, cari giornalisti italiani, il ministro francese dell’Ecologia, François de Rugy, non si è dimesso per le sue abbuffate a base di aragoste giganti a spese dei contribuenti, ma per le sue abbuffate a base di astici giganti. E no, cari giornalisti italiani, le persone che hanno manifestato contro di lui, non brandivano aragoste giganti gonfiabili, ma astici giganti gonfiabili. Di due cose l’una. Sia avete inventata questa storia delle aragoste giganti per abbellire i vostri articoli – ancora che non capisco il perché visto che l’astice è molto più pregiato dell’aragosta almeno in Francia, ma forse è il contrario in Italia? Per appoggiare questa tesi, noto che avete aggiunto questa storia di ostriche che ho letto da nessuna parte nei giornali francesi visto che le ostriche, forse sono un prodotto di lusso in Italia, ma in Francia no. D’altronde, non sono milionario e ne mangio  almeno una volta per settimana in inverno e la dozzina costa tra 5 e 6 euro. Sia fate confusione tra aragosta e astice perché non c’è il mare in Italia, che ci conoscete niente e che comunque alzarvi il culo per fare un minimo di lavoro giornalistico con questo caldo…

Médoc: L’uccello blu che sognava di un Leone.

L’uccello blu nell’ippocastano

Giugno. Non ho bisogno di sveglia la mattina perché, ai primi raggi del giorno, ho l’uccello blu che si strangola a sbraitare in cima al vecchio ippocastano di un vicino: Leone! Leone!! Leone!!!* Ne ho come un colpo al cuore perché il vicino non ha cercato al poverino una fidanzata quest’anno ancora. Siamo alla stagione degli amori e l’uccello blu non si rassegna in cima all’ippocastano: Leone!, Leone!! Leone!!! Un altro vicino ha un’oca da guardia e cinque minuti dopo il primo richiamo dell’uccello blu, è l’oca che si mette a sbraitare correndo dopo il ciclomotore del tizio che consegna Sud-Ouest*. Un gallo canta nel lontano. Poi, i cani si mettono a fare il loro lavoro di cane ed a abbaiare. Una gallina fa l’uovo. Le gazze litigano con i gatti….Insomma il solito baccano che fanno le bestiole all’alba nelle campagne. Apro le persiane e guardo verso l’Oceano per sapere se sarà una bella giornata. L’uccello blu si rimette a sbraitare in cima al vecchio ippocastano: Leone! Leone!! Leone!!! Dobbiamo assolutamente trovargli un Leone l’anno prossimo!

*Leone cioè Léon in francese che è anche il verso del pavone.

*Sud-Ouest, il giornale regionale.

Viaggio nelle isole del mare degli Stretti, di là dalla fine delle Terre! Seconda parte.

Non cliccate lo scatto se siete sensibili!

La roba più schifosa da mangiare per un italiano nelle Charentes e in Vandea? Secondo me, è la nutria che viene considerata una leccornia assoluta in quella zona dell’Aquitania, che sia cucinata in civet, in terrina oppure in paté. Già che il transalpino storce il naso a Parigi davanti al monumento della gastronomia francese che è l’andouillette, immagino la sua reazione se dovesse mangiare un sandwich infarcito di paté di nutria! Quindi se leggete un cartello oppure un menù di specialità regionali a La Rochelle o altrove nella zona e che ci vedete scritto ragondin oppure lepre delle paludi, sappiate che è della nutria!

A Bordeaux è più raro di trovarne tranne in qualche zona del Médoc dove abito, ma, da noi, non è una roba che è venduta nei negozi (né altrove) perché la carne non proviene da bestiole di allevamento come nel Nord della regione, ma di attività venatoria. In giugno, è il periodo dei tornei di calcio. Tanti anni fa, mia zia mi aveva chiesto di accompagnare suo figlio che aveva una decina di anni a uno di quei tornei. Dunque ci andiamo e io pensavo comprare i miei sandwich alla ventrêche (pancetta spessa cotta alla griglia tipica della Guascogna) sul posto. E no. I genitori avevano previsto un picnic gargantuesco per almeno cento persone! Dunque c’è questa signora che è conosciuta per fare i migliori millas della Gironda (che sono dolci tipici della Guascogna) e c’è quasi una sommossa di genitori e di bambini intorno alla signora all’ora del pranzo. Lei distribuisce sandwich al paté e porzioni giganti di millas. Aspetto tranquillamente il mio turno. Da leccarsi i baffi! esclama un tizio che viene di inghiottire il suo terzo sandwich. Va bene, riesco ad afferrare chissà come un sandwich, una porzione di dolce e una bibita e poi vado verso il lago per pranzare perché io il calcio e le discussioni sul calcio… La giornata è interminabile meno male che c’è il lago vicino e che ho pensato al costume. Va bene. La sera, faccio il taxi e riporto due o tre orfani a casa loro. Busso alla porta della zia e lei mi invita per un bicchiere. Mi metto a parlare della giornata e del picnic preparato dai genitori e come mi sono sentito a disagio perché non avevo portato niente. E poi, anche dei sandwich al paté che erano davvero squisiti e le dico che erano stati preparati dalla sua amica, la signora che fa i migliori millas della Gironda. Mia zia si mette a guardarmi la bocca aperta e gli occhi spalancati, poi mi chiede se ero sicuro che fosse lei ad aver preparato i sandwich. E certo, rispondo, tutti i genitori la complimentava. Ma tu, insiste mia zia, difficile come sei, ne hai mangiato di quei sandwich? Beh sì, ne ho mangiato uno, era buono, un paté di maiale fatta da lei. Mia zia si mette a ridere a crepapelle e tra due singhiozzi, mi dice: no, non era del maiale. Allora, del coniglio oppure del cinghiale? No, mi fa della testa mia zia che non riesce a parlare tanto lei ride. Va bene. Dopo un mezz’ora, mia zia comincia a calmarsi e mi pugnala dicendomi che era del paté di nutria e che è la seconda specialità della tizia. E di aggiungere: eppure ero sicuro che lo sapevi! Va bene, lo saprai per la prossima volta! Non c’è stata ancora di seconda volta. E ogni volta che sono invitato da un abitante del Médoc, mi ricordo del sandwich alla nutria e di quello che dicono di noi i bordolesi, che siamo come i cinesi che mangiamo tutto quello che corre, cammina, vola, nuota, si arrampica su quel pianeta! Non mi fido più…